Avete detto “matrimoni di serie B”?
Il compassato Bollettino d’informazione statistica del Ministero della giustizia francese conteneva, nel numero di ottobre, uno studio riguardante i PaCS stipulati dal 1999 al 2006. Se fino a quest’anno l’unica cifra che si poteva conoscere era quella relativa alle coppie che avevano deciso di firmare un Patto Civile di Solidarietà, oggi la legge consente, per la prima volta, la raccolta di molti altri dati. Questi si rivelano estremamente utili per capire come la società francese ha accolto i PaCS e, forse, anche per cominciare a porsi qualche domanda sulle ragioni che spingono l’Italia a rifiutare un provvedimento di quel tipo. A tutto ciò abbiamo accennato nella trasmissione radiofonica Flash Beat, andata in onda l’atroieri.
Innanzitutto c’è da dire che, da quando è stato varato questo istituto giuridico, il numero di PaCS stipulati ogni anno non ha mai smesso di crescere: se nel 2004 erano stati contratti 40.093 PaCS, l’anno scorso questi sono stati ben 77.362 (l’incremento rispetto al 2005 è stato del 27,9%). Possiamo dire, insomma, che sottoscrivere un PaCS è diventato ormai un fatto comune, quasi banale. L’ampiezza del fenomeno mostra che la richiesta di un riconoscimento della propria vita di coppia al di fuori del matrimonio, esiste effettivamente nelle nostre società. Il messaggio è talmente chiaro che oramai persino la destra sembra averlo fatto proprio – e stiamo parlando di quella stessa parte politica che, al momento dell’approvazione dei PaCS, aveva gridato allo scandalo e agitato le piazze contro il pericolo di un declino irreversibile che avrebbe colpito la Francia.
Tuttavia, il dato più interessante è sicuramente quello sul sesso dei partner: mentre nel primo periodo di applicazione della legge (novembre-dicembre 1999) il 42% dei patti era stato sottoscritto da coppie formate da persone dello stesso sesso, questa percentuale è andata via via diminuendo e nel 2006 solo il 7% dei PaCS è stato stipulato tra due uomini o due donne. Avete letto bene: il 7%. Globalmente, dal 1999 fino a tutto il 2006, sul totale dei pacsati e delle pacsate, solo il 12% sono omosessuali. Questo dato è strabiliante, a mio avviso e anche secondo il parere delle associazioni glbt francesi, perché smentisce in maniera assolutamente cristallina uno dei luoghi comuni invocati otto anni fa in Francia – e, oggi, in Italia – per non approvare una legge sulle unioni civili: il fatto che essa riguarderebbe potenzialmente solo un’esigua minoranza di persone, cioè i gay e le lesbiche. Ebbene, l’esperienza francese dimostra che ad avvalersi di questo strumento – caratterizzao da meno diritti rispetto al matrimonio, ma anche da un impegno più facilmente dissolubile – sono proprio le coppie eterosessuali (93% dei PaCS stipulati nel 2006). Nessun “matrimonio di serie B”, dunque, ma una possibilità in più offerta a tutte le coppie per organizzare la propria convivenza in un quadro giuridico certo.
Leggendo questi dati, quindi, risulta evidente che la battaglia per il riconoscimento delle unioni di fatto – anche indipendentemente da quella sull’apertura del matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso sesso – concerne tutte e tutti, gay e lesbiche certamente, ma in primo luogo gli e le eterosessuali.
Altri dati, poi, ci aiutano a sfatare ancora qualche mito. Per esempio: chi l’ha detto che le coppie gay o lesbiche sono più fragili, meno solide di quelle etero? È vero l’esatto contrario: anche se il 14% di tutti i PaCS sin qui stipulati è stato sciolto, il tasso di rottura è in costante diminuzione e, dopo sei anni di unione, nel 2006 è rimasto solo di poco superiore a quello dei divorzi (20,4% contro il 15,4%). Se una vera differenza in questo ambito si può riscontrare, questa riguarda semmai il momento in cui interviene la separazione: la dissoluzione di un PaCS avviene generalmente prima del terzo anno, mentre i divorzi seguono un andamento contrario e diventano più frequenti proprio a partire dal terzo anno.
Infine, qual è il “peso” dei Patti Civili di Solidarietà sul totale delle unioni celebrate ogni anno? Considerando solo quelle eterosessuali (dal momento che il matrimonio non è consentito a gay e lesbiche), il Bollettino rileva che “se nel 2000 il numero di PaCS stipulati rappresentava il 5% del totale delle unioni” (cioè PaCS più matrimoni), nel 2006 quella cifra è salita al 25%. Come dire che su quattro unioni eterosessuali, nel 2006 tre erano matrimoni e uno era un PaCS. Tuttavia, questo non si può interpretare come “un semplice fenomeno di sostituzione poiché il numero di PaCS sottoscritti ogni anno” – scrive Valérie Carrasco nel Bollettino – “supera di gran lunga quello del calo annuale dei matrimoni”. In buona sostanza: ogni anno ci sono molte più persone che decidono di pacsarsi rispetto a quelle che decidono di non sposarsi.
Secondo un’ipotesi avanzata ieri in trasmissione dalla portavoce del TorinoPride, Roberta Padovano, le resistenze italiane all’istituzione dei PaCS non sarebbero causate tanto dal riconoscimento delle coppie omosessuali, quanto piuttosto dalla possibilità offerta a tutt* di costruire la propria relazione al di là delle regole stantie ed opprimenti del matrimonio. Un’opportunità negata in Italia, dove si vorrebbe far prevalere ancora – se interpreto bene il pensiero di Roberta – una concezione rigida e maschilista dei rapporti di coppia. La discussione è aperta...
Innanzitutto c’è da dire che, da quando è stato varato questo istituto giuridico, il numero di PaCS stipulati ogni anno non ha mai smesso di crescere: se nel 2004 erano stati contratti 40.093 PaCS, l’anno scorso questi sono stati ben 77.362 (l’incremento rispetto al 2005 è stato del 27,9%). Possiamo dire, insomma, che sottoscrivere un PaCS è diventato ormai un fatto comune, quasi banale. L’ampiezza del fenomeno mostra che la richiesta di un riconoscimento della propria vita di coppia al di fuori del matrimonio, esiste effettivamente nelle nostre società. Il messaggio è talmente chiaro che oramai persino la destra sembra averlo fatto proprio – e stiamo parlando di quella stessa parte politica che, al momento dell’approvazione dei PaCS, aveva gridato allo scandalo e agitato le piazze contro il pericolo di un declino irreversibile che avrebbe colpito la Francia.
Tuttavia, il dato più interessante è sicuramente quello sul sesso dei partner: mentre nel primo periodo di applicazione della legge (novembre-dicembre 1999) il 42% dei patti era stato sottoscritto da coppie formate da persone dello stesso sesso, questa percentuale è andata via via diminuendo e nel 2006 solo il 7% dei PaCS è stato stipulato tra due uomini o due donne. Avete letto bene: il 7%. Globalmente, dal 1999 fino a tutto il 2006, sul totale dei pacsati e delle pacsate, solo il 12% sono omosessuali. Questo dato è strabiliante, a mio avviso e anche secondo il parere delle associazioni glbt francesi, perché smentisce in maniera assolutamente cristallina uno dei luoghi comuni invocati otto anni fa in Francia – e, oggi, in Italia – per non approvare una legge sulle unioni civili: il fatto che essa riguarderebbe potenzialmente solo un’esigua minoranza di persone, cioè i gay e le lesbiche. Ebbene, l’esperienza francese dimostra che ad avvalersi di questo strumento – caratterizzao da meno diritti rispetto al matrimonio, ma anche da un impegno più facilmente dissolubile – sono proprio le coppie eterosessuali (93% dei PaCS stipulati nel 2006). Nessun “matrimonio di serie B”, dunque, ma una possibilità in più offerta a tutte le coppie per organizzare la propria convivenza in un quadro giuridico certo.
Leggendo questi dati, quindi, risulta evidente che la battaglia per il riconoscimento delle unioni di fatto – anche indipendentemente da quella sull’apertura del matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso sesso – concerne tutte e tutti, gay e lesbiche certamente, ma in primo luogo gli e le eterosessuali.
Altri dati, poi, ci aiutano a sfatare ancora qualche mito. Per esempio: chi l’ha detto che le coppie gay o lesbiche sono più fragili, meno solide di quelle etero? È vero l’esatto contrario: anche se il 14% di tutti i PaCS sin qui stipulati è stato sciolto, il tasso di rottura è in costante diminuzione e, dopo sei anni di unione, nel 2006 è rimasto solo di poco superiore a quello dei divorzi (20,4% contro il 15,4%). Se una vera differenza in questo ambito si può riscontrare, questa riguarda semmai il momento in cui interviene la separazione: la dissoluzione di un PaCS avviene generalmente prima del terzo anno, mentre i divorzi seguono un andamento contrario e diventano più frequenti proprio a partire dal terzo anno.
Infine, qual è il “peso” dei Patti Civili di Solidarietà sul totale delle unioni celebrate ogni anno? Considerando solo quelle eterosessuali (dal momento che il matrimonio non è consentito a gay e lesbiche), il Bollettino rileva che “se nel 2000 il numero di PaCS stipulati rappresentava il 5% del totale delle unioni” (cioè PaCS più matrimoni), nel 2006 quella cifra è salita al 25%. Come dire che su quattro unioni eterosessuali, nel 2006 tre erano matrimoni e uno era un PaCS. Tuttavia, questo non si può interpretare come “un semplice fenomeno di sostituzione poiché il numero di PaCS sottoscritti ogni anno” – scrive Valérie Carrasco nel Bollettino – “supera di gran lunga quello del calo annuale dei matrimoni”. In buona sostanza: ogni anno ci sono molte più persone che decidono di pacsarsi rispetto a quelle che decidono di non sposarsi.
Secondo un’ipotesi avanzata ieri in trasmissione dalla portavoce del TorinoPride, Roberta Padovano, le resistenze italiane all’istituzione dei PaCS non sarebbero causate tanto dal riconoscimento delle coppie omosessuali, quanto piuttosto dalla possibilità offerta a tutt* di costruire la propria relazione al di là delle regole stantie ed opprimenti del matrimonio. Un’opportunità negata in Italia, dove si vorrebbe far prevalere ancora – se interpreto bene il pensiero di Roberta – una concezione rigida e maschilista dei rapporti di coppia. La discussione è aperta...
Fonte: Infostat Justice.
Nessun commento:
Posta un commento