Via di qua (diario della fine) - 2

Scritto da Gabriele alle 18:38 3 commenti
Giovedì 27 dicembre. La sveglia suonerà solo alle 7,30, ma è una notte un po’ agitata, io e Staou ci risvegliamo a più riprese. Usciamo di casa un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, prendiamo la metropolitana per arrivare a Porte Maillot, dove facciamo appena in tempo a fare il biglietto e salire sulla navetta per l’aeroporto di Beauvais. Durante tutto il tragitto (un’ora e mezza circa) non faccio che pensare alla poposta di M., giunta inaspettatamente qualche giorno fa. È al tempo stesso il migliore e il peggiore momento per prendere una decisione di tale importanza. Tuttavia mi sento stranamente ottimista e comincio già a fantasticare sul progetto e sui contenuti che vorrei avesse. Ancora sulla corriera, penso che i primi giorni di gennaio saranno importanti, che dovrò risentire M. e prendere con lui una decisione definitiva. Intanto Staou ascolta musica con il lettore mp3. È contento e mi sorride spesso.
In aereo tento di concentrarmi sulla traduzione, nonostante le turbolenze che di tanto in tanto si fanno sentire. Ma l’atterraggio all’aeroporto di Girona arriva presto e già scendendo la scaletta e guardandomi intorno, mi sembra di essermi lasciato alle spalle il grigio e il freddo degli ultimi giorni a Parigi. Abbracciamo J. che è venuto a prenderci. Mentre andiamo in macchina a B., il paese dove vive insieme al suo compagno T., osservo il paesaggio e mi riempio gli occhi dei colori dell’inverno. Penso che sole e tanta natura siano esattamente ciò di cui ora ho bisogno, e questo viaggio comincia sotto i migliori auspici. Il pranzo a B. è una delizia e tra i piatti spicca l’oca alle mandorle e alle rape (in castigliano rapa si dice nabo, che è anche il nome non propriamente scientifico che si dà all’organo sessuale maschile. Dopo la breve spiegazione, battute e risate). Ancor più piacevole, però, è l’affetto di cui questi amici carissimi sanno circondarci. Ogni volta, venire qui per noi significa ricaricarsi psicologicamente e distendersi al tempo stesso, lontano dalle frenesie parigine. Ci vogliono un gran bene e lo fanno sentire a ogni gesto. “Sono molto contento che siate qui”, dice a un certo punto T. Un sentimento ricambiato.
Il pomeriggio lo passiamo a fare un po’ di spesa: mangime per le loro galline e dolci per la famiglia di Staou, che vedremo domani. Andiamo anche a F., a cercare delle improbabili lenzuola di seta “alla Falcon Crest”, che alcuni loro amici gradirebbero ricevere come regalo. Mi diverte molto vedere le reazioni dei negozianti alla strampalata richiesta. Uno di loro afferma che “sono passate di moda”... In effetti: da quanto tempo non va più in onda Falcon Crest?
In macchina racconto in breve i miei ultimi mesi e troviamo anche il tempo di accennare alla situazione politica spagnola. Le elezioni si avvicinano e la vittoria di Zapatero è tutt’altro che scontata. Per come la vedono loro, la strategia della destra spagnola, in quest’ultimo periodo, è quella di un’opposizione relativamente tranquilla, dopo anni di critiche feroci e martellanti al governo socialista. Due sembrano essere i temi che possono influenzare maggiormente l’esito delle prossime elezioni: la politica istituzionale nei confronti dell’ETA, dopo il fallimento delle trattative, e l’atteggiamento del governo verso le regioni autonome, dopo che al recente referendum sul nuovo statuto catalano hanno partecipato pochissimi elettori. Secondo la loro previsione allo stato attuale delle cose, i socialisti perderanno voti ma saranno ugualmente chiamati a un governo di coalizione, vista l’indisponibilità degli altri partiti ad allearsi con il PP che fu di Aznar ed ora è nelle mani di Mariano Rajoy.
La sera, intorno a una tisana, commentiamo distrattamente alcuni srvizi della rivista gay e lesbica Zero e discutiamo ancora una volta della monarchia spagnola. Felipe regnerà, ma secondo T. sarà lui l’ultimo re di Spagna, visto il crescente sentimento antimonarchico di una parte della popolazione. J. invece pensa che gli avversari della monarchia non siano cresciuti di numero: se prima erano repubblicani, ora sono semplicemente antimonarchici, ma il risultato non cambia; l’immagine del re, secondo lui, non si è realmente appannata, anche se è vero che certe esibizioni di sfarzo che la corte non disdegna, vengono digerite con sempre maggiore difficoltà.
Il menù della cena prevede invece un dialogo molto sincero e sentito sulla sessualità, la loro e la nostra. Ho la sensazione netta che la nostra amicizia si stia approfondendo e arricchendo e che la fiducia reciproca sia grande. Sto bene. Me ne vado a dormire sereno. (Continua)
Via di qua (diario della fine): 2, 3.
Scritto da Gabriele alle 17:14 5 commenti
Un gran senso di nausea. È ciò che si prova leggendo certe coraggiose inchieste (ancora grazie ad Anelli per la segnalazione) come quella di Davide Varì, giornalista di Liberazione, che ha indagato sui cosiddetti guaritori dei gay: si tratta di sedicenti psicoterapeuti i quali considerano ancora l’omosessualità come una malattia, da curare magari con qualche giro in bicicletta. Non siamo ai riti magici nelle notti di luna piena, ma poco ci manca. Il tutto in uno strettissimo legame con la Chiesa cattolica e le sue gerarchie, manco a dirlo. Se ancora non ne avete sentito parlare, cliccate sul link qui sopra e vomitiamo insieme.
È un’inchiesta da leggere per almeno due motivi: intanto perché mostra a quale violenza psicologica possono essere esposti gli omosessuali, soprattutto quelli più vulnerabili come gli adolescenti (in una frase che per me vale da sola tutta l’inchiesta, Varì scrive: “Per la prima volta, in un certo senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento sociale e culturale che vivono i gay”); e poi perché in questo clima natalizio, buonista, melenso e familista, rinforzato puntualmente dalle solite papate, il pezzo di Varì ci permette di spazzar via d’un colpo l’ipocrisia del “tutto sommato state bene, di che vi lamentate?” e di mostrare che c’è chi opera alacremente perché il Medioevo ritorni in auge.
Io ovviamente spero che sapremo sconfiggerli ed è questo il più bell’augurio che ci possiamo fare, credo, per l’anno che viene. Qualche stimolo davvero interessante per le lotte che si preparano mi è giunto qualche giorno fa, per me inaspettatamente, dagli Stati Uniti. Sto preparando la traduzione di un testo da mettere presto in linea, nella speranza che anche voi possiate trovarvi qualche spunto utile.
Scritto da Gabriele alle 17:02 4 commenti
Categorie: Omofobia
La prima reazione è stata: “Alla faccia!”. E poi: “Ma chi crede di prendere in giro?”. Mi riferisco alla lettera pubblicata oggi da la Repubblica (ma occultata in fretta e furia dalla home page dell’omonimo sito, evidentemente per un rigurgito di pudore), firmata dal segretario del PD nonché sindaco romano, e dedicata alla vicenda del registro delle coppie di fatto. Veltroni non si è nemmeno presentato, due giorni fa, alla seduta del consiglio comunale nel quale il suo partito ha votato con “intelligente compattezza, senso di responsabilità e autentica laicità” insieme alle destre, contro due delibere (di cui una d’iniziativa popolare) che chiedevano l’istituzione di un registro delle unioni civili. Però interviene ora, a giochi ormai fatti, sollecitato da un articolo di Miriam Mafai (nota barricadera) che indica in quel voto una sconfitta del PD e della laicità.
Singolare, innanzitutto, il fatto che Veltroni si richiami in continuazione, nella sua lettera, proprio al tema della laicità dello Stato: dal momento che su queste delibere Veltroni è andato a farsi dettare la linea dalle gerarchie vaticane, quelle stesse che poi hanno martellato per giorni i suoi consiglieri perché votassero contro, dal momento che è stato il sindaco di Roma a promettere che non se ne sarebbe fatto nulla, quale credibilità possono avere le sue parole oggi? Davvero riesce ad addormentarsi la notte? O non si vergogna, per caso, almeno un po’ dopo aver scritto certe cose?
La tattica difesiva è quella che i suoi degni compari ci hanno servito già ieri e l’altroieri: il PD ha offerto, udite udite, “un ordine del giorno coraggioso ed equilibrato, un terreno di confronto avanzato, serio e rispettoso di tutte le sensibilità”. Misurate bene le parole: proporre al consiglio di lavarsene le mani per esortare invece il Parlamento a discutere dei CUS (cioè il nulla sotto vuoto spinto), era... “coraggioso” e “avanzato”. Ripetete: “coraggioso” e “avanzato”... Ed anche “rispettoso di tutte le sensibilità”: beh, questo almeno sì, nel senso che essendo il PD espressione degli interessi vaticani, è evidente come “sulle due delibere di iniziativa popolare e consiliare [...] non c’era una maggioranza sicura e comunque il loro contenuto era legittimo ma discutibile e non da tutti condiviso”. Dunque, riassumendo: la colpa per la presentazione dell’insipido e ipocrita ordine del giorno piddino è del fatto che non c’era una maggioranza sulle due delibere (per di più giudicate “discutibili”: e perché, di grazia?). Ma chi ha fatto mancare la maggioranza alle due delibere? Il PD... Ohibò. Ripeto: chi crede di prendere in giro? Eppoi si stupisce se “la sinistra radicale” non ha votato l’inutile ed offensivo ordine del giorno. Ci mancherebbe altro!
Per dimostrare il grado di “autentica laicità” della sua politica, Veltroni infine afferma: “Non so se quarant’anni fa sarebbe stato possibile dedicare una via ad omosessuali vittime di violenza e pregiudizi omofobi o se un’Amministrazione Comunale si sarebbe costituita parte civile a favore di queste vittime”. Finalmente un atto concreto che incide davvero sulle vite di tanti cittadini e di tante cittadine: le targhe delle vie! Come avevo fatto a non pensarci prima?
Ecco, dunque, i froci che piacciono a Veltroni: morti ammazzati, morti il cui nome figurerebbe bene su una lapide alla quale deporre fiori, morti da rievocare nelle aule di un tribunale. Da vivi, invece, i vostri amori, i vostri affetti, la vostra sessualità, in fin dei conti la vostra intera esistenza, non contano nulla e devono sparire. Anche per Veltroni, insomma, meglio morti che froci.
Scritto da Gabriele alle 15:40 10 commenti
È questo il momento nel quale molti, giustamente, s’indignano per i fatti di Roma: per farla breve, il Partito Democratico palesemente genuflesso ai voleri del Vaticano, per cui nemmeno un riconoscimento puramente formale delle coppie di fatto come poteva essere il registro delle unioni civili da istituire presso il comune della capitale, riesce ad essere approvato (leggetevi i post di chi ha seguito quel Consiglio comunale, di persona o a distanza). Veltroni ha latitato, forse ha provato vergogna per essere andato in Vaticano a farsi dettare la linea che il partito degli omofobi (il suo... il vostro?) avrebbe dovuto tenere in consiglio (“Non se ne farà niente”, promessa mantenuta).
Oggi molti aderenti al Partito cosiddetto Democratico tentano di scaricare la responsabilità sulla sinistra radicale, occultando furbescamente la propria meschinità e cercando di massimizzare il profitto (tre esponenti a caso: Perugini, Santilli e il blogger Pieroni; personaggi che non linko, tanto è il disgusto nei loro confronti). Vorrebbero così dimostrare di essere quei baciapile che il Vaticano cerca, insultare gay e lesbiche e allo stesso tempo screditare gli unici partiti della maggioranza capitolina che si sono battuti per il registro (sinistra, radicali e socialisti). L’operazione è grossolana ma ci pone davanti a un’evidenza ormai incontrovertibile e che andrebbe ribadita a ogni piè sospinto: chiunque sostenga il Partito Democratico è, oggettivamente, un nostro nemico. Non ci sono scuse che tengano: bisogna che ci ficchiamo bene in testa che la manfrina secondo la quale “è meglio cercare di cambiare stando dentro” sono solo ciance, specchietti per le allodole, terribili ed oscene falsità durate fin troppo a lungo. Chiunque le pronunci e sia dotato di una seppur minima coscienza politica, vi sta mentendo sapendo di mentire.
Si pone anche il problema delle alleanze. Faccio un esempio: se Sinistra Democratica sceglie l’alleanza strategica con il PD io non la voto neanche sotto tortura. Non intendo più avallare, né direttamente né indirettamente, né da vicino né da lontano, chi promette di levare la discriminazione che mi colpisce per poi svendere il principio sull’altare della governabilità. Chiunque venisse a raccontarvi che l’alleanza è necessaria “per non far passare le destre” e sia dotato di una seppur minima coscienza politica, vi sta mentendo sapendo di mentire: proprio ieri a Roma il PD ha fatto “passare le destre” eccome, votando con loro contro l’istituzione del registro (si diceva, neanche tanto tempo fa, “la destra più becera”, ma c’è qualcosa di più becero che vedere veltroniani, finocchiariani, dalemiani e altri burattini votare con la destra?).
Perché non sia vana la rabbia dei tanti e delle tante che si sentono quotidianamente infangat* da questi rottami inguardabili, ricordiamoci sempre chi è il nemico. Teniamo ben presente, sempre e in qualsiasi circostanza, che questi avranno sempre qualcosa di più importante, di più urgente, di meglio da fare che pensare a voi. Sulla nostra testa, al massimo, potranno organizzare indecenti balletti e scambi di voti, come è avvenuto recentemente con la norma antiomofobia inserita nel pacchetto sicurezza, approvata per un soffio ma solo dietro la promessa di cancellarla subito. E allora noi dobbiamo dimostrare di avere di meglio da fare che pensare a loro. Vorrei scriverlo senza retorica cercando di tenere a freno la mia enorme collera: siamo solo noi a poter decidere del nostro futuro e del nostro destino. Riprendiamocelo, riorganizziamoci, strappiamo i nostri diritti a chi ce li nega ancora, lottiamo. Con durezza, certo, se necessario. Il tempo delle mediazioni, dei distinguo e dei referenti politici, se mai è stato opportuno, è scaduto da un bel po’ e non per colpa nostra. Quanto ci vorrà perché lo capiamo anche noi?
[Sabato 9 febbraio 2008 a Roma: No Vat! (dal sito di Facciamo Breccia)]
Scritto da Gabriele alle 18:36 5 commenti
Una delle perversioni più devastanti che di tanto in tanto mi concedo è, oltre al fugace brivido di uno o due post dei piddini di Kilombo (metablog delle... “sinistre”), la lettura di quell’autentica grancassa che è la Repubblica. Il partito è sempre quello, ovviamente: Democratico (Cristiano, perché in Italia la divisione fra Stato e Chiesa deve ancora venire. Aspettate, c’è tempo, è solo il 2007 in fin dei conti!). Conosci il nemico, si diceva una volta. E va bene, ma svegliarsi e leggersi gli editoriali di Massimo Giannini è qualcosa di più, è la realizzazione di un insano masochismo: so con certezza, dalle prime righe, che la mia giornata sarà irrimediabilmente rovinata*.
Oggi estraggo solo l’ultima parte del suo pezzo sullo sciopero degli autotrasportatori, che porta un titolo da “è arrivato il castigamatti”: “Non si tratta con chi protesta così”, lotta dura senza paura. Dice il nostro, per concludere: “Con chi tiene sotto ricatto la collettività, non si dovrebbe mai trattare. Non c’è bisogno di scomodare la Gran Bretagna di Margareth Thatcher, che al tempo delle lotte durissime dei minatori inglesi ripeteva ‘niente birra e panini al numero 10 di Downing Street’. Basta guardare alla Francia di Sarkozy, che ha retto l’urto dei ferrovieri e degli autotrasportatori per un’intera settimana. Alla fine hanno ceduto loro. E solo a quel punto hanno trovato udienza a Palazzo Matignon”.
Peccato davvero che la storia di quest’ultimo conflitto in Francia non sia andata esattamente come piacerebbe a Giannini, non a caso estimatore di un politico di destra molto insidioso come il piccolo Nicolas. Intanto lo sciopero non riguardava affatto gli autotrasportatori, ma i ferrovieri, i conducenti della metropolitana e più in generale tutti i lavoratori dei cosiddetti “regimi speciali” (per esempio anche quelli delle aziende dell’elettricità o del gas), cioè quelli ai quali era fin qui riconosciuta una specificità che consentiva loro di andare in pensione con 37 anni e mezzo di contributi anziché gli attuali 40 previsti per le altre categorie (la riforma Sarkozy-Fillon vuole innalzare a 40 anni i contributi anche per loro e portarli a 41 o 42 anni per gli altri lavoratori nel 2008). Lo sciopero è durato nove giorni, non una settimana e al di là degli atteggiamenti fintamente baldanzosi del governo, che fosse necessario aprire una trattativa con i sindacati era ben chiaro a tutti già dalle prime ore, vista l’adesione massiccia e la rabbia della base. Non si è atteso che l’agitazione finisse per comprenderlo. Pare che ai negoziati, cui partecipano tuttora anche le direzioni delle società interessate (la SNCF, per esempio, o la RATP), si stia ottenendo qualche misura che riduce l’impatto della cosiddetta “riforma” (che è, in realtà, un arretramento rispetto ai diritti acquisiti) . Questo, poco o tanto che sia (lo si vedrà al termine dei negoziati), è possibile non perché gli scioperanti hanno ceduto davanti alla presunta “fermezza” del governo, ma al contrario, perché hanno resistito oltre le sue previsioni, attuando, oltre ai classici picchetti, anche sporadiche forme di boicottaggio dei crumiri come il blocco dei treni in partenza. Sembra persino superfluo dirlo, ma tant’è...
Ci si chiede sinceramente fin dove può arrivare l’attacco al diritto di sciopero - che è il vero obiettivo di Giannini, secondo una moda che non conosce confini. Posto che l’astensione dal lavoro non è proclamata per fare “ostaggi” (versione francese del “ricatto alla collettività” italiano) ma per ottenere soddisfazione una volta aperta una vertenza, forse è proprio di questo che Giannini avrebbe potuto parlarci: di come i media come quello su cui scrive sollecitino, ingigantiscano e poi utilizzino il malcontento di chi non sciopera, in chiave antisindacale e autoritaria. In questo caso (ma solo in questo), il paragone tra la Francia e l’Italia sarebbe stato opportuno.
* Tranquillizzatevi, comunque, sto cercando di smettere! E vi risparmio il coretto di Giovanni Valentini, per il quale “una sfida tuttora attuale per i riformisti italiani, a cominciare naturalmente dal Partito democratico” sarebbe quella di fare proprio, sulla scia di quanto fatto da Tony Blair, il proposito di instaurare “law and order, legge e ordine”. E adesso un consiglio. Se rifuggite la propaganda e avete voglia di vederci un po’ più chiaro sul contesto di questa protesta (durissima, certo, ma chi l’ha detto che il conflitto deve essere dolce e innocuo, sopportabile perché non incide sulla nostra quotidianità?), andate a leggere questa analisi controcorrente di Mario. Difficile che possiate trovare sui nostri media qualcosa di simile.
Avevamo cantato vittoria troppo presto. Makwan Moloudzadeh, 21 anni, è stato impiccato ieri mattina nella prigione di Kermanshah, in Iran. La sua colpa, come avevo raccontato in questo post, è stata quella di aver avuto rapporti anali (l’accusa, smentita dai testimoni al processo, ha parlato di “violenza carnale”) quando aveva appena 13 anni. In seguito alle pressioni internazionali scatenate dal suo caso, incentrate sul rifiuto della pena di morte in generale e per punire fatti commessi da minorenni in particolare, il responsabile della giustizia iraniana, Mahmoud Hashemi Shahroudi, aveva annullato la sentenza, dichiarandola contraria ai precetti islamici, agli orientamenti delle autorità religiose e alla legge del suo paese.
L’organismo preposto alla revisione del processo di Makwan Moloudzadeh (“Special Supervision Bureau of the Iranian Justice Department”) ha ribaltato la decisione del responsabile della giustizia, ripristinando la sentenza originale che è stata prontamente eseguita. La notizia dell’avvenuta esecuzione è stata data, tra gli altri, dalla Commissione internazionale per i diritti di gay e lesbiche (IGLHRC, una ONG statunitense con sede a New York), in Francia dalla rivista gay e lesbica Têtu e in Italia dal gruppo EveryOne (a me finora sconosciuto), che in un suo comunicato afferma di essere in stretto contatto con la famiglia di Makwan. I familiari del giovane gay iraniano, così come il suo avvocato, sono stati informati solo dopo l’uccisione.
Oltre a denunciare i “crimini contro l’umanità” perpetrati da Ahmadinejad e dal suo governo, il gruppo EveryOne, nello stesso comunicato, afferma che “anche i Paesi democratici devono farsi un esame di coscienza e comprendere che la lotta contro l’omofobia inizia con il riconoscimento paritario delle unioni omosessuali, perché senza questo diritto fondamentale i gay e le lesbiche sono condannati all’emarginazione”.
Fonti: EveryOne, IGLHRC, Têtu.
Scritto da Gabriele alle 18:50 1 commenti
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Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso.