Complici anche voi della gerarchia vaticana?
Quante volte abbiamo protestato la nostra estraneità a quelle che ci sembravano delle ingiustizie, pronunciando un netto: “Non in mio nome”? Chiamarsi fuori, spezzare la catena di complicità, opporsi: in quante occasioni l’avete fatto?
In questi giorni sono personalmente impegnato in uno di questi gesti. Il 12 giugno scorso ho chiesto al sacerdote responsabile della mia parrocchia d’origine di certificare, attraverso l’apposizione di una nota sul registro dei battezzati, la mia volontà di non essere più considerato membro della Chiesa cattolica.
Da un punto di vista strettamente religioso, l’apostasia – cioè il fatto di rinnegare la propria fede – non ha bisogno di essere documentata: diventa effettiva per una determinata persona nel momento in cui quello stesso individuo decide di “applicarla” nella propria quotidianità. Del resto, quale credo dovrei rifiutare, dal momento che considero il mio battesimo (l’unico sacramento che mi sia mai stato impartito) un “incidente di percorso”, subìto quando avevo pochi giorni di vita, cioè in un momento nel quale non potevo esprimere alcuna fede? Mi sono sempre considerato ateo, quindi apostata: ogni atto religioso da me eventualmente compiuto sarebbe, per questa ragione, nullo. Allora perché sbattezzarsi?
Quello che intendo mostrare chiedendo il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa cattolica dello smarrimento volontario di una pecorella in più, è altro: è l’affermazione di un dissenso profondo con le posizioni dell’attuale gerarchia, è il rifiuto di essere annoverato fra quel 97% di italiani che – secondo le opinabilissime statistiche fornite dal Vaticano – fanno parte del gregge del quale i prelati si fanno scudo quando si pronunciano contro i più basilari diritti di uomini e donne, come quello a una vita serena (e quindi a una sessualità serena, accettata, consapevole). Lo abbiamo visto in queste ultime settimane, in questi ultimi mesi (ma ce n’eravamo accorti anche prima, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, per esempio) in quale conto sono tenuti i diritti delle donne (eterosessuali e lesbiche), dei gay, dei e delle transessuali, da chi, all’interno della Chiesa, usa il potere temporale per perpetuare discriminazioni, trattare come esseri inferiori alcune categorie di individui e influenzare in questo senso le scelte del legislatore italiano.
Sono convinto che il sadomasochismo possa essere, per chi lo gradisce, una pratica erotica appagante. In questo caso, però, sarebbe meglio soprassedere. Perché dovremmo permettere a qualcuno di parlare e agire al posto nostro senza prima avergli manifestato il nostro consenso? Qui sta il punto. Dal momento che il mio battesimo viene usato strumentalmente come un avallo alla politica del Vaticano, io intendo eliminare la contraddizione tra ciò che sono e ciò che altri pretendono che io sia. E voi?
Se la libertà di pensiero e quindi di scelta è ancora valida, abbiamo nelle nostre mani l’opportunità di spazzare via uno degli equivoci sui quali si fonda la pornografica genuflessione della nostra classe politica (in questo caso davvero bipartisan) ai potenti del Vaticano, cioè il fatto che l’Italia sarebbe una Repubblica fondata non sul lavoro (articolo 1 della Costituzione), ma sulla “cultura cattolica” (e i credenti non praticanti? E gli aderenti ad altre religioni? E gli atei? E gli agnostici? E gli sbattezzati? È compito di uno Stato imporre a tutti i suoi cittadini i precetti di un credo religioso e di uno soltanto? È compito del Vaticano ingerire negli affari italiani?).
Se dovessi dire che cosa mi ha trattenuto sin qui dallo sbattezzarmi, invocherei la pigrizia che, come si sa, non costituisce un’attenuante. Tanto più che la “pratica” per lo sbattezzo è di una semplicità sconcertante: si tratta di inviare alla parrocchia dove si è stati battezzati una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, nella quale, allegando una fotocopia della carta d’identità, si chiede esplicitamente, sulla base della legge sulla protezione dei dati personali, di apporre una nota sul registro dei battesimi che attesti la nostra volontà di non fare più parte della comunità cattolica. L’accoglimento della domanda è un atto dovuto che non richiede alcuna spiegazione da parte nostra e che non può essere comunicato a terzi da chi riceve la richiesta. Il sacerdote responsabile dei registri ha il dovere di rispondere entro 15 giorni, trascorsi i quali è possibile fare ricorso al garante per la privacy.
In ogni caso tutte le informazioni sullo sbattezzo, così come una lettera modello, possono essere reperite sul sito dell’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), che vi invito caldamente a visitare. Per non essere più complici.
In questi giorni sono personalmente impegnato in uno di questi gesti. Il 12 giugno scorso ho chiesto al sacerdote responsabile della mia parrocchia d’origine di certificare, attraverso l’apposizione di una nota sul registro dei battezzati, la mia volontà di non essere più considerato membro della Chiesa cattolica.
Da un punto di vista strettamente religioso, l’apostasia – cioè il fatto di rinnegare la propria fede – non ha bisogno di essere documentata: diventa effettiva per una determinata persona nel momento in cui quello stesso individuo decide di “applicarla” nella propria quotidianità. Del resto, quale credo dovrei rifiutare, dal momento che considero il mio battesimo (l’unico sacramento che mi sia mai stato impartito) un “incidente di percorso”, subìto quando avevo pochi giorni di vita, cioè in un momento nel quale non potevo esprimere alcuna fede? Mi sono sempre considerato ateo, quindi apostata: ogni atto religioso da me eventualmente compiuto sarebbe, per questa ragione, nullo. Allora perché sbattezzarsi?
Quello che intendo mostrare chiedendo il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa cattolica dello smarrimento volontario di una pecorella in più, è altro: è l’affermazione di un dissenso profondo con le posizioni dell’attuale gerarchia, è il rifiuto di essere annoverato fra quel 97% di italiani che – secondo le opinabilissime statistiche fornite dal Vaticano – fanno parte del gregge del quale i prelati si fanno scudo quando si pronunciano contro i più basilari diritti di uomini e donne, come quello a una vita serena (e quindi a una sessualità serena, accettata, consapevole). Lo abbiamo visto in queste ultime settimane, in questi ultimi mesi (ma ce n’eravamo accorti anche prima, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, per esempio) in quale conto sono tenuti i diritti delle donne (eterosessuali e lesbiche), dei gay, dei e delle transessuali, da chi, all’interno della Chiesa, usa il potere temporale per perpetuare discriminazioni, trattare come esseri inferiori alcune categorie di individui e influenzare in questo senso le scelte del legislatore italiano.
Sono convinto che il sadomasochismo possa essere, per chi lo gradisce, una pratica erotica appagante. In questo caso, però, sarebbe meglio soprassedere. Perché dovremmo permettere a qualcuno di parlare e agire al posto nostro senza prima avergli manifestato il nostro consenso? Qui sta il punto. Dal momento che il mio battesimo viene usato strumentalmente come un avallo alla politica del Vaticano, io intendo eliminare la contraddizione tra ciò che sono e ciò che altri pretendono che io sia. E voi?
Se la libertà di pensiero e quindi di scelta è ancora valida, abbiamo nelle nostre mani l’opportunità di spazzare via uno degli equivoci sui quali si fonda la pornografica genuflessione della nostra classe politica (in questo caso davvero bipartisan) ai potenti del Vaticano, cioè il fatto che l’Italia sarebbe una Repubblica fondata non sul lavoro (articolo 1 della Costituzione), ma sulla “cultura cattolica” (e i credenti non praticanti? E gli aderenti ad altre religioni? E gli atei? E gli agnostici? E gli sbattezzati? È compito di uno Stato imporre a tutti i suoi cittadini i precetti di un credo religioso e di uno soltanto? È compito del Vaticano ingerire negli affari italiani?).
Se dovessi dire che cosa mi ha trattenuto sin qui dallo sbattezzarmi, invocherei la pigrizia che, come si sa, non costituisce un’attenuante. Tanto più che la “pratica” per lo sbattezzo è di una semplicità sconcertante: si tratta di inviare alla parrocchia dove si è stati battezzati una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, nella quale, allegando una fotocopia della carta d’identità, si chiede esplicitamente, sulla base della legge sulla protezione dei dati personali, di apporre una nota sul registro dei battesimi che attesti la nostra volontà di non fare più parte della comunità cattolica. L’accoglimento della domanda è un atto dovuto che non richiede alcuna spiegazione da parte nostra e che non può essere comunicato a terzi da chi riceve la richiesta. Il sacerdote responsabile dei registri ha il dovere di rispondere entro 15 giorni, trascorsi i quali è possibile fare ricorso al garante per la privacy.
In ogni caso tutte le informazioni sullo sbattezzo, così come una lettera modello, possono essere reperite sul sito dell’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), che vi invito caldamente a visitare. Per non essere più complici.
4 commenti:
Già tra i miei link, caro.
Beh certo, una volta che uno si "sbattezza" ha risolto proprio un bel po' di problemi. Caspita!
Stranofrote, per capire che cosa risolvi sbattezzandoti, rileggi il post. Grazie.
Ma se uno non crede, che senso ha chiedere lo ''sbattezzamento''? E' una nuova forma di esibizionismo, così, una richiesta fatta tanto per attirare l'attenzione? Del resto per il battesimo dovresti prendertela con i tuoi genitori, non con la Chiesa. Sono stati loro a richiedere la cosa e a farti battezzare.
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