Catania Pride 2008 - 5 luglio

15 marzo 2008

Prima del sequestro Moro, interrogativi senza risposta

Domani, 16 marzo, ricorre il trentesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro, presidente della DC e principale artefice, con il segretario del PCI Berlinguer, della formula del compromesso storico (cioè la partecipazione dei comunisti al governo del paese, insieme ai democristiani). Nel diluvio di rievocazioni su una delle vicende più tragiche della nostra storia contemporanea, forse quella che ha inciso di più sul nostro destino, domina ancora la versione ufficiale: Aldo Moro fu ucciso dalla Brigate Rosse, ostili al compromesso storico. Tutto quel che di fondamentale c’era da sapere è ormai conosciuto, il resto è “dietrologia”.
Fandonie. Osservando cosa accadde prima di quel 16 marzo 1978, noteremo alcuni fatti che, oltre a fornire un’idea di parte del contesto nel quale maturò quel delitto, suggeriscono tante domande che sono rimaste, a quanto risulta, prive di risposte soddisfacenti. Pure casualità?

19 novembre 1967. Sotto il titolo “Dovevo uccidere Moro”, la rivista “Il Nuovo mondo d’oggi” pubblica un’interessante testimonianza, quella dell’ufficiale dei reparti speciali Roberto Podestà, il quale racconta di essere stato scelto da “un ex ministro della Difesa”, tre anni prima, per guidare un commando che avrebbe dovuto uccidere la scorta di Moro, rapire il leader dc e condurlo in una località segreta. L’allora Presidente del Consiglio sarebbe stato poi ucciso, e la responsabilità dell’omicidio sarebbe stata attribuita alla sinistra. Solo molti anni dopo l’effettivo omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, si scopriranno le somiglianze tra il piano del 1964 e quello messo in atto nel 1978. Che legame esiste tra i due? Si può pensare, come afferma l’allora portavoce di Aldo Moro, Corrado Guerzoni, che il rapimento e l’omicidio del presidente della DC sia stato “appaltato” alle Brigate Rosse da elementi estranei al terrorismo? In ogni caso questa è una delle prove che Aldo Moro dava fastidio già molti anni prima del suo rapimento e che si pensava di ucciderlo almeno dal 1964, l’anno che vide il generale dei carabinieri De Lorenzo a un passo dal realizzare il suo colpo di Stato, allo scopo di far fallire l’esperienza di centro-sinistra (Piano Solo). Inoltre, l’editore de “Il Nuovo mondo d’oggi” è Mino Pecorelli, personaggio che si muove con agilità negli ambienti dei servizi segreti, dai quali riceve molte notizie confidenziali. Pecorelli sarà ucciso nel 1979, prima di poter rivelare i clamorosi retroscena sul caso Moro di cui aveva dichiarato di essere in possesso.

Prima metà degli anni 70. Il segretario di Stato americano Henry Kissinger compie un viaggio ufficiale in Italia. Durante un ricevimento a Villa Madama, a Roma, si rivolge ad Aldo Moro con queste parole: “Io non posso non occuparmi della situazione interna italiana... che nessuno potrebbe descrivere con ottimismo e che mi sembra notevolmente peggiorata dalla mia ultima visita... Sono certo che il signor Moro e gli altri ministri italiani che sono in questa magnifica sala ne sono convinti quanto me e non dubito che essi vorranno impegnarsi a fondo perché le cose migliorino... O dovrà venire il giorno in cui mi sarà necessario convocare l’ambasciatore Volpe e dirgli: ‘Caro Volpe, adesso è venuto il momento di inviare un generale al tuo posto?’. Non credo anzi sono sicuro che ciò non accadrà”.

24 settembre 1974. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone è giunto negli Stati Uniti, dove è in visita ufficiale, accompagnato dal inistro degli esteri Aldo Moro. Una settimana prima, Kissinger ha consigliato al presidente americano Ford di ammettere che il suo paese è intervenuto dal ’70 al ’73 in Cile per rovesciare il governo, democraticamente eletto, del socialista Salvador Allende. 

25 settembre 1974. Sul “Washington Post” si delinea la richiesta che gli Stati Uniti indirizzano a Leone: l’assicurazione che le alleanze uscite dalla seconda guerra mondiale saranno mantenute e che non si favorirà l’avanzata del PCI.

25 o 26 settembre 1974. Durante la visita, Aldo Moro si sente fare questo discorso: “Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. Lo riferirà al rientro in Italia lo stesso Aldo Moro a sua moglie Eleonora, senza rivelarle il nome dell’interlocutore. A togliere ogni dubbio sull’identità della persona da cui proveniva la minaccia, sarà, nel 2007, Giovanni Galloni, uno dei massimi esponenti della DC: “Ad un certo momento della riunione Kissinger chiamò Moro e gli disse chiaramente che se continuava su quella linea ne avrebbe avuto delle conseguenze gravissime sul piano personale». Un funzionario rimasto anonimo, testimone dei colloqui tra Kissinger e Moro, confermerà che il clima nel quale si svolsero quegli incontri era tempestoso: Kissinger “considerava lo statista pugliese, come già qualcuno ha detto, un pericoloso cavallo di Troia del comunismo in Italia. [...] Chi ricorda i suoi colloqui di allora con Moro non può dimenticare facilmente gli accenni alle ‘salse cilene’ in giro per il mondo, ripetuti con una insistenza che non mancava di irritare ancora di più l’interlocutore. Era chiaro dove Kissinger volesse andare a parare: delle concezioni morotee in politica estera non dava troppa pena di occuparsi. Che Moro fosse il possibile Allende dell’Italia e in prospettiva dell’Europa, Kissinger deve averlo creduto fortemente e, a leggere bene le sue memorie, mostra di crederlo ancora” (“Degli italiani” - scrive l’ex segretario di Stato - “Moro era chiaramente il personaggio di maggior spicco. Era taciturno quanto intelligente, possedeva una formidabile reputazione intellettuale. L’unica prova concreta che ebbi di questo suo ingegno fu la complessità bizantina della sua sintassi. Ma poi gli feci un effetto soporifero, durante più della metà degli incontri che tenne con me, mi si addormentò davanti; cominciai a considerare un successo il semplice fatto di tenerlo desto. Moro si disinteressava chiaramente degli affari internazionali... stava preparando, indirettamente e quasi impercettibilmente, com’era suo solito, quei cambiamenti fondamentali che avrebbero portato il partito comunista a un passo dalle leve del potere”).

26 settembre 1974. La delegazione italiana, che nel frattempo si è trasferita a New York, si reca al Metropolitan, per assistere alla rappresentazione della Madama Butterfly. Inaspettatamente, Moro è assente.

27 settembre 1974. Henry Kissinger dichiara: “Ci rimproverate per il Cile. Ci rimproverereste ancora più duramente se non facessimo nulla per impedire l’arrivo dei comunisti al potere in Italia o in altri Paesi dell’Occidente europeo”. Nella chiesa di St. Patrick Moro accusa un improvviso malore. Rientrato in Italia in gran fretta e con largo anticipo sui tempi previsti, riferisce al suo portavoce, Corrado Guerzoni, l’intenzione di ritirarsi dalla vita politica per due o tre anni. In quello stesso periodo confida a un’allieva universitaria, Maria Luisa Familiari: “Ma credi che io non sappia che posso fare la fine di Kennedy?”.

2 luglio 1975. Il piduista Mino Pecorelli fa apparire sulla rivista che dirige, Osservatorio Politico, una notizia senza nessuna importanza, titolandola tuttavia: “Il Moro... bondo”. In un’altra notizia breve, sullo stesso numero, si legge: “Per il momento tutti i commentatori politici si esercitano con l’interrogativo: è proprio il solo Moro il ministro che deve morire alle 13?”.

12 settembre 1975. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, John Volpe, dichiara alla rivista “Epoca”: “Una sostanziale modifica di questo equilibrio - quale si verificherebbe con l’instaurazione di regimi comunisti in Italia o in Portogallo - impedirebbe una evoluzione positiva della distensione. La distensione, per altro, non significa per noi essere indifferenti alla potenziale erosione delle nostre alleanze e ai legami che ci uniscono ai nostri più stretti alleati”. S’incarica di rispondergli un editoriale de “La Stampa”: “Forse ci considera un protettorato degli Stati Uniti dove sia lecito favorire o addirittura intervenire per fare o disfare governi”.

13 settembre 1975. Sulla rivista O.P., Pecorelli scrive: “Un funzionario al seguito di Ford, in visita a Roma, ebbe a dichiararci ‘Vedo nero. C’è una Jacqueline nel futuro della vostra penisola’”.

30 ottobre 1975. Un’altra frase sibillina fatta scivolare da Pecorelli sulla sua rivista: “In quell’occasione, se Moro vivrà ancora, toccherà a Benigno [Zaccagnini, ndr] sloggiare le tende”.

7 novembre 1975. Ancora sulla rivista O.P., un’altra allusione di Pecorelli al destino di Aldo Moro: “a parole Moro non muore. E se non muore Moro...”.

9 gennaio 1976. O.P. allude al leader della DC ancora più minacciosamente: “Oggi, assassinato con Moro l’ultimo centro-sinistra possibile, muore insieme con il leader pugliese ogni possibilità di sedimentazione indolore delle strategie berlingueriane”

Marzo 1977. Salvatore Senatore, un detenuto del carcere di Macerata, accenna al possibile rapimento di Moro. Ma il Sismi (servizio segreto militare) lo avrebbe appreso, secondo i suoi responsabili, solo a sequestro avvenuto, un anno più tardi. Una banale disfunzione dei nostri apparati? O un’inefficienza voluta?

28 giugno 1977. In un discorso, Kissinger afferma che l’arrivo dei comunisti al potere anche in uno solo dei paesi dell’Europa occidentale, “avrebbe un effetto psicologico sugli altri facendo apparire i partiti comunisti rispettabili o suggerendo che il corso della storia in Europa si muove nella loro direzione”. Kissinger, opponendosi vigorosamente a un superamento degli equilibri sanciti alla fine della seconda guerra mondiale, esclude che i partiti comunisti, per quanto indipendenti dall’URSS, possano legittimamente partecipare al governo. Il riferimento all’Italia è, ancora una volta, evidente.

2 novembre 1977. Il consigliere regionale del Lazio, Publio Fiori, dc, viene gambizzato. Una scritta lasciata sul muro del luogo dove è avvenuto l’attentato, indica chiaramente: “Oggi Fiori, domani Moro”.

Novembre 1977. Le forze dell'ordine rinvengono la risoluzione n. 4 delle BR: il gruppo terrorista si sta organizzando per individuare e colpire gli uomini del potere democristiano “a partire dagli organismi centrali”. Perché, sulla base di questo e degli altri segnali che indicano in modo chiaro l’approssimarsi di un evento traumatico come l’attentato ad Aldo Moro, le forze dell’ordine non prendono provvedimenti?

22 (27?) novembre 1977. Il direttore del Corriere della Sera, il piduista Franco Di Bella, si sta recando allo studio di Moro in via Savoia, a Roma. Fanno parte del corteo la sua automobile e quella della scorta, che la segue. All’inizio di via Savoia le guardie notano la presenza di un giovane su una moto. Quando la loro macchina lo oltrepassa, gli uomini della scorta vedono nel retrovisore che il ragazzo fa dei cenni ad altri due individui. Il motociclista affianca poi la macchina di Franco Di Bella. Il direttore del Corriere vede luccicare un oggetto metallico nelle mani del motociclista e le guardie del corpo capiscono che si tratta di una pistola. Un carabiniere della scorta di Moro, che si trova davanti al portone del palazzo dove ha sede lo studio del leader dc, grida: “Ferma! Ferma!”. Il motociclista riparte a tutta velocità e imbocca un senso vietato. Dal numero della targa si risale al proprietario della moto: si tratta di Umberto Liberati. Nonostante la gravità dell’episodio, le autorità non ritengono opportuno disporre un confronto e dei pedinamenti. Perché? Successivamente si sosterrà che Liberati, che aveva precedenti per furto, aveva solo tentato di fare uno scippo. Un’ipotesi del tutto illogica, vista la presenza visibile, in via Savoia, di tre macchine della polizia. Che cosa doveva fare, allora, Umberto Liberati quella mattina?

Prima settimana del dicembre 1977. Arriva una segnalazione alla questura della capitale: “Si sta preparando l’‘irlandizzazione’ di Roma”. La fonte è del tutto attendibile, quindi la questura trasmette una nota al capo della polizia il quale la passa al ministro dell’interno. Perché Francesco Cossiga non prende nessun provvedimento?

26 dicembre 1977 - 5 gennaio 1978, Roma, piazza dei Giochi Delfici, chiesa di Santa Chiara. Mauro Tomei nota “un uomo e una donna, che guardavano insistentemente l’onorevole Moro il quale era seduto con alcuni familiari su un banco del tempio”. Sono i brigatisti che preparano l’agguato? Qual è l'identità di quei due individui?

Gennaio - febbraio 1978. Mauro Tomei vede un giovane che fotografa l’edicola dove l’auto della scorta di Moro sosta abitualmente. Altre testimonianze permetteranno di affermare che, in quel periodo, Moro viene pedinato anche all’università. E un’auto con la targa del Corpo Diplomatico viene vista aggirarsi nei pressi dell’abitazione di Moro. 

Febbraio 1978. La rivista satirica “Il Male” pubblica un servizio sulle mani dei politici italiani. “La linea del destino” - vi si dice a proposito della mano di Moro - “indica che il soggetto, dopo alterne vicende, farà una brutta fine. Notevole il reticolo sull’indice segno certo di carcerazione”. È possibile che in alcuni ambienti della sinistra extraparlamentare si abbia la sensazione, o la certezza, che Moro sarà ucciso. Il riferimento del Male alla detenzione di Moro e alla sua uccisione è solo un caso? Che le forze dell’ordine non siano poi così distratte come invece si sosterrà, è dimostrato anche dal fatto che l’articolo del Male è stato esaminato dalla polizia, e sarà consegnato alla famiglia Moro subito dopo il rapimento del loro caro.

Prima del 16 febbraio 1978. “È possibile che Moro venga rapito”: è quanto un detenuto della casa circondariale di Matera riferisce ad elementi dei servizi segreti presenti in quella città. Secondo il generale Santovito, piduista, la soffiata giungerà al Sismi solo il 16 marzo, a sequestro già avvenuto. Un mese per passare una notizia così grave da Matera a Roma?

24 febbraio 1978. Un abitante di via Savoia, a Roma, vede una grossa automobile parcheggiata vicino al portone dello studio di Moro, nella quale stazionano due persone. Una delle due, un uomo, scende, va verso il giardino sul quale si affaccia lo studio di Moro e rimane ad osservare per circa un minuto. Il testimone trascrive il numero della targa e lo passa al collaboratore di Moro, Nicola Rana, il quale a sua volta lo gira alla polizia. La proprietaria della macchina risulta essere la convivente di tale Franco Moreno. La polizia interroga quest’ultimo, che nega tutto, affermando di non sapere neanche dove si trova via Savoia. Moreno viene rilasciato e le forze dell’ordine rassicurano Rana: non c’è nessun pericolo. Come si spiega tanta leggerezza? Eppure Moreno ha dei precedenti: è stato inquisito già nel 1973 per aver pedinato una segretaria dell’ambasciata libica in Italia che lavora anche per la società Radionica, il cui titolare, un certo Schuller, è un ex nazista legato ai servizi segreti tedeschi. Dopo il sequestro del presidente democristiano, Moreno sarà nuovamente arrestato. A quel punto, dopo aver negato di nuovo, ammetterà di essere stato in via Savoia quel giorno, ma solo per accompagnare l’amico Gerardo Serafino, che doveva recarsi al vicino Ufficio di araldica. Come si scoprirà poi, Serafino non è nient’altro che il collaboratore del deputato dc Gian Aldo Arnaud, fanfaniano e piduista (tessera 1984). Gli interrogatori dureranno tre giorni, passati i quali Franco Moreno sarà rilasciato, senza aver chiarito nulla (“gli indizi che sembravano [...] gravi, si dissolsero non sappiamo come nell’esame del magistrato”. Leonardo Sciascia, Relazione di minoranza, Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro).

Marzo 1978. A 30-40 metri dall’ingresso dell’ufficio di Moro in via Savoia, staziona un furgone di colore chiaro vicino al quale è parcheggiata una moto, probabilmente una Honda. A notarli è Mario Lillo il quale, sei o sette giorni prima del 16, al posto della moto vede una macchina che potrebbe essere una Renault 4, forse proprio quella che servirà poi a trasportare il cadavere di Moro in via Caetani. Sempre secondo questo testimone, accanto al conducente dell’auto si trova Prospero Gallinari, uno dei brigatisti che prenderà parte al sequestro.

6 marzo 1978. La Securpena (struttura di supervisione delle carceri) segnala al Sismi che un ergastolano della casa circondariale di Campobasso, Cesare Ansideri, che aveva avuto contatti con alcuni brigatisti, ha rivelato che si sta progettando un attentato a “una grossa personalità di Roma”, allo scopo di ottenere in cambio la liberazione di alcuni detenuti politici. Il capo del Sismi, Santovito, non attiva i servizi, reputando Ansideri inattendibile. È stato solo un errore di sottovalutazione o un’omissione voluta?

10 marzo 1978, verso le 17. Giuseppe Eusepi, professore cieco dell’università di Roma, davanti alla facoltà di filosofia sente una persona chiedere: “Hai messo tu la bomba all’università?”. L’altro, Gianmarco Ariata, appartenente all’Autonomia, risponde: “Io queste cose non le faccio, tanto rapiremo Moro”. Il professore racconta tutto agli agenti del posto di pubblica sicurezza dell’università, ma la notizia arriva alla polizia solo il 20 marzo, a sequestro avvenuto. Perché non si verifica subito l’attendibilità della notizia?

10 o 11 marzo 1978. Claudio Leone (direttore di un periodico giovanile) vede un giovane che osserva con insistenza l’ingresso dell’ufficio di Moro in via Savoia, mentre la sua scorta attende il presidente della DC. Il giorno dopo lo rivede nello stesso posto. 

15 marzo 1978. Sulla rivista O.P. di Mino Pecorelli, tornano i macabri accenni a Moro: “Mercoledì 15 marzo il quotidiano ‘Vita sera’ pubblica in seconda pagina un necrologio sibillino ‘A 2022 anni dagli Idi di marzo il genio di Roma onora Cesare 44 a.C.-1978 d.C.’. Proprio alle Idi di marzo del 1978 il governo Andreotti presta il suo giuramento nelle mani di Leone Giovanni. Dobbiamo attenderci Bruto? Chi sarà? E chi assumerà il ruolo di Antonio, amico di Cesare? Se le cose andranno così ci sarà anche una nuova Filippi?”. Da questa e dalle altre rivelazioni fatte da Pecorelli su O.P., sembra ormai evidente che i servizi fossero quanto meno a conoscenza del fatto che si stava preparando il sequestro di Aldo Moro e che alla sua morte non erano interessate le sole BR (le quali, del resto, sarebbero state avvantaggiate dal mantenere in vita il presidente della DC, piuttosto che ucciderlo): è possibile allora continuare a sostenere l'impreparazione degli apparati dello Stato davanti a un evento di questa portata?
Giuseppe Marchi, cieco, rientrando a casa sua urta un’automobile ferma davanti al portone e sente una persona dire: “Hanno rapito Moro e le guardie del corpo”. La sera racconta l’episodio ad alcuni amici in una trattoria. Il giorno dopo, avuta la notizia dell’agguato, si reca a riferire tutto alla polizia. Cinque testimoni confermano l’episodio: Marchi ha parlato dell’agguato di via Fani la sera del 15 marzo, qualche ora prima che il rapimento avvenisse. Nessuno approfondisce il caso, definito dal giudice Cudillo “sconcertante”: perché?

Prima del 16 marzo 1978. Craxi viene informato da un parlamentare tedesco che Moro è nel mirino del terrorismo internazionale. In un documento rinvenuto dalle polizie tedesca e olandese si parlava infatti di Alter Mann, nome in codice per Aldo Moro. Craxi riferisce tutto a una personalità di cui poi non vorrà fare il nome e, anni dopo l’omicidio Moro, dirà: “Se i capi delle Armi, dei Servizi segreti eccetera, hanno detto di non saperlo, evidentemente lo hanno dimenticato perché io con qualcuno ne ho certamente parlato”. Craxi non ha segnalato nulla? O qualcuno che sapeva ha opportunamente “dimenticato”? 

16 marzo 1978, poco dopo le 8. Renzo Rossellini, conduttore di Radio Città Futura, lancia dall’emittente romana un annuncio: “forse rapiscono Moro”. Tre persone riferiscono di averlo sentito: Clara Giannettino, domestica del senatore Cervone, Rosa Zanonetti e una donna sconosciuta che chiama TeleRoma 56. Dopo la morte di Moro, Rossellini rilascerà un’intervista al quotidiano francese Le Matin (4 ottobre 1978), nella quale affermerà che si trattava solo di un’ipotesi “che circolava da più giorni negli ambienti vicini all’estrema sinistra”. Poi ritratterà e dirà che quella del rapimento era solo una congettura logica, la conclusione di un discorso fatto sulla base dell’analisi della situazione politica, iniziata già molto tempo prima. Perché, se nell’“anticipazione” di Rossellini non c’era niente di strano, il centro di ascolto dell’Ucigos, quella mattina, sospende la registrazione dell’emittente proprio dalle 8,20 alle 9,33? La registrazione di quella trasmissione, guarda caso, è assente anche dal Centro di ascolto delle radio private, tenuto dal Sismi. Perché? E perché, subito dopo il rapimento, Rossellini incontra proprio il segretario del PSI, Bettino Craxi? Rossellini aveva notizie riservate da fonti che non ha mai voluto rivelare?

16 marzo 1978, ore 8,30. Giangustavo D’Emilia, studente all’istituto Merry Del Val di Roma, annuncia ai compagni che quel giorno Moro sarà rapito e la sua scorta uccisa. Tutti i compagni confermano che la rivelazione è giunta prima della notizia. Un altro caso di “veggenza”?

Sul ruolo degli Stati Uniti, vedi anche: L'Orizzonte degli eventi.

OkNotizie
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

12 commenti:

Barbara Tampieri ha detto...

Bellissimo articolo, che ho letto d'un fiato. (grazie anche per la citazione).
Io mi sono riletta tutte le lettere scritte da Moro durante la prigionia e ho notato una cosa. Non parla mai delle BR, non ha parole di odio nei confronti dei suoi carcerieri e nei rari accenni che fa ne parla quasi bene, dicendo che è trattato bene, eccetera. Voglio dire, come se le BR c'entrassero poco. Moro lancia parole di fuoco contro la DC e i comunisti, accenna continuamente ad una sorta di tradimento. Parla molte volte di un caso precedente, quando dei palestinesi furono scambiati con degli ostaggi per far notare come lui in fondo non dovesse uscire vivo di lì.
Il fratello sostiene che le lettere contengono messaggi in codice. Ce n'è una dove lui cita, in maniera decontestualizzata e senza apparente senso, il nome del medico che lo curò dopo il famoso malore di New York. In un altra, sempre in maniera strana, parla di un luogo ove si trovava la centrale di Padre Morlion a Roma.

Un'ultima cosa, l'agguato di Via Fani assomiglia molto a quello durante il quale fu assassinato il generale Renè Schneider (un militare che si era opposto ai progetti golpisti di Pinochet) a Santiago.
Ma tanto che discutiamo a fare, senti come ricostruisce i fatti il Corrierone.
Spero tu non abbia appena mangiato.
Dietrologie, solo dietrologie...

Gabriele ha detto...

Sì, Lameduck, ci vuole stomaco per leggere la ricostruzione del Corrierone. Devo dire di aver avuto molto mal di pancia anche ad ascoltare Miriam Mafai su Repubblica: “a me i complotti non piacciono... i nostri apparati erano impreparati”. E D’Avanzo che non fa le domande che pure sarebbero le più logiche.
Io penso che non dobbiamo arrenderci, anche se fanno di tutto per prenderci per idioti. Bisogna studiare, scrivere e discutere ancora. L’omicidio di Aldo Moro non fa ancora parte, purtroppo, della storia.

Anonimo ha detto...

all'epoca avevi 4 anni, come mia figlia. lei sa quello che le hanno detto, tu sai quello che ti hanno detto.
le vostre versioni non coincidono!
in questo range ci sta la fantasia di tutti gli sceneggiatori di questo mondo.
fare lo storico con gli occhi appannati di ideologia e rancore non è una buona strada.
le BR contavano su migliaia di possibili fiancheggiatori a tempo pieno o parziale ed erano probabilmente infiltrate da una quantità incredibile di servizi di intelligence.
questo fa si che vi siano migliaia di persone ed una decina di governi che possono mettere fuori storie; auguri!!

Gabriele ha detto...

Il fatto che all’epoca avevo quattro anni, non significa che oggi io mi beva tutto quel che passa il convento; tua figlia non so, io no di sicuro.
Io non conosco solo quello che hanno voluto raccontare, ma anche le cose sulle quali mi posso informare: fatti, non congetture fondate sul nulla o versioni di comodo. Tu, invece, sembri aderire proprio alla versione ufficiale, oppure fai volutamente una gran confusione, perché alla fine non si sappia nulla. Sul blog di Lameduck sei stato posto dinanzi a due-tre fatti ai quali ti sei ben guardato dal rispondere. Attento, “non è una buona strada” per confutare le tesi degli altri, quella di dire: io sono più vecchio di voi e voi siete accecati dall'ideologia. Semplicemente perché non vuol dire niente.

Anonimo ha detto...

siete liberi di credere quello che volete e che vi fa più piacere.
in fondo c'è anche chi crede a padre pio!
lungi da me voler imporre versioni, infatti mi sono limitato a parlare di metodo.
voi confondete il metodo d'indagine con il contenuto e con l'obiettivo da colpire.
nessuno è mai andato da nessuna parte in questo modo.

Barbara Tampieri ha detto...

@ lu
mi fa piacere che sposi le tesi di Cossiga, sui migliaia che sapevano. L'unico che sa qualcosa è proprio lui, invece, ma non parla.
Migliaia di sostenitori e tutti sanno che non c'era un cane che approvasse l'assassinio di Moro, che fu voluto da Moretti e dal gruppo che aveva scalzato Curcio e Franceschini.
Poi ti contraddici affermando che le BR erano infiltrate da servizi stranieri. Infatti proprio Moro confidò a Galloni che aveva saputo dell'infiltrazione Israeliana e Americana nelle BR. Peccato che questi, in teoria alleati dell'Italia, non lo avevano avvertito e nemmeno avevano condiviso le informazioni raccolte con i servizi italiani. Come mai?
Ah, se hai cinque minuti, fai una ricerca su questo nome: Operazione Chaos.
Non ti stupire se finirai in qualche sito governativo USA dove sono stati desecretati documenti ufficiali.

Barbara Tampieri ha detto...

@ gabriele
la Mafai ha fatto girare i cosiddetti anche a me. Sembrano i ragionamenti sull'11 settembre: "la CIA non se lo aspettava, sono un mucchio di ingenui".

Anonimo ha detto...

lame
non ho mai detto che i fiancheggiatori sapevano tutto del sequestro; quando ho accennato a loro ne parlavo come del brodo di coltura del terrorismo.
io personalmente ne ho conosciuti e frequentati molti e non posso certo pensare che fossero informati.
non ho bisogno di leggere nulla perchè so già quello che c'è da sapere....ed anche quello che non tutti sanno.
craxi si schierò subito per la trattativa, sia perchè sapeva alcune cose da canali suoi (pensa solamente che lotta continua (giornale) era finanziato integralmente dal psi, sia perchè sapeva che moro libero sarebbe stato un suo alleato.
quando avrò tempo ti spiegherò anche perchè.

Anonimo ha detto...

complimenti, gabo, ricostruzione straordinaria. (quanto a lu: che i socialisti trattassero - e che avessero ottimi canali per farlo - non è una novità, magari dovresti chiederti come mai non ce la fecero a salvare la pelle di moro. o magari lo chiediamo direttamente a cossiga)

giangustavo ha detto...

All'epoca dei fatti tu avevi solo quattro anni... ed io solo sedici e mezzo.
Ho imparato più tardi che il silenzio è d'oro.
Moro era l'argomento del giorno ed io ne ho sparata una grossa... Più di 30 anni dopo sono ancora sulla web.
Però vorrei chiederti di rettificare il tuo testo, perchè io, entrando in aula, quel giorno ho detto soltanto: oggi rapiscono Moro.
Della scorta non ne ho mai parlato.

Antonino Arconte ha detto...

Ma Kissinger ha smentito sdegnosamente di avere fatto queste minacce. Esse appaiono dunque solo una serie di rimbalzi di notizie false prive di ogni riscontro oggettivo tipiche del modus operandi dei media italiani noti per essere al 142 posto della graduatoria mondiale per la libertà di stampa. Vicino al Ruanda Burundi.

occhio fino ha detto...

la trattativa per liberare Moro fu un bluf perche' Moro doveva morire dopo che la scorta era stata trucidata.Moro era stato "ceduto" a sua insaputa ma non tradito da Leonardi .Ceduto per causa di forza maggiore per motivi di sicurezza ad una banda di gladiatori. Per questi motivi Moro e chi lo proteggeva veramente furono annientati separatamente.Il motivo è quello che non raccontassero il vero motivo di tale separazione dei due distinti episodi.