Catania Pride 2008 - 5 luglio

31 dicembre 2007

Via di qua (diario della fine) - 2

Venerdì 28 dicembre. Dolcissimo risveglio in una delle camere destinate agli ospiti della casa di J. Un vecchio letto la cui rete ci ha fatto precipitare inesorabilmente verso il centro (non quello politico, evidentemente), pochi ed essenziali mobili, i genitori di J. che ci osservano clementi da una foto in bianco e nero scattata il giorno del loro matrimonio, la luce che filtra dalle imposte: il nuovo giorno si è presentato così. Restiamo a letto a raccontarci cose, poi scendiamo e dopo un’abbondante colazione andiamo a B., a fare una passeggiata lungo il lago. La giornata è soleggiata e la temperatura relativamente alta, ma Staou si sente poco bene, perciò intorno all’una facciamo rotta verso la farmacia e poi in pescheria a comprare qualcosa che servirà per il pranzo. Mangeremo verso le tre, una volta tornati a casa di J. Il resto del pomeriggio trascorre nell’ozio assoluto per me e Staou e nei preparativi per T. e J. Verso le sei arriva una loro cara amica, A.: trovo che abbia la pelle molto liscia e che sembri più giovane dell’ultima volta che l’ho vista, e rischio quasi di dirglielo. Molto gentile, porta tutti e quattro all’aeroporto di Girona. Dopo i controlli saliamo sull’aereo e un’ora dopo siamo in Sardegna. Prendiamo una macchina in affitto e ci rechiamo a B. Quando arriviamo, troviamo i genitori di Staou ad accoglierci insieme alla sorella. Sono caldi abbracci, una rapida visita alla casa e poi una cena a notte ormai inoltrata, a base di malloreddus, carne di cinghiale e di capretto. Il fuoco arde nel caminetto.

Sabato 29 dicembre. La mattina ci inerpichiamo insieme a T. e J. su su lungo le vie che risalgono il colle sul quale è stato costruito il centro storico di B. I nostri due amici gradiscono la visita. Pranzo a casa, a base di pesce. Il pomeriggio usciamo solo io, T. e J, Staou resta a casa a discutere con gli operai per il proseguimento dei lavori nella casa. Un concerto nella cattedrale e poi a cena.

Domenica 30 dicembre. La giornata comincia presto, con una visita al sito archeologico di Cornus. Passeggiamo tra le rovine dell’insediamento punico-romano lasciate in uno stato di pressoché totale e scandaloso abbandono. Nei pressi dell’area troviamo un edificio molto recente, rigorosamente chiuso, di cui forse indoviniamo la destinazione: biglietteria e sorveglianza per il sito. Una scritta tracciata con il gesso su una parete parla di spreco e di vergogna.
Proseguiamo lungo la strada per Oristano e in breve tempo arriviamo a Is Arutas. Là accarezziamo con le mani e con lo sguardo la famosa sabbia bianchissima, i cui grani di quarzo, molto levigati, hanno le dimensioni dei chicchi di riso. Il sole fa i capricci, eppure il fondale marino vicino alla spiaggia manda rilessi azzurri splendidi.
Dopo qualche tempo siamo a San Salvatore, incredibile villaggio fatto di piccolissime case a un solo piano, disposte intorno a un perimetro quadrangolare al cui centro si trova una chiesetta che sorge sul luogo nel quale, fin dall’antichità, si veneravano le divinità delle acque. Il villaggio è deserto, pare che si riempia solo per nove giorni all’anno, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, in occasione della procesione religiosa da e verso Cabras. È a San Salvatore che sono stati girati alcuni spaghetti western.
Dopo aver mangiato a Cabras, visitiamo Tharros, città fondata dai fenici e poi abitata dai cartaginesi, infine conquistata dai romani. Gli scavi hanno permesso di riportare alla luce, fino a questo momento, circa un terzo della superficie della città che, al suo massimo splendore, contava diecimila abitanti. La visita è davvero interessante, anche grazie alle spiegazioni di una guida molto abile, ma resa un po’ dura da un maestrale implacabile. Abbiamo chiuso la giornata con una visita al museo civico di Cabras che, tra le altre cose, di Tharros conserva gli elementi del tofet (la necropoli dove erano sepolti i bambini - sono stati rinvenuti circa cinquemila resti, di cui l’80% appartengono a neonati da 0 a 6 mesi).
Durante la cena ascoltiamo molto distrattamente il telegiornale; quando appaiono le immagini di un Family Day che a Madrid avrebbe raccolto oggi un milione e mezzo di persone, i nostri amici spagnoli hanno un moto di sgomento; sullo schermo si vede ondeggiare una Madonna portata in processione ed è quasi il panico. Discutiamo su come il Partido Popular di Rajoy e la Chiesa cattolica propizino questo tipo di manifestazioni nella speranza di provocare divisioni nella società spagnola che, in massima parte, ha accolto benevolmente la politica di Zapatero riguardante i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Le elezioni in Spagna sono davvero vicine. (Continua)

Via di qua (diario della fine): 1, 3.

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28 dicembre 2007

Via di qua (diario della fine) - 1

Giovedì 27 dicembre. La sveglia suonerà solo alle 7,30, ma è una notte un po’ agitata, io e Staou ci risvegliamo a più riprese. Usciamo di casa un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, prendiamo la metropolitana per arrivare a Porte Maillot, dove facciamo appena in tempo a fare il biglietto e salire sulla navetta per l’aeroporto di Beauvais. Durante tutto il tragitto (un’ora e mezza circa) non faccio che pensare alla poposta di M., giunta inaspettatamente qualche giorno fa. È al tempo stesso il migliore e il peggiore momento per prendere una decisione di tale importanza. Tuttavia mi sento stranamente ottimista e comincio già a fantasticare sul progetto e sui contenuti che vorrei avesse. Ancora sulla corriera, penso che i primi giorni di gennaio saranno importanti, che dovrò risentire M. e prendere con lui una decisione definitiva. Intanto Staou ascolta musica con il lettore mp3. È contento e mi sorride spesso.
In aereo tento di concentrarmi sulla traduzione, nonostante le turbolenze che di tanto in tanto si fanno sentire. Ma l’atterraggio all’aeroporto di Girona arriva presto e già scendendo la scaletta e guardandomi intorno, mi sembra di essermi lasciato alle spalle il grigio e il freddo degli ultimi giorni a Parigi. Abbracciamo J. che è venuto a prenderci. Mentre andiamo in macchina a B., il paese dove vive insieme al suo compagno T., osservo il paesaggio e mi riempio gli occhi dei colori dell’inverno. Penso che sole e tanta natura siano esattamente ciò di cui ora ho bisogno, e questo viaggio comincia sotto i migliori auspici. Il pranzo a B. è una delizia e tra i piatti spicca l’oca alle mandorle e alle rape (in castigliano rapa si dice nabo, che è anche il nome non propriamente scientifico che si dà all’organo sessuale maschile. Dopo la breve spiegazione, battute e risate). Ancor più piacevole, però, è l’affetto di cui questi amici carissimi sanno circondarci. Ogni volta, venire qui per noi significa ricaricarsi psicologicamente e distendersi al tempo stesso, lontano dalle frenesie parigine. Ci vogliono un gran bene e lo fanno sentire a ogni gesto. “Sono molto contento che siate qui”, dice a un certo punto T. Un sentimento ricambiato.
Il pomeriggio lo passiamo a fare un po’ di spesa: mangime per le loro galline e dolci per la famiglia di Staou, che vedremo domani. Andiamo anche a F., a cercare delle improbabili lenzuola di seta “alla Falcon Crest”, che alcuni loro amici gradirebbero ricevere come regalo. Mi diverte molto vedere le reazioni dei negozianti alla strampalata richiesta. Uno di loro afferma che “sono passate di moda”... In effetti: da quanto tempo non va più in onda Falcon Crest?
In macchina racconto in breve i miei ultimi mesi e troviamo anche il tempo di accennare alla situazione politica spagnola. Le elezioni si avvicinano e la vittoria di Zapatero è tutt’altro che scontata. Per come la vedono loro, la strategia della destra spagnola, in quest’ultimo periodo, è quella di un’opposizione relativamente tranquilla, dopo anni di critiche feroci e martellanti al governo socialista. Due sembrano essere i temi che possono influenzare maggiormente l’esito delle prossime elezioni: la politica istituzionale nei confronti dell’ETA, dopo il fallimento delle trattative, e l’atteggiamento del governo verso le regioni autonome, dopo che al recente referendum sul nuovo statuto catalano hanno partecipato pochissimi elettori. Secondo la loro previsione allo stato attuale delle cose, i socialisti perderanno voti ma saranno ugualmente chiamati a un governo di coalizione, vista l’indisponibilità degli altri partiti ad allearsi con il PP che fu di Aznar ed ora è nelle mani di Mariano Rajoy.
La sera, intorno a una tisana, commentiamo distrattamente alcuni srvizi della rivista gay e lesbica Zero e discutiamo ancora una volta della monarchia spagnola. Felipe regnerà, ma secondo T. sarà lui l’ultimo re di Spagna, visto il crescente sentimento antimonarchico di una parte della popolazione. J. invece pensa che gli avversari della monarchia non siano cresciuti di numero: se prima erano repubblicani, ora sono semplicemente antimonarchici, ma il risultato non cambia; l’immagine del re, secondo lui, non si è realmente appannata, anche se è vero che certe esibizioni di sfarzo che la corte non disdegna, vengono digerite con sempre maggiore difficoltà.
Il menù della cena prevede invece un dialogo molto sincero e sentito sulla sessualità, la loro e la nostra. Ho la sensazione netta che la nostra amicizia si stia approfondendo e arricchendo e che la fiducia reciproca sia grande. Sto bene. Me ne vado a dormire sereno. (Continua)

Via di qua (diario della fine): 2, 3.

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26 dicembre 2007

La cura per l’omosessualità? Pedalare!

Un gran senso di nausea. È ciò che si prova leggendo certe coraggiose inchieste (ancora grazie ad Anelli per la segnalazione) come quella di Davide Varì, giornalista di Liberazione, che ha indagato sui cosiddetti guaritori dei gay: si tratta di sedicenti psicoterapeuti i quali considerano ancora l’omosessualità come una malattia, da curare magari con qualche giro in bicicletta. Non siamo ai riti magici nelle notti di luna piena, ma poco ci manca. Il tutto in uno strettissimo legame con la Chiesa cattolica e le sue gerarchie, manco a dirlo. Se ancora non ne avete sentito parlare, cliccate sul link qui sopra e vomitiamo insieme.
È un’inchiesta da leggere per almeno due motivi: intanto perché mostra a quale violenza psicologica possono essere esposti gli omosessuali, soprattutto quelli più vulnerabili come gli adolescenti (in una frase che per me vale da sola tutta l’inchiesta, Varì scrive: “Per la prima volta, in un certo senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento sociale e culturale che vivono i gay”); e poi perché in questo clima natalizio, buonista, melenso e familista, rinforzato puntualmente dalle solite papate, il pezzo di Varì ci permette di spazzar via d’un colpo l’ipocrisia del “tutto sommato state bene, di che vi lamentate?” e di mostrare che c’è chi opera alacremente perché il Medioevo ritorni in auge.
Io ovviamente spero che sapremo sconfiggerli ed è questo il più bell’augurio che ci possiamo fare, credo, per l’anno che viene. Qualche stimolo davvero interessante per le lotte che si preparano mi è giunto qualche giorno fa, per me inaspettatamente, dagli Stati Uniti. Sto preparando la traduzione di un testo da mettere presto in linea, nella speranza che anche voi possiate trovarvi qualche spunto utile.


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19 dicembre 2007

Veltroni: un buon frocio è un frocio morto

La prima reazione è stata: “Alla faccia!”. E poi: “Ma chi crede di prendere in giro?”. Mi riferisco alla lettera pubblicata oggi da la Repubblica (ma occultata in fretta e furia dalla home page dell’omonimo sito, evidentemente per un rigurgito di pudore), firmata dal segretario del PD nonché sindaco romano, e dedicata alla vicenda del registro delle coppie di fatto. Veltroni non si è nemmeno presentato, due giorni fa, alla seduta del consiglio comunale nel quale il suo partito ha votato con “intelligente compattezza, senso di responsabilità e autentica laicità” insieme alle destre, contro due delibere (di cui una d’iniziativa popolare) che chiedevano l’istituzione di un registro delle unioni civili. Però interviene ora, a giochi ormai fatti, sollecitato da un articolo di Miriam Mafai (nota barricadera) che indica in quel voto una sconfitta del PD e della laicità.

Singolare, innanzitutto, il fatto che Veltroni si richiami in continuazione, nella sua lettera, proprio al tema della laicità dello Stato: dal momento che su queste delibere Veltroni è andato a farsi dettare la linea dalle gerarchie vaticane, quelle stesse che poi hanno martellato per giorni i suoi consiglieri perché votassero contro, dal momento che è stato il sindaco di Roma a promettere che non se ne sarebbe fatto nulla, quale credibilità possono avere le sue parole oggi? Davvero riesce ad addormentarsi la notte? O non si vergogna, per caso, almeno un po’ dopo aver scritto certe cose?

La tattica difesiva è quella che i suoi degni compari ci hanno servito già ieri e l’altroieri: il PD ha offerto, udite udite, “un ordine del giorno coraggioso ed equilibrato, un terreno di confronto avanzato, serio e rispettoso di tutte le sensibilità”. Misurate bene le parole: proporre al consiglio di lavarsene le mani per esortare invece il Parlamento a discutere dei CUS (cioè il nulla sotto vuoto spinto), era... “coraggioso” e “avanzato”. Ripetete: “coraggioso” e “avanzato”... Ed anche “rispettoso di tutte le sensibilità”: beh, questo almeno sì, nel senso che essendo il PD espressione degli interessi vaticani, è evidente come “sulle due delibere di iniziativa popolare e consiliare [...] non c’era una maggioranza sicura e comunque il loro contenuto era legittimo ma discutibile e non da tutti condiviso”. Dunque, riassumendo: la colpa per la presentazione dell’insipido e ipocrita ordine del giorno piddino è del fatto che non c’era una maggioranza sulle due delibere (per di più giudicate “discutibili”: e perché, di grazia?). Ma chi ha fatto mancare la maggioranza alle due delibere? Il PD... Ohibò. Ripeto: chi crede di prendere in giro? Eppoi si stupisce se “la sinistra radicale” non ha votato l’inutile ed offensivo ordine del giorno. Ci mancherebbe altro!

Per dimostrare il grado di “autentica laicità” della sua politica, Veltroni infine afferma: “Non so se quarant’anni fa sarebbe stato possibile dedicare una via ad omosessuali vittime di violenza e pregiudizi omofobi o se un’Amministrazione Comunale si sarebbe costituita parte civile a favore di queste vittime”. Finalmente un atto concreto che incide davvero sulle vite di tanti cittadini e di tante cittadine: le targhe delle vie! Come avevo fatto a non pensarci prima?

Ecco, dunque, i froci che piacciono a Veltroni: morti ammazzati, morti il cui nome figurerebbe bene su una lapide alla quale deporre fiori, morti da rievocare nelle aule di un tribunale. Da vivi, invece, i vostri amori, i vostri affetti, la vostra sessualità, in fin dei conti la vostra intera esistenza, non contano nulla e devono sparire. Anche per Veltroni, insomma, meglio morti che froci.


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18 dicembre 2007

Al diavolo il PD

È questo il momento nel quale molti, giustamente, s’indignano per i fatti di Roma: per farla breve, il Partito Democratico palesemente genuflesso ai voleri del Vaticano, per cui nemmeno un riconoscimento puramente formale delle coppie di fatto come poteva essere il registro delle unioni civili da istituire presso il comune della capitale, riesce ad essere approvato (leggetevi i post di chi ha seguito quel Consiglio comunale, di persona o a distanza). Veltroni ha latitato, forse ha provato vergogna per essere andato in Vaticano a farsi dettare la linea che il partito degli omofobi (il suo... il vostro?) avrebbe dovuto tenere in consiglio (“Non se ne farà niente”, promessa mantenuta).
Oggi molti aderenti al Partito cosiddetto Democratico tentano di scaricare la responsabilità sulla sinistra radicale, occultando furbescamente la propria meschinità e cercando di massimizzare il profitto (tre esponenti a caso: Perugini, Santilli e il blogger Pieroni; personaggi che non linko, tanto è il disgusto nei loro confronti). Vorrebbero così dimostrare di essere quei baciapile che il Vaticano cerca, insultare gay e lesbiche e allo stesso tempo screditare gli unici partiti della maggioranza capitolina che si sono battuti per il registro (sinistra, radicali e socialisti). L’operazione è grossolana ma ci pone davanti a un’evidenza ormai incontrovertibile e che andrebbe ribadita a ogni piè sospinto: chiunque sostenga il Partito Democratico è, oggettivamente, un nostro nemico. Non ci sono scuse che tengano: bisogna che ci ficchiamo bene in testa che la manfrina secondo la quale “è meglio cercare di cambiare stando dentro” sono solo ciance, specchietti per le allodole, terribili ed oscene falsità durate fin troppo a lungo. Chiunque le pronunci e sia dotato di una seppur minima coscienza politica, vi sta mentendo sapendo di mentire.
Si pone anche il problema delle alleanze. Faccio un esempio: se Sinistra Democratica sceglie l’alleanza strategica con il PD io non la voto neanche sotto tortura. Non intendo più avallare, né direttamente né indirettamente, né da vicino né da lontano, chi promette di levare la discriminazione che mi colpisce per poi svendere il principio sull’altare della governabilità. Chiunque venisse a raccontarvi che l’alleanza è necessaria “per non far passare le destre” e sia dotato di una seppur minima coscienza politica, vi sta mentendo sapendo di mentire: proprio ieri a Roma il PD ha fatto “passare le destre” eccome, votando con loro contro l’istituzione del registro (si diceva, neanche tanto tempo fa, “la destra più becera”, ma c’è qualcosa di più becero che vedere veltroniani, finocchiariani, dalemiani e altri burattini votare con la destra?).
Perché non sia vana la rabbia dei tanti e delle tante che si sentono quotidianamente infangat* da questi rottami inguardabili, ricordiamoci sempre chi è il nemico. Teniamo ben presente, sempre e in qualsiasi circostanza, che questi avranno sempre qualcosa di più importante, di più urgente, di meglio da fare che pensare a voi. Sulla nostra testa, al massimo, potranno organizzare indecenti balletti e scambi di voti, come è avvenuto recentemente con la norma antiomofobia inserita nel pacchetto sicurezza, approvata per un soffio ma solo dietro la promessa di cancellarla subito. E allora noi dobbiamo dimostrare di avere di meglio da fare che pensare a loro. Vorrei scriverlo senza retorica cercando di tenere a freno la mia enorme collera: siamo solo noi a poter decidere del nostro futuro e del nostro destino. Riprendiamocelo, riorganizziamoci, strappiamo i nostri diritti a chi ce li nega ancora, lottiamo. Con durezza, certo, se necessario. Il tempo delle mediazioni, dei distinguo e dei referenti politici, se mai è stato opportuno, è scaduto da un bel po’ e non per colpa nostra. Quanto ci vorrà perché lo capiamo anche noi?

[Sabato 9 febbraio 2008 a Roma: No Vat! (dal sito di Facciamo Breccia)]


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12 dicembre 2007

I democratici (cristiani) per la legge e l’ordine

Una delle perversioni più devastanti che di tanto in tanto mi concedo è, oltre al fugace brivido di uno o due post dei piddini di Kilombo (metablog delle... “sinistre”), la lettura di quell’autentica grancassa che è la Repubblica. Il partito è sempre quello, ovviamente: Democratico (Cristiano, perché in Italia la divisione fra Stato e Chiesa deve ancora venire. Aspettate, c’è tempo, è solo il 2007 in fin dei conti!). Conosci il nemico, si diceva una volta. E va bene, ma svegliarsi e leggersi gli editoriali di Massimo Giannini è qualcosa di più, è la realizzazione di un insano masochismo: so con certezza, dalle prime righe, che la mia giornata sarà irrimediabilmente rovinata*.
Oggi estraggo solo l’ultima parte del suo pezzo sullo sciopero degli autotrasportatori, che porta un titolo da “è arrivato il castigamatti”: “Non si tratta con chi protesta così”, lotta dura senza paura. Dice il nostro, per concludere: “Con chi tiene sotto ricatto la collettività, non si dovrebbe mai trattare. Non c’è bisogno di scomodare la Gran Bretagna di Margareth Thatcher, che al tempo delle lotte durissime dei minatori inglesi ripeteva ‘niente birra e panini al numero 10 di Downing Street’. Basta guardare alla Francia di Sarkozy, che ha retto l’urto dei ferrovieri e degli autotrasportatori per un’intera settimana. Alla fine hanno ceduto loro. E solo a quel punto hanno trovato udienza a Palazzo Matignon”.
Peccato davvero che la storia di quest’ultimo conflitto in Francia non sia andata esattamente come piacerebbe a Giannini, non a caso estimatore di un politico di destra molto insidioso come il piccolo Nicolas. Intanto lo sciopero non riguardava affatto gli autotrasportatori, ma i ferrovieri, i conducenti della metropolitana e più in generale tutti i lavoratori dei cosiddetti “regimi speciali” (per esempio anche quelli delle aziende dell’elettricità o del gas), cioè quelli ai quali era fin qui riconosciuta una specificità che consentiva loro di andare in pensione con 37 anni e mezzo di contributi anziché gli attuali 40 previsti per le altre categorie (la riforma Sarkozy-Fillon vuole innalzare a 40 anni i contributi anche per loro e portarli a 41 o 42 anni per gli altri lavoratori nel 2008). Lo sciopero è durato nove giorni, non una settimana e al di là degli atteggiamenti fintamente baldanzosi del governo, che fosse necessario aprire una trattativa con i sindacati era ben chiaro a tutti già dalle prime ore, vista l’adesione massiccia e la rabbia della base. Non si è atteso che l’agitazione finisse per comprenderlo. Pare che ai negoziati, cui partecipano tuttora anche le direzioni delle società interessate (la SNCF, per esempio, o la RATP), si stia ottenendo qualche misura che riduce l’impatto della cosiddetta “riforma” (che è, in realtà, un arretramento rispetto ai diritti acquisiti) . Questo, poco o tanto che sia (lo si vedrà al termine dei negoziati), è possibile non perché gli scioperanti hanno ceduto davanti alla presunta “fermezza” del governo, ma al contrario, perché hanno resistito oltre le sue previsioni, attuando, oltre ai classici picchetti, anche sporadiche forme di boicottaggio dei crumiri come il blocco dei treni in partenza. Sembra persino superfluo dirlo, ma tant’è...
Ci si chiede sinceramente fin dove può arrivare l’attacco al diritto di sciopero - che è il vero obiettivo di Giannini, secondo una moda che non conosce confini. Posto che l’astensione dal lavoro non è proclamata per fare “ostaggi” (versione francese del “ricatto alla collettività” italiano) ma per ottenere soddisfazione una volta aperta una vertenza, forse è proprio di questo che Giannini avrebbe potuto parlarci: di come i media come quello su cui scrive sollecitino, ingigantiscano e poi utilizzino il malcontento di chi non sciopera, in chiave antisindacale e autoritaria. In questo caso (ma solo in questo), il paragone tra la Francia e l’Italia sarebbe stato opportuno.

* Tranquillizzatevi, comunque, sto cercando di smettere! E vi risparmio il coretto di Giovanni Valentini, per il quale “una sfida tuttora attuale per i riformisti italiani, a cominciare naturalmente dal Partito democratico” sarebbe quella di fare proprio, sulla scia di quanto fatto da Tony Blair, il proposito di instaurare “law and order, legge e ordine”. E adesso un consiglio. Se rifuggite la propaganda e avete voglia di vederci un po’ più chiaro sul contesto di questa protesta (durissima, certo, ma chi l’ha detto che il conflitto deve essere dolce e innocuo, sopportabile perché non incide sulla nostra quotidianità?), andate a leggere questa analisi controcorrente di Mario. Difficile che possiate trovare sui nostri media qualcosa di simile.


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06 dicembre 2007

Impiccato un altro gay in Iran

Avevamo cantato vittoria troppo presto. Makwan Moloudzadeh, 21 anni, è stato impiccato ieri mattina nella prigione di Kermanshah, in Iran. La sua colpa, come avevo raccontato in questo post, è stata quella di aver avuto rapporti anali (l’accusa, smentita dai testimoni al processo, ha parlato di “violenza carnale”) quando aveva appena 13 anni. In seguito alle pressioni internazionali scatenate dal suo caso, incentrate sul rifiuto della pena di morte in generale e per punire fatti commessi da minorenni in particolare, il responsabile della giustizia iraniana, Mahmoud Hashemi Shahroudi, aveva annullato la sentenza, dichiarandola contraria ai precetti islamici, agli orientamenti delle autorità religiose e alla legge del suo paese.
L’organismo preposto alla revisione del processo di Makwan Moloudzadeh (“Special Supervision Bureau of the Iranian Justice Department”) ha ribaltato la decisione del responsabile della giustizia, ripristinando la sentenza originale che è stata prontamente eseguita. La notizia dell’avvenuta esecuzione è stata data, tra gli altri, dalla Commissione internazionale per i diritti di gay e lesbiche (IGLHRC, una ONG statunitense con sede a New York), in Francia dalla rivista gay e lesbica Têtu e in Italia dal gruppo EveryOne (a me finora sconosciuto), che in un suo comunicato afferma di essere in stretto contatto con la famiglia di Makwan. I familiari del giovane gay iraniano, così come il suo avvocato, sono stati informati solo dopo l’uccisione.
Oltre a denunciare i “crimini contro l’umanità” perpetrati da Ahmadinejad e dal suo governo, il gruppo EveryOne, nello stesso comunicato, afferma che “anche i Paesi democratici devono farsi un esame di coscienza e comprendere che la lotta contro l’omofobia inizia con il riconoscimento paritario delle unioni omosessuali, perché senza questo diritto fondamentale i gay e le lesbiche sono condannati all’emarginazione”.

Fonti: EveryOne, IGLHRC, Têtu.


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01 dicembre 2007

HIV in Francia: cala il contagio, ma non fra i gay

“Sono spiritualmente vicino a quanti soffrono per questa terribile malattia come pure alle loro famiglie, in particolare a quelle colpite dalla perdita di un congiunto. Per tutti assicuro la mia preghiera. Desidero, inoltre, esortare tutte le persone di buona volontà a moltiplicare gli sforzi per fermare la diffusione del virus HIV, a contrastare lo spregio che sovente colpisce quanti ne sono affetti, e a prendersi cura dei malati, specialmente quando sono ancora fanciulli”. Era Ratzi. Sì, proprio lui, il Papa. Il capo di quelle gerarchie che, come impegno a fermare la diffusione del virus predicano la castità contro l’uso del preservativo e in quanto a spregio nei confronti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali non scherzano davvero. L’ipocrisia, insomma, non è morta il 1° dicembre.
Passiamo quindi alle cose serie. A che punto del guado ci troviamo? Ecco qualche dato sulla diffusione del virus HIV in Francia. Globalmente, il numero di contagi registrati nel 2006 ammonta a circa 6300, cioè il 4% in meno rispetto al 2005 (17 contaminazioni ogni giorno). Nello stesso periodo si è registrato un calo del 5% nel numero di esami del sangue effettuati. Tuttavia, se da un lato l’Osservatorio sanitario francese (INVS) giudica “incoraggiante l’andamento [dei contagi, ndr], dal momento che esso è stabile dal 2004”, i motivi d’inquietudine non mancano. Le infezioni in seguito a rapporti eterosessuali in Francia restano la maggioranza (48% del totale nel 2006), ma quelle dovute a rapporti omosessuali (29%), a differenza delle prime, non registrano nessun calo, dopo l’aumento osservato tra il 2003 e il 2005. Questo significa che una certa tendenza all’abbandono delle pratiche di sesso sicuro fino a qualche tempo fa adottate dalla comunità omosessuale è confermata, come si può dedurre anche da altri indicatori, come l’aumento dei casi di sifilide e di linfogranuloma venereo tra i gay. Da notare poi che in Francia, nella popolazione omosessuale, il tasso di contagio resta 70 volte superiore a quello riscontrabile fra gli e le eterosessuali.
“Le cifre parlano chiaro,” - dice il fondatore di ActUp Paris, Didier Lestrade, al quotidiano Libération - “la maggior parte della ripresa dell’epidemia in Francia è riservata agli omosessuali. Credevamo che ci sarebbe stata una reazione forte da parte di tutti gli attori, tra i quali i medici. Niente. Dal 1997 al 2001 ci dicevano ‘sono solo supposizioni, aspettiamo le cifre’. Adesso che le cifre le abbiamo, che si fa?”. È lo stesso Lestrade ad avanzare una proposta: “Negli Stati Uniti, da due anni si utilizzano dei test immediati e si nota che questi incidono direttamente sulla quantità di analisi e sulla prevenzione. E la curva dell’epidemia flette. In Francia, i giovani gay fanno meno test e li fanno male. Perché far finta di niente?”. Il ministro della sanità francese, Roseline Bachelot, sembra rispondere positivamente a questa richiesta, indicando come obiettivo per il prossimo anno proprio la sperimentazione di test che permettono di ottenere una risposta in venti minuti a partire da una goccia di sangue o da un po’ di saliva.
Allo stesso tempo, il ministero della sanità ha lanciato lunedì scorso la nuova campagna di prevenzione. Si tratta di uno spot che ritrae coppie di ogni tipo durante un rapporto sessuale, al quale assiste minaccioso, sebbene invisibile agli occhi dei due partner, il virus.

“L’HIV è ancora qui. Proteggetevi”, è lo slogan che compare anche sui manifesti destinati alla comunità gay, accompagnato da un cliché della fotografa Nan Goldin. Le rivendicazioni di ActUp Paris - che ha manifestato ieri con un corteo da Porte Saint Denis a piazza della Bastiglia - si sono focalizzate quest’anno sulla condizione delle donne: “Presto il numero di donne sieropositive sarà pari a quello degli uomini sieropositivi; a quando l’uguaglianza delle donne e degli uomini dinanzi alla ricerca, ai programmi di prevenzione, all’impiego, al reddito, alle cure?”.
Tra i programmi che sono stati dedicati all’AIDS in occasione del primo dicembre, segnalo in particolare una serie di cinque reportage trasmessi da France Culture (in francese, ovviamente; un’ora ciascuno, davvero interessanti): sull’importanza della cooperazione Nord-Sud, l’esempio di un gemellaggio riuscito tra la Francia e il Mali (France et Mali, compagnons de lutte contre le V.I.H.); sulla possibilità per le persone sieropositive di avere figli, ormai quasi senza rischi (Bébés + : les enfants sans virus); sulle difficoltà per alcun* adolescenti di scoprirsi sieropositivi dalla nascita (Avoir dix-huit ans avec le V.I.H.); sui cosiddetti “controllori del virus”, cioè su quell’1% di persone sieropositive che, senza seguire alcuna cura, non sviluppano mai la malattia (Sida : une guerre intime); sulla questione se sia possibile punire penalmente la trasmissione del virus, oppure se non si debba piuttosto ribadire il concetto di responsabilità condivisa tra i partner (La pénalisation du V.I.H.).


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30 novembre 2007

Sui PaCS all’estero Kouchner getta la maschera

Socialista anomalo, sostenitore dell’interventismo, oppositore della strategia di Chirac contro la guerra in Iraq voluta da Bush. Schierato con Ségolène Royal per la corsa all’Eliseo, subito dopo la sconfitta di quest’ultima ha pensato bene di voltare gabbana e di cogliere l’occasione a lungo sognata: assumere un ruolo da protagonista nella vita politica francese. Nel governo Fillon accetta quindi di apparire come garante della cosiddetta “apertura” della destra ad alcune istanze “di sinistra”: un’attenzione verso il sociale tutta relativa, che sarebbe meglio classificare come trasformismo. Stiamo parlando dell’ineffabile ministro degli affari esteri francese, quel dottor Bernard Kouchner che, poco incline al dialogo con i giornalisti, quando appare su un palcoscenico televisivo raramente riesce ad esporre le sue idee senza alzare la voce. Che avrà mai da gridare così, vien sempre da chiedersi. Deve essere il suo modo di far capire che ha proprio ragione lui.
Del resto non è solo la pazienza e la serenità d’animo a fargli difetto. Kouchner probabilmente ha anche un grave problema di gestione della propria agenda, se da due mesi a questa parte non ha trovato neanche un’oretta (sua o dei suoi collaboratori) da dedicare a quattro associazioni che gli avevano chiesto un incontro. Tra queste ultime figura anche l’Inter-LGBT, federazione che riunisce molti gruppi della comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale francese. A destare la loro preoccupazione, una circolare del ministro, datata 28 settembre, con la quale Kouchner chiede ai consolati francesi all’estero di non registrare i PaCS in quei paesi che non permettono la convivenza di due persone dello stesso sesso o di sesso diverso fuori dal matrimonio. La legge che dal 1999 regola le unioni civili, infatti, stabilisce che i cittadini o le cittadine francesi possono sottoscrivere un PaCS anche al consolato, nel proprio paese di residenza. Che la coppia sia formata da due francesi o da un partner francese e uno straniero, non fa differenza. Ovviamente, il contratto ha effetto esclusivamente in Francia e non nel paese di residenza, a meno che in quest’ultimo non sia in vigore una legge simile a quella istitutiva dei PaCS francesi.
Ora però la circolare del ministero degli esteri ha posto un limite fortissimo a questa possibilità. L’autorità consolare deve rifiutare il PaCS alle coppie eterosessuali in quei paesi dove sono vietate le unioni fuori dal matrimonio e alle coppie omosessuali laddove l’omofobia è legge di Stato. Ma, “assurdità massima, se la coppia persiste nella sua volontà di firmare un PaCS,” - ha dichiarato il presidente dell’Inter-LGBT, Alain Piriou - “l’autorità è comunque tenuta a procedere alla registrazione. Per poterlo fare, la coppia deve firmare un certificato che attesta l’avvenuto avvertimento da parte del consolato e la impegna a non far valere il PaCS nel paese di residenza”. “Quello che è davvero nauseante” - ha aggiunto Piriou - “è che anche quest’ultima possibilità è negata se uno solo dei partner è francese”.
“Stabilendo una differenza di trattamento in funzione della nazionalità o dell’orientamento sessuale, questa circolare offende il principio dell’uguaglianza e della non-discriminazione”, affermano quindi l’Inter-LGBT, l’ARDHIS (Associazione per il riconoscimento del diritto delle persone LGBT all’immigrazione e al soggiorno), il GISTI (Gruppo d’informazione e sostegno agli immigrati) e la LDH (Lega dei diritti dell’uomo). È vero che si tratta di una pratica già in uso dal 2006 in alcuni consolati francesi, come quelli funzionanti in Algeria e in Marocco. Tuttavia, il fatto che essa sia stata ora inserita in un provvedimento del governo e quindi ufficializzata ed estesa a tutta l’amministrazione francese all’estero, ha spinto le quattro associazioni, ascoltato il fin troppo lungo silenzio del Quai d’Orsay, a chiederne l’annullamento al Consiglio di Stato.
Di qui la domanda: Bernard Kouchner, sinistra o sinistro?

Fonti: Alain Piriou, Têtu.



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29 novembre 2007

Tranquilli, qui in Francia tutto bene

Nove giorni consecutivi di sciopero, un grande tam tam mediatico per stigmatizzare l’egoismo dei manifestanti e allestire la tragicommedia degli utenti “ostaggi”, e ora? Nulla. Il governo e i sindacati hanno deciso di aprire dei negoziati con le direzioni delle società coinvolte nella riforma dei regimi pensionistici speciali (le più importanti, dal punto di vista simbolico, sono le ferrovie dello Stato – SNCF – e la metropolitana di Parigi – RATP), per trovare delle compensazioni all’applicazione della nuova soglia di contributi (40 anni per tutti). Ergo, di conflitto sociale nessuno parla più. Finito lo sciopero, gabbato il santo, potremmo dire. Già, ma chi è stato imbrogliato di più? La “base”, cioè quei lavoratori che, dopo una lunga e difficile lotta, accettano, loro malgrado, quelle mediazioni cercate fin dall’inizio da un sindacato che la percezione comune (non si sa quanto realistica) vuole debole e isolato? Oppure sono Sarkozy e il primo ministro Fillon ad aver ceduto di più? Certo, la loro faccia è salva (l’obiettivo di una rivincita dopo le elezioni presidenziali e politiche di appena qualche mese fa non è stato centrato), ma se dai negoziati la riforma dovesse uscire stravolta, la credibilità del presidente della Repubblica non ne uscirà rafforzata. E se a essere sconfitti fossero invece i sindacati? Pur consapevoli dell’asprezza del conflitto, hanno esitato molto, lanciando alla loro stessa base dei segnali contraddittori: vedere il segretario della principale organizzazione, la CGT, andare a colloquio dal ministro del lavoro poche ore prima dell’inizio dello sciopero, è sembrato ai più inopportuno. Eppure è stato un segnale che ha preparato il successivo cedimento sull’apertura di negoziati impresa per impresa, un’ipotesi che la CGT aveva nettamente scartato nelle settimane precedenti, chiedendo invece una contrattazione globale per l’insieme dei regimi speciali.
Per il momento la situazione resta fluida, le trattative sono in corso e se ne saprà di più tra qualche settimana. Certamente sin d’ora si può dire che è stata una crisi ambigua, gestita in modo tentennante, anche per l’inconfessato tentativo del governo, tanto evidente quanto vano, di soffiare sul fuoco del malcontento dei cittadini che non scioperavano e di piegare il movimento.

Il bastone e la carota, del resto, sono stati usati anche per cercare di spegnere la miccia delle università e di far digerire la legge sull’autonomia finanziaria che comporta l’ingresso dei privati negli atenei. Il ministro per l’Insegnamento superiore, Valérie Pécresse, pur rifiutando di ritirare il suo provvedimento, ha fatto una serie di concessioni, soprattutto per quanto riguarda le borse di studio e le condizioni di vita degli studenti. L’Unef, il principale sindacato studentesco, tra i massimi protagonisti della vittoriosa lotta contro il contratto di primo impiego di un anno e mezzo fa, si è dichiarato soddisfatto e pronto a far cessare le agitazioni. Eventuali sacche di resistenza da parte dell’ala radicale di un movimento già profondamente diviso, potrebbero essere spazzate via dalla mano dura della polizia, che ha già sgomberato gli atenei di Lione e Grenoble. Nel corso di una manifestazione svoltasi ieri a Nantes, le forze del disordine hanno ferito gravemente uno studente sparandogli in pieno volto un proiettile di gomma [1].

Come se il quadro non fosse già abbastanza fosco, nei giorni scorsi la periferia di Parigi si è incendiata nuovamente. Due ragazzini, sedici e diciassette anni, a bordo di una moto, sono stati urtati da una macchina della polizia, di ronda a Villiers-le-Bel. Sull’effettiva dinamica dell’incidente regna ancora l’incertezza, ma la reazione di una parte dei giovani di quella città non si è fatta attendere: devastazioni, incendi, saccheggi. Danni alla proprietà privata, certo, e anche ai simboli delle istituzioni e della repressione, come i commissariati di polizia. Ormai periodicamente, gente che è stata messa ai margini del benessere (dal punto di vista economico e quindi anche fisico) si ribella alla propria condizione nell’unica maniera che trova per farsi ascoltare. Stupefacente? Finché la risposta al disagio di chi vive in quei ghetti sarà data esclusivamente sul piano dell’ordine pubblico, del dispiegamento della polizia e del disprezzo orgogliosamente rivendicato (non molto tempo fa, l’allora ministro degli interni Sarkozy parlò di “feccia” e di quartieri da ripulire “con l’idrante”), qualcuno può davvero credere che episodi come quelli accaduti in questi giorni non si ripeteranno?
Ma il superpresidente è tornato ieri dalla Cina e adesso le cose le mette a posto lui. Potere del populismo, della demagogia e della strumentalizzazione, chi lo sa... Il fatto è che molti francesi sembrano credergli ancora.

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[1] Si tratta dei famigerati flashball, sparati dall’arma che vedete in questa fotografia. Ovvero: come ti risolvo il conflitto...

Sul sito del fabbricante, la Verney-Carron, leggiamo agghiacciati: “Grazie a dei proiettili studiati per evitare, anche a distanza molto ravvicinata, la penetrazione in un individuo normalmente abbigliato, [il Flash-Ball] provoca all’impatto l’equivalente di un KO tecnico. L’oppositore viene quindi messo fuori combattimento. [...] Con un look e una detonazione dissuasivi, un’impugnatura facile, una canna semplice o doppia, il Flash-Ball è leggero e robusto e si adatta a ogni situazione. Declinato in differenti versioni, possiede un’importante gamma di munizioni e di accessori che rendono completa quest’arma intelligente, tanto impressionante quanto efficace”. Munizioni, avete detto? Certo. Insieme a “tutta una serie di accessori”, vengono decantate le virtù dei proiettili: “La potenza dell’impatto del proiettile in caucciù morbido da 28 grammi è equivalente a quella di una 38 special e fa lo stesso effetto del pugno di un campione di pugilato. All’impatto esso si espande e distribuisce la forza su una superficie di circa 35 cm2”.
Il giocattolo in questione, oltre a essere intelligente e “rivoluzionario”, è classificato nella poco rassicurante categoria delle armi “a letalità attenuata”. E chi è il principale testimonial di cotanta tecnologia al servizio del bene pubblico? Lui, ovviamente, il piccolo Nicolas: “Quando i poliziotti ne sono dotati” – scrivono nel sito della Verney-Carron, riportando con orgoglio le parole del presidente Sarkozy – “i teppisti non si fanno vedere. Dire che la polizia deve restare democratica non significa condannarla all’inefficienza”, che diamine! E quindi Flash-Ball per tutti, per le Brigate anticriminalità, per i Gruppi d’intervento della polizia e per i RAID (sigla che sta per Ricerca Assistenza Intervento Dissuasione. Non vuol dire niente, ma faceva tanto legge e ordine...).



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25 novembre 2007

So’ Qcuerela da Pariggi...

Gabbriele s’è preso ‘a serata libbera pe’ stà cor core suo che torna oggi da’a perfida Arbione? E io, Qcuerela, ne approfitto finarmente pe dì quer che penso davero de ‘sto frocione bokassiano porpottista. Certo che ‘n artro così dentro de Kirompo, proprio nun ce voleva. Prima sa’a pija co ‘sta poraccia de ‘na Bbinetta, che noi demmocratici avemo solo da ringrazialla che artrimenti staremmo già tutti a coce nelle penne de l’inferno, che mica semo dell’Opus Ghei, epperò quarche marachella ‘a famo pure noi. Poi però ce perdoneno, perchè semo demmocratici e c’avemo Vartere che è er più grande de tutti, anzi è Ddio. E perché in ogni caso, ‘o stamo sempre a mette ner bucio giusto, noi. Voi no, nun ve perdoneno perchè venite da Sodomo (che poi sarebbero l’attivi) e Camorra (li passivacci) e Vartere è contro a ogni forma de crimminalità. E quanno Vartere addiventa er sindaco de questo nostro stivale, vedrai er carcio ‘n culo che j’arriva, a lui e a tutta ‘a ggente come lui.
E ‘sta storia da’a omofonia? Quarantasette poste in un anno sempre su ‘sta storia da’a omofonia. Ma de che ve lamentate se siete usciti da’a sponda sbajata der biondo Tevere? Accontentateve. Vartere (che poi è Ddio) è stato tanto bbono (no buonista, come sento dì) co’ li froci sua: invece de spedilli a li forni pe’ farli coce come tanti abbacchi, li fa ballà, li fa divertì, je organizza ‘e feste,... Così armeno se moveno, dar momento che ce tengono tanto a’a ligna. Che, nun je basta? Che, pretendeno pure da parlà de politica e de diritti, adesso, come ‘sto Gabbriele? Che poi s’a pija pure c’a’a Bbindi, porella, c’ha fatto tanti sforzi pe’ mannacceli, ‘sti froci der... Dove? ‘Ndovina!
Però ‘na cosa la vojo dì, e ‘n sassetto dalle ciavatte m’o vojo levà: nun me toccate Palerio Vieroni, pe’ carità, che pure quer bokassiano porpottista der Korvosomaro l’a difeso, perchè mica che Vieroni è ‘n omoforo, nun me pare mica, so’ l’artri a esse froci! E quindi per cui, se ce deve stà ‘n sincero demmocratico come er nostro grande Palerio (che però nun è grande come Vartere, che è er mejo), allora ce deve stà pure Spartacus Quirinus Brog, che c’ha pure er marchietto de reggistrato e copiato, per chi nun ce ‘o sa.
E adesso, come direbbe er maggico Vartere per farte ‘n augurio e perché tanto “è solo un modo de dì” che noi de sinistra amamo tantissimo: m’anvedi d’annà affanculo.

Post scritto, no orale. Pe’ capì er perché e er percome de ‘sto poste, va un po’ a vede ‘st’artri brog: Lameducche, Croro, Korvosomaro. So’ amici de li nemici dell’amici dell’amici mia. Saranno amici mia? Boh!

20 novembre 2007

Francia, il conflitto si estende

Chi è sceso in piazza oggi contro la politica di Nicolas Sarkozy? In questo 20 novembre francese, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Nella settima giornata consecutiva di sciopero nei trasporti, ha incrociato le braccia il 27% dei macchinisti: oggi circola in Francia solo la metà dei treni. Le cose non vanno molto meglio alla RATP, la metropolitana di Parigi, dove, secondo le stime sempre un po’ truccate della direzione, cinque linee su 14 sono ferme e sulle altre i convogli circolano col contagocce. In attesa dei negoziati, previsti per domani, il governo ha tentato di spezzare il fronte sindacale, puntando sulla pressione che un’opinione pubblica “esasperata”, sapientemente guidata e sondata dai grandi mezzi di comunicazione, peraltro vicini al presidente, avrebbe esercitato sui manifestanti. Il magro risultato di questa strategia è stato l’appello - ampiamente previsto - del sindacato moderato CFDT a riprendere il lavoro, richiesta che non sembra aver provocato gli effetti desiderati: le altre sei organizzazioni, infatti, hanno votato compatte per la prosecuzione dello sciopero in tutte le assemblee generali dei lavoratori, dove la base sembra decisa a respingere senza appello la riforma sarkozysta che innalzerebbe da 37 anni e mezzo a 40 la quota di contributi per ottenere la pensione, anche nei settori particolarmente usuranti.
Ma i protagonisti del conflitto, quest’oggi, sono i lavoratori della funzione pubblica: difesa, ospedali, Tesoro,... In concomitanza con le 24 ore di astensione dal lavoro proclamate per oggi, in tutti i dipartimenti si sono svolte affollate manifestazioni locali. Il corteo parigino, che ha visto la partecipazione di molti ferrovieri e studenti, ha sfilato da Place d’Italie agli Invalides. Alla protesta si sono uniti tantissimi insegnanti (l’adesione è intorno al 60%), le poste, la Banca di Francia, i controllori di volo, il personale di AirFrance e degli aeroporti di Parigi. Tutti chiedono la salvaguardia del potere d’acquisto, la difesa della qualità e dell’efficienza del servizio pubblico, la fine della precarietà e una pensione a partire da sessant’anni, con un tasso del 75% e con 37 anni e mezzo di contributi.
Inoltre: studenti ancora sul piede di guerra, con 43 università e qualche liceo bloccati, contro la legge Pécresse che introduce elementi di privatizzazione negli atenei; lavoratori delle società dell’elettricità e del gas mobilitati, insieme ai ferrovieri, contro la riforma dei regimi pensionistici speciali; nessun quotidiano nazionale in edicola, a causa dello sciopero della società di distribuzione NMPP; persino le previsioni del tempo saranno oggi più che mai incerte, a causa dell’agitazione del personale di Météo France.
Tuttavia, proprio nel momento in cui il conflitto si estende e complica il quadro, Sarkozy, che di solito occupa quotidianamente il piccolo schermo con le iniziative più svariate, sceglie di rimanere in silenzio. Il fatto di essersi aumentato lo stipendio del 140% (ma, in mancanza di una cifra ufficiale, c’è chi ha parlato addirittura del 206%) nel momento stesso in cui sferra un attacco ai diritti acquisiti dei suoi cittadini, non sembra stimolare in lui una particolare loquacità: una dichiarazione ufficiale del presidente della Repubblica è prevista solo per giovedì o venerdì.

Fonti: Le Monde, Rue89, VousNousIls.

Vedi anche: La Francia si sveglia, contro Sarkozy; “Scioperiamo per tutti”, ma i sindacati si dividono; Francia, sciopero a oltranza; Francia, secondo giorno di sciopero; “Non facciamo ostaggi, facciamo sciopero”; Una preoccupante stereofonia.


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18 novembre 2007

Una preoccupante stereofonia

Sapere che all’estero il sistema dell’informazione non gode di una salute enormemente superiore a quella riscontrabile nella disastrata Italia, me ne rendo conto, non è motivo di consolazione. Tuttavia, constatarlo potrebbe aiutarci ad aprire una discussione sul fatto che il giornalismo, in Italia come altrove, non costituisce più un contropotere rispetto a quello ufficiale, ma si limita in gran parte a rafforzare, presso l’opinione pubblica, il punto di vista dell’autorità politica. Da critico e da guardiano della democrazia, potremmo dire, il giornalismo si è fatto portavoce.
Da cinque giorni i ferrovieri e i conducenti della metropolitana stanno scioperando contro la cosiddetta “riforma” del sistema pensionistico speciale voluta da Sarkozy. Si tratterebbe, come ho già scritto in altri post (vedi link alla fine), di portare la quota di contributi da 37 anni e mezzo a 40 anche per quei dipendenti che svolgono mansioni particolarmente dure, come per esempio i macchinisti. Per il 2008 si è già previsto di innalzare a 41 anni di contributi il settore pubblico, i cui lavoratori, come quelli del settore privato, possono per il momento percepire la totalità della loro pensione una volta raggiunti 40 anni di contributi. Dopodomani, proprio la funzione pubblica scenderà in piazza per protestare contro la riduzione degli organici.
Lameduck ha riportato, in un commento a uno dei miei post precedenti, il modo in cui il Tg2 aveva riferito, nei giorni scorsi, la notizia degli scioperi in Francia. Desolante, certamente. Ma anche la gran parte dei cittadini francesi si abbevera, per avere le notizie della giornata, ai telegiornali. Un articolo apparso ieri su Libération, in controtendenza rispetto alla linea prudente e moderata che quel quotidiano ha tenuto in questi ultimi anni, riferisce con chiarezza il modo in cui l’informazione televisiva francese, più che dare notizie, stia facendo propaganda: pro-Sarkozy, s’intende. Ne emerge un ritratto davvero inquietante, che vale la pena tradurre e leggere.

I TG BOCCIANO LO SCIOPERO
di Raphaël Garrigos e Isabelle Roberts

A ogni sciopero il proprio eroe. Nel 1968 era Daniel Cohn-Bendit. Nel novembre 2007 - è sicuro - sarà Jean-Pierre Pernault, presentatore del telegiornale delle 13 di TF1 e accanito difensore della vedova e dell’utente, torturati dagli scioperanti privilegiati. Da lunedì Pernaut ribolle. Grugnisce, fa le facce e solleva le sopracciglia. Certo, Pernaut è fatto così, ma tutti i telegiornali fanno lo stesso, accumulando luoghi comuni, scomodando la pedagogia, diffondendo senza tentennamenti il verbo governativo. A tal punto che gli scioperanti si mettono a cacciare dalle assemblee generali le televisioni e i giornalisti. Ecco il racconto di una settimana di tg.

La galera

Sono... Sono... Ecco: sono un bastimento da guerra, lungo e stretto, a una o più file di remi, in uso nell’antichità... Cosa sono? La galera, ovvio. I tg hanno in bocca sempre questa parola, sentita decine di volte. Lunedì, nel sommario del tg delle 20 di France 2, “si prevede la galera”. Qualche attimo dopo, si profila “una giornata da galera”. L’immagine è la stessa martedì su TF1 alle 13: “Per domani” - profetizza Pernaut - “è annunciato cattivo tempo dappertutto con neve, freddo, pioggia e vento, un giorno da galera, quindi, per milioni di utenti dei trasporti pubblici”. Al tempo stesso il suo collega, Patrick Poivre d’Arvor, declama “la prospettiva della galera”. Manco a dirlo: nella notte di martedì, “è cominciata una giornata da galera” su i-Télé. Per i viaggiatori, pensa un po’, è una galera, così come ci fa notare la perspicace Audrey Pulvar di France 3: “Che galera!”. Ed ecco la fine analisi di un anonimo sulla situazione nei trasporti: “Tra il metrò, dove è una galera e il treno, che è una doppia galera...”.

L’utente

E chi rema nella galera? Nessun “viaggiatore” o “passeggero”, ma, sistematicamente, degli “utenti”, una massa rabbiosa e indefinita. In televisione sono loro i re, vittime “rassegnate” (secondo Patrick Poivre d’Arvor) dello sciopero “duro, duro soprattutto per gli utenti”, proclama David Pujadas, in apertura del tg delle 20 di martedì su France 2. E lo difendono, l’utente. Così il fulminante Jean-Pierre Pernaut giovedì: “Terzo giorno da galera per gli utenti che non hanno scelta e devono lavorare fino a 65 anni, e tutte le mattine”. Inoltre, sottolinea martedì a sostegno della sua linea editoriale, “diversi sondaggi confermano l’ostilità dei francesi a questo nuovo sciopero”. Così, porgono continuamente il microfono all’utente affinché possa esprimersi, senza tema né vergogna. Lamentoso: “Ne abbiamo abbastanza, ci prendono in ostaggio, che vadano a prendere in ostaggio l’Eliseo!” (France 2, martedì alle 20). Rivendicativo: “Bisogna che la Francia si renda conto che ci sono riforme che devono essere fatte” (stesso tg, stesso canale). Minaccioso: “Andremo dai manifestanti e li bastoneremo” (TF1, mercoledì alle 20). Talvolta, l’utente si organizza: così l’“Associazione degli utenti delle stazioni” ha goduto su TF1 di tre reportage in due giorni! Trascinato dal proprio entusiasmo, Patrick Poivre d’Arvor annuncia che l’associazione è stata appena creata “di fronte a questo nuovo sciopero”. Cosa importa se, nel reportage, si viene a sapere che esiste da 17 anni? Quando è studente, l’utente diventa un “antiblocco”, in opposizione a “quelli che vogliono il blocco” dei corsi. Anche in quel caso, ci si organizza contro gli scioperanti, designati da Jean-Pierre Pernaut con il termine patibolare di “individui” (che hanno ben meritato uno sciame di celerini col manganello). Tra gli “antiblocco”, invece, “i punti di vista sono sfumati” (Pernaut, sempre lui). E “gli studenti distribuiscono volantini, che siano di sinistra o di destra”. Niente di grave se uno di loro, sentito in seguito, ha la tessera dell’UNI, il sindacato studentesco molto di destra.

L’arte di arrangiarsi

L’utente, innanzitutto, si arrangia. A ogni edizione di ogni tg, una marea di servizi su “il mio utente, il mio piano B” o, variante, “la famiglia Utente si organizza”. Domenica sera su France 2, filmano una donna che compra dei mandarini al mercato. Commento del giornalista: “Il pieno di vitamine prima di una settimana che si annuncia molto sportiva”. Lunedì e martedì, i tg alternano i reportage sulla bicicletta, fedele compagna dell’utente, e i passaggi in automobile. Mercoledì sera, sulla stessa linea, tutti i nostri utenti coraggiosi dormono nei posti più strani: i dipendenti di un hotel all’hotel (“generosità di un padrone comprensivo” per TF1, e “Bruno, l’amabile proprietario, che accorda un favore al personale” su France 2), le infermiere all’ospedale, e, trovata del secondo canale, gli impiegati di un’agenzia organizzatrice di eventi... in una yurta, una tenda mongola, sul tetto dell’ufficio. Erano talmente contenti della loro yurta, quelli di France 2, che ci sono ritornati giovedì!

Avete detto sciopero?

A proposito, cos’è ‘sto sciopero? Chi ha preso informazioni solo dai tg di questa settimana, non ne ha nessuna idea. I telegiornali cominciano tutti con un servizio sul traffico, proseguono con i nostri utenti malandati, qualche reazione governativa o sindacale puramente formale, ma di spiegazioni sul movimento: nessuna. O poco. O male. Strumento preferito: il paragone. Lunedì sera, France 2 compara un conducente della RATP (la metropolitana di Parigi, ndt) con la conducente di una società privata di Rennes, la quale giudica che “le condizioni di guida e di stress alla RATP sono peggiori delle nostre”. Solo che Pujadas ha immediatamente chiarito: i due “fanno lo stesso lavoro”. La stessa sera, Patrick Poivre d’Arvor è perverso. “Torniamo alle rivendicazioni dei manifestanti”, sussurra prima di lanciare un servizio sotto forma di presa in giro che compara i ferrovieri di oggi con quelli dell’inizio del secolo scorso, con abbondante uso d’immagini in bianco e nero di carbone che viene infornato nella bestia umana! Il giorno dopo, TF1 segue un conducente della RATP. Il suo stipendio? 2300 euro. Il primo canale dà solo il salario lordo... così sembra di più.

Portavoce

“La mobilitazione sindacale si scontra con l’assoluta volontà del governo di creare un sistema pensionistico più equo, era nel programma di Nicolas Sarkozy, è stato eletto in parte per questo”. No, non è François Fillon (primo ministro, ndt) e neanche Xavier Bertrand (ministro del lavoro, ndt), ma Jean-Pierre Pernaut, ministro delle ore tredici di TF1. Che la televisione si schieri contro lo sciopero, trasuda da tutti i servizi, dalla gerarchia delle notizie, dalle parole scelte: “La Francia può essere riformata?”, si dispera Laurent Delahousse domenica su France 2. Quanto all’ineffabile Jean-Marc Sylvestre, mercoledì alle 13 su TF1, lui lo sa: “I sindacati hanno compreso che l’opinione pubblica non li seguirebbe nella loro opposizione sistematica a una riforma i-ne-vi-ta-bi-le”. E quest’altra: “La nostra ossessione, è che gli utenti siano quelli meno penalizzati da questo sciopero”. No, questa volta non è la confessione di Patrick Poivre d’Arvor, di Pujadas, e neanche di Pernaut. È Fillon. Da una settimana, milioni di telespettatori - cinque per Pujadas, sette per Pernaut, quasi dieci milioni per Patrick Poivre d’Arvor - ascoltano il tg e il governo rivolgersi a loro con lo stesso linguaggio, in stereofonia.

Vedi anche: La Francia si sveglia, contro Sarkozy; “Scioperiamo per tutti”, ma i sindacati si dividono; Francia, sciopero a oltranza; Francia, secondo giorno di sciopero; “Non facciamo ostaggi, facciamo sciopero”.


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16 novembre 2007

Il boia si è fermato (almeno per ora)

Makwan Moloudzadeh, il gay iraniano di ventun anni che era stato condannato alla pena di morte per aver violentato un suo coetaneo all’età di tredici anni, non sarà impiccato. Lo rende noto la Commissione internazionale gay e lesbica per i diritti umani (IGLHRC) in un comunicato. Della sua vicenda avevo già parlato in questo post, raccogliendo la proposta di una mobilitazione internazionale via e-mail, lanciata dalle associazioni Outrage!, Amnesty International e Irqo.
Dopo la pressione esercitata sulle autorità iraniane, il responsabile della giustizia, l’Ayatollah Seyed Mahmoud Hashemi Shahrudi, ha cassato la sentenza delle varie corti che avevano deciso di mandare a morte Makwan Moloudzadeh. Una sentenza stabilita nonostante l’accusa di violenza carnale fosse decaduta già durante il processo e i vari testimoni avessero ammesso, ritrattando le loro dichiarazioni, che queste ultime erano false o gli erano state estorte. Il responsabile della giustizia iraniana ha motivato la sua decisione dichiarando - secondo il comunicato diffuso dall’IGLHRC - che la sentenza di morte “violava gli insegnamenti dell’Islam, i decreti delle alte autorità sciite e il diritto iraniano”. In effetti, come avevano ricordato gli attivisti della comunità glbt, in discussione era anche il diritto internazionale che vieta, secondo alcuni trattati firmati anche dall’Iran, di condannare a morte una persona per delitti commessi quando questa era minorenne.
“È una grande vittoria per i diritti dell’Uomo e una conferma dell’efficacia delle proteste internazionali”, ha dichiarato Paula Ettelbrick dell’IGLHRC. “È importantissimo che cessi l’uso deplorevole della pena di morte per costringere la gente a conformarsi socialmente. Speriamo” - ha aggiunto - “che il caso di Makvan e il netto rifiuto della pena di morte da parte del responsabile iraniano della giustizia segnino il futuro dell’Iran”.


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“Non facciamo ostaggi, facciamo sciopero”

Terza giornata consecutiva di sciopero nei trasporti in Francia. Degli attesi negoziati tra il governo e i sindacati, tanto evocati quanto fumosi nei loro possibili contorni, per il momento neanche l’ombra. È per questo che le organizzazioni sindacali hanno rinnovato l’invito all’astensione dal lavoro per tutta la giornata di oggi alla SNCF (la società delle ferrovie dello stato) e alla RATP, la società che gestisce la metropolitana di Parigi. In attesa di conoscere i dati sull’adesione odierna allo sciopero (ieri era in calo rispetto a mercoledì, primo giorno di mobilitazione) e le decisioni che verranno prese sull’eventuale continuazione del conflitto, vi propongo uno stralcio della chat tenuta ieri su Le Monde da Christian Mahieux, segretario federale del sindacato dei ferrovieri SUD-Rail.

Samoth: Lei prevede una durata per i contributi pari a 37 anni e mezzo per tutti. con quali soldi conta di finanziare le pensioni in questo caso?
Con i soldi di cui la Francia dispone. Un esempio: il PIL annuo in Francia è di 1160 miliardi di euro. La suddivisione del PIL vent’anni fa era: 70% per i dipendenti e 30% per gli investimenti e i profitti degli azionisti. Oggi, questa suddivisione è del 60% e del 40% rispettivamente. Se si tornasse anche solo alla situazione economica francese di vent’anni fa in quanto a divisione della ricchezza, ciò permetterebbe di liberare più di 100 miliardi di euro, niente di paragonabile alla posta in gioco finanziaria che riguarda la controriforma dei regimi speciali.
Con: Come si presenta SUD-Rail ai negoziati con il governo? Siete d’accordo con le proposte della CGT?
C’è stata una lettera di Xavier Bertrand (ministro del lavoro, ndt) [...] che non porta alcun elemento nuovo, visto che secondo il governo si tratta comunque di negoziare l’applicazione di questa controriforma, che noi rifiutiamo. Per quanto riguarda la CGT, noi non pensiamo che negoziare impresa per impresa sia la risposta giusta al problema globale che è stato posto. È necessaria una risposta generale da parte del governo, è a questo livello che il problema deve essere trattato. In quanto organizzazione sindacale, pensiamo che il nostro ruolo non sia quello di accompagnare ma di combattere collettivamente contro i progetti che rimettono in discussione i diritti sociali dei lavoratori.
M. Werth: Perché continuare a prendere in ostaggio la popolazione, mentre adesso ci sono dei negoziati per ogni settore e per ogni impresa?
Noi non prendiamo in ostaggio nessuno. Noi facciamo uno sciopero. E il nostro sciopero non è diretto contro gli utenti, anche se siamo consapevoli che il fatto che non ci siano trasporti pubblici penalizza gli utenti che, in gran parte, sono innanzitutto dei lavoratori dipendenti. In ogni caso, fino a questo momento non c’è nessuna riunione di negoziato, né iniziata né annunciata.
Oulala: Quali previsioni fa per il 20 novembre?
Per il 20 novembre c’è la convocazione dello sciopero per la funzione pubblica. Per quanto riguarda i ferrovieri, per ora non possiamo dire a che punto sarà lo sciopero attuale. Se il governo, tenendo conto del rapporto di forza, ritira il suo progetto, i ferrovieri non saranno più in sciopero. Se viene fatta la scelta opposta, il 20 novembre ci sarà di fatto una congiunzione delle due mobilitazioni.
Lucien: Spero che le giornate di sciopero non siano pagate...
La Sua speranza è esaudita. I giorni di sciopero non ci vengono pagati e del resto non lo sono mai stati.
Robert: Cosa pensa dell’impopolarità del movimento presso l’opinione pubblica (circa il 55% de francesi sostengono il governo su questo punto)?
Credo che il 55% dei francesi pensino che sia meglio avere dei treni e degli autobus piuttosto che non averne. Ma non sono certo che il 55% dei francesi abbiano come preoccupazione principale quella di diminuire la pensione dei ferrovieri e degli agenti della RATP. Tanto più che, se questo venisse fatto, non darebbe nessun vantaggio agli altri lavoratori di questo paese.
Samoth: Tutti i contributi possibili non potranno mai finanziare il sistema che lei desidererebbe, dato l’invecchiamento della popolazione!
Questo è falso. La ricchezza prodotta collettivamente in questo paese permette di finanziare abbondantemente il sistema pensionistico che proponiamo. Si tratta di avere la volontà politica di suddividere questa ricchezza in maniera molto meno ingiusta rispetto a oggi. Basta destinare una piccola parte supplementare del PIL al finanziamento delle pensioni.
Max: Si blocca l’economia se si fanno pesare le questioni sociali sulla creazione della ricchezza...
Ma la creazione della ricchezza collettiva ha senso solo se, appunto, serve socialmente ai cittadini.
Xavier: La parte di persone che lavorano sulla popolazione totale diminuisce anno dopo anno, mentre la speranza di vita aumenta. Detto questo, come può credere che i vantaggi acquisiti quarant’anni fa non debbano evolvere, quando oggi possiamo vivere vent’anni di più?
Noi non pensiamo che l’allungamento della durata della vita debba “essere pagato” con un allungamento obbligatorio della durata del lavoro. Piuttosto, c’è oggi, nel 2007 in Francia, una situazione economica migliore di quella del 1945, quando è stato creato il sistema della Sécurité sociale. Questo deve permettere, così come era stato previsto in origine, di allineare il regime generale ai regimi cosiddetti speciali, e non il contrario.
Pat: Non ha l’impressione di portare avanti una lotta di retroguardia, con i suoi riferimenti marxisti e la sua retorica che consiste nell’opporre sempre il capitale e il lavoro?
No, penso che sia lo stato reale della situazione, che la sua domanda, del resto, descrive molto bene. Siamo effettivamente in una società nella quale esiste una divisione tra capitale e lavoro. In quanto organizzazione sindacale, noi difendiamo gli interessi dei lavoratori, e questo si oppone ai padroni, ciò che non significa necessariamente degli scioperi ogni giorno, ma si traduce invece quotidianamente in un confronto tra queste due classi sociali.
Antoine_B: Se non ottenete ciò che volete, sarete capaci di prolungare questo sciopero fino alle vacanze natalizie? Ovviamente no, allora perché continuate?
Sulla durata del nostro movimento, non sono le organizzazioni sindacali che decideranno ma, ogni giorno, i lavoratori dell’impresa riuniti in assemblea generale. E, per il momento, i lavoratori hanno deciso, aderendo al prolungamento dello sciopero, di continuare a fare pressione sul governo.

Vedi anche: La Francia si sveglia, contro Sarkozy; “Scioperiamo per tutti”, ma i sindacati si dividono; Francia, sciopero a oltranza; Francia, secondo giorno di sciopero.



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15 novembre 2007

Francia, secondo giorno di sciopero

Secondo giorno di sciopero in Francia contro la modifica dei regimi pensionistici speciali. Sia ieri che oggi l’adesione è stata massiccia alla SNCF (Ferrovie dello Stato) anche se inferiore a quella registrata il 18 ottobre scorso. Sei sindacati su sette hanno deciso di continuare la mobilitazione. I treni che circolano oggi sono aumentati rispetto a ieri, ma il traffico ferroviario viene definito ancora “fortemente ridotto”.
Nonostante l’ottimismo mostrato ieri dalla direzione della RATP, la società che gestisce la metropolitana di Parigi, anche il traffico urbano sotterraneo e quello regionale (linee A e B del RER) rimangono oggi ridotti. Quasi impossibile, questa mattina, prendere la 1, come ho potuto constatare personalmente, nonostante la scarsa adesione dei lavoratori di quella linea allo sciopero (si tratta per il 60-70% di giovani conducenti che non hanno ancora un contratto definitivo e ai quali i sindacati stessi consigliano di rimanere in servizio). Tutti i sindacati presenti tra i lavoratori della metropolitana (con l’eccezione notevole della moderata CFDT) hanno deciso di incrociare le braccia anche oggi.
È ormai palese che la preoccupazione principale del governo è di evitare che il forte movimento che in queste ore vede protagonisti i lavoratori dei trasporti e delle aziende dell’elettricità e del gas, si possa congiungere a quello che porterà in piazza, martedì prossimo, i funzionari pubblici e gli insegnanti. Uno sciopero ad oltranza che coinvolgesse fasce così ampie di lavoratori, sarebbe un vero incubo per il governo e per il presidente Sarkozy (e i sindacati stessi, a partire dalla CFDT, fortemente contraria alla congiunzione delle differenti rivendicazioni, appaiono impreparati alla “politicizzazione” e alla radicalizzazione del conflitto). Da non sottovalutare, poi, il movimento studentesco, messosi in marcia un mese fa contro la legge Pécresse sull’autonomia finanziaria delle università, che introdurrebbe una sorta di privatizzazione degli atenei. 36 delle 85 università francesi sono oggi occupate dai manifestanti o chiuse.
Eppure si moltiplicano, almeno in teoria, i segnali che indicano lo sbocco della crisi: il segretario del principale sindacato, la CGT di Bernard Thibault, che incontra il ministro del lavoro qualche ora prima dell’inizio dello sciopero; la proposta, sempre da parte della CGT, di aprire negoziati settore per settore, con tavoli a tre (sindacati, direzione delle società, governo); il desiderio esplicito di Sarkozy di fermare il conflitto “prima possibile”, accettando la proposta della CGT; la “lettera sul metodo” da seguire nei negoziati, inviata ieri sera dal ministro del lavoro Xavier Bertrand ai sindacati, che prevede di lasciare un mese alle imprese e ai rappresentanti dei lavoratori per trovare il modo di applicare la riforma.
Nessuno può dire per il momento - mentre i contatti tra i sindacati e il governo continuano frenetici dietro le quinte - se siamo nel campo degli stratagemmi mediatici e del gioco delle parti, o se la crisi potrà risolversi davvero in tempi brevi. Certo è che, come ricordava un macchinista ieri, lo sciopero “è dei lavoratori”, prima ancora che del sindacato. La lotta, posto che in pochi credono in un ritiro puro e semplice della riforma dei regimi pensionistici speciali, si sposta ora su alcuni aspetti specifici di quel provvedimento, giudicati irrinunciabili dal governo. In particolare, i manifestanti contestano l’innalzamento dei contributi necessari per ottenere una pensione a tasso pieno dagli attuali 37 anni e mezzo a 40. Quelli che svolgono lavori particolarmente faticosi, come ad esempio i macchinisti, sanno bene che pochi potranno permettersi di prestare servizio fino al raggiungimento della quota prevista e vedono quindi ridursi sostanzialmente l’ammontare della loro pensione. Per altro, per il 2008 è già previsto l’innalzamento dei contributi per i funzionari pubblici a 41 anni, e molti temono (a ragion veduta) che presto si ricomincerà a parlare di un nuovo adeguamento anche per le altre categorie. Una china della quale non si vede la fine.

Aggiornamenti

13,30 - Le prime assemblee generali che si sono tenute questa mattina nei depositi della SNCF hanno deciso ufficialmente la continuazione dello sciopero anche domani, venerdì. Si tratta di assemblee di un certo peso: Marsiglia, Bordeaux e Parigi Nord. “Vogliamo sapere su quali punti è possibile negoziare e, finché il governo non aprirà la discussione, non si capisce come si possa saperlo”, ha dichiarato Eric Falempin, segretario generale della federazione dei ferrovieri di Force Ouvrière. “Bisogna continuare a fare pressione”, ha aggiunto. La stessa decisione (continuare lo sciopero almeno per altre 24 ore) è stata presa alla RATP. Una riunione di tutti i sindacati è prevista per questo pomeriggio, dopo lo svolgimento delle altre assemblee generali. (Fonti: AFP, Le Monde).

16,15 - La maggioranza delle assemblee generali dei lavoratori della SNCF (ferrovie dello Stato) e RATP (metropolitana di Parigi) ha deciso che lo sciopero continuerà anche domani, venerdì. Una riunione dei vari sindacati coinvolti nella lotta è attesa per le 16,30 nella sede della CGT (Confédération Générale du Travail) a Montreuil, nell'immediata periferia parigina. Nel frattempo, il sindacato studentesco Unef e l'agenzia France Presse hanno fatto il conto delle università coinvolte oggi nella mobilitazione contro la legge Pécresse: sono 41 (fonti: Le Monde, Libération).

19,30 – Mentre il traffico nella metropolitana parigina rispetto a questa mattina è, se possibile, sensibilmente peggiorato (in otto linee su quattordici non circola nulla), è confermato che lo sciopero continuerà anche domani alla SNCF (ferrovie dello Stato) e alla RATP (metropolitana di Parigi), anche se in quest’ultima solo quattro sindacati su otto hanno deciso di dare indicazione ai propri iscritti di astenersi dal lavoro. Secondo quanto ha dichiarato il segretario della federazione dei ferrovieri della CGT, Didier Le Reste, le sei federazioni sindacali chiedono al ministro del lavoro di tenere già venerdì una riunione “per fissare il quadro” dei negoziati. I sindacati hanno già chiesto alle assemblee generali dei ferrovieri di proseguire lo sciopero anche nella giornata di sabato.
Anche l’Unef (il sindacato studentesco) si mostra più agguerrito che mai, dopo che il suo segretario, Bruno Juillard, è stato ricevuto dalla ministra Pécresse, un incontro che gli studenti hanno giudicato infruttoso. “Chiediamo di continuare e di amplificare la mobilitazione nelle università” – ha detto Juillard – “partecipando massivamente alle assemblee generali e votando per lo sciopero” (fonti: AFP, Libération).


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14 novembre 2007

Francia, sciopero a oltranza

Quando è carrée, significa che la mobilitazione sarà massiccia e molto estesa, ma avrà una durata prestabilita, per esempio ventiquattro ore: passata la giornata durante la quale l’attività lavorativa si blocca, i rappresentanti soppesano l’ampiezza dell’adesione per poi farla pesare al tavolo dei negoziati. Se invece è reconductible, si sa quando comincia ma non quando finisce, poiché può essere prolungata indefinitamente. È la grève, lo sciopero in Francia.
Quella proclamata per oggi dai sindacati del settore dei trasporti e dei servizi (come luce e gas) è la seconda grande astensione dal lavoro organizzata in un mese contro la riforma dei regimi pensionistici speciali, voluta da Sarkozy e dal suo Primo ministro François Fillon (ne ho già parlato qui e qui). Reconductible, a oltranza, il che presuppone, almeno in teoria, un lungo braccio di ferro. Oggi, mentre è in atto il primo grande conflitto sociale che Sarkozy si trova ad affrontare, il governo pare puntare tutto sul carattere cosiddetto “impopolare” dello sciopero: non siamo più al lungo conflitto del 1995, che coinvolgeva il settore pubblico e quello privato insieme ai regimi speciali, uniti e solidali contro la riforma delle pensioni. Le maggioranze di destra che da allora si sono succedute al governo, sono riuscite ad approvare, in momenti diversi, delle “riforme” per i differenti settori, separandone così le sorti, tanto da far apparire chi ancora oggi gode di un regime speciale, come un privilegiato che rifiuta di adeguarsi alla congiuntura. I media fanno da grancassa e chi non riesce a raggiungere il proprio posto di lavoro a causa del blocco nei trasporti (in Francia non esiste ancora il servizio minimo garantito), si vede appioppare il titolo di “ostaggio” nelle mani di manifestanti egoisti e viziati. È raro che si dia voce a chi, pur non interessato dalla riforma, si sente comunque solidale con i lavoratori in lotta. I sindacati francesi contrastano la propaganda governativa facendo notare che si parte dalla difesa dei diritti acquisiti per tornare a estenderli a tutti e per impedire che si continui su questa china, qualsiasi sia la categoria colpita. Che il conflitto in atto oggi, insomma, riguarda potenzialmente tutti i lavoratori. Impresa assai ardua.
Già ieri sera, comunque, a qualche ora dall’inizio dello sciopero, il sindacato ha fatto la prima mossa: Bernard Thibault, segretario della CGT, ha incontrato il ministro del lavoro, proponendogli di aprire “dei negoziati a tre, con le direzioni delle società e i rappresentanti dello Stato, per ognuno dei regimi speciali”, mentre fino a questo momento aveva richiesto l’apertura di un negoziato globale.
Non è ancora chiaro se la strategia del sindacato sia dettata da realismo o sia uno stratagemma per gettare subito, fin dall’inizio di questa nuova mobilitazione, la palla nel campo del governo. Da parte sua, fino adesso l’esecutivo non ha compiuto nessun passo significativo, anzi ha dato l’impressione di desiderare uno scontro quanto più aspro possibile. Spera che più forti e prolungati saranno i disagi provocati dallo sciopero, tanto più facile sarà isolare i sindacati dal resto della società, battendoli su un punto altamente simbolico del programma del presidente, umiliandoli. L’obiettivo sembra essere quello di lanciare un segnale forte che marchi indelebilmente e durevolmente il quinquennio di Sarkozy.
Tuttavia, a rendergli il compito più difficile potrebbero essere i funzionari pubblici e gli insegnanti, che scenderanno in piazza il 20 novembre prossimo per protestare contro il progetto governativo di riduzione degli organici. Un conflitto sociale che si preannuncia quindi molto acuto ed assai vasto, quello che ricomincia oggi, se si considera che anche il mondo universitario è estremamente inquieto: gli studenti si oppongono da circa un mese alla riforma che introduce l’autonomia finanziaria degli atenei (legge Pécresse). Sono circa trenta le università in agitazione (ieri gli insegnanti dell’ateneo di Tolosa hanno deciso di scioperare insieme agli studenti) e, fra queste, una quindicina attua il blocco dei corsi.
Forse non aveva torto Sarkozy col suo slogan: “Insieme, tutto diventa possibile”. Se voleva fare da catalizzatore del malcontento, infatti, la missione può già dirsi compiuta.


Fonti: Le Figaro, Le Monde, Libération.

Foto: Bernard Thibault (Alain Bachellier, licenza CC).


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07 novembre 2007

Agire prima del boia, urgente

L’allarme è partito dall’Irqo, l’associazione queer iraniana con sede in Canada, ed è stato rilanciato dai gruppi francesi e inglesi: Makwan Moloudzadeh, un kurdo iraniano di 21 anni, potrebbe essere presto impiccato. La sua colpa? Quella di aver commesso, almeno secondo le autorità iraniane che l’hanno processato, il crimine di lavat-e iqabi, cioè rapporti anali.
Il giudizio è stato emesso in prima istanza il 7 giugno scorso dalla prima camera del tribunale penale di Kermanshah, nell’Iran dell’ovest. A portare alla sbarra Makwan Moloudzadeh è stato un altro ragazzo che lo ha accusato di averlo violentato. Durante gli interrogatori in carcere, Makwan avrebbe subito maltrattamenti, e solo in seguito a questi avrebbe confessato di aver avuto un rapporto sessuale con il suo accusatore. È importante notare che all’epoca in cui sarebbero avvenuti i fatti, cioè nel 1999, i due ragazzi avevano appena tredici anni.
Per tutti i minori di quattordici anni colpevoli di “atti omosessuali”, la legge iraniana prevede “solo” 74 frustate. Questa volta, però, e nonostante la ritrattazione scritta dei testimoni dell’accusa, il giudice, esercitando una sua facoltà, cioè l’affermazione di una convinzione personale che non necessita di prove (elm-e qazi), si è detto certo che tra i due c’è stata penetrazione. Da qui la condanna a morte per Makwan Moloudzadeh, una sentenza che la Corte Suprema non ha mancato di confermare il 1° agosto scorso. Makwan dovrà essere ucciso in pubblico, non lontano dalla propria abitazione.
Le varie fonti reperibili (che trovate, come sempre, alla fine di questo post) non precisano se sia una questione di giorni o di ore. Probabilmente nessuno lo sa, viste le scontate difficoltà frapposte dall’Iran alla circolazione di notizie di questa natura. È chiaro, però, che bisogna intervenire in fretta perché l’esecuzione della sentenza venga bloccata. L’associazione francese SOS-Homophobie, così come la sezione belga di Amnesty International, chiedono di fare pressione sulle autorità di quel paese, inviando loro delle e-mail (in persiano, in arabo, in inglese o nella vostra lingua), nelle quali:

- si preghi il responsabile del potere giudiziario di chiedere alla Corte Suprema di riesaminare il caso di Makwan Moloudzadeh, che era minorenne al momento del presunto delitto, secondo il Codice civile e il Codice penale iraniani;
- ci si mostri preoccupati all’idea che Makwan Moloudzadeh non abbia beneficiato di un procedimento equo, dal momento che il giudice si è basato su criteri soggettivi e arbitrari, contrari alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, e che nessuno sembra aver tenuto conto, nella procedura d’appello, del fatto che i testimoni avevano ritrattato le loro dichiarazioni;
- ci si dichiari preoccupati all’idea che Makwan Moloudzadeh sia mandato a morte per fatti commessi quando aveva meno di diciotto anni, e si chieda alle autorità di impedire immediatamente l’esecuzione e a commutare la pena;
- si ricordi alle autorità che il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sui diritti dell’infanzia, due trattati che l’Iran ha sottoscritto, vietano il ricorso alla pena capitale contro i minori di diciotto anni al momento dei fatti contestati, e che l’esecuzione di Makwan Moloudzadeh costituirebbe una violazione del diritto internazionale;
- si chieda alle autorità iraniane l’impegno ad abolire la pena di morte per i delitti commessi dai minori di diciotto anni, al fine di rendere il diritto iraniano conforme agli impegni presi da quello stato nei confronti del diritto internazionale;
- si faccia presente che riconoscete a tutti gli Stati il diritto e il dovere di processare le persone sospettate di aver infranto la legge, ma che vi opponete alla pena di morte in qualsiasi circostanza;
- si chieda il più generale rispetto per i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.

Potete spedire le vostre e-mail di protesta a

Guida spirituale della Repubblica islamica d'Iran:
His Excellency Ayatollah Sayed 'Ali Khamenei
info@leader.ir
(Formula d'inizio: Your Excellency oppure Excellence,...)

Responsabile del potere giudiziario:
Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi
Ministry of Justice, Ministry of Justice Building,
Panzdah-Khordad Square
info@dadgostary-tehran.ir
(nel campo destinato all’oggetto, scrivere: "FAO Ayatollah Shahroudi". Formula d’inizio: Your Excellency)

Mettere in copia

Presidente del Majlis-e Shoura-e Islami (Assemblea consultiva islamica):
hadadadel@majlis.ir
(Formula d’inizio: Your Excellency,...)

Direttore della prigione centrale di Kermanshah:
markazi@kermanshaprisons.ir
ahead@kermanshaprisons.ir
(Formula d’inizio: Dear Sir,...)

Fonti: Amnesty International Belgique, Irqo, Têtu, SOS-Homophobie.



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