Il World Pride di Gerusalemme non può essere vietato
Potremmo qualificarla come una mezza vittoria. Intanto, però, la conferma è arrivata: ieri sera l’Attorney General israeliano, Menachem Mazuz, ha deciso che il World Pride si terrà a Gerusalemme, come già da tempo stabilito, nonostante l’opposizione delle forze di polizia, preoccupate per il recente infittirsi delle proteste e delle minacce da parte degli ebrei ultraortodossi, ferocemente contrari allo svolgimento della manifestazone.
La reazione dell’Open House, associazione organizzatrice dell’evento, non si è fatta attendere: “Mazuz difende la democrazia” – ha dichiarato Noa Satat, esponente del movimento glbt israeliano – “e non soccombe a coloro che minacciano violenza e terrore”.
La decisione giunge al termine di una giornata molto tesa durante la quale a Gerusalemme corrono le voci più disparate. Aprono le danze Saar-Ran Netanel ed Etai Pinkas, consigliere comunale della capitale il primo, di Tel Aviv il secondo, entrambi membri della comunità glbt, i quali lanciano una provocazione: noi rinunciamo al World Pride, in compenso i partiti dell’estrema destra accettano di far approvare alla Knesset (parlamento) una legge sulle unioni civili, astenendosi al momento del voto. Nessuna risposta, com’è logico attendersi.
Intorno alle 13, il giornale Yedioth Ahronot pubblica sul proprio sito le dichiarazioni del capo del distretto di polizia di Gerusalemme, Ilan Franco: “Se la parata sarà mantenuta, le vite umane saranno in pericolo”. È noto che Franco vorrebbe cancellare l’appuntamento, sostenendo di non poter garantire l’incolumità dei partecipanti in caso di incidenti. Le informazioni delle quali dice di essere in possesso, fornitegli dai servizi, a suo dire sono incontrovertibili. A lui si associa il capo della polizia Moshe Karadi: insieme hanno proposto agli organizzatori del World Pride di tenere una manifestazione stanziale, in un parco della città; ma l’Open House declina questa possibilità.
Cominciano allora le proteste degli ultraortodossi. Sono le 15. Un gruppo interrompe il traffico intorno alla città di Beit Shemesh, per protestare contro l’esistenza degli autobus misti: i rivoltosi pretenderebbero che i posti da assegnare a uomini e donne fossero separati. Un autobus che tenta di forzare il blocco si vede investito da lanci di pietre e uova: al termine dell’assalto, l’autista risulterà leggermente ferito. Intanto, nelle vie antistanti Hashabat Square a Gerusalemme, un altro manipolo di fanatici sparge olio sulle carreggiate.
Alle 16 è convocata la riunione tra il capo della polizia Moshe Karadi, il capo del distretto di Gerusalemme Ilan Franco e l’Attorney General, Menachem Mazuz. È il momento più atteso, perché è da quel colloquio che dipende la decisione finale sul World Pride. I media israeliani segnalano già le divergenze all’interno del trio: se da un lato i rappresentanti delle forze dell’ordine intendono chiedere l’annullamento della manifestazione (“sappiamo che il rischio potenziale di un massacro è più forte del diritto alla libera espressione”, affermano), l’Attorney General chiede il rispetto del diritto della comunità glbt di sfilare per le strade di Gerusalemme. Nel frattempo, Saar-Ran Netanel in una lettera chiede al primo ministro Ehud Olmert di condannare la violenza e l’incitamento all’odio contro gay e lesbiche: “Soprattutto chi, come lei, è stato sindaco di Gerusalemme, non può restare indifferente”, scrive Netanel.
Sono le 19 quando filtrano finalmente le prime notizie sulla decisione dell’Attorney General. Per qualcuno è una vera sorpresa: Menachem Mazuz vieta alla polizia di impedire il regolare svolgimento del World Pride. Tuttavia, auspica che il corteo diventi “una marcia più contenuta da tenersi nei tempi e nel luogo che tutte le parti condividono”. Il che vuol dire che lunedì i rappresentanti delle forze dell’ordine dovranno ridiscutere un “piano accettabile” con gli organizzatori del World Pride, e concordare un percorso ed eventualmente una data diversi da quelli inizialmente previsti.
Nel frattempo Gerusalemme si è infiammata di nuovo e altri venti ultraortodossi sono stati arrestati dalla polizia nel corso delle violente proteste registrate nella tarda serata di ieri, contro il pronunciamento dell’Attorney General.
La reazione dell’Open House, associazione organizzatrice dell’evento, non si è fatta attendere: “Mazuz difende la democrazia” – ha dichiarato Noa Satat, esponente del movimento glbt israeliano – “e non soccombe a coloro che minacciano violenza e terrore”.
La decisione giunge al termine di una giornata molto tesa durante la quale a Gerusalemme corrono le voci più disparate. Aprono le danze Saar-Ran Netanel ed Etai Pinkas, consigliere comunale della capitale il primo, di Tel Aviv il secondo, entrambi membri della comunità glbt, i quali lanciano una provocazione: noi rinunciamo al World Pride, in compenso i partiti dell’estrema destra accettano di far approvare alla Knesset (parlamento) una legge sulle unioni civili, astenendosi al momento del voto. Nessuna risposta, com’è logico attendersi.
Intorno alle 13, il giornale Yedioth Ahronot pubblica sul proprio sito le dichiarazioni del capo del distretto di polizia di Gerusalemme, Ilan Franco: “Se la parata sarà mantenuta, le vite umane saranno in pericolo”. È noto che Franco vorrebbe cancellare l’appuntamento, sostenendo di non poter garantire l’incolumità dei partecipanti in caso di incidenti. Le informazioni delle quali dice di essere in possesso, fornitegli dai servizi, a suo dire sono incontrovertibili. A lui si associa il capo della polizia Moshe Karadi: insieme hanno proposto agli organizzatori del World Pride di tenere una manifestazione stanziale, in un parco della città; ma l’Open House declina questa possibilità.
Cominciano allora le proteste degli ultraortodossi. Sono le 15. Un gruppo interrompe il traffico intorno alla città di Beit Shemesh, per protestare contro l’esistenza degli autobus misti: i rivoltosi pretenderebbero che i posti da assegnare a uomini e donne fossero separati. Un autobus che tenta di forzare il blocco si vede investito da lanci di pietre e uova: al termine dell’assalto, l’autista risulterà leggermente ferito. Intanto, nelle vie antistanti Hashabat Square a Gerusalemme, un altro manipolo di fanatici sparge olio sulle carreggiate.
Alle 16 è convocata la riunione tra il capo della polizia Moshe Karadi, il capo del distretto di Gerusalemme Ilan Franco e l’Attorney General, Menachem Mazuz. È il momento più atteso, perché è da quel colloquio che dipende la decisione finale sul World Pride. I media israeliani segnalano già le divergenze all’interno del trio: se da un lato i rappresentanti delle forze dell’ordine intendono chiedere l’annullamento della manifestazione (“sappiamo che il rischio potenziale di un massacro è più forte del diritto alla libera espressione”, affermano), l’Attorney General chiede il rispetto del diritto della comunità glbt di sfilare per le strade di Gerusalemme. Nel frattempo, Saar-Ran Netanel in una lettera chiede al primo ministro Ehud Olmert di condannare la violenza e l’incitamento all’odio contro gay e lesbiche: “Soprattutto chi, come lei, è stato sindaco di Gerusalemme, non può restare indifferente”, scrive Netanel.
Sono le 19 quando filtrano finalmente le prime notizie sulla decisione dell’Attorney General. Per qualcuno è una vera sorpresa: Menachem Mazuz vieta alla polizia di impedire il regolare svolgimento del World Pride. Tuttavia, auspica che il corteo diventi “una marcia più contenuta da tenersi nei tempi e nel luogo che tutte le parti condividono”. Il che vuol dire che lunedì i rappresentanti delle forze dell’ordine dovranno ridiscutere un “piano accettabile” con gli organizzatori del World Pride, e concordare un percorso ed eventualmente una data diversi da quelli inizialmente previsti.
Nel frattempo Gerusalemme si è infiammata di nuovo e altri venti ultraortodossi sono stati arrestati dalla polizia nel corso delle violente proteste registrate nella tarda serata di ieri, contro il pronunciamento dell’Attorney General.
Foto: elyash25.
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