Catania Pride 2008 - 5 luglio

30 giugno 2008

Gay e lesbiche di destra contestati al Pride di Parigi

Colorato e festoso come da tradizione, ma anche arrabbiato, il Pride francese ha visto sfilare per le vie di Parigi una folla enorme, stimata tra i cinquecentomila partecipanti (secondo la prefettura) e i settecentomila calcolati dagli organizzatori. Secondo Alain Piriou, portavoce della federazione delle associazioni francesi Inter-lgbt, i timori per la rivendicazione centrale di quest’anno - “una scuola senza nessuna discriminazione” - , ritenuta da alcuni poco attrattiva, sono stati clamorosamente smentiti. 
Il sindaco socialista Bertrand Delanöe, presente come sempre alla testa del corteo insieme all’ex ministro della cultura Jack Lang, ha ricordato che “nella scuola ci sono ancora dei tabù. [...] La comunità educativa è cosciente della necessità di accompagnare chiunque, fin dalla più tenera età, verso la propria libera realizzazione. Chi non è omosessuale e combatte un’identità, in effetti, fa del male a se stesso. [...] I bambini devono sapere che una ragazza è uguale a un ragazzo e un eterosessuale è uguale a un omosessuale”.
Molte le personalità politiche presenti, così come i gruppi o i carri dei partiti: c’erano i socialisti, i comunisti (che hanno assicurato anche in parte il servizio d’ordine), la Ligue Communiste Révolutionnaire, i Verdi, i centristi del MoDem di François Bayrou e i sindacati, tra cui molte sigle dei rappresentanti del corpo docente.
Jean-Luc Romero, esponente indipendente del partito di Nicolas Sarkozy (UMP), ha ammesso che “sotto i governi di destra le questioni sociali non fanno mai molti progressi. È da un anno,” - ha proseguito - “che le personalità più aperte della maggioranza non si fanno sentire”. E proprio il carro di GayLib, associazione di gay e lesbiche dell’UMP, è stato bloccato per oltre un’ora da militanti delle Panthères Roses, di ActUp e di Aides e da un centinaio di semplici partecipanti, che protestavano contro la politica del governo Fillon-Sarkozy e chiedevano la parità tra omo ed eterosessuali. Il boicottaggio, pienamente riuscito, è stato accompagnato da slogan come: “Niente UMP al Pride!” o “Sarko, Boutin [esponente ultracattolica dell’UMP, oggi ministro], Vanneste [esponente dell’UMP condannato più volte per omofobia], vi detestiamo!”.
Nel frattempo, commentando il Pride di quest’anno, gli organi d’informazione hanno diffuso i dati di un sondaggio IFOP secondo il quale il 51% dei francesi sarebbero favorevoli all’adozione da parte di gay e lesbiche, e il 62% si pronuncia per un’apertura del matrimonio anche alle coppie composte da persone dello stesso sesso. La società sembra pronta, mentre la classe politica è ferma ai PaCS, i patti civili di solidarietà voluti nel 1999 dal governo del socialista Lionel Jospin.

Fonti: Inter-lgbt, Le Figaro, Libération, Têtu.

Un bella testimonianza del lavoro svolto dalle associazioni francesi nelle scuole (audio, in francese, dal sito di LibéLabo): Bombe a scoppio ritardato contro l’omofobia.

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

28 giugno 2008

Contro l’omofobia a scuola oggi sfila mezzo milione di francesi

Non credo di poter dire che la mia sia stata un’adolescenza facile. A un’infanzia passata ad inventare e a mettere in scena storie fantasiose e il più delle volte drammatiche (nobiluomini che morivano alla fatidica età di 22 anni, per me allora un traguardo lontanissimo) o a riempire i lunghi e talvolta solitari pomeriggi estivi in provincia di letture assai leggere, si è contrapposta presto una realtà ben più dura da digerire. Il fatto di non riconoscermi nei modelli che mi erano proposti (il maschio che gioca a calcio o si appassiona a qualche sport, che compete, che gira intorno alle ragazze) creava un enorme disagio, che però restava silente, non trovava le parole per esprimersi, perché avrei dovuto ammettere, innanzitutto a me stesso, che l’incubo che cercavo di scacciare la notte, prima di addormentarmi, sperando di risvegliarmi al mattino diverso da come ero, costituiva invece la mia realtà: omosessuale, l’unico, il solo. Soltanto dopo molti anni e dopo alcuni passaggi dolorosi, avrei capito che il problema non ero io né il mio orientamento sessuale, ma l’omofobia che regnava nell’ambiente in cui vivevo (o sopravvivevo), riverberata mille volte dalle persone che mi erano più vicine ed infine, inevitabilmente, interiorizzata. 
La scuola. Questa è davvero, secondo me, la chiave di tutto. Ricordo ancora con astio la gran parte dei miei compagni di liceo, colpevole di avermi fatto passare anni orribili, fatti di prese in giro, emarginazione, piccole violenze psicologiche che però poi pesavano, eccome, sul mio equilibrio. Ma ancor più deprecabili, perché adulti e in teoria responsabili della nostra educazione, erano gli insegnanti: del tutto impreparati a capire che cosa sia la differenza e a come trasmettere il rispetto e la dignità (posto che ne avessero una), si voltavano dall’altra parte, chiudevano uno o a volte anche due occhi, quando non partecipavano direttamente a quel piccolo inferno (un cenno di assenso, un sorriso o anche un silenzio rivolti al piccolo tiranno di turno, alle volte bastano). Per non parlare delle vere e proprie cialtronerie declamate ex cathedra e quindi assorbite passivamente da noi studenti, come quando la professoressa di biologia ci spiegò che l’unica omosessualità della quale è legittimo parlare è quella indagabile scientificamente, una patologia derivante da una malformazione dei cromosomi (nientemeno!), mentre tutto il resto è “moda”. La fine delle scuole superiori fu per me un vero sollievo: oltre al fatto che non avrei più dovuto sottopormi alla tortura delle ore di educazione fisica, durante le quali bighellonavo evitando di osservare i miei compagni, indaffarati a correr dietro ad un pallone, l’università portava con sé il vento della libertà, l’allontanamento dalla mia famiglia e dalla mia città d’origine, un viaggio durante il quale non avrei tardato a trovare finalmente me stesso.
Ecco perché sono particolarmente felice della rivendicazione centrale del Pride francese di quest’anno, che sfilerà oggi pomeriggio per le vie di Parigi: Per una scuola senza alcuna discriminazione! Certo, sono ormai sedici anni che non frequento più i banchi di quel liceo e di acqua sotto i ponti ne è passata, ma mi chiedo quanto sia davvero cambiata oggi, soprattutto nella provincia italiana, la condizione di quelle persone che prendono coscienza della propria “diversità” sessuale rispetto a una norma tuttora imposta. Per la Francia (cioè per una situazione differente da quella italiana e, sotto tutti gli aspetti, migliore) i dati, purtroppo, parlano chiaro: secondo il rapporto stilato nel 2007 dal difensore dell’infanzia (un’istituzione creata nel 2000 per promuovere i diritti dei bambini), “un quarto dei tentativi di suicidio dei ragazzi tra i 15 e i 25 anni e il 10% di quelli delle ragazze della stessa età sono legati a un problema di omosessualità del quale non possono parlare se non attraverso questo gesto. Il concetto di normalità generalmente veicolato dall’ambiente sociale, anche in assenza di un comportamento apertamente omofobo, diventa un peso insopportabile per alcuni di questi giovani che si sentono diversi e lo vivono difficilmente”. L’Institut de veille sanitaire (autorità di sorveglianza sanitaria) giustamente ricorda che “la società attuale dà una maggiore visibilità all’omosessualità e sembra più aperta rispetto alla sessualità, tuttavia non per questo un orientamento sessuale diverso dalla norma è più facile da dire, in particolare per i più giovani”. E il Ministero della sanità francese, il 27 febbraio di quest’anno, nel suo “Piano per la salute giovanile” conclude che “il rischio di suicidio presso i giovani omosessuali maschi è 13 volte superiore rispetto a quello dei giovani maschi eterosessuali”.
Qualche timido passo verso l’educazione alla diversità anche sessuale è stato fatto in questi anni. Nel 2000, l’allora sottosegretaria per l’insegnamento scolastico, Ségolène Royal, diffonde in tutte le scuole medie francesi un dossier pedagogico nel quale si trova anche una scheda sull’omosessualità. Il ministero della pubblica istruzione, diretto all’epoca dal socialista Jack Lang, il 21 novembre 2001 emette una circolare nella quale stabilisce che l’educazione sessuale “deve oggi tenere conto delle questioni legate alle differenze di genere, alla lotta contro il sessismo e l’omofobia, e deve permettere di affrontare meglio le attese dei giovani, con le loro differenze e le loro preoccupazioni specifiche”. Se nel 2003 il governo della destra sembra continuare su questa linea e fa stilare al ministro della pubblica istruzione, Luc Ferry, un’altra circolare nella quale si promuove “la lotta contro i pregiudizi sessisti e omofobi”, in realtà l’effetto di questa presa di posizione viene decisamente attenuato dal distinguo, presente nello stesso documento, secondo cui tale lotta non deve “urtare le famiglie o le convinzioni personali”.
Il dialogo tra l’Inter-lgbt (la federazione francese delle associazioni arcobaleno) e il Ministero della pubblica istruzione rimane fermo fino all’anno scorso quando, alla vigilia del Pride, una delegazione viene finalmente ricevuta ottenendo la messa in cantiere di alcune misure, come la diffusione nelle scuole di manifesti con i numeri dei telefoni amici sulle questioni inerenti la sessualità. Il 4 aprile 2008 il ministro Xavier Darcos firma una documento che costituisce una piccola vittoria per il movimento glbt: per la prima volta nella storia, la circolare ministeriale che prepara il rientro dalle vacanze estive di quest’anno (questo tipo di documenti ha un peso maggiore rispetto agli altri, considerati più “ordinari”) si concentra anche sulla lotta “contro tutte le violenze e tutte le discriminazioni, in particolare l’omofobia”. 
È evidente che tutto ciò non basta. L’Inter-lgbt si propone dunque, attraverso la mobilitazione di quest’anno, di ottenere l’affissione in tutte le scuole medie, nei licei e nelle università dei manifesti del telefono amico della Ligne Azur; la diffusione a tutti gli insegnanti della guida “Omofobia: sapere e reagire”, pubblicata dalla Ligne Azur; la redazione e la diffusione di uno strumento pedagogico rivolto agli insegnanti, sul modello di quanto già sperimentato in Belgio; un modulo di formazione per gli aspiranti insegnanti; la diffusione tra i giovani di una guida; la partecipazione dell’Inter-lgbt alle azioni previste dal Ministero della sanità nel quadro del “Piano sulla salute giovanile”, in particolare con la guida “Scoprire la propria omosessualità”; facilitare l’intervento delle associazioni glbt nelle scuole.
Al Pride dovrebbe partecipare, come accade ormai da qualche anno, più di mezzo milione di persone. E io mi auguro davvero che questa marcia abbia un gran successo.

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

10 giugno 2008

Podcast 6 - La marche de nuit

Il mio intervento alla trasmissione Flash Beat su Radio Flash. Conduce Marina Paganotto. La marcia notturna organizzata a Parigi (e a Bologna) da un collettivo femminista e lesbico, contro la violenza sulle donne.









Ascolta subito, clic su play

scarica il file mp3Scarica il file mp3

link diretto a Querelle(s) podcast in iTunesQuerelle(s) podcast in iTunes



feed rss per il podcast
Il feed di Querelle(s) podcast

OkNotizie
Ti piace questo podcast? Votalo su OkNotizie

09 giugno 2008

Le donne si riprendono la notte

Sabato prossimo, 14 giugno, per le strade di Parigi sfilerà un insolito corteo. Inconsueto non perché composto solo da donne, decise a gridare tutta la loro rabbia contro la violenza maschile, ma per il suo orario di convocazione: le manifestanti, infatti, si concentreranno in Place Armand Carrel alle 19,30 e, a partire da lì, daranno vita, nelle ore che seguiranno, a una marche de nuit. Lo stesso giorno è prevista una marcia analoga anche a Bologna, con le stesse parole d’ordine. Per saperne di più, ho rivolto qualche domanda a Isabelle, una delle ragazze del collettivo femminista che organizza il corteo.
La marche de nuit è stata convocata da “un collettivo di ragazze, di donne, di femministe e di lesbiche”. Quando è nato questo collettivo e perché?
Il nostro gruppo è stato creato qualche mese fa, spontaneamente, per rispondere all’esigenza di fare insieme una marcia notturna. Riunisce militanti femministe e lesbiche di orizzonti molto diversi fra loro.

Sabato prossimo renderete visibile la vostra lotta contro la violenza maschile sulle donne. Come si esprime questa violenza e da che cosa è generata?
Noi denunciamo questa violenza come manifestazione e conseguenza del sistema di dominazione eteropatriarcale sulle donne. Essa può assumere, ovviamente, forme diverse: esiste una condanna implicita nei confronti delle donne che escono da sole la sera e per questo noi sfileremo contro le minacce fatte alle donne di notte nei luoghi pubblici. Ma manifesteremo anche contro le violenze che avvengono in famiglia o nella coppia o sul posto di lavoro. L’idea di una marcia notturna, del resto, non è nuova: già dai tempi del MLF (Mouvement de Libération des Femmes) è in uso questa pratica ed esiste da molto anche l’esperienza dei Take back the night...

Gli uomini non sono invitati a partecipare a questa manifestazione: perché avete fatto la scelta di una marcia non mista?
È una strategia di lotta che risulta ancor più valida se applicata al caso di una marcia notturna: proprio perché esiste una pressione sociale affinché le donne circolino la notte solo se protette da un uomo, noi marceremo numerose ma da sole, senza uomini.

Il 24 novembre scorso, è stato convocato a Roma, sugli stessi temi, un corteo di donne che ha visto una grande partecipazione. Qualcuno ha parlato allora di un “ritorno del femminismo”, dopo anni in cui le donne sembravano aver disertato le piazze. Sta succedendo la stessa cosa in Francia?
Difficile dirlo, la struttura dei gruppi femministi è diversa in Francia e in Italia. In ogni caso, un nuovo slancio femminista sarebbe benvenuto!

Lo stesso giorno, il 14 giugno prossimo, una marcia notturna è stata convocata anche a Bologna, con le stesse parole d’ordine. Avete dei contatti frequenti con collettivi di altri paesi? Vi sentite parte di un movimento femminista internazionale?
Sicuramente abbiamo contatti con diversi gruppi in vari paesi, come l’Italia o la Turchia. Non a caso, abbiamo tradotto il nostro volantino in diverse lingue, per poterlo distribuire a tutte, ma anche per farlo circolare all’estero. D’altra parte, diffondiamo in Francia le informazioni sulle iniziative che si svolgono altrove, ad esempio in Italia.

In cosa consiste il legame, da voi denunciato, tra politica securitaria e razzismo da un lato, e violenza contro le donne dall’altro? 
I politici strumentalizzano la lotta contro le violenze maschili. Quando denunciano la violenza contro le donne non lo fanno certo per senso di giustizia, quanto piuttosto per attuare repressioni razziste. La protezione delle vittime diventa solo un pretesto per far passare leggi liberticide, magari sul piano dell’espressione della propria fede religiosa o delle pene detentive. Credo che sia un po’ quello che è successo a Roma, quando il sindaco di quella città ha lanciato una vera e propria repressione contro i rom, in seguito a un episodio di violenza carnale contro una donna da parte di un rom. Cosa è stato fatto in quel caso? Invece di colpire la violenza maschile per quello che è e dove si esercita maggiormente, cioè la coppia o la famiglia, si sono stigmatizzati dei capri espiatori, alimentando così il razzismo e la politica securitaria. Noi siamo fermamente contrarie alla strumentalizzazione della lotta per la nostra libertà a fini razzisti.

Voi sostenete che esiste un legame tra il nostro sistema economico (capitalista) e violenza contro le donne. Me lo puoi spiegare?
Per rispondere, basta pensare che il 70% della forza lavoro è costituita da donne, spesso impiegate in compiti ingrati e part-time, e che la loro fatica avvantaggia gli uomini. Inoltre, gli stipendi delle donne sono inferiori a quelli degli uomini e non superano mai una certa soglia di incremento.

In che cosa le violenze contro le lesbiche sono specifiche, rispetto a quelle nei confronti delle altre donne?
La violenza che si esprime contro le lesbiche è specifica poiché riunisce in sé la violenza sessista, rivolta a tutte le donne, la violenza contro l’omosessuale (qualunque sia il suo genere) e soprattutto la violenza contro quelle donne che organizzano la loro vita affettiva e sessuale senza gli uomini.

Ne parlerò ancora in un collegamento in diretta domani, intorno alle 16, durante la trasmissione Flash Beat, con Marina Paganotto di Radio Flash e Roberta Padovano, portavoce del coordinamento Torino Pride 2006. Per chi è a Torino la frequenza è: 97,6. Altrimenti, per ascoltare in streaming, click qui.

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

05 giugno 2008

Piazza San Giovanni negata al Pride. E il movimento che fa?

Bene, è definitivo, nero su bianco: il Prefetto di Roma, nonostante un permesso già accordato lo scorso 11 aprile, ha rifiutato di autorizzare la conclusione del Pride in piazza San Giovanni. Il motivo, di una pretestuosità che si dimostra da sola, è che il Comitato per la Sicurezza ha espresso parere contrario. Nella basilica di San Giovanni, infatti, la sera del 7 giugno prossimo si deve svolgere un concerto di musica sacra. Quale problema di ordine pubblico avrebbe creato questa concatenazione di eventi, cioè la conclusione del Pride in Piazza San Giovanni nel pomeriggio e il concerto nella basilica la sera? Impossibile saperlo, tanto più che le associazioni romane organizzatrici della manifestazione glbt si erano offerte di anticipare di mezz’ora il comizio finale e avevano chiesto di far posticipare di mezz’ora il concerto. Il contatto tra gli spettatori delle sacre arie e i portatori di quelle tremende patologie che rispondono al nome di omosessualità, bisessualità e transgenderismo, sarebbe così stato accuratamente evitato.
Niente da fare. Dalla Prefettura è giunto il niet. E da Piazza San Govanni il Pride si sposta a Piazza Navona. Siamo davanti a un sopruso, a una prepotenza, a un fatto antidemocratico così evidente che dovrebbe far gridare allo scandalo chiunque sia ancora dotato di una coscienza civile nel nostro paese. Invece: l’avete letto da qualche parte, voi? Poniamo il caso che, domani, a una manifestazione sindacale sia negata piazza san Giovanni con un pretesto simile a quello invocato oggi: la reazione sarebbe la stessa? Hanno cominciato (anzi, continuato) con i migranti, oggi cominciano (anzi, continuano) a dare addosso a gay, lesbiche, bisessuali e transgender e a chiunque chieda di poter vivere in uno Stato laico, le cui istituzioni non siano assoggettate alle gerarchie cattoliche. Din-don, vi siete risvegliat*? Ancora no? 
A chi toccherà domani? Questa è la domanda che si deve rivolgere in Italia, oggi, chi migrante o gay o lesbica o bisessuale o transgender non è. E dovrebbe darsi urgentemente una risposta. La domanda che si pone invece alla comunità glbt è: ma il movimento, che fa? Leggo, infatti, il comunicato del Circolo Mario Mieli di Roma: “siamo stati sconfitti dalla cecità di chi non ha compreso la gravità etica e politica di negare una piazza per motivi risibili. Testardamente il RomaPride si svolgerà ugualmente e in maniera pacifica, perché così  è nella sua natura. Studieremo il percorso alternativo da presentare domani [oggi, n.d.r.] alla Questura”. E basta? Ti negano una piazza a tre giorni dalla manifestazione perché quest'ultima è sgradita alla Chiesa e l’unica reazione è un comunicato all’acqua di rose in cui porgi l’altra guancia?
In quale altro paese occidentale istituzioni che si dicono democratiche potrebbero porre un simile limite alla libertà di espressione, senza suscitare scandalo e proteste? E in quale altro paese occidentale le associazioni organizzatrici di un Pride accetterebbero un simile sopruso, rinunciando a mobilitare su questo la comunità che prentende di rappresentare?

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie