Catania Pride 2008 - 5 luglio

31 dicembre 2007

Via di qua (diario della fine) - 2

Venerdì 28 dicembre. Dolcissimo risveglio in una delle camere destinate agli ospiti della casa di J. Un vecchio letto la cui rete ci ha fatto precipitare inesorabilmente verso il centro (non quello politico, evidentemente), pochi ed essenziali mobili, i genitori di J. che ci osservano clementi da una foto in bianco e nero scattata il giorno del loro matrimonio, la luce che filtra dalle imposte: il nuovo giorno si è presentato così. Restiamo a letto a raccontarci cose, poi scendiamo e dopo un’abbondante colazione andiamo a B., a fare una passeggiata lungo il lago. La giornata è soleggiata e la temperatura relativamente alta, ma Staou si sente poco bene, perciò intorno all’una facciamo rotta verso la farmacia e poi in pescheria a comprare qualcosa che servirà per il pranzo. Mangeremo verso le tre, una volta tornati a casa di J. Il resto del pomeriggio trascorre nell’ozio assoluto per me e Staou e nei preparativi per T. e J. Verso le sei arriva una loro cara amica, A.: trovo che abbia la pelle molto liscia e che sembri più giovane dell’ultima volta che l’ho vista, e rischio quasi di dirglielo. Molto gentile, porta tutti e quattro all’aeroporto di Girona. Dopo i controlli saliamo sull’aereo e un’ora dopo siamo in Sardegna. Prendiamo una macchina in affitto e ci rechiamo a B. Quando arriviamo, troviamo i genitori di Staou ad accoglierci insieme alla sorella. Sono caldi abbracci, una rapida visita alla casa e poi una cena a notte ormai inoltrata, a base di malloreddus, carne di cinghiale e di capretto. Il fuoco arde nel caminetto.

Sabato 29 dicembre. La mattina ci inerpichiamo insieme a T. e J. su su lungo le vie che risalgono il colle sul quale è stato costruito il centro storico di B. I nostri due amici gradiscono la visita. Pranzo a casa, a base di pesce. Il pomeriggio usciamo solo io, T. e J, Staou resta a casa a discutere con gli operai per il proseguimento dei lavori nella casa. Un concerto nella cattedrale e poi a cena.

Domenica 30 dicembre. La giornata comincia presto, con una visita al sito archeologico di Cornus. Passeggiamo tra le rovine dell’insediamento punico-romano lasciate in uno stato di pressoché totale e scandaloso abbandono. Nei pressi dell’area troviamo un edificio molto recente, rigorosamente chiuso, di cui forse indoviniamo la destinazione: biglietteria e sorveglianza per il sito. Una scritta tracciata con il gesso su una parete parla di spreco e di vergogna.
Proseguiamo lungo la strada per Oristano e in breve tempo arriviamo a Is Arutas. Là accarezziamo con le mani e con lo sguardo la famosa sabbia bianchissima, i cui grani di quarzo, molto levigati, hanno le dimensioni dei chicchi di riso. Il sole fa i capricci, eppure il fondale marino vicino alla spiaggia manda rilessi azzurri splendidi.
Dopo qualche tempo siamo a San Salvatore, incredibile villaggio fatto di piccolissime case a un solo piano, disposte intorno a un perimetro quadrangolare al cui centro si trova una chiesetta che sorge sul luogo nel quale, fin dall’antichità, si veneravano le divinità delle acque. Il villaggio è deserto, pare che si riempia solo per nove giorni all’anno, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, in occasione della procesione religiosa da e verso Cabras. È a San Salvatore che sono stati girati alcuni spaghetti western.
Dopo aver mangiato a Cabras, visitiamo Tharros, città fondata dai fenici e poi abitata dai cartaginesi, infine conquistata dai romani. Gli scavi hanno permesso di riportare alla luce, fino a questo momento, circa un terzo della superficie della città che, al suo massimo splendore, contava diecimila abitanti. La visita è davvero interessante, anche grazie alle spiegazioni di una guida molto abile, ma resa un po’ dura da un maestrale implacabile. Abbiamo chiuso la giornata con una visita al museo civico di Cabras che, tra le altre cose, di Tharros conserva gli elementi del tofet (la necropoli dove erano sepolti i bambini - sono stati rinvenuti circa cinquemila resti, di cui l’80% appartengono a neonati da 0 a 6 mesi).
Durante la cena ascoltiamo molto distrattamente il telegiornale; quando appaiono le immagini di un Family Day che a Madrid avrebbe raccolto oggi un milione e mezzo di persone, i nostri amici spagnoli hanno un moto di sgomento; sullo schermo si vede ondeggiare una Madonna portata in processione ed è quasi il panico. Discutiamo su come il Partido Popular di Rajoy e la Chiesa cattolica propizino questo tipo di manifestazioni nella speranza di provocare divisioni nella società spagnola che, in massima parte, ha accolto benevolmente la politica di Zapatero riguardante i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Le elezioni in Spagna sono davvero vicine. (Continua)

Via di qua (diario della fine): 1, 3.

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28 dicembre 2007

Via di qua (diario della fine) - 1

Giovedì 27 dicembre. La sveglia suonerà solo alle 7,30, ma è una notte un po’ agitata, io e Staou ci risvegliamo a più riprese. Usciamo di casa un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, prendiamo la metropolitana per arrivare a Porte Maillot, dove facciamo appena in tempo a fare il biglietto e salire sulla navetta per l’aeroporto di Beauvais. Durante tutto il tragitto (un’ora e mezza circa) non faccio che pensare alla poposta di M., giunta inaspettatamente qualche giorno fa. È al tempo stesso il migliore e il peggiore momento per prendere una decisione di tale importanza. Tuttavia mi sento stranamente ottimista e comincio già a fantasticare sul progetto e sui contenuti che vorrei avesse. Ancora sulla corriera, penso che i primi giorni di gennaio saranno importanti, che dovrò risentire M. e prendere con lui una decisione definitiva. Intanto Staou ascolta musica con il lettore mp3. È contento e mi sorride spesso.
In aereo tento di concentrarmi sulla traduzione, nonostante le turbolenze che di tanto in tanto si fanno sentire. Ma l’atterraggio all’aeroporto di Girona arriva presto e già scendendo la scaletta e guardandomi intorno, mi sembra di essermi lasciato alle spalle il grigio e il freddo degli ultimi giorni a Parigi. Abbracciamo J. che è venuto a prenderci. Mentre andiamo in macchina a B., il paese dove vive insieme al suo compagno T., osservo il paesaggio e mi riempio gli occhi dei colori dell’inverno. Penso che sole e tanta natura siano esattamente ciò di cui ora ho bisogno, e questo viaggio comincia sotto i migliori auspici. Il pranzo a B. è una delizia e tra i piatti spicca l’oca alle mandorle e alle rape (in castigliano rapa si dice nabo, che è anche il nome non propriamente scientifico che si dà all’organo sessuale maschile. Dopo la breve spiegazione, battute e risate). Ancor più piacevole, però, è l’affetto di cui questi amici carissimi sanno circondarci. Ogni volta, venire qui per noi significa ricaricarsi psicologicamente e distendersi al tempo stesso, lontano dalle frenesie parigine. Ci vogliono un gran bene e lo fanno sentire a ogni gesto. “Sono molto contento che siate qui”, dice a un certo punto T. Un sentimento ricambiato.
Il pomeriggio lo passiamo a fare un po’ di spesa: mangime per le loro galline e dolci per la famiglia di Staou, che vedremo domani. Andiamo anche a F., a cercare delle improbabili lenzuola di seta “alla Falcon Crest”, che alcuni loro amici gradirebbero ricevere come regalo. Mi diverte molto vedere le reazioni dei negozianti alla strampalata richiesta. Uno di loro afferma che “sono passate di moda”... In effetti: da quanto tempo non va più in onda Falcon Crest?
In macchina racconto in breve i miei ultimi mesi e troviamo anche il tempo di accennare alla situazione politica spagnola. Le elezioni si avvicinano e la vittoria di Zapatero è tutt’altro che scontata. Per come la vedono loro, la strategia della destra spagnola, in quest’ultimo periodo, è quella di un’opposizione relativamente tranquilla, dopo anni di critiche feroci e martellanti al governo socialista. Due sembrano essere i temi che possono influenzare maggiormente l’esito delle prossime elezioni: la politica istituzionale nei confronti dell’ETA, dopo il fallimento delle trattative, e l’atteggiamento del governo verso le regioni autonome, dopo che al recente referendum sul nuovo statuto catalano hanno partecipato pochissimi elettori. Secondo la loro previsione allo stato attuale delle cose, i socialisti perderanno voti ma saranno ugualmente chiamati a un governo di coalizione, vista l’indisponibilità degli altri partiti ad allearsi con il PP che fu di Aznar ed ora è nelle mani di Mariano Rajoy.
La sera, intorno a una tisana, commentiamo distrattamente alcuni srvizi della rivista gay e lesbica Zero e discutiamo ancora una volta della monarchia spagnola. Felipe regnerà, ma secondo T. sarà lui l’ultimo re di Spagna, visto il crescente sentimento antimonarchico di una parte della popolazione. J. invece pensa che gli avversari della monarchia non siano cresciuti di numero: se prima erano repubblicani, ora sono semplicemente antimonarchici, ma il risultato non cambia; l’immagine del re, secondo lui, non si è realmente appannata, anche se è vero che certe esibizioni di sfarzo che la corte non disdegna, vengono digerite con sempre maggiore difficoltà.
Il menù della cena prevede invece un dialogo molto sincero e sentito sulla sessualità, la loro e la nostra. Ho la sensazione netta che la nostra amicizia si stia approfondendo e arricchendo e che la fiducia reciproca sia grande. Sto bene. Me ne vado a dormire sereno. (Continua)

Via di qua (diario della fine): 2, 3.

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26 dicembre 2007

La cura per l’omosessualità? Pedalare!

Un gran senso di nausea. È ciò che si prova leggendo certe coraggiose inchieste (ancora grazie ad Anelli per la segnalazione) come quella di Davide Varì, giornalista di Liberazione, che ha indagato sui cosiddetti guaritori dei gay: si tratta di sedicenti psicoterapeuti i quali considerano ancora l’omosessualità come una malattia, da curare magari con qualche giro in bicicletta. Non siamo ai riti magici nelle notti di luna piena, ma poco ci manca. Il tutto in uno strettissimo legame con la Chiesa cattolica e le sue gerarchie, manco a dirlo. Se ancora non ne avete sentito parlare, cliccate sul link qui sopra e vomitiamo insieme.
È un’inchiesta da leggere per almeno due motivi: intanto perché mostra a quale violenza psicologica possono essere esposti gli omosessuali, soprattutto quelli più vulnerabili come gli adolescenti (in una frase che per me vale da sola tutta l’inchiesta, Varì scrive: “Per la prima volta, in un certo senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento sociale e culturale che vivono i gay”); e poi perché in questo clima natalizio, buonista, melenso e familista, rinforzato puntualmente dalle solite papate, il pezzo di Varì ci permette di spazzar via d’un colpo l’ipocrisia del “tutto sommato state bene, di che vi lamentate?” e di mostrare che c’è chi opera alacremente perché il Medioevo ritorni in auge.
Io ovviamente spero che sapremo sconfiggerli ed è questo il più bell’augurio che ci possiamo fare, credo, per l’anno che viene. Qualche stimolo davvero interessante per le lotte che si preparano mi è giunto qualche giorno fa, per me inaspettatamente, dagli Stati Uniti. Sto preparando la traduzione di un testo da mettere presto in linea, nella speranza che anche voi possiate trovarvi qualche spunto utile.


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19 dicembre 2007

Veltroni: un buon frocio è un frocio morto

La prima reazione è stata: “Alla faccia!”. E poi: “Ma chi crede di prendere in giro?”. Mi riferisco alla lettera pubblicata oggi da la Repubblica (ma occultata in fretta e furia dalla home page dell’omonimo sito, evidentemente per un rigurgito di pudore), firmata dal segretario del PD nonché sindaco romano, e dedicata alla vicenda del registro delle coppie di fatto. Veltroni non si è nemmeno presentato, due giorni fa, alla seduta del consiglio comunale nel quale il suo partito ha votato con “intelligente compattezza, senso di responsabilità e autentica laicità” insieme alle destre, contro due delibere (di cui una d’iniziativa popolare) che chiedevano l’istituzione di un registro delle unioni civili. Però interviene ora, a giochi ormai fatti, sollecitato da un articolo di Miriam Mafai (nota barricadera) che indica in quel voto una sconfitta del PD e della laicità.

Singolare, innanzitutto, il fatto che Veltroni si richiami in continuazione, nella sua lettera, proprio al tema della laicità dello Stato: dal momento che su queste delibere Veltroni è andato a farsi dettare la linea dalle gerarchie vaticane, quelle stesse che poi hanno martellato per giorni i suoi consiglieri perché votassero contro, dal momento che è stato il sindaco di Roma a promettere che non se ne sarebbe fatto nulla, quale credibilità possono avere le sue parole oggi? Davvero riesce ad addormentarsi la notte? O non si vergogna, per caso, almeno un po’ dopo aver scritto certe cose?

La tattica difesiva è quella che i suoi degni compari ci hanno servito già ieri e l’altroieri: il PD ha offerto, udite udite, “un ordine del giorno coraggioso ed equilibrato, un terreno di confronto avanzato, serio e rispettoso di tutte le sensibilità”. Misurate bene le parole: proporre al consiglio di lavarsene le mani per esortare invece il Parlamento a discutere dei CUS (cioè il nulla sotto vuoto spinto), era... “coraggioso” e “avanzato”. Ripetete: “coraggioso” e “avanzato”... Ed anche “rispettoso di tutte le sensibilità”: beh, questo almeno sì, nel senso che essendo il PD espressione degli interessi vaticani, è evidente come “sulle due delibere di iniziativa popolare e consiliare [...] non c’era una maggioranza sicura e comunque il loro contenuto era legittimo ma discutibile e non da tutti condiviso”. Dunque, riassumendo: la colpa per la presentazione dell’insipido e ipocrita ordine del giorno piddino è del fatto che non c’era una maggioranza sulle due delibere (per di più giudicate “discutibili”: e perché, di grazia?). Ma chi ha fatto mancare la maggioranza alle due delibere? Il PD... Ohibò. Ripeto: chi crede di prendere in giro? Eppoi si stupisce se “la sinistra radicale” non ha votato l’inutile ed offensivo ordine del giorno. Ci mancherebbe altro!

Per dimostrare il grado di “autentica laicità” della sua politica, Veltroni infine afferma: “Non so se quarant’anni fa sarebbe stato possibile dedicare una via ad omosessuali vittime di violenza e pregiudizi omofobi o se un’Amministrazione Comunale si sarebbe costituita parte civile a favore di queste vittime”. Finalmente un atto concreto che incide davvero sulle vite di tanti cittadini e di tante cittadine: le targhe delle vie! Come avevo fatto a non pensarci prima?

Ecco, dunque, i froci che piacciono a Veltroni: morti ammazzati, morti il cui nome figurerebbe bene su una lapide alla quale deporre fiori, morti da rievocare nelle aule di un tribunale. Da vivi, invece, i vostri amori, i vostri affetti, la vostra sessualità, in fin dei conti la vostra intera esistenza, non contano nulla e devono sparire. Anche per Veltroni, insomma, meglio morti che froci.


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18 dicembre 2007

Al diavolo il PD

È questo il momento nel quale molti, giustamente, s’indignano per i fatti di Roma: per farla breve, il Partito Democratico palesemente genuflesso ai voleri del Vaticano, per cui nemmeno un riconoscimento puramente formale delle coppie di fatto come poteva essere il registro delle unioni civili da istituire presso il comune della capitale, riesce ad essere approvato (leggetevi i post di chi ha seguito quel Consiglio comunale, di persona o a distanza). Veltroni ha latitato, forse ha provato vergogna per essere andato in Vaticano a farsi dettare la linea che il partito degli omofobi (il suo... il vostro?) avrebbe dovuto tenere in consiglio (“Non se ne farà niente”, promessa mantenuta).
Oggi molti aderenti al Partito cosiddetto Democratico tentano di scaricare la responsabilità sulla sinistra radicale, occultando furbescamente la propria meschinità e cercando di massimizzare il profitto (tre esponenti a caso: Perugini, Santilli e il blogger Pieroni; personaggi che non linko, tanto è il disgusto nei loro confronti). Vorrebbero così dimostrare di essere quei baciapile che il Vaticano cerca, insultare gay e lesbiche e allo stesso tempo screditare gli unici partiti della maggioranza capitolina che si sono battuti per il registro (sinistra, radicali e socialisti). L’operazione è grossolana ma ci pone davanti a un’evidenza ormai incontrovertibile e che andrebbe ribadita a ogni piè sospinto: chiunque sostenga il Partito Democratico è, oggettivamente, un nostro nemico. Non ci sono scuse che tengano: bisogna che ci ficchiamo bene in testa che la manfrina secondo la quale “è meglio cercare di cambiare stando dentro” sono solo ciance, specchietti per le allodole, terribili ed oscene falsità durate fin troppo a lungo. Chiunque le pronunci e sia dotato di una seppur minima coscienza politica, vi sta mentendo sapendo di mentire.
Si pone anche il problema delle alleanze. Faccio un esempio: se Sinistra Democratica sceglie l’alleanza strategica con il PD io non la voto neanche sotto tortura. Non intendo più avallare, né direttamente né indirettamente, né da vicino né da lontano, chi promette di levare la discriminazione che mi colpisce per poi svendere il principio sull’altare della governabilità. Chiunque venisse a raccontarvi che l’alleanza è necessaria “per non far passare le destre” e sia dotato di una seppur minima coscienza politica, vi sta mentendo sapendo di mentire: proprio ieri a Roma il PD ha fatto “passare le destre” eccome, votando con loro contro l’istituzione del registro (si diceva, neanche tanto tempo fa, “la destra più becera”, ma c’è qualcosa di più becero che vedere veltroniani, finocchiariani, dalemiani e altri burattini votare con la destra?).
Perché non sia vana la rabbia dei tanti e delle tante che si sentono quotidianamente infangat* da questi rottami inguardabili, ricordiamoci sempre chi è il nemico. Teniamo ben presente, sempre e in qualsiasi circostanza, che questi avranno sempre qualcosa di più importante, di più urgente, di meglio da fare che pensare a voi. Sulla nostra testa, al massimo, potranno organizzare indecenti balletti e scambi di voti, come è avvenuto recentemente con la norma antiomofobia inserita nel pacchetto sicurezza, approvata per un soffio ma solo dietro la promessa di cancellarla subito. E allora noi dobbiamo dimostrare di avere di meglio da fare che pensare a loro. Vorrei scriverlo senza retorica cercando di tenere a freno la mia enorme collera: siamo solo noi a poter decidere del nostro futuro e del nostro destino. Riprendiamocelo, riorganizziamoci, strappiamo i nostri diritti a chi ce li nega ancora, lottiamo. Con durezza, certo, se necessario. Il tempo delle mediazioni, dei distinguo e dei referenti politici, se mai è stato opportuno, è scaduto da un bel po’ e non per colpa nostra. Quanto ci vorrà perché lo capiamo anche noi?

[Sabato 9 febbraio 2008 a Roma: No Vat! (dal sito di Facciamo Breccia)]


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12 dicembre 2007

I democratici (cristiani) per la legge e l’ordine

Una delle perversioni più devastanti che di tanto in tanto mi concedo è, oltre al fugace brivido di uno o due post dei piddini di Kilombo (metablog delle... “sinistre”), la lettura di quell’autentica grancassa che è la Repubblica. Il partito è sempre quello, ovviamente: Democratico (Cristiano, perché in Italia la divisione fra Stato e Chiesa deve ancora venire. Aspettate, c’è tempo, è solo il 2007 in fin dei conti!). Conosci il nemico, si diceva una volta. E va bene, ma svegliarsi e leggersi gli editoriali di Massimo Giannini è qualcosa di più, è la realizzazione di un insano masochismo: so con certezza, dalle prime righe, che la mia giornata sarà irrimediabilmente rovinata*.
Oggi estraggo solo l’ultima parte del suo pezzo sullo sciopero degli autotrasportatori, che porta un titolo da “è arrivato il castigamatti”: “Non si tratta con chi protesta così”, lotta dura senza paura. Dice il nostro, per concludere: “Con chi tiene sotto ricatto la collettività, non si dovrebbe mai trattare. Non c’è bisogno di scomodare la Gran Bretagna di Margareth Thatcher, che al tempo delle lotte durissime dei minatori inglesi ripeteva ‘niente birra e panini al numero 10 di Downing Street’. Basta guardare alla Francia di Sarkozy, che ha retto l’urto dei ferrovieri e degli autotrasportatori per un’intera settimana. Alla fine hanno ceduto loro. E solo a quel punto hanno trovato udienza a Palazzo Matignon”.
Peccato davvero che la storia di quest’ultimo conflitto in Francia non sia andata esattamente come piacerebbe a Giannini, non a caso estimatore di un politico di destra molto insidioso come il piccolo Nicolas. Intanto lo sciopero non riguardava affatto gli autotrasportatori, ma i ferrovieri, i conducenti della metropolitana e più in generale tutti i lavoratori dei cosiddetti “regimi speciali” (per esempio anche quelli delle aziende dell’elettricità o del gas), cioè quelli ai quali era fin qui riconosciuta una specificità che consentiva loro di andare in pensione con 37 anni e mezzo di contributi anziché gli attuali 40 previsti per le altre categorie (la riforma Sarkozy-Fillon vuole innalzare a 40 anni i contributi anche per loro e portarli a 41 o 42 anni per gli altri lavoratori nel 2008). Lo sciopero è durato nove giorni, non una settimana e al di là degli atteggiamenti fintamente baldanzosi del governo, che fosse necessario aprire una trattativa con i sindacati era ben chiaro a tutti già dalle prime ore, vista l’adesione massiccia e la rabbia della base. Non si è atteso che l’agitazione finisse per comprenderlo. Pare che ai negoziati, cui partecipano tuttora anche le direzioni delle società interessate (la SNCF, per esempio, o la RATP), si stia ottenendo qualche misura che riduce l’impatto della cosiddetta “riforma” (che è, in realtà, un arretramento rispetto ai diritti acquisiti) . Questo, poco o tanto che sia (lo si vedrà al termine dei negoziati), è possibile non perché gli scioperanti hanno ceduto davanti alla presunta “fermezza” del governo, ma al contrario, perché hanno resistito oltre le sue previsioni, attuando, oltre ai classici picchetti, anche sporadiche forme di boicottaggio dei crumiri come il blocco dei treni in partenza. Sembra persino superfluo dirlo, ma tant’è...
Ci si chiede sinceramente fin dove può arrivare l’attacco al diritto di sciopero - che è il vero obiettivo di Giannini, secondo una moda che non conosce confini. Posto che l’astensione dal lavoro non è proclamata per fare “ostaggi” (versione francese del “ricatto alla collettività” italiano) ma per ottenere soddisfazione una volta aperta una vertenza, forse è proprio di questo che Giannini avrebbe potuto parlarci: di come i media come quello su cui scrive sollecitino, ingigantiscano e poi utilizzino il malcontento di chi non sciopera, in chiave antisindacale e autoritaria. In questo caso (ma solo in questo), il paragone tra la Francia e l’Italia sarebbe stato opportuno.

* Tranquillizzatevi, comunque, sto cercando di smettere! E vi risparmio il coretto di Giovanni Valentini, per il quale “una sfida tuttora attuale per i riformisti italiani, a cominciare naturalmente dal Partito democratico” sarebbe quella di fare proprio, sulla scia di quanto fatto da Tony Blair, il proposito di instaurare “law and order, legge e ordine”. E adesso un consiglio. Se rifuggite la propaganda e avete voglia di vederci un po’ più chiaro sul contesto di questa protesta (durissima, certo, ma chi l’ha detto che il conflitto deve essere dolce e innocuo, sopportabile perché non incide sulla nostra quotidianità?), andate a leggere questa analisi controcorrente di Mario. Difficile che possiate trovare sui nostri media qualcosa di simile.


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06 dicembre 2007

Impiccato un altro gay in Iran

Avevamo cantato vittoria troppo presto. Makwan Moloudzadeh, 21 anni, è stato impiccato ieri mattina nella prigione di Kermanshah, in Iran. La sua colpa, come avevo raccontato in questo post, è stata quella di aver avuto rapporti anali (l’accusa, smentita dai testimoni al processo, ha parlato di “violenza carnale”) quando aveva appena 13 anni. In seguito alle pressioni internazionali scatenate dal suo caso, incentrate sul rifiuto della pena di morte in generale e per punire fatti commessi da minorenni in particolare, il responsabile della giustizia iraniana, Mahmoud Hashemi Shahroudi, aveva annullato la sentenza, dichiarandola contraria ai precetti islamici, agli orientamenti delle autorità religiose e alla legge del suo paese.
L’organismo preposto alla revisione del processo di Makwan Moloudzadeh (“Special Supervision Bureau of the Iranian Justice Department”) ha ribaltato la decisione del responsabile della giustizia, ripristinando la sentenza originale che è stata prontamente eseguita. La notizia dell’avvenuta esecuzione è stata data, tra gli altri, dalla Commissione internazionale per i diritti di gay e lesbiche (IGLHRC, una ONG statunitense con sede a New York), in Francia dalla rivista gay e lesbica Têtu e in Italia dal gruppo EveryOne (a me finora sconosciuto), che in un suo comunicato afferma di essere in stretto contatto con la famiglia di Makwan. I familiari del giovane gay iraniano, così come il suo avvocato, sono stati informati solo dopo l’uccisione.
Oltre a denunciare i “crimini contro l’umanità” perpetrati da Ahmadinejad e dal suo governo, il gruppo EveryOne, nello stesso comunicato, afferma che “anche i Paesi democratici devono farsi un esame di coscienza e comprendere che la lotta contro l’omofobia inizia con il riconoscimento paritario delle unioni omosessuali, perché senza questo diritto fondamentale i gay e le lesbiche sono condannati all’emarginazione”.

Fonti: EveryOne, IGLHRC, Têtu.


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01 dicembre 2007

HIV in Francia: cala il contagio, ma non fra i gay

“Sono spiritualmente vicino a quanti soffrono per questa terribile malattia come pure alle loro famiglie, in particolare a quelle colpite dalla perdita di un congiunto. Per tutti assicuro la mia preghiera. Desidero, inoltre, esortare tutte le persone di buona volontà a moltiplicare gli sforzi per fermare la diffusione del virus HIV, a contrastare lo spregio che sovente colpisce quanti ne sono affetti, e a prendersi cura dei malati, specialmente quando sono ancora fanciulli”. Era Ratzi. Sì, proprio lui, il Papa. Il capo di quelle gerarchie che, come impegno a fermare la diffusione del virus predicano la castità contro l’uso del preservativo e in quanto a spregio nei confronti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali non scherzano davvero. L’ipocrisia, insomma, non è morta il 1° dicembre.
Passiamo quindi alle cose serie. A che punto del guado ci troviamo? Ecco qualche dato sulla diffusione del virus HIV in Francia. Globalmente, il numero di contagi registrati nel 2006 ammonta a circa 6300, cioè il 4% in meno rispetto al 2005 (17 contaminazioni ogni giorno). Nello stesso periodo si è registrato un calo del 5% nel numero di esami del sangue effettuati. Tuttavia, se da un lato l’Osservatorio sanitario francese (INVS) giudica “incoraggiante l’andamento [dei contagi, ndr], dal momento che esso è stabile dal 2004”, i motivi d’inquietudine non mancano. Le infezioni in seguito a rapporti eterosessuali in Francia restano la maggioranza (48% del totale nel 2006), ma quelle dovute a rapporti omosessuali (29%), a differenza delle prime, non registrano nessun calo, dopo l’aumento osservato tra il 2003 e il 2005. Questo significa che una certa tendenza all’abbandono delle pratiche di sesso sicuro fino a qualche tempo fa adottate dalla comunità omosessuale è confermata, come si può dedurre anche da altri indicatori, come l’aumento dei casi di sifilide e di linfogranuloma venereo tra i gay. Da notare poi che in Francia, nella popolazione omosessuale, il tasso di contagio resta 70 volte superiore a quello riscontrabile fra gli e le eterosessuali.
“Le cifre parlano chiaro,” - dice il fondatore di ActUp Paris, Didier Lestrade, al quotidiano Libération - “la maggior parte della ripresa dell’epidemia in Francia è riservata agli omosessuali. Credevamo che ci sarebbe stata una reazione forte da parte di tutti gli attori, tra i quali i medici. Niente. Dal 1997 al 2001 ci dicevano ‘sono solo supposizioni, aspettiamo le cifre’. Adesso che le cifre le abbiamo, che si fa?”. È lo stesso Lestrade ad avanzare una proposta: “Negli Stati Uniti, da due anni si utilizzano dei test immediati e si nota che questi incidono direttamente sulla quantità di analisi e sulla prevenzione. E la curva dell’epidemia flette. In Francia, i giovani gay fanno meno test e li fanno male. Perché far finta di niente?”. Il ministro della sanità francese, Roseline Bachelot, sembra rispondere positivamente a questa richiesta, indicando come obiettivo per il prossimo anno proprio la sperimentazione di test che permettono di ottenere una risposta in venti minuti a partire da una goccia di sangue o da un po’ di saliva.
Allo stesso tempo, il ministero della sanità ha lanciato lunedì scorso la nuova campagna di prevenzione. Si tratta di uno spot che ritrae coppie di ogni tipo durante un rapporto sessuale, al quale assiste minaccioso, sebbene invisibile agli occhi dei due partner, il virus.

“L’HIV è ancora qui. Proteggetevi”, è lo slogan che compare anche sui manifesti destinati alla comunità gay, accompagnato da un cliché della fotografa Nan Goldin. Le rivendicazioni di ActUp Paris - che ha manifestato ieri con un corteo da Porte Saint Denis a piazza della Bastiglia - si sono focalizzate quest’anno sulla condizione delle donne: “Presto il numero di donne sieropositive sarà pari a quello degli uomini sieropositivi; a quando l’uguaglianza delle donne e degli uomini dinanzi alla ricerca, ai programmi di prevenzione, all’impiego, al reddito, alle cure?”.
Tra i programmi che sono stati dedicati all’AIDS in occasione del primo dicembre, segnalo in particolare una serie di cinque reportage trasmessi da France Culture (in francese, ovviamente; un’ora ciascuno, davvero interessanti): sull’importanza della cooperazione Nord-Sud, l’esempio di un gemellaggio riuscito tra la Francia e il Mali (France et Mali, compagnons de lutte contre le V.I.H.); sulla possibilità per le persone sieropositive di avere figli, ormai quasi senza rischi (Bébés + : les enfants sans virus); sulle difficoltà per alcun* adolescenti di scoprirsi sieropositivi dalla nascita (Avoir dix-huit ans avec le V.I.H.); sui cosiddetti “controllori del virus”, cioè su quell’1% di persone sieropositive che, senza seguire alcuna cura, non sviluppano mai la malattia (Sida : une guerre intime); sulla questione se sia possibile punire penalmente la trasmissione del virus, oppure se non si debba piuttosto ribadire il concetto di responsabilità condivisa tra i partner (La pénalisation du V.I.H.).


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