La serata Canal Plus: film, alcol, paillettes
Giovedì scorso il Festival de films gays et lesbiens di Parigi ha ospitato la tradizionale serata organizzata da Canal Plus: quest’anno sono stati realizzati tre mediometraggi, che la nota emittente ritrasmetterà sui propri schermi il 23 novembre prossimo. Madrina dell’evento, la sfrontatissima Madame H si è presentata al cinema Rex vestita da hostess. Il filo conduttore, infatti, era un viaggio nel paradiso dell’omosessualità.
Il primo film era un reportage di Anna Margarita Arbelo sul più grande meeting di lesbiche al mondo, quello di Palm Springs (California), al quale partecipano ogni anno circa diecimila donne. Schietto e brillante, pieno di autoironia, fresco e divertente, Broute minou à Palm Springs era certamente il migliore dei film proposti da Canal Plus e credo che questa mia opinione fosse abbastanza condivisa, almeno a giudicare dall’applausometro al termine della proiezione.
Una piccola isola gay a circa cinquanta chilometri da New York, Fire Island, è invece il tema scelto dalla giornalista Laurence Haïm per il suo La cité rêvée. Per l’autrice, straight (eterosessuale) per sua stessa ammissione, Fire Island rappresenta il paradiso in terra: i gay, che gestiscono tutte le attività commerciali e indicono persino delle elezioni per la presidenza della comunità, sembrerebbero far regnare ovunque la tranquillità più assoluta. A Fire Island questi omosessuali, tutti ricchissimi, ma anche “belli e intelligenti” – come l’autrice ripete più volte, instancabilmente – vanno a dimenticare le proprie difficoltà e a lenire le proprie ferite, lontano dal resto del mondo. Che importa se da lontano si vede il fumo provocato dall’incendio delle Torri gemelle? È vero che la comunità gay dell’isola è contraria alla guerra, ma l’accento viene messo più volentieri sulla cura del proprio orticello: emblematica la dichiarazione di uno degli abitanti di Fire Island che, ripensando all’11 settembre 2001, ci rivela che il suo primo pensiero, quel giorno, è stato: per fortuna esiste quest’isola. Già, proprio una bella gabbia dorata. Quello che stupisce è lo sguardo di Laurence Haïm, che non è mai critico. Anzi, la regista si dimostra fin troppo innamorata di questo mondo del tutto illusorio e, per me, discriminatorio, dal momento che ciò che conta davvero per poterci vivere è possedere un conto in banca ben nutrito. “In America tutto è possibile”, afferma a un certo punto la regista, mostrando una coppia di uomini che ha avuto due figli grazie a quello che in Italia, con espressione orribile, si chiamerebbe “utero in affitto” e che invece in Francia si dice mère porteuse. L’“affitto” è costato la modica somma di sessantamila dollari per ogni figlio. La conclusione, forse, potrebbe essere allora che in America tutto si compra – certo, a patto di averne la possibilità. E chi non può? Laurence Haim non si pone l’interrogativo e il film, desolante, va avanti.
È triste, infine, constatare che la moda dei cow boy gay lanciata da Brokeback Mountain ha fatto un’altra vittima: il pubblico del festival, annoiato e deluso da Cowboy forever, di Jean-Baptiste Erreca. Pare che a Bonito, villaggio brasiliano sperduto nel Mato Grosso, i cowboy trovino il modo di accettare l’omosessualità dei loro colleghi: più che altro lanciano segnali, alludono, lasciano correre, ma non escludono. Sì, bene, e allora?
Fuggi fuggi generale quando sullo schermo compaiono i cortometraggi a sorpresa, cioè quattro o cinque filmetti porno della celebre Colt. Interessanti, forse, per il fatto di essere “storici”, dal momento che risalgono agli anni 70 e 80. Ma tutta quell’abbondanza di muscoli ha lasciato me e A. abbastanza indifferenti, così ci siamo alzati (insieme a una buona fetta di spettatori e spettatrici, bisogna dire) prima del termine della proiezione, e ci siamo precipitati al Bains douche, una celebre discoteca frocia parigina. Dopo aver subito la “perquisizione” dell’infaticabile hostess Madame H, siamo entrati nel locale, dove si è data appuntamento tutta la variegata fauna che ruota intorno al festival. Mondanità finocchia e lesbica assicurata… dietro presentazione del cartoncino, évidemment. Che dire? L’alcol scorreva a fiumi e io ed A. non abbiamo resistito alla tentazione di fare qualche tuffo. Ripetutamente. Follemente. Conseguenza: la nostra assenza forzata alle proiezioni di ieri. Pausa tecnica, diciamo. Come avranno fatto senza di noi? Tranquille, da oggi si riprende.
Il primo film era un reportage di Anna Margarita Arbelo sul più grande meeting di lesbiche al mondo, quello di Palm Springs (California), al quale partecipano ogni anno circa diecimila donne. Schietto e brillante, pieno di autoironia, fresco e divertente, Broute minou à Palm Springs era certamente il migliore dei film proposti da Canal Plus e credo che questa mia opinione fosse abbastanza condivisa, almeno a giudicare dall’applausometro al termine della proiezione.
Una piccola isola gay a circa cinquanta chilometri da New York, Fire Island, è invece il tema scelto dalla giornalista Laurence Haïm per il suo La cité rêvée. Per l’autrice, straight (eterosessuale) per sua stessa ammissione, Fire Island rappresenta il paradiso in terra: i gay, che gestiscono tutte le attività commerciali e indicono persino delle elezioni per la presidenza della comunità, sembrerebbero far regnare ovunque la tranquillità più assoluta. A Fire Island questi omosessuali, tutti ricchissimi, ma anche “belli e intelligenti” – come l’autrice ripete più volte, instancabilmente – vanno a dimenticare le proprie difficoltà e a lenire le proprie ferite, lontano dal resto del mondo. Che importa se da lontano si vede il fumo provocato dall’incendio delle Torri gemelle? È vero che la comunità gay dell’isola è contraria alla guerra, ma l’accento viene messo più volentieri sulla cura del proprio orticello: emblematica la dichiarazione di uno degli abitanti di Fire Island che, ripensando all’11 settembre 2001, ci rivela che il suo primo pensiero, quel giorno, è stato: per fortuna esiste quest’isola. Già, proprio una bella gabbia dorata. Quello che stupisce è lo sguardo di Laurence Haïm, che non è mai critico. Anzi, la regista si dimostra fin troppo innamorata di questo mondo del tutto illusorio e, per me, discriminatorio, dal momento che ciò che conta davvero per poterci vivere è possedere un conto in banca ben nutrito. “In America tutto è possibile”, afferma a un certo punto la regista, mostrando una coppia di uomini che ha avuto due figli grazie a quello che in Italia, con espressione orribile, si chiamerebbe “utero in affitto” e che invece in Francia si dice mère porteuse. L’“affitto” è costato la modica somma di sessantamila dollari per ogni figlio. La conclusione, forse, potrebbe essere allora che in America tutto si compra – certo, a patto di averne la possibilità. E chi non può? Laurence Haim non si pone l’interrogativo e il film, desolante, va avanti.
È triste, infine, constatare che la moda dei cow boy gay lanciata da Brokeback Mountain ha fatto un’altra vittima: il pubblico del festival, annoiato e deluso da Cowboy forever, di Jean-Baptiste Erreca. Pare che a Bonito, villaggio brasiliano sperduto nel Mato Grosso, i cowboy trovino il modo di accettare l’omosessualità dei loro colleghi: più che altro lanciano segnali, alludono, lasciano correre, ma non escludono. Sì, bene, e allora?
Fuggi fuggi generale quando sullo schermo compaiono i cortometraggi a sorpresa, cioè quattro o cinque filmetti porno della celebre Colt. Interessanti, forse, per il fatto di essere “storici”, dal momento che risalgono agli anni 70 e 80. Ma tutta quell’abbondanza di muscoli ha lasciato me e A. abbastanza indifferenti, così ci siamo alzati (insieme a una buona fetta di spettatori e spettatrici, bisogna dire) prima del termine della proiezione, e ci siamo precipitati al Bains douche, una celebre discoteca frocia parigina. Dopo aver subito la “perquisizione” dell’infaticabile hostess Madame H, siamo entrati nel locale, dove si è data appuntamento tutta la variegata fauna che ruota intorno al festival. Mondanità finocchia e lesbica assicurata… dietro presentazione del cartoncino, évidemment. Che dire? L’alcol scorreva a fiumi e io ed A. non abbiamo resistito alla tentazione di fare qualche tuffo. Ripetutamente. Follemente. Conseguenza: la nostra assenza forzata alle proiezioni di ieri. Pausa tecnica, diciamo. Come avranno fatto senza di noi? Tranquille, da oggi si riprende.
Nessun commento:
Posta un commento