Catania Pride 2008 - 5 luglio

30 aprile 2008

Ricostruire a sinistra

A causa di un contrattempo, non ho potuto partecipare, ieri, al collegamento con la trasmissione Flash Beat, condotta da Marina Paganotto su Radio Flash. Pubblico comunque la traccia che avevo preparato per il mio intervento.

C’è qualcosa di davvero stupefacente nell’esito delle ultime elezioni politiche e in quello delle comunali romane? Dov’è la sorpresa? È la vittoria della peggiore destra immaginabile oggi in Europa? È il pericolo che si avverte per l’ulteriore degrado che subirà la vita pubblica - e, di conseguenza, la nostra stessa vita? O è la scomparsa della sinistra dal Parlamento italiano a rendere tutti così ansiosi?
Eppure, le ragioni della sconfitta della sinistra erano sotto i nostri occhi da tempo. Seduti attorno a un tavolo, qualche tempo prima delle politiche del 2006, i rappresentanti del centro sinistra avevano stilato un programma inservibile: o perché faceva promesse che erano chiaramente destinate ad essere disattese (vedi la riduzione delle servitù militari, trasformata poi nell’esatto contrario: ampliamento della base di Vicenza) o perché giocava cinicamente al ribasso sui diritti civili, come quello dei gay e delle lesbiche di vedere riconosciute le loro unioni. Due anni fa, abbiamo fatto finta di crederci, sperando che l’Italia che “cambia davvero” (come recitava lo slogan elettorale di Rifondazione comunista nel 2006) potesse scaturire - non si sa per quale miracolo - dai partiti che avevamo deciso, tra mille dubbi, di votare. Abbiamo fatto lo sforzo di credere che almeno alcune delle rivendicazioni dei movimenti potessero essere recepite. Ma la verità, attesa, si è presentata subito in modo molto crudo e, mi pare, nessuno meglio di chi fa parte del movimento glbt potrebbe testimoniare la frustrazione, durata due anni, nel vedere la sinistra al governo digerire qualsiasi cosa senza ottenere in cambio nulla, lasciando invece campo libero ai ricatti dei vari teodem e dei vari Mastella. Il problema, però, stava all’origine della coalizione, nell’accettazione di compromessi poco onorevoli. Dov’è, allora, lo stupore per il massiccio rifiuto di confermare questa sinistra al potere?
Sembra che l’unico problema della sinistra fosse, fino a due mesi fa, quello di assicurare la governabilità. Il grande risultato lo abbiamo visto: una crisi di governo a neanche due anni dalle ultime elezioni. Nel frattempo: nessuna legge sul conflitto d’interessi; nessuna legge sul sistema radiotelevisivo; nessuna revisione della legge elettorale in senso democratico; la laicità fatta a pezzi quotidianamente da ampi settori della maggioranza, nel silenzio imbarazzante degli alleati; il disprezzo per gay e lesbiche, ostentato non solo da quegli esponenti della maggioranza che rispondono del loro operato direttamente all’Opus Dei, ma anche - tra gli altri - di Rosi Bindi, di Massimo D’Alema, dello stesso Veltroni o del suo degno candidato, il generale Del Vecchio. A questi attacchi la sinistra non ha saputo o non ha voluto reagire efficacemente: perché, allora, stupirsi delle conseguenze, a danno ormai ampiamente consumato?
La crisi della sinistra, che oggi è diventata particolarmente evidente nel nostro paese, non è un fenomeno solo italiano ma si può riscontrare anche qui in Francia. Certo, le condizioni sono parzialmente differenti e le proporzioni della deriva sono meno impressionanti che in Italia. È un fatto però che il partito socialista francese ha perso (e male) due presidenziali e due legislative di seguito, e che ciò che si trova a sinistra del PS, la cosiddetta sinistra “estrema”, non gode certo di buona salute. Ecco allora che scatta, anche qui, la grande tentazione: quella di aprire al centro, di rincorrere l’elettorato moderato anche da sinistra. Ségolène Royal, candidata socialista alle ultime presidenziali, è stata la prima ad inaugurare questa strategia: tra il primo e il secondo turno ha provato a stringere un accordo con François Bayrou, leader della formazione centrista Modem, senza successo. La mossa ha comunque suscitato un dibattito che non si è ancora concluso ed è anche per questo motivo che la stampa francese e l’opinione pubblica hanno seguito con un certo interesse le ultime vicende elettorali italiane: coloro che, all’interno del Partito socialista francese, si dicono contrari a un’alleanza del PS con il centro, dopo la sconfitta del PD veltroniano sono oggi un po’ più forti. “È un pericolo mortale” - afferma l’esponente socialista Jean-Luc Mélenchon - “Se facciamo un altro passo in quella direzione, accadrà la stessa cosa anche al Partito Socialista. Questa formula all’italiana non può dare alcun risultato, ogni volta a vincere sono Berlusconi e Sarkozy”. Mélenchon si è spinto a bocciare persino il sistema delle primarie à l’italienne, “un sistema idiota, nel quale chiunque passi per strada può, dopo un’adesione simbolica, scegliere il leader del partito”. 
Un’altra voce contraria allo spostamento al centro del Partito Socialista, che i detrattori più accesi - non a caso - chiamano droitisation, cioè spostamento a destra, è quella di Benoît Hamon. Quarant’anni, membro della segretria del PS, Hamon ha fatto notare come, “dal novembre del 2006, quella italiana è l’undicesima sconfitta del centro sinistra in Europa. È la prova” - ancora secondo Hamon - “che la ricollocazione al centro non serve a niente”.
Il quotidiano comunista L’Humanité ha recentemente pubblicato un dibattito proprio tra Hamon - che, fra l’altro, è anche deputato europeo - e Marie-Pierre Vieu, anche lei quarantenne, che fa parte invece del Comitato esecutivo nazionale del Partito Comunista Francese. È un dibattito secondo me molto interessante, se non altro per lo sforzo che questi due esponenti, seppur non molto conosciuti, cercano di mettere in campo per trovare una soluzione alla crisi della sinistra che vada al di là delle scorciatoie sin qui intraprese. Entrambi partono dall’idea che cercare di conquistare il centro non potrà che far perdere voti a sinistra ma sono anche consapevoli che, se non riuscirà a interpretare con coraggio e decisione i cambiamenti sociali che avvengono oggi sempre più rapidamente, la sinistra non sarà mai udibile e nemmeno credibile. 
Non posso adesso, per motivi di tempo, entrare nel dettaglio di quel dibattito, ma voglio dire che anche questo è un segnale di come la sinistra stia tentando, pur tra mille difficoltà, di trovare una soluzione alla crisi che la investe, e di come si stia facendo strada, anche se lentamente e fra mille contraddizioni, l’idea che niente potrà cambiare se le forze in campo a sinistra non sapranno rimettersi in discussione. Non per approdare, come è accaduto in Italia, a una brutta copia delle politiche di destra; non per fare, a sinistra, da sostegno al campo liberale e conservatore; ma per ripartire dai bisogni di quella che una volta si chiamava “base”. Questo presuppone, ovviamente, la capacità di ascoltare i movimenti, di aprirsi alle loro istanze sapendo istituire, con loro, un dialogo continuo. Non attraverso manovre meramente partitiche o aggregazioni di vertici, ma con le pratiche concretamente vissute e attuate.
Questa pare anche a me l’unica strada da percorrere, in Francia come in Italia, perché la sinistra possa parlare ancora alla sua gente, essere credibile e sconfiggere la destra in modo efficace e duraturo.


OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

28 aprile 2008

Presto, un pompiere!

«È una gravissima sconfitta». Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari ha commentato così la sconfitta di Rutelli a Roma. «Il segretario del Pd - spiega - ha dovuto giocare il ruolo del perfetto continuatore, sia rispetto al governo Prodi sia rispetto all'Amministrazione Veltroni. E per questo, probabilmente, l'ha pagata cara». Secondo Cacciari «soltanto un pazzo potrebbe chiedere a Veltroni di dimettersi. Ma neanche la benché minima autocritica. È una cosa che razionalmente si poteva mettere in conto».
Quanti pazzi a Roma, oggi...


OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

16 aprile 2008

Una batosta per chi?

In queste settimane di campagna elettorale - ma che dico, in questi due anni di governo di centro “sinistra” - ho visto e ho letto di tutto. Le arrabbiature, le docce fredde e le vere e proprie umiliazioni provenienti dal governo Prodi e da una maggioranza per nulla convinta di dover estendere anche alla minoranza omosessuale i diritti di cui godono gli eterosessuali, sono state tante. La parità - un atto di civiltà che, va detto, sarebbe assolutamente sproporzionato all’indegnità morale di quasi tutta la nostra classe politica e di una gran parte dei nostri concittadini - è rimasta una chimera. Nonostante questo, alcuni di noi hanno fatto buon viso a cattivo gioco e hanno imboccato di nuovo la via delle urne: all’ultimo minuto, senza alcuna convinzione, invano. Non che non avessero minacciato l’astensione: credo che tutti i froci e tutte le lesbiche di sinistra, chi più chi meno, in occasione di questa o quella dichiarazione omofoba di esponenti della maggioranza e di fronte alla sostanziale acquiescenza della sinistra cosiddetta “radicale”, debbano aver pensato (molti l’avevano dichiarato o scritto) di disertare i seggi. 
Ciononostante, sapevo perfettamente che, al momento decisivo, molti e molte avrebbero riconsiderato la propria posizione. Avrebbero giudicato la scelta di non votare un atto “troppo grave”. Avrebbero rinviato quest’ultimo - per la centocinquantesima volta - alle prossime elezioni, “se le promesse non saranno mantenute” (fingendo di dimenticare tutte le volte in cui ciò è già successo). E così è stato. Tra la punizione per una linea politica contraddittoria e incocludente (quando non offensiva per le persone glbt) e il voto per il “meno peggio”, molti hanno preferito il secondo atteggiamento. Sono stati invocati tanti motivi per questo repentino cambiamento d’opinione, il più nobile dei quali era il sangue versato dai resistenti per darci la democrazia e il diritto di voto: qualcuno si è chiesto, però, se valeva la pena dare la vita per permetterci di andare al seggio come si va in una latrina, con la molletta al naso e cercando di schivare gli escrementi? Davvero è per arrivare a questo che sono morti i partigiani? Chi spreca davvero il proprio diritto di voto e chi invece crede sul serio nella democrazia?
Di quelli che hanno deciso di votare PD e hanno abboccato all’amo del voto “utile” non parlo, altrimenti dovrei chiedere loro quando si sono fumati quel po’ di autostima rimastagli, o se l’indignazione la rispolverano solo quando devono scrivere bellissimi e arrabbiatissimi post, salvo poi riporla in soffitta quando si deve passare al dunque. L’orrendo babau di Arcore è sempre lì a spaventarci, per la gioia di grandi dirigenti ed elettori piccini: o voi che avete votato PD in chiave antiberlusconiana, dite, cos’ha fatto il PD per abrogare le leggi del centro destra, per riscrivere in senso democratico la legge elettorale, per imporre una legge sul conflitto d’interessi che sradicasse dal panorama politico italiano il berlusconismo?
No, vorrei soltanto dire che non riesco a dolermi troppo della batosta subita dalla sinistra “radicale” istituzionale. Mi preoccuperei se a essere spazzata via fosse stata l’idea della sinistra, dei diritti civili, delle lotte sociali, del miglioramento della condizione di tutti gli esseri umani, e dunque anche di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Invece, nonostante il ritorno al governo di Berlusconi (ma se n’era mai andato?), so che quell’idea rimane nella società e nel movimento e, anche se non è rappresentata né alla Camera né al Senato, niente potrà metterla a tacere; anzi, vista la situazione, questa consapevolezza non potrà che crescere e, speriamo, tradursi in nuove pratiche e successivamente in una nuova, credibile e maggioritaria rappresentanza istituzionale. Tutto il resto sono scorciatoie illusorie. È stato invece eliminato l’insulso equivoco di una dirigenza che in campagna elettorale promette di rappresentare le spinte che provengono dalla società, salvo tradirle, una volta occupato un ministero o la presidenza di una delle due camere. È questo, oltre al travaso di voti per il PD, il motivo per cui la Sinistra Arcobaleno ha perso queste elezioni: una sinistra che rinuncia a fare il suo mestiere e che perde la sua identità, non può che risultare indigesta.
Ho letto ieri l’autocritica di Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, il quale cita, fra gli errori commessi dai partiti che compongono la Sinistra Arcobaleno, anche “la poca convinzione con la quale abbiamo battuto sul tema dei diritti civili, l’aver messo in secondo piano la battaglia delle donne, i diritti degli omosessuali, l’opposizione al clericalismo”. Se ne sono accorti, finalmente, era ora. Per un partito che prima candida Vladimir Luxuria alla Camera e poi le fa pronunciare un discorsino che giustifica il voto contrario di Rifondazione a un emendamento per far pagare l’Ici anche alla Chiesa cattolica, è un’ammissione non da poco. Certo, è facile dirlo adesso che la frittata è fatta, ma intanto l’errore è stato notato. Spero che rimanga agli atti come monito per il futuro, anche se, vista la cronica e inguaribile smemoratezza degli italiani, ci credo poco.
Il problema, detto in breve, è di dignità. Per quanto so e posso, mi riprometto di non mollare. Nel frattempo, senza aspettare le prossime elezioni, ho almeno smesso di svendere il mio voto a chi, con le proprie parole o i propri atti, ha dimostrato di considerare la mia esistenza, al massimo, come una scomoda parentesi.

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

11 aprile 2008

Questa volta no (breve invito all’astensione)

Rimasto solo don Fabrizio ritardò il proprio tuffo nelle nebulose. Era irritato non già contro gli avvenimenti che si preparavano, ma contro la stupidaggine di Ferrara nel quale aveva ad un tratto identificato una delle classi che sarebbero divenute dirigenti. “Quel che dice il buon uomo è proprio l’opposto della verità. Compiange i molti figli di mamma che creperanno e questi saranno invece molto pochi, se conosco il carattere dei due avversari; proprio non uno di più di quanto sarà necessario alla compilazione di un bollettino di vittoria a Napoli o a Torino, che è poi la stessa cosa. Crede invece ai ‘tempi gloriosi per la nostra Sicilia’ come si esprime lui; il che ci è stato promesso in occasione di ognuno dei cento sbarchi, da Nicia in poi, e che non è mai successo. E del resto, perché avrebbe dovuto succedere? E allora che cosa avverrà? Trattative punteggiate da schioppettate quasi innocue e, dopo, tutto sarà lo stesso mentre tutto sarà cambiato”.

Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo.

Una cara amica, con la quale sento una grande affinità politica e intellettuale, una sera di una decina di anni fa se ne uscì, sollecitata da me, con una dichiarazione per me inattesa. Attivisti entrambi nel movimento glbt della città in cui all’epoca abitavo, ci trovavamo a festeggiare il pride in un centro sociale nel quale la nostra presenza destava ben poco interesse. Le chiesi che cosa avrebbe votato alle elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco e lei mi rispose che si sarebbe astenuta. Ero sorpreso. Dalla mia posizione di elettore di sinistra convinto nonché di convinto militante gay, lo consideravo quasi un affronto. Difficile per me oggi ammettere di essere arrivato, alla vigilia di questo voto, alle stesse conclusioni. E tuttavia necessario.
Le motivazioni per le quali, dopo aver sempre votato, non intendo più partecipare a questa farsa nella quale il nostro ruolo è quello di comparse (per di più senza cestino per la pausa), hanno origini per me certamente lontane e già alle elezioni di due anni fa il disgusto aveva raggiunto soglie prima inimmaginabili. Ricordo infatti agli smemorati e ai “neodelusi” della coalizione di centro sinistra, agli adoratori del programmone che sarebbe stato tradito, che l’evidenza era davanti ai loro occhi ben prima che depositassero la scheda nell’urna. 
Ricordo le rassicurazioni che Prodi in persona diede alla comunità glbt sul fatto che nel programma sarebbe stato inserito un capitolo sui diritti di gay e lesbiche e ricordo anche che di quel capitolo, nel documento definitivo, rimase qualche miserrima riga di vaghe promesse facilmente eludibili. Ricordo che il futuro presidente della Camera (In)Fausto Bertinotti incontrò (proprio come ha fatto qualche giorno fa) la comunità glbt che gliele cantò di santa ragione per avere lui ceduto e sottoscritto quella presa in giro. “Ma sì” - venne a dire sostanzialmente - “quello è un compromesso, noi faremo di tutto perché l’interpretazione sia la più avanzata possibile”. Infatti, abbiamo visto quanto si sono spesi. In cambio di cosa l’attuale leader della Sinistra Arcobaleno ha sacrificato le rivendicazioni storiche di Rifondazione Comunista? Uno scranno più confortevole rispetto a quello dei suoi colleghi, ecco tutto. È mutato qualcosa nelle vostre vite da quando Bertinotti è presidente della Camera dei Deputati?
Al momento della firma del programma Emma Bonino s’impuntò proprio sul riconoscimento dei diritti delle persone glbt e tutti si chiesero se questo significasse l’uscita dei radicali dalla coalizione per una giusta questione di principio. Una parte della comunità glbt decise di votare Rosa nel pugno. Peccato che già cinque minuti dopo l’eroico gesto, la Bonino si premurò di farci sapere che il rifiuto dei radicali concerneva solo quella parte del programma: con i bizantinismi tipici della nostra politica, i radicali potevano così sottoscrivere tutto il resto, ottenere un ministero e sostenere lealmente Prodi. Risultato? Per la comunità glbt nulla, mentre la pattuglietta radicale si ritrova oggi nel PD di Veltroni, in una folta compagnia di clericali. Oltre al danno, la beffa. Per chi ha votato Rosa nel pugno, ovviamente.
“È meglio che un bambino resti in Africa piuttosto che sia adottato da una coppia omosessuale”. Queste amorevoli parole, segno di apertura mentale e di volontà di dialogo, provegono da uno degli esponenti più in vista del PD, Rosi Bindi. “L’omosessualità è una devianza” è invece un grande classico dell’ormai celebre senatrice Paola Binetti, PD. Ancora, dalla campagna V(u)oto a rendere dell’associazione Open Mind di Catania, traggo le esaltanti dichiarazioni di Massimo D’Alema, PD: “Il matrimonio tra omosessuali offenderebbe il sentimento religioso di tanta gente. Due persone dello stesso sesso possono vivere unite senza bisogno di simulare un matrimonio”. E il segretario del PD in persona, Walter Veltroni, nella sua qualità di sindaco della capitale, ha avuto modo di rassicurare il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone, sul fatto che a Roma non sarebbe stato approvato il registro delle unioni civili (come poi è puntualmente avvenuto): “Non se ne farà niente”. Andrebbero aggiunte le recenti dichiarazioni del generale Del Vecchio, candidato pure lui nel PD, sul fatto che i gay sono inadatti all’esercito (non vi ricorda tanto quella dichiarazione di finiana memoria, “un gay non può fare il maestro”?) e il disprezzo che quel partito dimostra nei confronti di qualsiasi tema che sfiori, da vicino o da lontano, il sacrosanto principio della laicità dello Stato.
Si potrebbero aggiungere molti altri argomenti, i motivi per i quali non continuare ad essere complici di questa classe politica indegna sarebbero tanti e certo non riguardano solamente la comunità glbt. Mi piacerebbe sapere, ad esempio, se quegli eterosessuali di sinistra che si apprestano a dare il proprio voto alla Sinistra Arcobaleno o al PD pur di non far tornare Berlusconi al governo, nel 2006 abbiano votato affinché si ampliasse la base di Vicenza o perché si facesse l’indulto. Tanto per dirne due. Siete soddisfatti del lavoro svolto, è per questo che riconfermate il vostro voto?
Se la classe dirigente di centro “sinistra” avesse voluto davvero eliminare dalla scena politica il capo eversivo di Forza Italia, avrebbe potuto farlo già da tempo. Il problema è che il berlusconismo, coniugato in tutte le sue forme, torna comodo a molti, troppi dirigenti di centro “sinistra”. Un po’ meno agli elettori, magari, ma gli elettori siete voi.
Allora, invece di scegliere la corda alla quale impiccarvi, questa volta potreste chiamarvi fuori e mandare un segnale forte di protesta non estemporaneo, per chiedere una rifondazione seria della sinistra e della politica italiana. Se invece decidete, col vostro voto, di avallare per l’ennesima volta questo sistema che per l’ennesima volta vi tradirà, se cioè dagli errori del passato non siete disposti ad imparare proprio nulla, poi fate almeno il favore di tacere e di risparmiarci i vostri lamenti: Veltroni, la Binetti e il generale, o l’alleanza della Sinistra Arcobaleno con questa gentaglia (il che alla fine è la stessa cosa), li avrete voluti anche voi.

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

10 aprile 2008

Grillini sindaco laico

Se fossi romano voterei Franco Grillini sindaco. Certo, non ho per niente apprezzato il presidente onorario di Arcigay quando ha portato quell’associazione sul terreno di un deleterio collateralismo nei confronti del partito nel quale lui militava e del quale era deputato, i DS. I risultati del basso profilo che Arcigay si era imposta rispetto alle rivendicazioni del movimento glbt sono sotto gli occhi di tutti: l’appoggio incondizionato offerto a certe forze politiche da parte di quella associazione ci ha portato ad ottenere un bel nulla, cosicché gay, lesbiche, bisessuali e transessuali italiani rimangono oggi fra i più discriminati in Europa.
Allora perché un voto a Grillini? Il mio sarebbe, sicuramente, un voto contro. Contro la destra. E contro il candidato sindaco del PD, quel Francesco Rutelli che, fin dal ritiro del patrocinio del comune di Roma al World Pride del 2000, in nome di un evidente opportunismo, ha sempre lavorato indefessamente per affossare qualsiasi possibilità di riconoscimento dei nostri diritti. Non tragga in inganno il fatto che l’Arcigay romana appoggia Rutelli anziché Grillini: è solo uno dei sintomi dello stato nel quale si trova quell’associazione. 
Il mio, tuttavia, sarebbe anche un voto dato in nome della laicità. Lo dico con tutta l’utopia di cui sono capace (e, credetemi, da queste parti non ne è rimasta molta): Grillini sindaco significherebbe porre finalmente un argine concreto alla prepotenza delle gerarchie ecclesiastiche che speriamo vengano, politicamente parlando, sloggiate dal comune di Roma e trasferite là dove è giusto che rimangano, cioè in Vaticano. La laicità dello Stato e dunque anche delle amministrazioni locali, cioè la loro indipendenza rispetto alle convinzioni religiose di qualsiasi tipo, è, con tutta evidenza, affare di tutti, non solo di chi appartiene alla comunità glbt. A questo proposito, in un’interessante intervista realizzata da Anellidifumo, tra le altre cose Grillini afferma: “La proposta di candidarmi a Roma mi è stata fatta dalla federazione romana del Partito Socialista in risposta alla candidatura del clericale Rutelli. L’ho accettata perché a Roma c’è un enorme malcontento tra i laici e nella Sinistra per l’alleanza al primo turno proprio con Rutelli. La mia candidatura assume così un forte valore simbolico: i laici e i sostenitori dei diritti civili possono finalmente contarsi ed essere protagonisti di una grande mobilitazione”. A me pare sufficiente, e a voi?

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie