Catania Pride 2008 - 5 luglio

28 giugno 2007

I cazzomuniti e i loro traditori

Babsi Jones ha scritto uno splendido post sulla condizione femminile. Chi sono le femmine? Niente più che animali, hanno “odore e calore, come le cagne”, ma non hanno onore: non sono persone, sono solo donne, appunto. È così in molti Stati del mondo, dove nascere femmina vuol dire sottomettersi all’umiliazione e all’arbitrio delle regole dettate dal maschio oppure perire… o magari sopravvivere: stuprate, mutilate, sfigurate. Nel civilizzato mondo occidentale, tuttavia, la violenza sulle donne è la stessa – ci dice Babsi Jones – anche quando la forma in cui si esprime è differente. Può toccare – e tocca quotidianamente – tutte.
È tragicamente vero. Presenza/assenza. Chi ha le palle e chi no: su questa dicotomia, mille e mille volte ripetuta, si basa l’inferiorità delle donne e di chi si serve dei propri genitali in modi sessualmente e simbolicamente non contundenti. Il sesso femminile non viene concepito come esistente di per sé, ma come l’assenza del sesso maschile (non si insegna alle bambine a dire: “Io ce l’ho e tu no”); in molte lingue (e quindi in molte menti) il femminile sparisce non appena si presenta, in un gruppo, anche un solo elemento maschile (comunemente si dice, ad esempio, “gli italiani”, come se le italiane potessero essere ricomprese nel generico maschile ed esserne perfettamente rappresentate); e così via. Il fallo è al centro dei nostri rapporti sociali perché fin dalla più tenera età ci viene inculcata la simbologia che gli è stata costruita attorno. Forza, potenza, creazione, realizzazione, in una parola: superiorità. L’educazione che riceviamo ci impone di assecondarla, di essere acquiescenti.
Ora, io dovrei far parte della categoria delle cosiddette “persone”: infatti sono maschio (cazzomunito, direbbe ancora Babsi Jones). Eppure credo di rappresentare, agli occhi di questo mondo maschilista, l’anello debole della catena. Quelli come me, i finocchi, tradiscono ogni giorno il loro genere, gettando fango sul primo sesso. Rappresentiamo – almeno potenzialmente, perché di gay maschilisti ne esistono, eccome – una contraddizione estrema, per molti maschi insopportabile: che ci fa, messo alla pecorina, un individuo dotato di cazzo? Semplice: si fa fottere. E il suo cazzo, anziché entrare da qualche parte, infilarsi in qualche orifizio, farsi padrone di qualcuno, resta fuori. È il suo buco a dargli piacere. Essere “posseduti” anziché “possedere”! La sola immagine fa rabbrividire chi si considera maschio, chi detesta il nostro tradimento a tal punto – e al tempo stesso desidererebbe perpetrarlo anch’egli così ardentemente – che, quando pesca qualcuno in evidente flagranza di reato, non si lascia sfuggire l’occasione: e sono insulti, quando va bene, sono botte quando va meno bene, è la morte quando va male. Non (solo) in Iran, ma ogni giorno qui, fra noi, nel nostro mondo civilizzato e “cazzuto”.
“Hai da accendere?”, mi ha chiesto un giorno un bulletto, accompagnato da un gruppo di amici. “No, mi spiace”, gli ho risposto io, e quello, di rimando: “Non dovresti essere dispiaciuto…”. Risate della combriccola. Ecco cosa siamo ancora, ai giorni nostri: gli scarti, gli avanzi da gettare, pattume da bruciare, perché in questo sistema fallocratico, noi restiamo ai margini e rappresentiamo il pericolo. Noi facciamo vacillare la virilità, un edificio instabile che può rimanere in piedi oggi solo grazie all’ignavia: quella di chi, per quieto vivere, per comodità, per paura di dover abbandonare un privilegio plurimillenario, scarta a priori l’idea di potersi rimettere in discussione, di fare un lavoro su di sé. Decenni di femminismo, di teorie gay prima, queer poi, non sono serviti a nulla (o forse sì).
Questi sono i maschi oggi, e non parlo solo di quelli di destra, perché il maschilismo (padre dell’omofobia), si annida ovunque, anche nei posti dove è più doloroso constatarne la presenza. Si prenda ad esempio Kilombo, il metablog delle sinistre. Fino a ieri lampeggiava (occhieggiava, annaspava) nella home page, in alto a sinistra, il banner del Pride nazionale (16 giugno scorso, a Roma). Una grande manifestazione che è stata principalmente una protesta contro l’attuale governo. Più gente di quella che ha partecipato al Family Day è scesa in piazza e ha gridato la sua rabbia per una politica pavida, clericale, teocratica. Il giorno dopo si è alzata la solita nebbia, si è steso il velo del silenzio. A dispetto del bannerino, esso ha avvolto – a parte rarissime eccezioni, rappresentate per lo più dai soliti tre o quattro culattoni di servizio – anche Kilombo, che pure di tanto in tanto riesce a farsi luogo di scambio di idee, di vero dibattito. D’accordo, non siamo più all’omosessualità come fenomeno di “degenerazione borghese”, ma sembra che non sia stato ancora superato lo stadio del “calma, compagni, lavoriamo per la rivoluzione, quella cambierà anche il modo d’intendere la sessualità”. Che poi, traslato nell’efficientismo odierno, diventa: “Non rompeteci le scatole con le vostre sciocchezze, abbiamo cose più importanti cui pensare” (come la costruzione del PD, ad esempio). Ma non un maschio che si metta a nudo, che parli del proprio buco del culo – tanto per esser chiari – piuttosto che ingaggiare l’ennesima competizione a chi ce l’ha più lungo – o a chi riesce a tenerlo duro per più tempo… Capita, per esempio, di leggere anche domande come questa, riferita al corteo nazionale: “Ma che avranno da essere fieri?”, titolo di un post nel quale si cercava di insegnare a froci, lesbiche e trans, quale fosse la strategia migliore per rivendicare i propri diritti, cioè vestirsi da maschi, come ogni giorno – ma non è anche quello un travestimento? –, senza fare baccano, usando il bon ton: insomma, un modo come un altro per rimetterci al nostro posto, là, in basso, discreti, non udibili… altro che Stonewall! Un altro maschio illuminato scrive: “Mi chiedo quale sia l’obiettivo di questa gente; dovrebbe essere [...] quello di dimostrare di far naturalmente parte della società invece di far passare un messaggio del tipo siete costretti ad accettare il modo in cui ostentiamo le nostre preferenze sessuali”. Poveraccio, chissà se si rende conto di ostentare le proprie preferenze sessuali ogni volta che, camminando per strada, tiene per mano la persona che ama – una ragazza, con tutta probabilità. Siccome per lui di ostentazione si tratta, e questa “da [sic] fastidio sempre”, le scritte “Basta froci” sui muri di Roma, in fin dei conti, ce le siamo cercate. Ma chi lo dice proprio fuori dai denti è Leonardo: “pensi che i gay abbiano diritto a crescere dei figli? [...] Chi l’ha detto che questa domanda sia prioritaria? Che debba venire prima delle domande sull’economia, sulla guerra, sui migranti? Davvero due persone che sono d’accordo su tutto tranne che su questo non possono militare nello stesso partito [il PD]? Io posso anche sostenere che i gay siano discriminati: ma i migranti lo sono anche di più. Oggi si discute di voto agli stranieri un decimo di quanto non si chiacchieri di DiCo e laicità”.
Ecco il maschio di oggi. Quello che può esprimerti solidarietà se qualcuno ti ha chiesto “Hai da accendere?”, ma che in fondo, per i privilegi conferiti dalla cultura e dall’educazione al fatto di avere qualcosa che penzola fra le gambe e che all’occorrenza può diventare duro, è stato abituato a non interrogarsi mai sulla natura dei propri impulsi, sul significato della propria sessualità. Che cosa succederebbe se i maschi rinunciassero ad utilizzare il proprio uccello come una clava? Se cominciassero a relazionarsi con gli individui del proprio sesso non più nello spazio angusto di un’eterna e usurante competizione ma sul terreno ben più affascinante dell’esplorazione, della (ri)scoperta del corpo, delle sue potenzialità? Che cosa accadrebbe se si defallizzasse il fallo, se si facesse piazza pulita di tutto il carico simbolico che gli è stato attribuito, se i maschi imparassero a investire eroticamente altre parti del corpo? Se cominciassero anche solo a pensarci su, a parlarne senza imbarazzo, senza fastidio, senza sogghignare stoltamente? Se si considerasse anche solo per un attimo lo scandalo dell’esistenza delle lesbiche (e se anche le donne, sedicenti eterosessuali, riuscissero a farlo)? Femmine tra loro, autonome nella loro sessualità, non più buchi a disposizione dell’uomo: inconcepibile, vero?
Se tutto questo si realizzasse davvero, poco a poco scomparirebbe, probabilmente, non solo l’omofobia più eclatante (quella più facilmente e ipocritamente condannabile), ma anche quella ordinaria, di solito introdotta da: “Ho tanti amici omosessuali, ma… / Io sono a favore dei diritti dei gay, però… / La discriminazione nei confronti dei ‘diversi’ è odiosa, tuttavia…”. E vai col distinguo:
- “… è meglio che non mi si avvicinino troppo, sennò…” (continuazione: “potrei starci”);
- “… i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, dove apprenderebbero altrimenti la differenza tra i sessi?” (cioè, in pratica: “dove apprenderebbero che il maschio è superiore alla femmina, se non in una famiglia tradizionale?”);
- “… le loro unioni non possono essere equiparate alle nostre” (traduzione: “le nostre sono superiori alle loro”).
E così via, in una gara a chi concede di meno, contro qualsiasi idea di uguaglianza.
Siete voi a fare questo: sì sì, proprio voi che votate centrosinistra, proprio voi maschietti che discutete dei massimi sistemi ma siete incapaci di guardarvi dentro, voi, i nostri alleati pronti a svenderci per un piatto di lenticchie. Appoggiate quello stesso sistema che annienta le vite delle donne e di chiunque non rientri nel vostro schema fallocratico, violento e prepotente, verso il quale continuate a mostrare – anche solo col vostro silenzio – un accanito e cieco attaccamento.

25 giugno 2007

Complici anche voi della gerarchia vaticana?

Quante volte abbiamo protestato la nostra estraneità a quelle che ci sembravano delle ingiustizie, pronunciando un netto: “Non in mio nome”? Chiamarsi fuori, spezzare la catena di complicità, opporsi: in quante occasioni l’avete fatto?
In questi giorni sono personalmente impegnato in uno di questi gesti. Il 12 giugno scorso ho chiesto al sacerdote responsabile della mia parrocchia d’origine di certificare, attraverso l’apposizione di una nota sul registro dei battezzati, la mia volontà di non essere più considerato membro della Chiesa cattolica.
Da un punto di vista strettamente religioso, l’apostasia – cioè il fatto di rinnegare la propria fede – non ha bisogno di essere documentata: diventa effettiva per una determinata persona nel momento in cui quello stesso individuo decide di “applicarla” nella propria quotidianità. Del resto, quale credo dovrei rifiutare, dal momento che considero il mio battesimo (l’unico sacramento che mi sia mai stato impartito) un “incidente di percorso”, subìto quando avevo pochi giorni di vita, cioè in un momento nel quale non potevo esprimere alcuna fede? Mi sono sempre considerato ateo, quindi apostata: ogni atto religioso da me eventualmente compiuto sarebbe, per questa ragione, nullo. Allora perché sbattezzarsi?
Quello che intendo mostrare chiedendo il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa cattolica dello smarrimento volontario di una pecorella in più, è altro: è l’affermazione di un dissenso profondo con le posizioni dell’attuale gerarchia, è il rifiuto di essere annoverato fra quel 97% di italiani che – secondo le opinabilissime statistiche fornite dal Vaticano – fanno parte del gregge del quale i prelati si fanno scudo quando si pronunciano contro i più basilari diritti di uomini e donne, come quello a una vita serena (e quindi a una sessualità serena, accettata, consapevole). Lo abbiamo visto in queste ultime settimane, in questi ultimi mesi (ma ce n’eravamo accorti anche prima, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, per esempio) in quale conto sono tenuti i diritti delle donne (eterosessuali e lesbiche), dei gay, dei e delle transessuali, da chi, all’interno della Chiesa, usa il potere temporale per perpetuare discriminazioni, trattare come esseri inferiori alcune categorie di individui e influenzare in questo senso le scelte del legislatore italiano.
Sono convinto che il sadomasochismo possa essere, per chi lo gradisce, una pratica erotica appagante. In questo caso, però, sarebbe meglio soprassedere. Perché dovremmo permettere a qualcuno di parlare e agire al posto nostro senza prima avergli manifestato il nostro consenso? Qui sta il punto. Dal momento che il mio battesimo viene usato strumentalmente come un avallo alla politica del Vaticano, io intendo eliminare la contraddizione tra ciò che sono e ciò che altri pretendono che io sia. E voi?
Se la libertà di pensiero e quindi di scelta è ancora valida, abbiamo nelle nostre mani l’opportunità di spazzare via uno degli equivoci sui quali si fonda la pornografica genuflessione della nostra classe politica (in questo caso davvero bipartisan) ai potenti del Vaticano, cioè il fatto che l’Italia sarebbe una Repubblica fondata non sul lavoro (articolo 1 della Costituzione), ma sulla “cultura cattolica” (e i credenti non praticanti? E gli aderenti ad altre religioni? E gli atei? E gli agnostici? E gli sbattezzati? È compito di uno Stato imporre a tutti i suoi cittadini i precetti di un credo religioso e di uno soltanto? È compito del Vaticano ingerire negli affari italiani?).
Se dovessi dire che cosa mi ha trattenuto sin qui dallo sbattezzarmi, invocherei la pigrizia che, come si sa, non costituisce un’attenuante. Tanto più che la “pratica” per lo sbattezzo è di una semplicità sconcertante: si tratta di inviare alla parrocchia dove si è stati battezzati una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, nella quale, allegando una fotocopia della carta d’identità, si chiede esplicitamente, sulla base della legge sulla protezione dei dati personali, di apporre una nota sul registro dei battesimi che attesti la nostra volontà di non fare più parte della comunità cattolica. L’accoglimento della domanda è un atto dovuto che non richiede alcuna spiegazione da parte nostra e che non può essere comunicato a terzi da chi riceve la richiesta. Il sacerdote responsabile dei registri ha il dovere di rispondere entro 15 giorni, trascorsi i quali è possibile fare ricorso al garante per la privacy.
In ogni caso tutte le informazioni sullo sbattezzo, così come una lettera modello, possono essere reperite sul sito dell’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), che vi invito caldamente a visitare. Per non essere più complici.

23 giugno 2007

La révolution du désir

Annuncio. Oggi esce in Francia il dvd del nostro documentario, il cui titolo definitivo è “La révolution du désir – 1970, la libération homosexuelle”. Ve ne avevo già parlato in occasione della prima proiezione pubblica, svoltasi qui a Parigi nel novembre scorso. Se volete sapere di cosa tratta esattamente il documentario, potete leggere il post: La prima! Quella che pubblico di seguito, invece, è la traduzione del comunicato stampa diffuso qualche settimana fa.
E se per caso dovesse restarvi ancora qualche curiosità, andate a farvi un giro sul blog del documentario (in francese), dove, tra le altre cose, si trovano delle foto, un teaser e un estratto. Che volete di più?

La révolution du désir – 1970, la libération homosexuelle, di Alessandro Avellis e Gabriele Ferluga, segue il percorso che ha condotto alcuni giovani ribelli del maggio 68 prima al femminismo, poi alla fondazione del FHAR (Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire), e rende omaggio a due eminenti figure di questo movimento: la scrittrice femminista Françoise d’Eaubonne (scomparsa recentemente) e Guy Hocquenghem, l’intellettuale ribelle. Troppo a lungo dimenticato, a causa dei suoi attacchi all’intellighenzia mitterrandiana degli anni Ottanta, questo saggista anticonformista è tornato di moda negli anni Novanta negli Stati Uniti, grazie all’influenza esercitata dalla sua opera nell’elaborazione della teoria queer. Secondo il filosofo Didier Eribon, questa teoria, nata nei dipartimenti dei gay studies delle università americane e in seguito sviluppatasi in tutto il mondo, “può essere considerata come una riscoperta sia degli interrogativi politici e teorici del FHAR sia delle critiche mosse dallo stesso Hocquenghem nei loro confronti”. Nel suo Le désir homosexuel, sulla scia di Deleuze e Guattari così come di René Schérer, sua guida spirituale e amico di sempre, Hocquenghem intende far uscire la sessualità dal triangolo edipico freudiano e si concentra su una sessualità anale come elemento d’indifferenziazione dei due sessi : “il nostro buco del culo è rivoluzionario”, scriverà non a caso.
Guy Hocquenghem era innanzitutto persuaso del fatto che omosessualità e normalizzazione sociale non potevano coesistere. Ciò che non poteva immaginare era l’arrivo di un virus terribile che, per una tragica ironia, avrebbe normalizzato gli omosessuali nel giro di una quindicina d’anni, rendendoli degni della pietà umana agli occhi della società benpensante. Lo stesso virus che lo avrebbe ucciso all’età di 41 anni, nel momento stesso in cui cominciava un promettente percorso letterario. Oggi le teorie di Hocquenghem tornano d’attualità. Una concezione rivoluzionaria dell’omosessualità, o quantomeno ribelle, è ancora possibile in un mondo globalizzato, che ha omologato gli omosessuali all’insegna del mercato e dell’ultraliberalismo. Opporsi alla falsa tolleranza di certi politici, criticare gli intrallazzi elettorali di un Sarkozy che, malgrado i bei discorsi, mantiene l’omofobo Vanneste al suo posto nel partito, o quelli di un Delanoë che, in pompa magna, intitola una piazza al reazionario Giovanni Paolo II, militare per i diritti dei/delle transessuali, resta tra gli obiettivi di una parte del movimento glbt che è ancora combattiva e vivace. In questo documentario, i due autori hanno scelto di mettere in relazione la storia del FHAR con un gruppo attuale, le Panthères Roses (“Lesbiche e froci all’attacco”, è uno dei loro slogan), per capire le influenze che i giovani di allora, carichi di ideologia, possono avere sui militanti, magari un po’ più disillusi, di oggi. Pubblicata per la prima volta nel 1986, la Lettre ouverte à ceux qui sont passés du col mao au Rotary (“Lettera aperta a quelli che sono passati dal colletto alla Mao al Rotary”) di Guy Hocquenghem, mostra un altro aspetto dell’attualità del pensiero di questo autore. In quel pamphlet Hocquenghem esamina il percorso dei “nuovi filosofi” e dei vari rappresentanti del mitterrandismo, tra i ricordi personali delle barricate del maggio 68 e le dichiarazioni pubbliche: ne scaturisce l’impietoso ritratto di una generazione che, in gran parte, ha rinnegato i propri valori e che è passata dal pacifismo e dai grandi ideali della dorata giovinezza al militarismo ad oltranza, al sostegno al nucleare e al sistema ultracapitalista. Guy Hocquenghem non si sarebbe certo stupito nel vedere Kouchner approdare al governo Fillon/Sarkozy...

19 giugno 2007

Pederasti di tutto il mondo, unitevi!

GayToday
GayToday è l’aggregatore di blog glbt che mancava alla comunità italiana. “Crediamo nell’informazione fatta dal basso” – dicono i fondatori del sito, tra cui Fabio che me l’ha cortesemente segnalato – “e siamo convinti che la grande quantità di notizie, che i blogger quotidianamente diffondono, analizzano e commentano, oltre che offrire un nuovo più realistico punto di vista sul mondo omosessuale, possa essere utile a coprire il vuoto dei media tradizionali, troppo spesso ‘distratti’ su temi fondamentali per la vita di molte persone. Attraverso GayToday vogliamo dare forza e visibilità a queste diversità”. Click sul banner!

16 giugno 2007

Roma Pride 07

Purtroppo non potrò essere a Roma oggi per il Pride, ma mi auguro il più grande successo per questa che è una tappa capitale non solo della lotta di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali per il riconoscimento dei loro diritti, ma anche per tutti i cittadini e tutte le cittadine che hanno a cuore la laicità dello Stato e l’uguaglianza di tutti gli individui.
A sette anni da quel World Pride durante il quale ci siamo detti: “Niente sarà più come prima”, sbagliando clamorosamente, facciamo vedere a quelli che ci vorrebbero ancora nascosti, repressi, negati, che esistiamo e che anche grazie a noi rimane viva la speranza che si possa avanzare sul tema dei diritti. Orgogliosi, sempre.

Sito Roma Pride 07

14 giugno 2007

Gianni Delle Foglie

Ieri se n’è andato Gianni Delle Foglie. Era stato il proprietario della libreria Babele di Milano, punto d’incontro molto importante per la cultura omosessuale italiana e non solo. Ricordo ancora quando, una decina d’anni fa, io e il mio ragazzo prendemmo il treno per andare a Milano a farci un’idea di che cosa si muovesse nella “capitale gay” d’Italia. La nostra prima visita, manco a dirlo, fu alla Babele, che allora si trovava ancora in via Sammartini.
Da allora ci ritornai più volte, una delle ultime occasioni fu la presentazione del mio saggio, che condusse in modo impeccabile. Conobbi una persona arguta, vivace, attenta alla nostra memoria. Quando, qualche mese fa, le vetrine di Babele sono state imbrattate con lo spray e una buona dose di omofobia, l’ho cercato alla libreria perché volevo parlargliene. È stato allora che ho saputo che aveva ceduto da poco la sua attività.
Come ha ricordato anche Village, nel 1992 Gianni Delle Foglie è stato protagonista di un’azione a quell’epoca clamorosa: ha fatto parte di quelle coppie omosessuali che erano state unite pubblicamente in un matrimonio dal valore puramente simbolico in Piazza della Scala, con Paolo Hutter consigliere comunale officiante. Chissà cosa direbbe del fatto che oggi, quindici anni dopo, un gesto del genere rimane ancora, per l’appunto, solo simbolico…
Non c’è dubbio, con lui se ne va un riferimento sicuro non solo per il movimento glbt italiano ma anche per tutte le persone che credono nel valore della differenza. Un valore da esaltare e da promuovere, come lui ha fatto con la sua libreria.

13 giugno 2007

Girati, Benedetto, girati!*

Sentite, oggi mi sento in vena di leggerezze, ho voglia di sorridere un po’. Ecco perché mi sono perso a riscoprire su YouTube un pezzo francese che, cinque anni fa, è stato un vero tormentone: “Tourne-toi” ("Girati"), di un gruppo che si chiamava Benoît. Aveva tutte le caratteristiche per imporsi: una musica dance superorecchiabile, ballabilissima, di una semplicità sconcertante, e un testo... fuori dal comune. Kitsch? Certo!
Nel video, la versione edulcorata per la tv. Sotto, invece, il testo originale tradotto. Buon divertimento.

Ragazza: Ciao Benoît!
Benoît: Ciao!
Ragazza: Sei stato in discoteca?
Benoît: Sì!
Ragazza: Allora? Racconta!
Benoît: Ok!
Benoît: Lei mi ha detto: ah, ah,... ah, ah...

Ho incontrato questa ragazza in una discoteca alla moda
Una superbionda platinata, senza ragazzo né ragazza
Si chiamava Ludivine, mi sembrava molto carina
Era molto fine, allora ho fatto una gran scena
Ho recitato la parte dell’innamorato, le ho parlato di famiglia
Certe volte sono scemo
Lei mi ha preso per mano, mi ha portato in un angolo
Per mostrarmi il suo seno
Oh, sì, il suo seno

Benoît, Benoît, girati, girati
Benoît, Benoît, girati, girati
Lei mi ha detto: ah, ah
Benoît, Benoît
Lei mi ha detto: girati, girati
Lei mi ha detto: ah, ah
Benoît, Benoît
Lei mi ha detto: girati, così

Ragazza: Fantastico! Che seduttore, Benoît!
Ragazza: Ma cosa le hai detto? Beh, dimmi, dai!
Benoît: Ok!

Allora mi sono girato per non contraddirla
Ho sentito questo grosso coso scivolare nel mio fondoschiena
Si chiamava Jean-Mario, dotato come un toro
Era un travestito
Inutile prendermi in giro, avete mai provato?
Eppure non è difficile, lasciatevi tentare
Per dirla tutta, mi sono chinato di più
E alla fine ho preso il volo
Sì, ho preso il volo

Benoît, Benoît, girati, girati
Benoît, Benoît, girati, girati
Lui mi ha detto: ah, ah
Benoît, Benoît
Lui mi ha detto, mi ha detto
girati, girati
Lui mi ha detto, mi ha detto
Benoît, Benoît, girati, così
Lui mi ha detto: ah, ah

Ragazza: Allora, Benoît, ti è piaciuto?
Benoît: Sì!
Ragazza: Ma non sarai un po’... tecno?
Benoît: Girati
Ragazza: Anch’io sono amica tua! Ah, ah!!
Benoît: Girati!
Ragazza: Fantastico!

A tutti i dongiovanni, a tutti i seduttori
Che alle ragazze spezzano il cuore
Vi credete furbi facendo i maschi
Ma adesso piangete dicendo che state male

Benoît, Benoît, girati, girati
Benoît, Benoît, girati, girati
Lui mi ha detto: ah, ah
Benoît, Benoît,
Uh, lui mi ha detto
Lui mi ha detto: ah, ah
Benoît, Benoît,
Uh, lui mi ha detto
Ah, ah, ah! Fantastico!
Lei mi ha detto
Benoît, Benoît, girati, girati
Benoît, Benoît, girati, girati
Lui mi ha detto: ah, ah
Benoît, Benoît,
Yeh, yeh
Girati, così
Lui mi ha detto: ah, ah

* No, non è l’ennesimo post sul più illustre cittadino del Vaticano. Benché...

10 giugno 2007

Di cosa parlano Nicolas e Vladimir?

Leggo la notizia secondo la quale il neopresidente della Repubblica francese, il piccolo Nicolas, nei colloqui avuti con il suo equivalente russo giovedì scorso, avrebbe fatto riferimento ad alcune questioni alquanto spinose. Al termine dell’incontro con Vladimir Putin, Sarkozy ha dichiarato alla stampa: “È stato un colloquio franco, poiché abbiamo trattato tutti gli argomenti: la Cecenia, la giornalista Anna Politkovskaja uccisa nel 2006, i diritti dell’Uomo, i diritti degli omosessuali...”.
Ah sì? Anche di questi ultimi avranno parlato? In effetti, la carne al fuoco è tanta: il sindaco di Mosca ha vietato anche quest’anno il Pride, i manifestanti – scesi comunque in piazza il 27 maggio scorso – sono stati picchiati da estremisti di destra sotto l’occhio compiacente dei poliziotti, intervenuti a cose fatte... per arrestare gli attivisti, manco a dirlo. Però, malignamente, io una risposta a Putin l’avrei suggerita, per tappare a Sarkozy quella bocca a ciabatta che si ritrova.
Avrei ricordato al piccolo Nicolas, per esempio, che in campagna elettorale proprio lui ha pronunciato un netto “no” a possibili aperture del matrimonio e dell’adozione a coppie formate da persone dello stesso sesso. Che in una funambolica intervista è riuscito a sostenere (con quale competenza?) l’origine genetica della pedofilia e, en passant, anche dell’omosessualità. Che, una volta eletto, ha nominato ministro per l’urbanistica e gli alloggi, l’integralista cattolica Christine Boutin, quella che, durante il voto sull’istituzione dei PaCS, a sostegno delle proprie tesi contrarie, brandì una Bibbia in pieno emiciclo.
Soprattutto, però, il partito di Nicolas Sarkozy, l’UMP, nelle odierne elezioni politiche per il rinnovo dell’Assemblée Nationale (l’equivalente della nostra Camera dei Deputati) non ha presentato nessun candidato contro Christian Vanneste, omofobo notorio, nel collegio dove quest’ultimo si presenta. È l’atteggiamento ipocrita di chi dice: noi non lo candidiamo, ma se proprio insiste, gli assicuriamo una benevola desistenza.
Il deputato in questione è stato giudicato colpevole, in primo grado e in appello, di aver violato la legge che punisce le affermazioni omofobe, per aver detto che “l’omosessualità è inferiore all’eterosessualità ed è una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità”. Nonostante questo, il nuovo governo presieduto da François Fillon non ha disdegnato d’invitarlo recentemente a un banchetto organizzato per i deputati uscenti dell’UMP. “Sono felice” – ha dichiarato in quell’occasione Vanneste – “non avrò contro un candidato dell’UMP. Eppoi, rimango membro dell’UMP, nel caso non lo sapeste”. È in buona compagnia. Il presidente dell’Assemblée Nationale, Patrick Ollier (anche lui dell’UMP), gli ha infatti inviato i suoi auguri per le elezioni: “Desidero farti avere personalmente tutto il mio più fraterno sostegno”.
Nicolas avrà davvero discusso di tutto questo con l’amico Vladimir?

04 giugno 2007

I maschi, la violenza e l'odio

“Mi sbaglierò, ma ho l’impressione che attualmente, per la parte che seguo di blogosfera, quella che si occupa anche di massimi sistemi, le cose più coraggiose le scrivano le donne. [...] Con quell’entusiasmo che prova chi può finalmente parlare liberamente dopo tanti secoli di silenzio imposto e che gli uomini invece stanno perdendo. [...] Proprio per questo gusto rivoluzionario ancora fresco in memoria le donne non hanno paura di parlare e ragionare su temi come la violenza e l’odio, che i maschi temono e non affrontano apertamente, perché sono abituati a sublimarli nell’omofobia o magari in quel ‘troia’ vomitato contro chi osa non adorarli in ginocchio”.
La migliore risposta che si potesse dare al commento che Lucio ha lasciato al mio post precedente, l’ha scritto Lameduck. Ma lei ha fatto molto di più. È andata oltre, per dipingere un ritratto degli uomini (e delle donne) della blogosfera che mi sembra assai giusto e che condivido. Trovo che abbia ragione da vendere e che se ne possano trarre conclusioni anche più generali. Per questo vi invito caldamente a leggerla.

03 giugno 2007

Kilombo: chi è in, chi è out?

Avvertenza. Questo è un post su una vicenda interna al meta-blog delle sinistre di cui faccio parte, Kilombo. Chi non fosse interessato, sa quel che deve fare.

In queste giornate di grandi contorsioni da parte di kilombisti e kilombiste per sapere se Karletto Marx è in o è out, vorrei proporvi anch’io la mia modesta ginnastica. Credo infatti che il mio voto contrario all’espulsione del reprobo meriti qualche spiegazione.
In quanto frocio, sono fra gli iscritti più refrattari all’idea che sia necessario mantenere separate la forma con la quale un pensiero viene esposto e la sua sostanza. Secondo quest’opinione, Karletto Marx sarebbe sì colpevole di aver insultato altr* kilombist*, violando in questo modo la Carta dell’aggregatore (articolo 10: “contenuti fortemente lesivi della dignità altrui in assenza di argomentazioni politiche, provocazioni che minino la possibilità di discussione e confronto nel reciproco rispetto”). Tuttavia, nei suoi post avrebbe espresso una critica legittima – e, secondo alcuni, fondata – all’operato della redazione di cui fa parte, nel momento in cui questa ha deciso di censurare un post di Dacia Valent per apologia di terrorismo (e non entro qui nel merito di quella vicenda, ma dico chiaramente che sarei stato contro quella censura).
Il punto è che secondo me molte volte la forma è sostanza. E uno che scrive, non foss’altro che per vis polemica, che il posto di alcune donne (in quanto donne) sarebbe quello di stare a casa a badare ai figli, esprime un pensiero maschilista. Il fatto che Karletto Marx ne sia cosciente oppure no, il fatto che sia stato accecato dalla rabbia oppure no (ma l’epiteto “troia” è partito anche successivamente), non cambia i termini del discorso: si tratta di affermazioni maschiliste. Come tali mi sembrano semplicemente disgustose. Non ho scritto: esteticamente non mi piacciono, sono brutte. No, dico che il linguaggio non sono “solo parole”, non è “solo un modo di dire”. Che lo si ammetta o no, il linguaggio è uno strumento e come tale può essere usato, in maniera più o meno cosciente, anche come un mezzo per perpetuare le discriminazioni, siano esse fondate sulla differenza di genere (come nel caso in questione) o sulle differenze etniche, religiose o di orientamento sessuale. Se, infatti, si utilizza la parola “puttana” come un insulto (e, almeno fino a questo momento non mi risulta che sia considerata come un complimento, anche se per me magari lo è), vuol dire che la donna alla quale quell’epiteto è diretto viene attaccata sul piano della sua sessualità: le si dice che il suo piacere sessuale e il fatto che supponiamo che abbia avuto più di un uomo, fa di lei una persona deprecabile. Finché l’insultata non si riappropria dell’insulto (“sì, sono una puttana, e allora?”), il linguaggio conferma e rafforza la discriminazione, diventando ideologia: la donna è inferiore all’uomo (basterebbe chiedersi perché non esista la parola “puttano”, per capirlo).
Karletto Marx è dunque out? Per me no, perché se lo fosse ho il sospetto che lo saremmo tutti e tutte. Chi di noi, infatti (e ovviamente mi ci metto anch’io), non vive quotidianamente queste contraddizioni? Chi di noi può considerarsi così puro da poter ergersi a giudice? A mio modo di vedere, ci sono due strade: trasformare Kilombo in una specie di tribunale, nel quale stabilire chi discrimina e chi no, chi fa apologia di cose che non ci piacciono o no, chi è più di sinistra o no (o chi è più di centrosinistra o di centrocentro o pro pratito democratico o no); ogni kilombista si presenta davanti al tribunale e si organizzano le epurazioni (o le purghe, il termine dipende da chi vince la partita). È chiaro che in un Kilombo siffatto, armato fino ai denti, io sarei out.
L’altra strada – ben più difficile ma, per questo, più affascinante – è quella del confronto. Non ci si vuole misurare con Karletto Marx perché col suo comportamento ha dimostrato di non volere il dialogo? Benissimo, lo si ignori, invece di fargli un sacco di pubblicità imbastendo una votazione sulla sua testa: se nessuno avesse commentato i suoi insulti e se il suo contatore fosse a zero, sarebbe il segno che Karletto Marx non interessa a nessuno; il fatto stesso che si chieda di buttarlo fuori, oltre a trasformarlo in martire potenziale, gli offre una visibilità – a mio opinabilissimo parere – del tutto immeritata. Pensiamo che Karletto Marx sia un valido interlocutore ma che quello che ha scritto sia grave? Altrettanto bene: invece di usarlo come capro espiatorio per coprire il nostro maschilismo, andiamo nel suo blog a dirgliene quattro, e magari proviamo anche a trasformare Kilombo da vetrina delle nostre vanità, in una comunità che discute. Veramente e onestamente, però, senza facili scorciatoie.
Infine ho una domanda, che rivolgo alle vostre coscienze. Se Karletto Marx, con i suoi insulti, è out, può Valerio Pieroni essere in? Se, infatti, la forma è sostanza, è pur vero che anche la sostanza è sostanza. E, a mio parere, la “sostanza” del suo blog è fortemente omofoba, anche se, nel suo caso, la “forma” è fatta salva (per quanto sia, dal mio punto di vista, tartufesca). Io, in quanto gay, considero il suo blog insultante nei confronti degli e delle omosessuali almeno quanto lo è quello di Karletto Marx verso le donne: possono esistere, infatti, per quanto ben formulate, delle “argomentazioni politiche” valide per spalleggiare l’omofobia di Stato (e del centrosinistra) vigente in Italia? E dunque?
Se Karletto Marx dovesse essere espulso, invierò una e-mail alla redazione per chiedere una votazione sull’espulsione di Valerio Pieroni. Dopodiché, per coerenza, non voterei e me ne andrei da Kilombo. Più interessante e proficuo mi sembrerebbe, invece, aprire una discussione sul linguaggio, su come lo usiamo, sui luoghi nei quali può annidarsi la discriminazione, il pregiudizio, lo stereotipo e come questi si perpetuano... Credo che le sorpese non mancherebbero. In ogni caso, sono questioni che ritengo estremamente più importanti dell’espulsione di qualcuno che, come me, come Pieroni e come molte e molti di noi, sbaglia.