Ritratti in rosa - Jean-Marie Le Pen, pericolo scampato?
“Difesa della struttura familiare, istituzione insostituibile, fondamento della società”. La famiglia deve basarsi “esclusivamente sull’unione di un uomo e di una donna e accogliere i figli nati da un padre e da una madre. Noi ci opporremo quindi a qualsiasi richiesta di creare un matrimonio omosessuale o all’adozione da parte di coppie omosessuali”. Anche se la coincidenza può sembrare strana – o magari solo sconvolgente – quello che avete appena letto non è il programma di Rosi Bindi o dell’onorevole Binetti, e nemmeno quello di Luigi Bobba o della senatrice Anna Serafini in Fassino. Sono i punti del programma 2007 del leader dell’estrema destra francese Jean-Marie Le Pen che riguardano noi gay e lesbiche.
Scaviamo più a fondo in questo rapporto tra noi e lui, allora. La sera del 21 aprile 2002 mi trovavo, insieme al mio compagno e a un amico, in un noto bar del quartiere gay parigino, il Marais. Dovevano essere le otto e mezza, le nove, non ricordo esattamente. Quello che ricordo bene è che il locale era affollatissimo, come accade ogni fine settimana a quell’ora. Tutt’intorno a noi, i numerosi clienti stavano discutendo e ridendo spensierati, con in mano i loro bicchieri di birra. Del resto, televisioni e giornali non avevano fatto altro che ripetere, nei giorni precedenti: i vincitori del primo turno saranno Jacques Chirac e Lionel Jospin. A un certo punto, però, in quel bar l’atmosfera è cambiata di colpo. Un ragazzo è salito sul bancone ed ha gridato per attirare l’attenzione. Si è fatto allora improvvisamente un gran silenzio, così che tutti hanno potuto sentire quello che stava dicendo: “Le Pen sarà al secondo turno contro Chirac! Sappiamo tutti che cosa pensa Le Pen di noi finocchi, per questo ritroviamoci immediatamente, questa sera stessa, in piazza della Bastiglia!”.
Ricordo che lì per lì non credetti a una sola parola. Avevo in mente i dibattiti televisivi alla chiusura delle urne in Italia e mi aggrappavo all’idea che si trattasse di un incubo dovuto all’approssimazione dei primi rilevamenti statistici. Ma ci attaccammo ai telefoni e la conferma arrivò, mentre il premier socialista avrebbe annunciato poco dopo di volersi ritirare dalla politica. L’urlo di sgomento che uscì dalla bocca dei suoi militanti, in fondo, era quello dell’intera cittadinanza, o quasi.
Fuori da quel bar trovammo una Parigi in subbuglio. Invece di rimanere incollata davanti al proprio televisore, molta gente si riversò nelle strade: non solo l’appello lanciato da quel ragazzo in quel bar gay del Marais non doveva essere stato l’unico, ma fu il riflesso spontaneo – figlio della Rivoluzione – di appropriarsi della piazza nei momenti difficili, a trascinare in strada, quella notte, decine di migliaia di francesi.
La mobilitazione per sbarrare la strada al leader dell’estrema destra ed incitare, seppur controvoglia, a votare per Jacques Chirac al secondo turno, continuò durante tutti i giorni successivi con grandi manifestazioni di massa, in un crescendo che culminò il 1° maggio. Oltre alle dimostrazioni nelle altre città, quel giorno la partecipazione a Parigi fu di mezzo milione di persone. La rivista gay e lesbica Têtu uscì in edizione straordinaria e fu distribuita lungo i diversi tronconi del corteo parigino. Qualche giorno dopo, com’è noto, il presidente uscente fu rieletto con l’82% dei consensi ma, nell’esercizio del suo ultimo mandato, ha agito sempre come se molti di quei voti non gli fossero stati offerti proprio dalla sinistra.
Pericolo scampato, dunque. La Francia sembra essersi ormai vaccinata contro quella che viene chiamata la “peste bruna”, il Front National, anche se al suo presidente i sondaggi – per quel che valgono – oggi assegnano comunque una media del 14% delle intenzioni di voto.
Il Front National nasce nel 1972, da una costola di un movimento politico, quell’Ordre Nouveau che predica “la rinascita del patriottismo, la promozione di una gerarchia di valori, la restaurazione familiare ed educativa”, nonché l’avvicinamento dei principali partiti d’estrema destra europei, cioè i falangisti di Francisco Franco, la NPD in Germania e il Movimento Sociale Italiano. Lo presiede fin dall’inizio Jean-Marie Le Pen, le cui prese di posizione, pronunciate nel corso della sua lunga carriera politica, suscitano spesso grandi polemiche. Nel 1962, per esempio, parlando del suo “impegno” nella guerra d’Algeria, non esita ad ammettere: “Ho torturato perché bisognava farlo”, anche se poi questa affermazione sarà ritrattata. 1987, sulle camere a gas: “Non ho studiato granché tale questione, ma credo che sia un dettaglio nella storia della Seconda guerra mondiale”. Lo stesso anno affronta a modo suo il problema dell’Aids: “I malati di Aids, rilasciando il virus da tutti i pori, mettono in pericolo l’equilibrio della nazione. L’appestato – per così dire, impiego questa parola [...] non molto bella, ma non ne conosco altre – quello là, bisogna dirlo, contagia attraverso il sudore, le lacrime, la saliva, il contatto. È una specie di lebbroso”*. Si crede forse più magnanimo quando, nel 1995, sullo stesso tema dichiara: “Bisogna distinguere le vittime innocenti e i malati di sodomia”. “L’omosessualità non è un delitto, ma costituisce un’anomalia biologica e sociale”, dice il 13 febbraio 1984. Nel giugno dello stesso anno, un altro classico degli omofobi di ogni tempo e di ogni luogo: “L’omosessualità conduce alla fine del mondo”. Poi, nel 2000: “il proselitismo omosessuale comporta la distruzione volontaria dei valori essenziali della gioventù, attraverso la promozione dei comportamenti devianti”.
Più recentemente, il 20 febbraio scorso, Le Pen fa capire una volta di più che cosa pensa di noi gay: prendendo la parola al congresso della Federazione nazionale della caccia afferma, con un’allusione assai greve, che “nel Marais di Parigi si possono cacciare i capponi senza date di apertura o di chiusura, però nel marais (palude) della Picardie, non è possibile cacciare l’anatra in febbraio”. “Paragonando implicitamente la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale a della selvaggina” – recita un comunicato del Centro gay e trans di Parigi – “Le Pen non fa altro che fomentare l’odio”. Nient’affatto, risponde il diretto interessato secondo un copione ben rodato, erano solo “delle espressioni libere di un pensiero libero, una cosa molto proibita nel nostro paese, dove ogni frase, soprattutto quando proviene da un avversario politico interno, è oggetto di comenti più o meno odiosi”.
L’omofobia dichiarata e persino orgogliosamente coltivata da Jean-Marie Le Pen, non impedisce a una minoranza di omosessuali di votare Front National o persino di militare in quel partito. Questa contraddizione è emersa chiaramente durante il caso di Jean-Claude Poulet-Dachary, direttore di gabinetto dell’ex sindaco frontista di Tolone, ucciso il 29 agosto 1995 all’uscita di un club gay. Secondo gli investigatori, il movente dell’omicidio è stato, probabilmente, di natura passionale.
Del resto l’odio professato dal Front National nei confronti delle differenze sessuali non è il solo punto caratterizzante della sua linea. Tra i “punti programmatici” di quel partito, infatti, trovano posto anche la lotta all’immigrazione, l’espulsione degli immigrati che hanno acquisito la nazionalità francese e abbiano compiuto reati, il divieto di costruire nuove moschee in Francia, il ritorno alla pena di morte per i delitti più efferati, la diminuzione delle imposte e delle tasse sulle imprese, la soppressione delle sovvenzioni pubbliche alle associazioni vicine alla sinistra radicale, la limitazione dell’accesso all’aborto e l’abrogazione delle leggi antirazziste. Da brivido.
* Ho scelto la parola “appestato” per tradurre quello che, nel linguaggio crudo di Jean-Marie Le Pen, è lo “sidaïque”, sostantivo che indica, in modo neanche troppo velatamente spregiativo, il malato di Aids (Sida in francese). Questa è la dichiarazione originale di Le Pen, resa alla rete televisiva Antenne2 il 6 maggio 1987: “Les sidaïques, en respirant du virus par tous les pores, mettent en cause l’équilibre de la nation. […] Le sidaïque, — si vous voulez, j’emploie ce mot-là, c’est un néologisme, il est pas très beau mais je n’en connais pas d’autre —, celui-là, il faut bien le dire, est contagieux par sa transpiration, ses larmes, sa salive, son contact. C’est une espèce de lépreux, si vous voulez”.
Fonti: La France Gaie et Lesbienne, Le Monde, Têtu, Wikipedia.
Foto: Jean-Marie Le Pen (François, con licenza CC).
Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot, José Bové, Marie-George Buffet, Arlette Laguiller.
Scaviamo più a fondo in questo rapporto tra noi e lui, allora. La sera del 21 aprile 2002 mi trovavo, insieme al mio compagno e a un amico, in un noto bar del quartiere gay parigino, il Marais. Dovevano essere le otto e mezza, le nove, non ricordo esattamente. Quello che ricordo bene è che il locale era affollatissimo, come accade ogni fine settimana a quell’ora. Tutt’intorno a noi, i numerosi clienti stavano discutendo e ridendo spensierati, con in mano i loro bicchieri di birra. Del resto, televisioni e giornali non avevano fatto altro che ripetere, nei giorni precedenti: i vincitori del primo turno saranno Jacques Chirac e Lionel Jospin. A un certo punto, però, in quel bar l’atmosfera è cambiata di colpo. Un ragazzo è salito sul bancone ed ha gridato per attirare l’attenzione. Si è fatto allora improvvisamente un gran silenzio, così che tutti hanno potuto sentire quello che stava dicendo: “Le Pen sarà al secondo turno contro Chirac! Sappiamo tutti che cosa pensa Le Pen di noi finocchi, per questo ritroviamoci immediatamente, questa sera stessa, in piazza della Bastiglia!”.
Ricordo che lì per lì non credetti a una sola parola. Avevo in mente i dibattiti televisivi alla chiusura delle urne in Italia e mi aggrappavo all’idea che si trattasse di un incubo dovuto all’approssimazione dei primi rilevamenti statistici. Ma ci attaccammo ai telefoni e la conferma arrivò, mentre il premier socialista avrebbe annunciato poco dopo di volersi ritirare dalla politica. L’urlo di sgomento che uscì dalla bocca dei suoi militanti, in fondo, era quello dell’intera cittadinanza, o quasi.
Fuori da quel bar trovammo una Parigi in subbuglio. Invece di rimanere incollata davanti al proprio televisore, molta gente si riversò nelle strade: non solo l’appello lanciato da quel ragazzo in quel bar gay del Marais non doveva essere stato l’unico, ma fu il riflesso spontaneo – figlio della Rivoluzione – di appropriarsi della piazza nei momenti difficili, a trascinare in strada, quella notte, decine di migliaia di francesi.
La mobilitazione per sbarrare la strada al leader dell’estrema destra ed incitare, seppur controvoglia, a votare per Jacques Chirac al secondo turno, continuò durante tutti i giorni successivi con grandi manifestazioni di massa, in un crescendo che culminò il 1° maggio. Oltre alle dimostrazioni nelle altre città, quel giorno la partecipazione a Parigi fu di mezzo milione di persone. La rivista gay e lesbica Têtu uscì in edizione straordinaria e fu distribuita lungo i diversi tronconi del corteo parigino. Qualche giorno dopo, com’è noto, il presidente uscente fu rieletto con l’82% dei consensi ma, nell’esercizio del suo ultimo mandato, ha agito sempre come se molti di quei voti non gli fossero stati offerti proprio dalla sinistra.
Pericolo scampato, dunque. La Francia sembra essersi ormai vaccinata contro quella che viene chiamata la “peste bruna”, il Front National, anche se al suo presidente i sondaggi – per quel che valgono – oggi assegnano comunque una media del 14% delle intenzioni di voto.
Il Front National nasce nel 1972, da una costola di un movimento politico, quell’Ordre Nouveau che predica “la rinascita del patriottismo, la promozione di una gerarchia di valori, la restaurazione familiare ed educativa”, nonché l’avvicinamento dei principali partiti d’estrema destra europei, cioè i falangisti di Francisco Franco, la NPD in Germania e il Movimento Sociale Italiano. Lo presiede fin dall’inizio Jean-Marie Le Pen, le cui prese di posizione, pronunciate nel corso della sua lunga carriera politica, suscitano spesso grandi polemiche. Nel 1962, per esempio, parlando del suo “impegno” nella guerra d’Algeria, non esita ad ammettere: “Ho torturato perché bisognava farlo”, anche se poi questa affermazione sarà ritrattata. 1987, sulle camere a gas: “Non ho studiato granché tale questione, ma credo che sia un dettaglio nella storia della Seconda guerra mondiale”. Lo stesso anno affronta a modo suo il problema dell’Aids: “I malati di Aids, rilasciando il virus da tutti i pori, mettono in pericolo l’equilibrio della nazione. L’appestato – per così dire, impiego questa parola [...] non molto bella, ma non ne conosco altre – quello là, bisogna dirlo, contagia attraverso il sudore, le lacrime, la saliva, il contatto. È una specie di lebbroso”*. Si crede forse più magnanimo quando, nel 1995, sullo stesso tema dichiara: “Bisogna distinguere le vittime innocenti e i malati di sodomia”. “L’omosessualità non è un delitto, ma costituisce un’anomalia biologica e sociale”, dice il 13 febbraio 1984. Nel giugno dello stesso anno, un altro classico degli omofobi di ogni tempo e di ogni luogo: “L’omosessualità conduce alla fine del mondo”. Poi, nel 2000: “il proselitismo omosessuale comporta la distruzione volontaria dei valori essenziali della gioventù, attraverso la promozione dei comportamenti devianti”.
Più recentemente, il 20 febbraio scorso, Le Pen fa capire una volta di più che cosa pensa di noi gay: prendendo la parola al congresso della Federazione nazionale della caccia afferma, con un’allusione assai greve, che “nel Marais di Parigi si possono cacciare i capponi senza date di apertura o di chiusura, però nel marais (palude) della Picardie, non è possibile cacciare l’anatra in febbraio”. “Paragonando implicitamente la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale a della selvaggina” – recita un comunicato del Centro gay e trans di Parigi – “Le Pen non fa altro che fomentare l’odio”. Nient’affatto, risponde il diretto interessato secondo un copione ben rodato, erano solo “delle espressioni libere di un pensiero libero, una cosa molto proibita nel nostro paese, dove ogni frase, soprattutto quando proviene da un avversario politico interno, è oggetto di comenti più o meno odiosi”.
L’omofobia dichiarata e persino orgogliosamente coltivata da Jean-Marie Le Pen, non impedisce a una minoranza di omosessuali di votare Front National o persino di militare in quel partito. Questa contraddizione è emersa chiaramente durante il caso di Jean-Claude Poulet-Dachary, direttore di gabinetto dell’ex sindaco frontista di Tolone, ucciso il 29 agosto 1995 all’uscita di un club gay. Secondo gli investigatori, il movente dell’omicidio è stato, probabilmente, di natura passionale.
Del resto l’odio professato dal Front National nei confronti delle differenze sessuali non è il solo punto caratterizzante della sua linea. Tra i “punti programmatici” di quel partito, infatti, trovano posto anche la lotta all’immigrazione, l’espulsione degli immigrati che hanno acquisito la nazionalità francese e abbiano compiuto reati, il divieto di costruire nuove moschee in Francia, il ritorno alla pena di morte per i delitti più efferati, la diminuzione delle imposte e delle tasse sulle imprese, la soppressione delle sovvenzioni pubbliche alle associazioni vicine alla sinistra radicale, la limitazione dell’accesso all’aborto e l’abrogazione delle leggi antirazziste. Da brivido.
* Ho scelto la parola “appestato” per tradurre quello che, nel linguaggio crudo di Jean-Marie Le Pen, è lo “sidaïque”, sostantivo che indica, in modo neanche troppo velatamente spregiativo, il malato di Aids (Sida in francese). Questa è la dichiarazione originale di Le Pen, resa alla rete televisiva Antenne2 il 6 maggio 1987: “Les sidaïques, en respirant du virus par tous les pores, mettent en cause l’équilibre de la nation. […] Le sidaïque, — si vous voulez, j’emploie ce mot-là, c’est un néologisme, il est pas très beau mais je n’en connais pas d’autre —, celui-là, il faut bien le dire, est contagieux par sa transpiration, ses larmes, sa salive, son contact. C’est une espèce de lépreux, si vous voulez”.
Fonti: La France Gaie et Lesbienne, Le Monde, Têtu, Wikipedia.
Foto: Jean-Marie Le Pen (François, con licenza CC).
Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot, José Bové, Marie-George Buffet, Arlette Laguiller.
3 commenti:
ciao gabriele, non riesco a trovare la dichiarazione di le pen sulle camere a gas che hai citato, mi sai dire dove trovarla? grazie
ma tu voti?
e se non voti chi voteresti?
Va di moda il voto utile oppure si fa ognuno come vuole?
@ semmelweis: Grand Jury RTL-Le Monde del 13 settembre 1987 (è tutto riportato nel link wikipedia in basso).
@ aelred: davvero non so come voterei. Certo, per sensibiltà personale, mi sento più vicino alle posizioni di José Bové, ma sono anche molto critico rispetto all'incapacità della sinistra radicale francese di trovare un accordo e di darsi così l'opportunità di contare realmente sul piano elettorale.
Sono molto perplesso anche rispetto al voto utile e mi spaventano tutti quei sistemi nei quali sono costretto a scegliere il meno peggio anziché il meglio, pur di ostacolare la vittoria del peggio... In concreto, quindi, non so se mi risolverei a votare Royal fin dal primo turno. Quel che mi sembra, però, è che gli elettori francesi - se non altro quelli di sinistra - dopo la batosta del 2002, sembrano molto più prudenti e credo che il voto utile prevarrà (dico questo a prescindere dai sondaggi, che proprio oggi sembrano mostrare una flessione sia di Sarkozy sia di Royal, e una leggera rimonta per Bayrou; ma abbiamo visto a cosa sono serviti i sondaggi nel 2002...).
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