Il mio PaCS - Terza tappa: il certificato di non pacs
Me l’aspettavo sontuoso, antico, colonne e ampie scalinate ovunque, grandi sale e corridoi dal soffitto alto; da ogni dove, si sarebbe dovuto levare il clamore delle genti in differenti cause impegnate. Sarà che la pompa e l’orpello mi divertono – al di là dei doppisensi. Sarà che speravo di trovare qualcosa di simile al prestigioso palazzo che ospita, a Ile de la Cité, la sua sede centrale. Invece sono deluso. Se non fosse per la targa che la contraddistingue, la succursale del Tribunal de Grande Instance di Parigi assomiglierebbe a un qualsiasi edificio moderno dei dintorni. Del resto, anche il nome dell’istituzione è stato, per così dire, concentrato e “diminuito” nell’innocuo acronimo TGI (“té-gé-i”). (Buffa questa mania tutta francese di chiamare le istituzioni, le autorità, le creazioni in campo tecnico o industriale o architettonico, le infrastrutture, con i nomi più altisonanti che poi però vengono subito ridotti a sigle spesso oscure. Qui c’è un acronimo per ogni cosa, tutto può diventare sigla: Assemblée Générale diventa “AG”, Conseil d’Administration non è mai scritto o pronunciato per esteso ma è “CA”, Président Dirécteur Général si dirà “pdg”, e così via siglando).
Quando sono uscito dalla stazione Corentin Cariou del metrò, non lontano dal parco della Villette, e ho visto intere truppe dirigersi diligentemente e con passo svelto tutte nella mia stessa direzione, ho pensato che avrei perso sicuramente la mattinata in una coda chilometrica, in attesa del mio turno allo sportello. Adesso però realizzo che quella fiumana si smista autonomamente e ordinatamente in un complesso di edifici dove trovano posto le sedi delle più diverse società, qualche ristorante, palestre ed altre urbane amenità, tra le quali anche il palazzo del TGI. Il numero di persone che attraversano con me il portone d’ingresso del tribunale è più che ragionevole.
Allora entro, la guardia mi verifica coi suoi aggeggi tutto il verificabile, poi mi indica dove andare. E qui comincia l’incubo dell’ascensore. Ce n’è uno solo che porta alla meta, il piano del servizio pacs, ma ha un difetto, e non dei più trascurabili: il pulsante che serve a portarlo al piano terra, dove mi trovo, richiama anche tutti gli altri. E finché un altro è disponibile al piano terra, quello che devo prendere io non si muove. Inizia così una lotta estenuante che, per minuti che sembrano un’eternità, vedono coinvolti me, il pulsante e gli ascensori maledetti. Quando una fortunata congiunzione astrale fa sì che tutti e tre gli altri ascensori siano distratti ad altri piani, finalmente arriva il mio, si apre e mi lascia salire. Ma è solo il primo ostacolo.
Arrivo al piano desiderato e mi ritrovo in un piccolo atrio, dalle pareti rivestite in legno chiaro, moquette a terra e un gran silenzio. Perché le porte non si aprono? Perché non si può vedere oltre e comunicare la mia presenza a qualcuno? Intanto l’ascensore se n’è andato, lasciandomi solo con i miei dubbi. Mi sembra di essere piombato in una fiaba moderna: che sia un’altra prova da superare per arrivare alla meta? Ma allora dov’è l’aiutante? Insomma, quando già i nervi stanno per cedere, faccio finalmente caso a un piccolo citofono che reca la scritta (minuscola, bisogna ben dire): “servizio pacs”. “Per che cosa viene?”. “Per un certificato di non pacs”. È il mio “apriti sesamo”. “Vada in fondo a destra”.
Corridoi stretti e pareti in cartongesso, ancora moquette, ancora silenzio, neanche l’ombra di una fila. Sulla soglia del suo ufficio mi accoglie un’impiegata, mi chiede di aspettare qualche minuto nella sala d’aspetto: tre metri per tre, due sedie. Davanti a me c’è solo una ragazza, ma io sono preoccupato lo stesso e chiedo quanto tempo ci vorrà. “Solo pochi minuti”. Mi rassicura, è gentile.
In effetti l’impiegata viene a chiamarmi qualche minuto dopo. Mi siedo nell’ufficio ma ora è la sua collega, “le greffier en chef du Tribunal de Grande Instance de Paris”, cioè il cancelliere, che osserva la delega del mio promesso “sposo”, i nostri atti di nascita tradotti e i nostri documenti d’identità. Una volta verificati, nel giro di pochissimo tempo, stampa e firma il “certificat de non pacte civil de solidarité”: è il documento che attesta che non abbiamo firmato nessun altro pacs (condizione per poter sottoscrivere il nostro). E un’altra è fatta.
Prossima: il Tribunal d’Instance (again; da non confondere col TGI!).
Precedenti: Partenza, Prima tappa, Seconda tappa.
Quando sono uscito dalla stazione Corentin Cariou del metrò, non lontano dal parco della Villette, e ho visto intere truppe dirigersi diligentemente e con passo svelto tutte nella mia stessa direzione, ho pensato che avrei perso sicuramente la mattinata in una coda chilometrica, in attesa del mio turno allo sportello. Adesso però realizzo che quella fiumana si smista autonomamente e ordinatamente in un complesso di edifici dove trovano posto le sedi delle più diverse società, qualche ristorante, palestre ed altre urbane amenità, tra le quali anche il palazzo del TGI. Il numero di persone che attraversano con me il portone d’ingresso del tribunale è più che ragionevole.
Allora entro, la guardia mi verifica coi suoi aggeggi tutto il verificabile, poi mi indica dove andare. E qui comincia l’incubo dell’ascensore. Ce n’è uno solo che porta alla meta, il piano del servizio pacs, ma ha un difetto, e non dei più trascurabili: il pulsante che serve a portarlo al piano terra, dove mi trovo, richiama anche tutti gli altri. E finché un altro è disponibile al piano terra, quello che devo prendere io non si muove. Inizia così una lotta estenuante che, per minuti che sembrano un’eternità, vedono coinvolti me, il pulsante e gli ascensori maledetti. Quando una fortunata congiunzione astrale fa sì che tutti e tre gli altri ascensori siano distratti ad altri piani, finalmente arriva il mio, si apre e mi lascia salire. Ma è solo il primo ostacolo.
Arrivo al piano desiderato e mi ritrovo in un piccolo atrio, dalle pareti rivestite in legno chiaro, moquette a terra e un gran silenzio. Perché le porte non si aprono? Perché non si può vedere oltre e comunicare la mia presenza a qualcuno? Intanto l’ascensore se n’è andato, lasciandomi solo con i miei dubbi. Mi sembra di essere piombato in una fiaba moderna: che sia un’altra prova da superare per arrivare alla meta? Ma allora dov’è l’aiutante? Insomma, quando già i nervi stanno per cedere, faccio finalmente caso a un piccolo citofono che reca la scritta (minuscola, bisogna ben dire): “servizio pacs”. “Per che cosa viene?”. “Per un certificato di non pacs”. È il mio “apriti sesamo”. “Vada in fondo a destra”.
Corridoi stretti e pareti in cartongesso, ancora moquette, ancora silenzio, neanche l’ombra di una fila. Sulla soglia del suo ufficio mi accoglie un’impiegata, mi chiede di aspettare qualche minuto nella sala d’aspetto: tre metri per tre, due sedie. Davanti a me c’è solo una ragazza, ma io sono preoccupato lo stesso e chiedo quanto tempo ci vorrà. “Solo pochi minuti”. Mi rassicura, è gentile.
In effetti l’impiegata viene a chiamarmi qualche minuto dopo. Mi siedo nell’ufficio ma ora è la sua collega, “le greffier en chef du Tribunal de Grande Instance de Paris”, cioè il cancelliere, che osserva la delega del mio promesso “sposo”, i nostri atti di nascita tradotti e i nostri documenti d’identità. Una volta verificati, nel giro di pochissimo tempo, stampa e firma il “certificat de non pacte civil de solidarité”: è il documento che attesta che non abbiamo firmato nessun altro pacs (condizione per poter sottoscrivere il nostro). E un’altra è fatta.
Prossima: il Tribunal d’Instance (again; da non confondere col TGI!).
Precedenti: Partenza, Prima tappa, Seconda tappa.
2 commenti:
Congratulations!
:-)
Evviva! Si avvicina la torta (battuta interessata ;-P)
Posta un commento