Semla-Binetti, uno a zero
Per la prima volta dopo chissà quanto tempo, questo fine settimana l’ho dedicato al riposo, allo svago, al mio compagno. Sabato, per esempio, complice una piccola nostalgia per il nostro ultimo viaggio insieme, io e Staou abbiamo cavalcato la Vespa fino al Centro culturale svedese di Parigi, che si trova nel terzo arrondissement.
Più precisamente in rue Payenne, una piccola via che dista appena un centinaio di metri dalla frequentatissima rue des Francs Bourgeois, quest’ultima battuta ogni fine settimana da migliaia di turisti alla ricerca di place des Vosges o del Centro Pompidou, da parigini in vena di shopping o da gay e lesbiche diretti verso il cuore del Marais. Fuori dai circuiti abituali, costeggiata da ben due giardini pubblici, immersa nella più perfetta tranquillità, rue Payenne testimonia ancora oggi della ricchezza degli abitanti che, intorno al 1600, fecero costruire anche qui quelle eleganti dimore chiamate hôtels particuliers. È in una di esse, l’hôtel de Marle, che ha stabilito la propria sede il Centre culturel suédois.
È vero, il centro ospitava una mostra di “contemporary ceramic art from Sweden”, ma non siamo riusciti ad appassionarci davvero all’esposizione, peraltro di dimensioni assai ridotte. Ciò che più prosaicamente ci ha scaldato il cuore è stato il piccolo ma accogliente Café suédois nel quale, oltre alla torta di zucchine, abbiamo assaggiato il dolce che vedete nella foto. Si tratta di una semla, un dolce che gli svedesi mangiano tra Capodanno e Pasqua. Un bignè, direte voi. Niente affatto. Intanto, la pasta: molto più simile a quella del pane, è morbida ma compatta, “densa”. Al centro è ripiena di marzapane, mentre nella parte superiore è un tripudio di panna. L’autore della foto, Ponanwi, la preferisce servita con latte caldo e una spolveratina di cannella. Noi l’abbiamo mangiata – per così dire – nature... L’abbiamo accompagnata con una cioccolata calda, il tutto per un prezzo decisamente onesto, trattandosi di Parigi.
Più tardi abbiamo assistito alla proiezione di Catch a fire, un buon film sul Sud Africa dell’apartheid, che racconta la storia vera di Patrick Chamusso e di come egli sia giunto a impegnarsi nelle file dell’ANC. È anche la rappresentazione quasi paradigmatica del percorso compiuto da quella nazione verso la democrazia, dalla necessaria lotta per la dignità dei neri, al superamento di ogni desiderio di vendetta, ciò che ha permesso, una volta terminata la segregazione, di interrompere finalmente il ciclo della violenza.
L’idillio culinario-cinematografico si è però incrinato ieri, quando è giunta anche qui l’eco delle polemiche suscitate dalle dichiarazioni di Paola Binetti. Solo parzialmente incrinato, per la verità, visto che la lettura di questo pezzo di Repubblica mi ha fatto sorridere non poco. Ebbene sì, lo confesso, sono fra quelli che non conoscono il programma Tetris e non sa cosa vuol dire l’espressione “surreality della politica italiana”. L’unico elemento che ho trovato davvero surreale sono le dichiarazioni della nostra onorevole omofoba, secondo la quale siamo devianti perché essere gay o lesbiche sarebbe “un comportamento molto diverso dalla norma iscritta in un codice morfologico, genetico, endocrinologico e caratteriologico”. Pensate a quante sciocchezze è costretta a scomodare, quando sarebbe molto più comodo dichiarare: “I Dico sono una questione importante, ma dobbiamo parlare anche delle cose che interessano agli italiani”, come fa il buon Rutelli, il quale vorrebbe farmi credere che io non sia un cittadino italiano, strana discrepanza con ciò che è scritto sulla mia carta d’identità. Ma appunto, Paola Binetti, secondo Rutelli, “è naif [...] deve imparare a calibrare bene le parole”. Apprenda da lui, che con una o due frasette semplici semplici affossa le nostre vite e in fin dei conti anche la sua, quella di quando, nel Paleolitico, aveva nei confronti della questione omosessuale ben altri atteggiamenti e, lontano dal Vaticano, frequentava ben altre stanze.
Solo che di ciò che il segretario della Margherita intende fare della sua vita a me, onestamente, non importa granché. Della mia e delle nostre invece sì. Ecco perché spero che ricominceremo, di nuovo battaglieri e battagliere, a parlare della nostra dignità sabato prossimo, a Roma, in piazza Farnese a partire dalle 15. Dicevamo: sveglia, è l’ora dei diritti!
Più precisamente in rue Payenne, una piccola via che dista appena un centinaio di metri dalla frequentatissima rue des Francs Bourgeois, quest’ultima battuta ogni fine settimana da migliaia di turisti alla ricerca di place des Vosges o del Centro Pompidou, da parigini in vena di shopping o da gay e lesbiche diretti verso il cuore del Marais. Fuori dai circuiti abituali, costeggiata da ben due giardini pubblici, immersa nella più perfetta tranquillità, rue Payenne testimonia ancora oggi della ricchezza degli abitanti che, intorno al 1600, fecero costruire anche qui quelle eleganti dimore chiamate hôtels particuliers. È in una di esse, l’hôtel de Marle, che ha stabilito la propria sede il Centre culturel suédois.
È vero, il centro ospitava una mostra di “contemporary ceramic art from Sweden”, ma non siamo riusciti ad appassionarci davvero all’esposizione, peraltro di dimensioni assai ridotte. Ciò che più prosaicamente ci ha scaldato il cuore è stato il piccolo ma accogliente Café suédois nel quale, oltre alla torta di zucchine, abbiamo assaggiato il dolce che vedete nella foto. Si tratta di una semla, un dolce che gli svedesi mangiano tra Capodanno e Pasqua. Un bignè, direte voi. Niente affatto. Intanto, la pasta: molto più simile a quella del pane, è morbida ma compatta, “densa”. Al centro è ripiena di marzapane, mentre nella parte superiore è un tripudio di panna. L’autore della foto, Ponanwi, la preferisce servita con latte caldo e una spolveratina di cannella. Noi l’abbiamo mangiata – per così dire – nature... L’abbiamo accompagnata con una cioccolata calda, il tutto per un prezzo decisamente onesto, trattandosi di Parigi.
Più tardi abbiamo assistito alla proiezione di Catch a fire, un buon film sul Sud Africa dell’apartheid, che racconta la storia vera di Patrick Chamusso e di come egli sia giunto a impegnarsi nelle file dell’ANC. È anche la rappresentazione quasi paradigmatica del percorso compiuto da quella nazione verso la democrazia, dalla necessaria lotta per la dignità dei neri, al superamento di ogni desiderio di vendetta, ciò che ha permesso, una volta terminata la segregazione, di interrompere finalmente il ciclo della violenza.
L’idillio culinario-cinematografico si è però incrinato ieri, quando è giunta anche qui l’eco delle polemiche suscitate dalle dichiarazioni di Paola Binetti. Solo parzialmente incrinato, per la verità, visto che la lettura di questo pezzo di Repubblica mi ha fatto sorridere non poco. Ebbene sì, lo confesso, sono fra quelli che non conoscono il programma Tetris e non sa cosa vuol dire l’espressione “surreality della politica italiana”. L’unico elemento che ho trovato davvero surreale sono le dichiarazioni della nostra onorevole omofoba, secondo la quale siamo devianti perché essere gay o lesbiche sarebbe “un comportamento molto diverso dalla norma iscritta in un codice morfologico, genetico, endocrinologico e caratteriologico”. Pensate a quante sciocchezze è costretta a scomodare, quando sarebbe molto più comodo dichiarare: “I Dico sono una questione importante, ma dobbiamo parlare anche delle cose che interessano agli italiani”, come fa il buon Rutelli, il quale vorrebbe farmi credere che io non sia un cittadino italiano, strana discrepanza con ciò che è scritto sulla mia carta d’identità. Ma appunto, Paola Binetti, secondo Rutelli, “è naif [...] deve imparare a calibrare bene le parole”. Apprenda da lui, che con una o due frasette semplici semplici affossa le nostre vite e in fin dei conti anche la sua, quella di quando, nel Paleolitico, aveva nei confronti della questione omosessuale ben altri atteggiamenti e, lontano dal Vaticano, frequentava ben altre stanze.
Solo che di ciò che il segretario della Margherita intende fare della sua vita a me, onestamente, non importa granché. Della mia e delle nostre invece sì. Ecco perché spero che ricominceremo, di nuovo battaglieri e battagliere, a parlare della nostra dignità sabato prossimo, a Roma, in piazza Farnese a partire dalle 15. Dicevamo: sveglia, è l’ora dei diritti!
Fonte: la Repubblica.
5 commenti:
Non riesco a comprendere come nella stessa vita si possa essere clericale e anticlericale.. davvero, non comprendo.
la semla sembra gustosa.. :P
Mi hai fatto venire fame....
Davanti a questa semla le parole della binetti si possono digerire ;-) (mi preoccuperei se dicesse il contrario)
Oltretutto dobbiamo sentire dare patenti di "anormalità" e "devianza" da una che fa uso del cilicio. Un saluto
La semla ti è piaciuta? Ho mangiato solo una questo anno, però con marzapane no, invece con la crema di vaniglia :)
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