Catania Pride 2008 - 5 luglio

24 febbraio 2007

Oltre al danno, la beffa (ovvero: lui si batterà)

E infine, alle 18,45, arriva anche la nota comica. È una dichiarazione del segretario dei DS Piero Fassino: “Noi ci batteremo perché il disegno di legge sui Dico venga approvato in Parlamento. I Dico sono nei 12 punti indicati da Prodi, ovvero le priorità su cui il governo lavorerà da giovedì in avanti”.
A questo punto le ipotesi sono due: o Piero Fassino quei dodici punti non li ha letti, oppure sta tentando di prenderci in giro. Propendo per la seconda ipotesi, non sarebbe neanche la prima volta. Staccategli la spina, vi prego.

Fonte: la Repubblica.

Papata 20 - Grazie, basta così

“Continuamente [...] il cristiano è chiamato a mobilitarsi per far fronte ai molteplici attacchi a cui è esposto il diritto alla vita. In ciò egli sa di poter contare su motivazioni che hanno profonde radici nella legge naturale e che possono quindi essere condivise da ogni persona di retta coscienza [...], ma bisogna ammettere che gli attacchi al diritto alla vita in tutto il mondo si sono estesi e moltiplicati, assumendo anche nuove forme. [...] Tutto questo avviene mentre [...] si moltiplicano le spinte per la legalizzazione di convivenze alternative al matrimonio e chiuse alla procreazione naturale. In queste situazioni la coscienza, talora sopraffatta dai mezzi di pressione collettiva, non dimostra sufficiente vigilanza circa la gravità dei problemi in gioco, e il potere dei più forti indebolisce e sembra paralizzare anche le persone di buona volontà”.

Credo che qualcuno dovrebbe riferirgli gli ultimi sviluppi, temo si sia un po’ distratto. Almeno in Italia, con la nuova maggioranza blindata al centro, il problema si è risolto da solo (bye bye persino agli indecenti DiCo). Georg, pensaci tu.

23 febbraio 2007

Chi ha ispirato la crisi?

Sono sfinito, quindi niente post sull’indecente sacrificio “a Follini” dei già indecenti DiCo “sull’altare del governo”. Per fortuna ne ha scritto, ben documentato come sempre ed esprimendo esattamente anche il mio punto di vista, Aelred nel suo Village...

20 febbraio 2007

Omogenitorialità in Francia: un passo indietro

La battaglia per il riconoscimento legale dell’omogenitorialità ha subito, in Francia, una seria battuta d’arresto. Oggi la Corte di Cassazione ha infatti stabilito che non è possibile per una donna adottare il figlio della propria compagna, perché ciò sarebbe contrario all’“interesse superiore” del bambino.
L’iter che alcune coppie lesbiche avevano seguito fino qui comportava, in un primo tempo, l’adozione del figlio o della figlia della compagna e successivamente l’avvio di una causa giudiziaria per chiedere la piena condivisione della patria potestà tra le due donne. Con la sua decisione odierna, la Corte di Cassazione ha però ricordato che la procedura d’adozione comporterebbe il passaggio della patria potestà dalla madre (che dovrebbe quindi rinunciarvi) alla compagna. L’articolo 365 del codice civile francese stabilisce, infatti, che “solo l’adottante è investito di tutti i diritti derivanti dalla patria potestà nei confronti dell’adottato [...] a meno che l’adottante non sia il coniuge del padre o della madre dell’adottato”. Poiché il matrimonio in Francia è consentito unicamente alle coppie formate da persone di sesso opposto, questo articolo si traduce di fatto in un divieto della condivisione della patria potestà tra due uomini o tra due donne.
L’unica possibilità che rimane oggi ai gay o alle lesbiche che desiderano condividere legalmente l’educazione e il sostentamento del figlio o della figlia del proprio compagno o della propria compagna, è quella di rifarsi a una sentenza pronunciata dalla stessa Corte di Cassazione il 24 febbraio 2006. Con quella decisione la Corte ha autorizzato una madre omosessuale a delegare parzialmente la patria potestà alla propria compagna (le due condizioni poste erano la stabilità della loro unione e l’interesse del minore). Il limite di una situazione del genere sembra essere il fatto che la delega parziale non rende i due genitori perfettamente uguali nell’esercizio della patria potestà. Dal punto di vista strettamente legale, insomma, non possono coesistere due madri o due padri nella stessa coppia e in condizioni di parità.
Solo nelle prossime settimane, più probabilmente nei prossimi mesi e comunque non prima delle prossime elezioni presidenziali, sapremo se il legislatore francese risolverà la questione dell’omogenitorialità, consentendo finalmente il matrimonio fra persone dello stesso sesso e le adozioni per le coppie gay e lesbiche. In questo senso si pronuncia il programma del Partito Socialista, mentre la destra lo esclude categoricamente.

Fonti: Légifrance, Le Monde, Libération.

19 febbraio 2007

Tutto a posto

Nel momento in cui scrivo, il sito de la Repubblica titola: Dico, Prodi e Bertone: “Chiariti i rapporti tra Italia e Santa Sede”. Immaginatevi cosa sarebbe successo ai DiCo se quei rapporti non fossero già stati fin troppo chiari!
Una conferma per nulla rassicurante viene dalla perfetta coincidenza delle due dichiarazioni, quella di Prodi e quella di Ruini: “È andata benissimo”. Per chi?

17 febbraio 2007

Papata 19 - Magari!

Certo che questo qui ci vuole proprio bene. Oggi, in un discorso rivolto ai rappresentanti pontifici in America Latina, Benedetto XVI ha dichiarato:

“Un’attenzione prioritaria merita proprio la famiglia, che mostra segni di cedimento sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi. Divorzi e unioni libere sono in aumento, mentre l’adulterio è guardato con ingiustificabile tolleranza. Occorre ribadire che [...] solo sulla roccia dell’amore coniugale, fedele e stabile, tra un uomo e una donna si può edificare una comunità degna dell’essere umano”.

Con tutta probabilità, Ratzinger fa riferimento non solo ai DiCo italiani, ma anche e soprattutto al recente provvedimento della Corte Costituzionale colombiana, che, come ha scritto recentemente Aelred, ha equiparato i diritti partimoniali delle coppie etero con quelli delle coppie gay. Non solo: in Colombia, in questi giorni, il Parlamento discute anche della possibile legalizzazione delle unioni di fatto gay e lesbiche.
Non ci rassicura per niente, poi, l’affermazione, fatta ancora dal papa, secondo la quale “non spetta agli ecclesiastici capeggiare aggregazioni sociali o politiche, ma ai laici maturi e professionalmente preparati”. Il messaggio, infatti, è fin troppo chiaro: non è compito delle gerarchie fondare partiti, a bloccare la strada all’evoluzione sociale ci devono pensare i cattolici già impegnati in politica.
L’ultima chicca del discorso di Ratzinger sta tutta in queste frasi: “Alcuni ambienti, lo sappiamo, affermano un contrasto tra la ricchezza e profondità delle culture precolombiane e la fede cristiana presentata come un’imposizione esteriore o un’alienazione per i popoli dell’America Latina. In verità, l’incontro tra queste culture e la fede in Cristo fu una risposta interiormente aspettata da tali culture”. E come no! È risaputo: si annoiavano a tal punto da chiedersi in continuazione (interiormente): “Accidenti, ma quando arrivano?”.

Fonti: Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, Village.

14 febbraio 2007

Ancora sui DiCo: coraggio!

Quando, in un post di qualche giorno fa, riprendevo l’affermazione del ministro Amato e la trasformavo in una domanda (I DiCo meglio dei PaCS?), intendevo appunto confrontare le due leggi e capire quali potessero essere le affinità e quali le differenze tra la norma italiana e quella francese. Al termine del confronto, concludevo così: “Come si vede, i DiCo sembrano offrire ai conviventi alcuni diritti in più e alcuni diritti in meno rispetto a quelli concessi ai partner che hanno sottoscritto un PaCS in Francia. La risposta alla domanda iniziale, dunque, è meno agevole di quanto sembri a prima vista”.
Ora vorrei superare il puro e semplice paragone tra la norma italiana e quella francese e chiarire la mia opinione non sull’aspetto tecnico, bensì su quello simbolico derivato dall’approvazione dei DiCo da parte del Consiglio dei ministri.
Io non credo si possa sostenere che i DiCo rappresentino un reale passo avanti per il riconoscimento della vita affettiva e sessuale di tante e tanti di noi, gay e lesbiche. Se così fosse – tanto per fare un esempio – a nessuno sarebbe venuto in mente d’imporre la dichiarazione contestuale e non congiunta o l’umiliante letterina (con ricevuta di ritorno) da spedire al proprio partner per avvisarlo che – toh, sorpresa! – desideriamo certificare la nostra convivenza con lui. È infatti evidente, per come si è articolata la polemica – più che il dibattito – intorno all’elaborazione del disegno di legge sui DiCo, che questa postilla è stata aggiunta per compiacere chi temeva una sorta di cerimonia all’anagrafe che facesse apparire ciò che invece andava a tutti i costi occultato: l’esistenza stessa della coppia. Se davvero non si desiderava umiliare le coppie omosessuali o, più in generale, quelle conviventi fuori dal matrimonio, perché non è stato istituito presso il Comune – così come era inizialmente previsto – il registro delle unioni di fatto? Perché imporre un’attesa di nove anni di convivenza per elargire il diritto alla successione? Perché rinviare la reversibilità della pensione ad una ipotetica futura legge di riordino della previdenza sociale?
Non si tratta di meri cavilli, perché è proprio sulla mancanza di un inequivocabile riconoscimento della piena legittimità e dignità alle coppie di fatto davanti allo Stato, che si è giocata l’intera credibilità del provvedimento, minata proprio dai mille espedienti utilizzati per allontanare da essa lo spettro dell’omosessualità. Non basta, infatti, che all’articolo 1 facciano capolino “due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso”, per fare di questa legge una norma all’avanguardia, conta anche il modo in cui si è giunti a vararla.
Le sette righe di programma dell’Unione che sulle coppie di fatto risultano insufficienti e ambigue; i mesi che trascorrono inutilmente dopo le elezioni senza che l’argomento venga sollevato; la bocciatura dell’emendamento alla Finanziaria che avrebbe introdotto la successione anche tra le persone che fanno parte di una coppia non sposata; la discussione sulle proposte di legge già presentate che comincia alla Commissione Giustizia del Senato in novembre e subito si arena; l’ordine del giorno votato, poi decaduto, poi votato di nuovo, che impegna il governo a presentare un disegno di legge entro il 31 gennaio; le bozze del ddl Bindi-Pollastrini, circolate per giorni in varie versioni, una peggio dell’altra. E, in mezzo, i pesantissimi pronunciamenti delle gerarchie vaticane, Ruini e Benedetto XVI in testa, ripetuti decine di volte al fine di influenzare le decisioni politiche; ma anche e soprattutto le dichiarazioni di tanti, troppi esponenti del centro sinistra, anche non teodem (due su tutti: il segretario dei DS Fassino e consorte), pervase da una cinica omofobia, sintomo di genuflessione ormai cronica. Prostrazione alla quale non si è sottratto nemmeno il vostro presidente, Giorgio Napolitano, quando ha ammesso che l’Italia è una Repubblica che legifera sotto condizionamento vaticano (“Non ho dubbi che si possa trovare una sintesi sulle unioni civili anche nel dialogo con la Chiesa cattolica e tenendo conto delle preoccupazioni espresse dal Pontefice e dalle alte gerarchie della Chiesa”, ha dichiarato). Abbiamo una memoria così corta da non ricordare nemmeno quello che è accaduto solo qualche giorno o qualche settimana fa?
Inoltre, c’è qualcosa di ancor più importante che dovrebbe essere messo in evidenza. Anche escludendo dal presente ragionamento il percorso che ha portato il governo ad adottare i DiCo (un iter catastrofico che tra le macerie, oltre alla dignità dei nostri affetti, lascia anche la laicità dello Stato, e non è poca cosa) a nulla servirebbe vantarsi di aver ottenuto oggi una normativa migliore rispetto ai PaCs francesi – ammesso e non concesso che questa affermazione sia vera. Va ricordato infatti che la legge sui PaCS è del 1999, che quando è stata approvata essa ha segnato in Francia un progresso reale, perché si trattava del primo riconoscimento di questo tipo da parte di un Paese a noi così vicino per tradizioni e cultura. È mai possibile che nell’Italia del 2007 la nostra pietra di paragone rimanga una norma che, nel dibattito europeo, è stata ampiamente superata dalla legislazione di altri paesi come la Spagna, dove il matrimonio e l’adozione sono aperti, sic et simpliciter, alle coppie formate da persone dello stesso sesso? Che quella sia una legge obsoleta, frutto di una cautela che oggi non ha più ragione di essere, qui a Parigi se ne sono ormai accorti proprio tutti. Sia la sinistra che sostiene, non senza qualche imbarazzo, l’estensione del matrimonio anche a gay e lesbiche, sia la destra che, pur essendo contraria a una completa parificazione dei diritti delle coppie omosessuali e di quelle eterosessuali, promette comunque dei “miglioramenti” alla legge sui Pactes Civils de Solidarité. A Roma si preferisce ignorare questo dibattito. Sarà la vicinanza dell’Oltretevere, e non mi riferisco solo a quella geografica.
Infine, davvero non capisco che senso abbia oggi, mentre la discussione in Parlamento si preannuncia lunga e ardua, sostenere che questa legge debba essere approvata a tutti i costi. Mi sembra un atteggiamento frutto di un realismo perfino eccessivo, ed è l’ovvia conclusione alla quale ci siamo condannati da quando abbiamo lasciato l’Arcigay rivendicare – con ingiustificato orgoglio – soluzioni di compromesso, anziché puntare al massimo.
Non si sarà mai ripetuto abbastanza: non spetta al movimento glbt il compito di mediare ed offrire alla classe politica italiana delle proposte già ampiamente ridimensionate rispetto alle attese di gay e lesbiche e rispetto anche alle conquiste dei movimenti di paesi a noi vicini, confidando nella bontà di questa o di quella forza politica o in governi più o meno “amici”. Le associazioni facciano il loro mestiere, cioè inneschino un dibattito finalmente serio nella nostra società e sostengano con forza le rivendicazioni del movimento glbt. Alla mediazione, al compromesso, sono già preposte le forze politiche, nelle sedi (governo e parlamento) che sono loro proprie.
Presentarsi all’inizio della discussione sui DiCo, in quanto movimento, a difendere una proposta elaborata esclusivamente dalla classe politica con atteggiamenti che più miseri di così, nel 2007, sarebbe difficile immaginare, significa avere già perso. Significa ammettere che, tutto sommato, la svendita dei significati simbolici che ci sono cari sull’altare delle manovre politiche dei DS e della Margherita, tutto sommato, non è poi così sbagliata. Che l’intervento della Chiesa per regolare le nostre vite è non solo efficace, ma anche giusto e opportuno. Che rinunciamo consapevolmente non all’ampliamento dei nostri diritti, bensì alla piena uguaglianza tra gay e lesbiche da una parte ed eterosessuali dall’altra.
E ora mi si dia pure dell’estremista o del massimalista, ma, per cortesia, lo si faccia solo dopo aver considerato la “cattolicissima” Spagna e come è stata vinta da quelle parti una campagna di libertà, portata a termine da un leader non certo rivoluzionario come Zapatero. Forse, più che di estremismo, avremmo solo bisogno di una dose maggiore di coraggio.

12 febbraio 2007

Papata 18 - Arrendetevi, siete circondati!

Anche oggi Benedetto XVI torna a fare pressione sulla politica italiana. È la strategia della cosiddetta “lobby”, così spesso rimproverata alle associazioni glbt, utilizzata una volta di più per distruggere quel poco che resta della laicità dello Stato.
Nel suo discorso al Congresso internazionale sul diritto naturale, Ratzinger ha sparato nuovamente contro la fin troppo cauta legge sui DiCo (corsivi miei): “Le norme cogenti non dipendono dalla volontà del legislatore e nemmeno dal consenso personale ma sono norme che precedono qualsiasi legge umana e non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno. La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono anche imperativi etici che è doveroso onorare. La legislazione tende a fare un compromesso fra diversi interessi e cerca di trasformare diritti in interessi privati o desideri che stridono con la legge naturale”.
Se non fosse chiaro a quale interlocutore il Papa si rivolgesse, la delucidazione l’ha offerta lui stesso: “La prima preoccupazione per tutti e particolarmente per chi ha responsabilità pubblica è quindi aiutare perchè possa progredire la coscienza morale di tutti”. “Nessuna legge fatta dall'uomo può sovvertire il disegno del Creatore”, “senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che è il suo fondamento naturale”.
A mo’ d’introduzione, qualche minuto prima, è stato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Camillo Ruini, ad avvisare che è in preparazione “una parola meditata, una parola ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti”. Una sorta di richiamo – par di capire – per i cattolici impegnati in politica, affinché boccino i DiCo in Parlamento.
Immagino che ora tutti coloro che credono nella laicità dello Stato, a maggior ragione la sinistra, faranno le barricate per ricordare a questi signori che esiste il Concordato e che a tutto c’è un limite. E anzi, pensandoci meglio, ministri e onorevoli faranno pulizia nei loro uffici, gettando nell’immondizia tutte quelle agenzie che riportano da giorni, da settimane, da mesi, la minaccia che le gerarchie ecclesastiche fanno pesare su affari – la formazione delle leggi di uno Stato estero – che non riguardano minimamente il Vaticano. Cominceranno, finalmente, a riscrivere le norme della Repubblica italiana. Senza ascoltare le omofobe sirene vaticane, chiusi nelle loro stanze e con la mente alla società italiana, meno ammuffita di quel che si pensa, parleranno magari di autodeterminazione della donna nell’uso del proprio corpo, di libertà sessuale, di garanzie e di diritti per tutte le cittadine e tutti i cittadini, qualsiasi forma di convivenza abbiano scelto. Della libertà di procreare o di adottare e allevare i propri figli, indipendentemente dai propri gusti sessuali.
Non preoccupatevi, il risveglio è previsto tra qualche minuto, alle prime fiacche – quando non compiacenti – dichiarazioni dei “rappresentanti” politici.

Fonti: Ansa, Apcom.

Amici (in)ascoltati

L’attualità in questi giorni scorre talmente rapida che sfugge dalle mani. Per ora due segnalazioni.

Massimo D’Alema su Repubblica cerca d’interpretare le reazioni della Chiesa all’approvazione dei DiCo da parte del governo: “In altri tempi – osserva – avremmo definito questa massiccia campagna come ‘clericale’. Oggi, giustamente, ci asteniamo dal farlo. Ma resta l’anomalia di un attacco così severo, allo Stato e alle sue leggi”.
In altri tempi... e perché oggi no? Cos’è cambiato? E perché “giustamente” vi astenete dal farlo? Cosa si nasconde dietro quell’avverbio? Quanto avrei pagato per essere là, davanti a lui, a chiederglielo...

Carlo Flamigni sull’Unità, a proposito dei DiCo: “Negli Stati Uniti – Paese adorato per certe sue prepotenze, ignorato per molte sue debolezze – nel 1992 oltre 6 milioni di bambini venivano cresciuti ed educati da genitori omosessuali, con ottimi risultati a sentire l’American Psychological Association e l’American Society for Reproductive Medicine. Secondo Machelle Seibel, direttore di uno dei più importanti giornali scientifici americani, le coppie omosessuali americane stanno cercando sicurezza per la loro vita comune all’interno di istituzioni riconosciute e protette e per questo si battono per ottenere leggi che consentano loro di sposarsi: quando riescono a farlo, si dimostrano straordinariamente consapevoli delle responsabilità acquisite e si confermano ottimi educatori di figli propri e adottati”.
Visto che l’amicizia con gli Stati Uniti è un tema fuori discussione in Italia, oggetto di censure e di tabù, facciamo almeno lo sforzo di ascoltarli, gli amici.

Fonti: la Repubblica, l’Unità via OneMoreBlog.

10 febbraio 2007

Papata 17 - Amico di lunga data

“È importante che l’uomo non si lasci ostacolare dalle catene esteriori quali il relativismo, la ricerca del potere e del profitto ad ogni costo, la droga, le relazioni affettive disordinate, la confusione intorno al matrimonio e il non riconoscere l’essere umano in tutte le tappe della sua esistenza, dal suo concepimento alla fine naturale”.

“È solo nella relazione coniugale che l’uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in modo omosessuale agisce immoralmente. [...] L’attività omosessuale non esprime una unione complementare, capace di trasmettere la vita [...]. [...] Le persone omosessuali [...] rafforzano al loro interno una inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall’autocompiacimento”.

Sono due dichiarazioni sovrapponibili, almeno per quanto riguarda il giudizio sull’omosessualità. Solo che la prima è stata rilasciata da Benedetto XVI oggi, nel suo discorso alla delegazione dell’Académie des Sciences morales et politiques, mentre la seconda risale alla Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, scritta da Joseph Ratzinger quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel 1986. Una coerenza omofoba per lo meno ventennale.

Intanto aspetto, malato, qualche notizia sulla manifestazione NO VAT di oggi a Roma. Come sarà andata?

Dalla manifestazione NO VAT: intervista di Radioradicale a Sergio Rovasio.

09 febbraio 2007

Papata 16 e antidoto

Puntuale come la morte, è arrivata la sua stoccata: “E’ necessario appellarsi alla responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi, nel governo e nell’amministrazione della giustizia, affinchè le leggi esprimano sempre i principi e i valori che sono conformi al diritto naturale e che promuovano l’autentico bene comune”.
È lui, è Papa Ratzi, più in forma che mai. Ci regala la sua sedicesima perla: la sua inquietudine, la sua ansia nel respingere qualsiasi riferimento legislativo – seppur edulcoratissimo – alle coppie fuori dal matrimonio. A togliere qualsiasi possibile ambiguità alle sue parole, ci ha pensato una nota dell’agenzia Sir (Servizio d’Informazione Religiosa), la quale prevede nientemeno che una catastrofe: il provvedimento sui DiCo approvato ieri dal Consiglio dei ministri – scrive l’agenzia dei vescovi – “minaccia, infatti, di incidere pesantemente – per intenzioni palesi e per conseguenze prevedibili – sul futuro della nostra società nazionale sia dal punto di vista giuridico, sia a livello culturale e di costume sia, infine, nella concreta ricaduta sulla vita delle famiglie italiane”. Se non è il diluvio universale, poco ci manca.
La Sir fa di più, e indica anche quale parte della legge dovrà essere immediatamente impallinata: “Basterebbe citare l’aspetto relativo ai diritti successori, con il groviglio di ipotesi di concorso all’eredità tra un convivente e il figlio o i figli dell’altro partner, per rendersi conto delle questioni che rischiano dolorosamente di aprirsi”, secondo la Sir. Ma non si preoccupino, i vescovi e Ratzinger. Saranno certamente ascoltati. Com’è accaduto fin qui, del resto.
Intanto, domani a Roma, la manifestazione NO VAT!

Roma, 10 febbraio 2007: NO VAT

Fonte: la Repubblica, Sir.
Antidoto: Facciamo Breccia.

I DiCo meglio dei PaCS?

Ha ragione il ministro dell’Interno Giuliano Amato a dire che i DiCo italiani sono persino migliori dei PaCS francesi? Per rispondere a questa domanda, niente di meglio che un confronto tra la legge che istituisce i “Pactes Civiles de Solidarité” (approvata nel 1999, più di sette anni fa) e il disegno di legge che ha per titolo “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”, varato dal Consiglio dei ministri l’8 febbraio e la cui conversione in legge da parte del Parlamento appare, allo stato attuale, piuttosto incerta.
Non ho una formazione giuridica, ma cercherò ugualmente di esaminare quelli che a mio parere sono i punti nodali delle due norme, rimandando all'interessante post di Teo per altre più autorevoli considerazioni sui DiCo.

1) Definizione. Il PaCS “è un contratto concluso tra due persone fisiche maggiorenni, di sesso diverso o dello stesso sesso, per organizzare la loro vita comune”. Nessuna differenza, da questo punto di vista, con il ddl Bindi-Pollastrini che stabilisce diritti e doveri di “due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale”.
Anche i PaCS prevedono che “i partner [...] si prestano mutua assistenza materiale”, ma non entrano nel merito del legame che li unisce (i “reciproci vincoli affettivi” previsti dai DiCo). Su tale punto, la legge francese resta totalmente indifferente. Per contro, stabilisce che nel loro contratto i partner possano indicare “le modalità”, cioè i dettagli della reciproca assistenza (altrimenti essa è “proporzionale alle [...] possibilità” rispettive dei partner). Inoltre, entrambi i partner sono tenuti in solido (cioè insieme) a rimborsare i debiti contratti da uno dei due “per i bisogni della vita quotidiana e per le spese relative all’alloggio comune”. Nulla di tutto ciò nei DiCo italiani, che non riconoscono la coppia, ma solo due persone conviventi.

2) Dichiarazione. In Francia “due persone che sottoscrivono un patto civile di solidarietà ne fanno dichiarazione congiunta presso la cancelleria del tribunale” del loro comune di residenza. Dopoidiché “il cancelliere iscrive questa dichiarazione in un registro”: l’iscrizione del PaCS nel registro del tribunale lo rende opponibile nei confronti di terzi.
Il ddl sui DiCo prevede invece due possibilità. La prima è una dichiarazione contestuale che i conviventi effettuano presso l’anagrafe del comune ove si convive. Il termine “contestuale” è stato preferito a “congiunta”: quest’ultimo avrebbe avuto infatti, secondo il legislatore italiano, un riferimento troppo esplicito a una vita di coppia, che non viene mai riconosciuta.
La seconda possibilità è una dichiarazione resa da uno solo dei conviventi. In tal caso quest’ultimo spedisce all’altro convivente una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, con la quale gli comunica l’avvenuta dichiarazione.

3) I beni. La legge francese prevede che i partner che sottoscrivono un PaCS godano del regime della separazione dei beni, cioè ciascuno sarà proprietario dei beni che acquisterà posteriormente alla data d’iscrizione del contratto o di quelli che possedeva anteriormente. Tuttavia, i partner possono scegliere, indicandolo esplicitamente nel contratto, per i beni acquisiti posteriormente alla data della registrazione, il regime della comunione (cioè l’indivisione della proprietà di ogni bene).
I DiCo non prevedono nulla sul regime dei beni: visto che una vita di coppia non è riconosciuta, non si riconosce nemmeno un interesse comune sulla proprietà dei beni dei conviventi.

4) Fine della convivenza. I partner francesi che desiderano porre termine al loro contratto, ne fanno dichiarazione congiunta al cancelliere del tribunale del comune di residenza. Se uno solo dei due desidera farlo, indirizza una dichiarazione in tal senso al proprio partner e una copia al cancelliere. Il PaCS è così concluso.
Non mi pare, invece, che i DiCo prevedano qualcosa di esplicito in questo senso, anche se credo che la fine della convivenza dovrebbe essere accertata ancora una volta anagraficamente, secondo quanto stabilisce il DPR 30 maggio 1989, n. 223, cui il ddl Bindi-Pollastrini fa riferimento.

I DiCo stabiliscono poi una serie di diritti in materia di assistenza del partner malato o ricoverato all’ospedale (articolo 4), di decisioni sulla salute del partner o in caso di morte (articolo 5), di successione nel contratto d’affitto (articolo 8), di agevolazioni e tutele sul lavoro (articolo 9), che in Francia non sono inseriti direttamente nella legge sui PaCS, ma si ritrovano in altre disposizioni che fanno riferimento alle coppie pacsate. Questi diritti sono modulati in Francia talvolta in senso più ampio e talvolta in modo più restrittivo rispetto a ciò che prevedono i DiCo.
Inoltre, a partire dalla legge finanziaria per il 2005, per i contraenti di un PaCS è prevista l’imposizione comune obbligatoria. Mi pare un diritto molto importante, assente per ora dal ddl Bindi-Pollastrini e di cui nessuno parla. Consiste nel fatto che i partner che hanno firmato un PaCS non vengono più tassati sui loro singoli redditi, ma sulla somma dei due. L’imposta comune sarà tanto più vantaggiosa rispetto all’imposta sui singoli redditi, quanto più forte è la differenza di reddito tra i due partner.
Sospetto che questo tipo di aiuto concreto ai conviventi che hanno un progetto di vita comune, assomigli troppo alla tanto vituperata equiparazione tra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali, perché possa mai essere inserita nei DiCo.
Viceversa, tra i diritti esclusi dalla legge sui PaCS e presenti nei DiCo vi è il diritto di succedere al partner in caso di morte di quest’ultimo. Tuttavia, il legislatore italiano ha inteso stabilire che questo diritto sia acquisito solo dopo nove anni di convivenza, smorzandone così gli effetti.
Anche l’obbligo di versare gli alimenti all’ex convivente, presente nei DiCo, è escluso dalla norma sui PaCS, mentre per quanto riguarda la reversibilità della pensione, non prevista per le coppie francesi pacsate, i DiCo rinviano a un’ipotetica legge di riordino della previdenza sociale.

Come si vede, i DiCo sembrano offrire ai conviventi alcuni diritti in più e alcuni diritti in meno rispetto a quelli concessi ai partner che hanno sottoscritto un PaCS in Francia. La risposta alla domanda iniziale, dunque, è meno agevole di quanto sembri a prima vista.
In ogni caso, se anche riuscissi a convincermi della bontà di questo ddl, è difficile che nel mio giudizio non pesi l’enorme ritardo col quale ci siamo arrivati e l’approssimazione della discussione che si è svolta fino a qui, largamente dominata dalle ingerenze del Vaticano e dai conseguenti riverberi nei palazzi della politica italiana. Ma su questo, come su altri punti, tornerò più avanti.

06 febbraio 2007

Vallo a spiegare a Fassino...

I figli di coppie formate da persone omosessuali non stanno “né peggio né meglio degli altri”. È una delle conclusioni alle quali è giunta la conferenza “Omogenitorialità: domande e risposte alle famiglie d’oggi”, organizzata a Parigi dall’APGL, un’associazione che riunisce i genitori gay e le genitrici lesbiche, in collaborazione con la rete radiofonica nazionale France Culture.
L’incontro, svoltosi il 3 febbraio alla prestigiosa Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, si articolava in due parti. Nella prima, otto fra ricercatori ed esperti nei campi della sociologia, della psicologia, dell’antropologia, del diritto e della medicina, hanno esposto le loro conoscenze in fatto di filiazione da parte di genitori omosessuali. Tutti si sono trovati d’accordo sulla necessità di porre termine alla discriminazione giuridica e sociale della quale sono vittime questi ultimi. Secondo Israël Nisand, specialista delle tecniche di riproduzione assistita, “bisogna che i non omosessuali difendano il diritto degli omosessuali a vivere normalmente nel nostro paese”. “Da nessuna parte la famiglia è il fondamento della società. Ciò che fonda la società sono i rapporti politici e religiosi”, ha dichiarato per parte sua l’antropologo Maurice Godelier, sfatando uno dei miti retorici più in voga presso gli omofobi, di questa come di altre contrade.
Nella seconda parte, invece, la parola è passata ad alcuni esponenti politici. La candidata della sinistra radicale alle presidenziali del maggio prossimo, la segretaria del Partito Comunista Francese Marie-George Buffet, ha ammesso che la storia del suo partito, sulla questione che era al centro del dibattito, “non è stata lineare”, ma ha anche ribadito che “il diritto all’amore e alla genitorialità” sono ben presenti nella sua campagna.
Scontato il sostegno portato alle rivendicazioni dell’APGL dal rappresentante dei Verdi, Noël Mamère, personaggio estremamente popolare ed amato dal movimento glbt francese, soprattutto per aver posto all’ordine del giorno, già tre anni fa, la questione del matrimonio fra omosessuali: sua, infatti, è stata la decisione di sposare ufficialmente, con un atto tanto eclatante quanto illegale, una coppia gay nel comune di Bègles, la cittadina della quale è sindaco. Per aver osato infrangere la legge, Mamère ha dovuto subire non solo una sospensione temporanea dalla sua carica, ma anche la censura dei suoi diretti avversari e un certo imbarazzo nei ranghi della sinistra, timorosa di essere scavalcata su una così importante questione sociale.
Durante il dibattito, Mamère si è dichiarato favorevole a riconoscere alle coppie omosessuali il diritto all’adozione, la delega della patria potestà e il riconoscimento della cogenitorialità (il fatto, cioè, che accanto alla coppia di genitori possano essere riconosciute anche una terza e una quarta figura – quella del o della partner di uno dei due genitori, o di entrambi – che partecipano all’educazione del figlio). Noël Mamère ha sostenuto queste posizioni insieme al rappresentante del PCF Gilles Garnier, e a Patrick Bloche, uno dei relatori socialisti della proposta di legge sui PaCS, approvata nel 1999.
Di tutt’altro avviso gli esponenti della destra ai quali la sala ha riservato, secondo quanto riportano le cronache, un’accoglienza vivace ma non proprio calorosa. La lettera inviata dal candidato dell’UMP Nicolas Sarkozy è stata letta sotto una selva di fischi, e le cose non sono andate meglio quando a prendere la parola è stato Laurent Wauquiez, giovane deputato molto vicino all’attuale ministro dell’interno, il quale ha espresso la sua contrarietà all’adozione e al matrimonio per le coppie formate da gay o da lesbiche.
Più aperturista il rappresentante del partito di centro UDF: secondo Jean-Christophe Lagarde si deve evitare di “scioccare oltre misura una parte della società”, ma bisogna anche consentire l’adozione alle coppie omosessuali. “La Francia” – ha aggiunto infatti – “deve accettare il fatto che la famiglia tradizionale non è più l’unica forma di famiglia”.
È proprio in questo spirito che l’APGL ha organizzato il dibattito di sabato scorso. A parte il vivo interesse che ha suscitato, l’incontro è servito a mostrare concretamente che l’omogenitorialità non è una chimera ma anzi rappresenta una questione di sempre maggiore rilevanza nella nostra società. Lo prova, tra l’altro, la quantità di studi – un migliaio in tutto il mondo – che tratta di questo tema. “Spesso ci dicono che lo sviluppo e l’equlibrio psicologico dei bambini allevati dagli omosessuali sarebbero minacciati” – ha dichiarato a Têtu la co-presidente dell’APGL Martine Gross – “eppure abbiamo trovato meno di una ventina di testi negativi sullo sviluppo psichico del bambino, dei quali la maggioranza scaturisce da ricerche finanziate da ambienti religiosi americani. In realtà” – continua Gross – “da tutti gli studi esistenti, risulta che il fatto di essere allevati da persone omosessuali non comporta alcuna differenza notevole per i bambini. Non stanno né peggio né meglio di quelli che vivono in famiglie tradizionali”.
Fino a quando verrà negato loro il diritto ad essere riconosciuti come figli di coloro che li hanno cresciuti?

Fonti: APGL, Têtu.

La puntata del 2 febbraio della trasmissione radiofonica Du grain à moudre (France Culture), con diverse posizioni a confronto (in francese): Une enfance gay : les familles homoparentales, des familles comme les autres ?

Foto: Noël Mamère (Staou).

04 febbraio 2007

Annuire e tacere

Per quanto incredibile possa sembrare, esistono governanti orgogliosi di aver contribuito ad estendere anche a gay e lesbiche i diritti di cui già gode il resto della popolazione. Proprio ieri, infatti, durante un meeting organizzato dal Partito socialista spagnolo a Madrid nell’ambito della campagna elettorale per le amministrative del maggio prossimo, Zapatero ha incluso l’estensione del matrimonio agli e alle omosessuali tra i successi della sua politica. L’istituzione familiare, secondo il presidente del consiglio spagnolo, “è sempre più in buona salute”, nonostante quello che “si gridava o si sbraitava” durante l’approvazione – avvenuta quasi due anni fa – della legge che consente il matrimonio anche a coppie formate da gay o da lesbiche.
Che differenza con i cauti esercizi di bizantinismo sui PaCS nostrani! Non è un caso se El País, nella sua corrispondenza sul voto delle mozioni in tema di famiglia, giudica “modesta” la bozza del disegno di legge sulla quale sta lavorando il governo Prodi: essa infatti “tiene lontane” le coppie di fatto “dai registri pubblici e proibisce loro di adottare figli o far ricorso alle tecniche di riproduzione assistita”. Anche sul ruolo giocato recentemente dal presidente Giorgio Napolitano, il quotidiano spagnolo non nutre dubbi: “Ha ristretto ulteriormente i margini di manovra di Prodi, dichiarando, durante una visita a Madrid lunedì scorso, che bisognava ‘tener conto dei timori della Chiesa’ e che conveniva ‘ricercare una sintesi tra le varie sensibilità’ attraverso il ‘dialogo con la Chiesa cattolica’. Prodi, cattolico” – conclude il giornalista spagnolo – “ha potuto soltanto annuire e tacere”.
Dunque non solo lo Stato della Città del Vaticano, ma anche la Spagna ci sta giustamente osservando per come trattiamo questo “problema tradizionalmente pericoloso nella politica italiana”. Con la differenza che la patria di tutte le “derive” si limita a guardare.

Fonti: Diario de Córdoba, El País.