Stoccolma, impressioni
“E perché mai siete venuti proprio qui?”, è la domanda che ci hanno posto un po’ tutte le persone che abbiamo avuto la fortuna d’incontrare, stupite della nostra presenza. Già, perché andare proprio a Stoccolma, e proprio in ottobre, quando le giornate nella capitale svedese sono già molto più fresche di quelle parigine? “Perché è la prima volta che visitiamo il nord Europa”, dicevamo, “per noi molte cose qui sono nuove, quindi interessanti”.
Sì, deve essere stata una curiosità ormai decennale ad averci spinto fin lassù, un vecchio sogno di quando eravamo più giovani e cercavamo il modo migliore per emergere dal pantano nel quale ancora ci trovavamo. Fantasticavamo sul nord Europa immaginandolo come una specie di Eden. Adesso che ci sembra di essere comunque riusciti ad allontanarci almeno un po’ dallo stagno, abbiamo finalmente potuto “vivere” a Stoccolma, anche se solo per qualche giorno e senza nessun progetto particolare. Ci ha accompagnato una strana nostalgia per decisioni non prese e per epoche ormai lontane, che ha fatto sì che persino io, italiano trapiantato a Parigi, mi sentissi un po’ a casa mia. O come un assassino che torna sul luogo del delitto.
Stoccolma è una delle capitali più accoglienti che mi sia capitato di visitare. Come dimenticare la magia della città vecchia, Gamla Stan, con i suoi antichi palazzi, o l’austero e ricco quartiere Östermalm, il quartiere Kungsholmen e il suo municipio? E Södermalm, l’isola che si trova a sud e che era il luogo dove risiedeva un tempo soprattutto la classe operaia, oggi ricca di caffè alla moda o di negozi di design: questo mi è parso il vero cuore della città, pulsante di vita e di gioventù varia. Non a caso, e senza dubbio con una buona dose di esagerazione e un pizzico di autoironia, il quartiere che si trova a sud di Folkungagatan, è stato ribattezzato SoFo (cioè South of Folkungagatan, sulla falsariga di SoHo, South of Houston). Ancora, sono ben scolpite nella mia mente le immagini del più che sobrio Castello Reale, e dell’interessantissimo Vasamuseet, un museo che espone un vascello del 1628 affondato qualche minuto dopo il suo varo, e recuperato 333 anni dopo, ancora in ottimo stato. Grazie ai percorsi tematici che si sviluppano letteralmente intorno al corpo del vascello, si compie un viaggio alla scoperta di diversi aspetti della vita nella Svezia del 1600.
Non ho avuto tempo d’infilarmi in uno dei numerosi cybercafé o nei punti internet della stazione centrale o della Biblioteca municipale, per raccontare il mio soggiorno a Stoccolma giorno per giorno. Così adesso vorrei solo trascrivere qualche impressione che ho raccolto quando ero lassù.
L’elemento che forse più di tutti forgia questa città è la presenza costante e benefica dell’acqua e del verde. Più e più volte, camminando o spostandosi in metropolitana, è necessario attraversare i ponti che congiungono le varie isole sulle quali si adagia la città – timorosa, si direbbe, di disturbare l’ambiente naturale che la circonda, anzi, che la permea. E appaiono allora il Lago Mälaren e il Mar Baltico, di un blu profondissimo. Là dove i canali si fanno più stretti come fra l’isola di Gamla Stan e il quartiere Norrmalm l’acqua scorre rapidamente, tanto che a vederla si direbbe un fiume. Gli spazi verdi sono immensi, e può tranquillamente accadere che si scambi quello che è semplicemente un parco per un bosco. Le piste ciclabili sono onnipresenti, il traffico è calmo ed estremamente regolato. Dicono che nei due mesi durante i quali qualche raggio di sole le riscalda, le spiaggette di Stoccolma si riempiano di bagnanti. Di questi luoghi, perfettamente integrati alla città, ne abbiamo visto uno, nel quartiere Marieberg. Là una ragazza a dir poco temeraria sfidava la temperatura dell’acqua (per me glaciale) facendo il bagno accanto a un moletto in legno.
Il rispetto per il patrimonio naturale presente in città è osservabile ovunque: tutti i rifiuti vengono diligentemente riciclati, le cartacce in terra sono piuttosto scarse. Fatta eccezione per qualche grande asse automobilistico che attraversa il centro della capitale e per l’orrore architettonico anni 70 della zona intorno a Sergels Torg (altrettanti esempi di follia urbanistica, più che di degrado ambientale), sembra che tutto a Stoccolma sia concepito perché la gente vi si trovi a suo agio. Persino il silenzio dell’aeroporto di Arlanda, nel quale quasi tutti gli annunci all’altoparlante sono banditi, o il basso livello di inquinamento acustico nel metrò, dove le vetture non sferragliano e il segnale sonoro per la chiusura delle porte non è assordante come quello parigino, concorrono a rendere Stoccolma un luogo a bassa densità di stress.
A dispetto della temperatura e del tempo atmosferico, quasi mai consoni alle nostre origini mediterranee, pare che la vita, qui, abbia qualcosa di dolce. Ovvio, cinque giorni sono appena sufficienti per farsi qualche impressione. Nessuna certezza in queste notarelle, tuttavia alcuni segnali parlano da soli. La presenza massiccia – un vero esercito – di madri ma anche di giovani padri che spingono una carrozzina con dentro il loro pupo o la loro pupa, autorizza a credere che il periodo immediatamente successivo alla nascita dei figli può essere vissuto qui con serenità dai genitori: sarà l’impegno forte da parte dello Stato a favore dell’infanzia e della genitorialità a offrire maggiore sicurezza?
E se la Svezia non ha ancora realizzato completamente le pari opportunità, la meta sembra molto meno lontana qui che altrove. Che il ruolo dell’uomo e della donna, tanto nella coppia eterosessuale quanto nella società più in generale, sia stato ridiscusso con la volontà manifesta di rimuovere ogni traccia di maschilismo, mi pare emerga anche da piccoli episodi quotidiani come quello che riportavo sopra.
Se di una separazione tra uomini e donne si può parlare, lo si farà citando l’ingresso della sauna che abbiamo trovato a Gamla Stan. È uno dei rari (il solo?) stabilimento di questo tipo esistente in città: certo, esistono molti centri di bellezza con sauna annessa, ma il loro spirito è totalmente differente. La sauna dove siamo stati noi è stata una vera sorpresa: “popolare”, per niente lussuosa, accessibile ad un prezzo contenuto (5 euro), cinque-sei piccoli ambienti sepolti in profondità tra le fondamenta di un vecchio palazzo. Frequentata solamente da svedesi, alcuni giorni apre le porte esclusivamente agli uomini mentre in altri momenti della settimana è solo femminile. Non era una sauna gay, né vi si svolgeva alcuna attività erotica (al massimo qualche sguardo un po’ meno discreto del solito), anche se di materiale ce ne sarebbe pure stato (ehm). Bandito anche l’ultimo pudore dell’asciugamano che dalle nostre parti cinge la vita fino al momento di passare a più concrete faccende e che invece qui serve esclusivamente ad asciugarsi un po’ dopo aver fatto la doccia finale, ci siamo mischiati volentieri agli svedesi. Ho avuto la netta sensazione che si realizzasse là sotto, nel calore insopportabile della sauna (finlandese, cioè in legno con la fonte di calore all’interno, per intenderci), nel freddo della piscina o nel tepore delle vasche, una mescolanza perfetta tra etero e gay, come se tutti se ne infischiassero allegramente dell’orientamento sessuale degli altri frequentatori. Era semplicemente un luogo di ritrovo per uomini di differenti età: lontano dalle donne, potevano chiacchierare e scherzare tra di loro con una grande spontaneità e, da quanto ho capito, con un certo cameratismo. Amici e complici, ma non amanti. Noi abbiamo fatto i timidoni, benché qualcuno ci abbia chiesto in inglese da dove venivamo e ci abbia offerto altri antipasti di conversazione. Che differenza rispetto all’altezzosità delle dive che frequentano i vapori parigini!
E gli svedesi, allora? A me è parso che la proverbiale freddezza dei popoli nordici appartenga più al mito che alla realtà. Se esitavamo sulla strada da prendere con la nostra piantina in mano per più di qualche minuto, c’era sempre qualcuno che si offriva spontaneamente di aiutarci. Fuori da un locale gay, con fare molto tranquillo, due ragazzi in due momenti successivi si sono presentati giusto per... fare due chiacchiere. E tutti mostrano interesse per il sud dell’Europa e sembrano tenere moltissimo a parlarti di tutto ciò che conoscono del posto dal quale vieni. A un lettore italiano questo comportamento potrà forse sembrare banale, assolutamente logico, ma non è così per me, dal momento che a Parigi la gente sembra aver fatto dell’indifferenza verso il prossimo il mezzo migliore per sopravvivere nella difficile e a tratti ostile giungla urbana.
Così sono stato molto felice di scoprire uno scampolo di vita gaia a Stoccolma grazie al bellissimo e folle Niklas (sì, detengo il suo numero di cellulare e posso essere tranquillamente corrotto... alle mie particolari condizioni, évidemment). Ebbene, Niklas si è presentato a noi nel modo più schietto possibile, quando, nostro vicino di tavolo al ristorante dove stavamo cenando, ci ha chiesto: “So, where are you from?”. È stato lui a confermarci che a Stoccolma non esistono saune gay o locali con darkroom, che il “corteggiamento” è relativamente semplice e diretto e che le chat su internet sono più che sufficienti ad organizzare degli incontri puramente occasionali. Per assaggiare un po’ della “scena” di Stoccolma, quella sera siamo stati con lui in un locale che si chiama Torget e la sera successiva, ancora in compagnia di Niklas, abbiamo passato qualche ora spensierata da Lino, una discoteca gay sull’isola Riddar-Holmen. È il piano terra di un grande palazzo, un succedersi di grandi stanze, come fossero salotti di un appartamento appena svuotati del loro mobilio; fuori, un piccolo giardino. In ogni ambiente un tipo di musica differente, ma il pubblico è sempre quello: tendenzialmente gay, molto eterofriendly.
Un altro luogo comune sulle genti nordiche, questa volta del tutto veritiero, è la loro tendenza a sorbire quantità incredibili di superalcolici il venerdì e il sabato sera al solo scopo di ubriacarsi. In effetti alla fine della serata, alle tre del mattino, le persone ancora sobrie che si potevano contare all’uscita della discoteca erano davvero pochine...
Il momento più difficile è stato quello della partenza, non volevamo proprio andarcene. Come fa sempre quando è entusiasta di un posto che ha appena visitato, Staou continuava a parlarmi di come potrebbe essere la nostra vita a Stoccolma. Sto per pacsarmi a un vagabondo, lo so.
Sì, deve essere stata una curiosità ormai decennale ad averci spinto fin lassù, un vecchio sogno di quando eravamo più giovani e cercavamo il modo migliore per emergere dal pantano nel quale ancora ci trovavamo. Fantasticavamo sul nord Europa immaginandolo come una specie di Eden. Adesso che ci sembra di essere comunque riusciti ad allontanarci almeno un po’ dallo stagno, abbiamo finalmente potuto “vivere” a Stoccolma, anche se solo per qualche giorno e senza nessun progetto particolare. Ci ha accompagnato una strana nostalgia per decisioni non prese e per epoche ormai lontane, che ha fatto sì che persino io, italiano trapiantato a Parigi, mi sentissi un po’ a casa mia. O come un assassino che torna sul luogo del delitto.
Stoccolma è una delle capitali più accoglienti che mi sia capitato di visitare. Come dimenticare la magia della città vecchia, Gamla Stan, con i suoi antichi palazzi, o l’austero e ricco quartiere Östermalm, il quartiere Kungsholmen e il suo municipio? E Södermalm, l’isola che si trova a sud e che era il luogo dove risiedeva un tempo soprattutto la classe operaia, oggi ricca di caffè alla moda o di negozi di design: questo mi è parso il vero cuore della città, pulsante di vita e di gioventù varia. Non a caso, e senza dubbio con una buona dose di esagerazione e un pizzico di autoironia, il quartiere che si trova a sud di Folkungagatan, è stato ribattezzato SoFo (cioè South of Folkungagatan, sulla falsariga di SoHo, South of Houston). Ancora, sono ben scolpite nella mia mente le immagini del più che sobrio Castello Reale, e dell’interessantissimo Vasamuseet, un museo che espone un vascello del 1628 affondato qualche minuto dopo il suo varo, e recuperato 333 anni dopo, ancora in ottimo stato. Grazie ai percorsi tematici che si sviluppano letteralmente intorno al corpo del vascello, si compie un viaggio alla scoperta di diversi aspetti della vita nella Svezia del 1600.
Non ho avuto tempo d’infilarmi in uno dei numerosi cybercafé o nei punti internet della stazione centrale o della Biblioteca municipale, per raccontare il mio soggiorno a Stoccolma giorno per giorno. Così adesso vorrei solo trascrivere qualche impressione che ho raccolto quando ero lassù.
L’elemento che forse più di tutti forgia questa città è la presenza costante e benefica dell’acqua e del verde. Più e più volte, camminando o spostandosi in metropolitana, è necessario attraversare i ponti che congiungono le varie isole sulle quali si adagia la città – timorosa, si direbbe, di disturbare l’ambiente naturale che la circonda, anzi, che la permea. E appaiono allora il Lago Mälaren e il Mar Baltico, di un blu profondissimo. Là dove i canali si fanno più stretti come fra l’isola di Gamla Stan e il quartiere Norrmalm l’acqua scorre rapidamente, tanto che a vederla si direbbe un fiume. Gli spazi verdi sono immensi, e può tranquillamente accadere che si scambi quello che è semplicemente un parco per un bosco. Le piste ciclabili sono onnipresenti, il traffico è calmo ed estremamente regolato. Dicono che nei due mesi durante i quali qualche raggio di sole le riscalda, le spiaggette di Stoccolma si riempiano di bagnanti. Di questi luoghi, perfettamente integrati alla città, ne abbiamo visto uno, nel quartiere Marieberg. Là una ragazza a dir poco temeraria sfidava la temperatura dell’acqua (per me glaciale) facendo il bagno accanto a un moletto in legno.
Il rispetto per il patrimonio naturale presente in città è osservabile ovunque: tutti i rifiuti vengono diligentemente riciclati, le cartacce in terra sono piuttosto scarse. Fatta eccezione per qualche grande asse automobilistico che attraversa il centro della capitale e per l’orrore architettonico anni 70 della zona intorno a Sergels Torg (altrettanti esempi di follia urbanistica, più che di degrado ambientale), sembra che tutto a Stoccolma sia concepito perché la gente vi si trovi a suo agio. Persino il silenzio dell’aeroporto di Arlanda, nel quale quasi tutti gli annunci all’altoparlante sono banditi, o il basso livello di inquinamento acustico nel metrò, dove le vetture non sferragliano e il segnale sonoro per la chiusura delle porte non è assordante come quello parigino, concorrono a rendere Stoccolma un luogo a bassa densità di stress.
A dispetto della temperatura e del tempo atmosferico, quasi mai consoni alle nostre origini mediterranee, pare che la vita, qui, abbia qualcosa di dolce. Ovvio, cinque giorni sono appena sufficienti per farsi qualche impressione. Nessuna certezza in queste notarelle, tuttavia alcuni segnali parlano da soli. La presenza massiccia – un vero esercito – di madri ma anche di giovani padri che spingono una carrozzina con dentro il loro pupo o la loro pupa, autorizza a credere che il periodo immediatamente successivo alla nascita dei figli può essere vissuto qui con serenità dai genitori: sarà l’impegno forte da parte dello Stato a favore dell’infanzia e della genitorialità a offrire maggiore sicurezza?
E se la Svezia non ha ancora realizzato completamente le pari opportunità, la meta sembra molto meno lontana qui che altrove. Che il ruolo dell’uomo e della donna, tanto nella coppia eterosessuale quanto nella società più in generale, sia stato ridiscusso con la volontà manifesta di rimuovere ogni traccia di maschilismo, mi pare emerga anche da piccoli episodi quotidiani come quello che riportavo sopra.
Se di una separazione tra uomini e donne si può parlare, lo si farà citando l’ingresso della sauna che abbiamo trovato a Gamla Stan. È uno dei rari (il solo?) stabilimento di questo tipo esistente in città: certo, esistono molti centri di bellezza con sauna annessa, ma il loro spirito è totalmente differente. La sauna dove siamo stati noi è stata una vera sorpresa: “popolare”, per niente lussuosa, accessibile ad un prezzo contenuto (5 euro), cinque-sei piccoli ambienti sepolti in profondità tra le fondamenta di un vecchio palazzo. Frequentata solamente da svedesi, alcuni giorni apre le porte esclusivamente agli uomini mentre in altri momenti della settimana è solo femminile. Non era una sauna gay, né vi si svolgeva alcuna attività erotica (al massimo qualche sguardo un po’ meno discreto del solito), anche se di materiale ce ne sarebbe pure stato (ehm). Bandito anche l’ultimo pudore dell’asciugamano che dalle nostre parti cinge la vita fino al momento di passare a più concrete faccende e che invece qui serve esclusivamente ad asciugarsi un po’ dopo aver fatto la doccia finale, ci siamo mischiati volentieri agli svedesi. Ho avuto la netta sensazione che si realizzasse là sotto, nel calore insopportabile della sauna (finlandese, cioè in legno con la fonte di calore all’interno, per intenderci), nel freddo della piscina o nel tepore delle vasche, una mescolanza perfetta tra etero e gay, come se tutti se ne infischiassero allegramente dell’orientamento sessuale degli altri frequentatori. Era semplicemente un luogo di ritrovo per uomini di differenti età: lontano dalle donne, potevano chiacchierare e scherzare tra di loro con una grande spontaneità e, da quanto ho capito, con un certo cameratismo. Amici e complici, ma non amanti. Noi abbiamo fatto i timidoni, benché qualcuno ci abbia chiesto in inglese da dove venivamo e ci abbia offerto altri antipasti di conversazione. Che differenza rispetto all’altezzosità delle dive che frequentano i vapori parigini!
E gli svedesi, allora? A me è parso che la proverbiale freddezza dei popoli nordici appartenga più al mito che alla realtà. Se esitavamo sulla strada da prendere con la nostra piantina in mano per più di qualche minuto, c’era sempre qualcuno che si offriva spontaneamente di aiutarci. Fuori da un locale gay, con fare molto tranquillo, due ragazzi in due momenti successivi si sono presentati giusto per... fare due chiacchiere. E tutti mostrano interesse per il sud dell’Europa e sembrano tenere moltissimo a parlarti di tutto ciò che conoscono del posto dal quale vieni. A un lettore italiano questo comportamento potrà forse sembrare banale, assolutamente logico, ma non è così per me, dal momento che a Parigi la gente sembra aver fatto dell’indifferenza verso il prossimo il mezzo migliore per sopravvivere nella difficile e a tratti ostile giungla urbana.
Così sono stato molto felice di scoprire uno scampolo di vita gaia a Stoccolma grazie al bellissimo e folle Niklas (sì, detengo il suo numero di cellulare e posso essere tranquillamente corrotto... alle mie particolari condizioni, évidemment). Ebbene, Niklas si è presentato a noi nel modo più schietto possibile, quando, nostro vicino di tavolo al ristorante dove stavamo cenando, ci ha chiesto: “So, where are you from?”. È stato lui a confermarci che a Stoccolma non esistono saune gay o locali con darkroom, che il “corteggiamento” è relativamente semplice e diretto e che le chat su internet sono più che sufficienti ad organizzare degli incontri puramente occasionali. Per assaggiare un po’ della “scena” di Stoccolma, quella sera siamo stati con lui in un locale che si chiama Torget e la sera successiva, ancora in compagnia di Niklas, abbiamo passato qualche ora spensierata da Lino, una discoteca gay sull’isola Riddar-Holmen. È il piano terra di un grande palazzo, un succedersi di grandi stanze, come fossero salotti di un appartamento appena svuotati del loro mobilio; fuori, un piccolo giardino. In ogni ambiente un tipo di musica differente, ma il pubblico è sempre quello: tendenzialmente gay, molto eterofriendly.
Un altro luogo comune sulle genti nordiche, questa volta del tutto veritiero, è la loro tendenza a sorbire quantità incredibili di superalcolici il venerdì e il sabato sera al solo scopo di ubriacarsi. In effetti alla fine della serata, alle tre del mattino, le persone ancora sobrie che si potevano contare all’uscita della discoteca erano davvero pochine...
Il momento più difficile è stato quello della partenza, non volevamo proprio andarcene. Come fa sempre quando è entusiasta di un posto che ha appena visitato, Staou continuava a parlarmi di come potrebbe essere la nostra vita a Stoccolma. Sto per pacsarmi a un vagabondo, lo so.
Foto: Staou.
4 commenti:
Bellissimo questo post! I Paesi scandinavi mi affascinano moltissimo, vorrei trascorrerci un periodo, anche breve, della mia vita futura.
Il tuo resoconto mi è stato utilissimo! Grazie!
Ennesimo abbraccio da Oltreoceano.
Un testo bellissimo sul "mio paese"! Mi è piaciuto tantissimo. E adesso ti posso raccontare che c'è la neve e ci sono -15 gradi. Per la prossima volta ti consiglio Connection, un club gay in Gamla Stan! Ora vorrei andare in Italia, il belpaese che mi manca un sacco, per scappare il freddo... Ti auguro una buona notte!
Meno quindici... non credo di avere mai provato una temperatura simile. In ogni caso, benvenuta da queste parti!
dove hai pernottato?
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