Un bilancio
Mancano ormai solo due settimane al primo turno delle elezioni presidenziali francesi e gay, lesbiche, bisessuali e transessuali d’Oltralpe si interrogano su quale potrà essere il futuro delle loro lotte, dopo che saranno resi noti i risultati definitivi e si conoscerà il nome del prossimo capo dello Stato.
Intanto però, è l’ora di tracciare un bilancio della legislatura che si conclude nel giugno prossimo, poco dopo la scadenza del mandato del presidente uscente, Jacques Chirac: quali passi avanti sono stati ottenuti dalla comunità glbt negli ultimi cinque anni? E quali sono invece le battute d’arresto?
L’Inter-lgbt, federazione che riunisce le associazioni organizzatrici del pride nazionale, nel resoconto sullo stato di avanzamento delle proprie rivendicazioni, ricorda che nel 2002 “l’appello unanime del mondo associativo a far fronte contro Jean-Marie Le Pen e a votare per il candidato Jacques Chirac non era per niente motivato da qualsivoglia impegno di quest’ultimo sulle questioni glbt”. In ogni caso, pur trovandosi davanti a una maggioranza conservatrice di destra, l’Inter-lgbt ha scelto di tentare comunque un dialogo e di fare pressione sulle istituzioni per ottenere il massimo possibile. Non senza qualche risultato concreto.
Il più importante di tutti, probabilmente, è stato il rafforzamento della lotta contro la discriminazione, che si è espresso attraverso misure di carattere penale. Grazie a due leggi (18 marzo 2003 e 9 marzo 2004), l’omofobia in Francia è ormai considerata una circostanza aggravante nei casi di omicidio o di lesioni, così come in caso di minaccia, di furto o di estorsione: la persona riconosciuta colpevole di questi delitti incorre quindi in pene più pesanti rispetto a prima.
Inoltre, al termine di una lunga battaglia combattuta strenuamente dal movimento francese, è stata approvata una legge (30 dicembre 2004) che sanziona le affermazioni discriminatorie (ingiurie, diffamazioni, incitazioni all’odio) basate sul sesso, l’orientamento sessuale o l’handicap della vittima, con la stessa severità con la quale sono punite le dichiarazioni razziste, permettendo tra l’altro alle associazioni glbt di costituirsi parte civile. Una prima applicazione di questa legge si è avuta con il processo al deputato del principale partito di destra (UMP) Christian Vanneste, il quale è stato riconosciuto colpevole di “ingiuria basata sull’orientamento sessuale” sia in primo grado sia in appello, per aver affermato che “l’omosessualità è inferiore all’eterosessualità” e costituisce “una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità”.
Se il 29 giugno 2000 il Consiglio d’Europa varava una direttiva sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, in un discorso tenuto a Troyes il 14 ottobre 2002 il presidente Chirac andava molto oltre: “Desidero che venga creata un’autorità indipendente per lottare contro tutte le forme di discriminazione, siano esse motivate da razzismo, da intolleranza religiosa, da sessismo o da omofobia”. La risposta è stata la HALDE (Autorità per la lotta contro le discriminazioni e per l’uguaglianza), con compiti di assistenza alle vittime di discriminazioni, di promozione dell’uguaglianza e di consulenza per le autorità pubbliche. Tuttavia, l’Inter-lgbt ha rimproverato alla maggioranza di destra di aver marginalizzato il mondo associativo al quale spetta, secondo la legge istitutiva, un ruolo puramente consultivo nella gestione di questo nuovo organismo. Successivamente, quando il Comitato consultivo della HALDE si è costituito, nessuna delle associazioni glbt che si era candidata a farne parte, è stata ammessa. Non solo: l’Autorità non contempla nel proprio campo d’azione le discriminazioni fondate sull’identità di genere.
Per quanto riguarda poi la prevenzione delle discriminazioni, che dovrebbe essere condotta soprattutto nelle scuole, il governo e la sua maggioranza hanno brillato per la loro assenza: secondo l’Inter-lgbt, “l’inesistenza di una politica sistematica e generalizzata di formazione per il personale della Pubblica Istruzione, gli ostacoli posti agli interventi del mondo associativo in ambito scolastico, il palese disinteresse dei diversi ministri del Lavoro, della Solidarietà sociale e della Pubblica Istruzione per la lotta contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, [...] costituiscono il punto più critico del bilancio di questo governo”.
Un giudizio solo leggermente più lusinghiero viene espresso sulla condizione di gay e lesbiche che vivono in coppia. È pur vero che il PaCS è stato migliorato in materia di fisco (soprattutto col varo dell’imposizione comune immediata e non più dopo 3 anni di convivenza certificata) e negli aspetti civili come, per esempio, il regime della separazione dei beni (anche se è fatta salva la possibilità di scegliere la condivisione). Tuttavia il legislatore francese ha escluso sistematicamente la possibilità, per il partner che resta dopo la morte del proprio compagno col quale era pacsato, di ereditare i suoi beni o di godere della reversibilità della pensione.
Niet anche al matrimonio per le coppie formate da persone dello stesso sesso: “la differenza sessuale costituisce un elemento essenziale del matrimonio”, secondo le conclusioni di una commissione parlamentare “sulla famiglia e i diritti del bambino” voluta dal presidente dell’Assemblée Nationale – l’equivalente della nostra Camera dei Deputati – Jean-Louis Debré. Un no secco anche al riconoscimento dell’omogenitorialità, contro la quale più di trecento parlamentari della destra hanno stilato un documento d’intesa: gay e lesbiche “hanno scelto una vita senza possibilità di avere figli” – sostengono – ed ecco spiegata, almeno secondo loro, l’opposizione a qualsiasi apertura in questo senso.
Nessuna novità da registrare per le coppie omosessuali formate da un francese e uno straniero proviente da un paese extraeuropeo. Quest’ultimo, infatti, allo stato attuale, può richiedere un permesso di soggiorno che gli consenta di svolgere legalmente un lavoro, soltanto se può provare di aver vissuto insieme al proprio partner francese (col quale deve comunque essere pacsato) da almeno un anno. Quando un precedente permesso di soggiorno (per motivi di studio, per esempio) scade (e non sia rinnovabile) prima che sia trascorso un anno di convivenza, l’immigrato si trova automaticamente in situazione irregolare, senza nessun’altra soluzione possibile se non quella di attendere il momento giusto per chiedere l’ambìto permesso “per motivi di famiglia”. Col conseguente fardello d’incertezza e di precarietà (oltre che d’illegalità) che questo comporta.
Le associazioni glbt contestano anche una lista, stilata dall’Ufficio di protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA), nella quale si enumerano i paesi ritenuti “sicuri”, cioè quelli nei quali si rispettano “i principi di libertà, di democrazia e dello stato di diritto, così come i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali”. I rifugiati provenienti da questi Stati, infatti, si vedono automaticamente rifiutare la loro domanda d’asilo in Francia. Peccato che fra essi risultino anche il Benin, il Capo Verde, l’India, il Mali e il Senegal, tutti paesi dove l’omosessualità è condannata dalla legge.
Sul piano della diplomazia, poi, il governo francese non ha condannato apertamente l’arresto in Arabia Saudita, il 26 marzo 2005, di 31 uomini accusati di “comportarsi come delle donne”, puniti con diversi anni di prigione e duemila frustate; ed ha latitato anche quando due adolescenti iraniani sono stati impiccati a Mashhad nel luglio dello stesso anno. Inoltre, nell’agosto scorso, il Quai d’Orsay non ha approfittato dell’occasione offerta dalla visita del presidente del Camerun Paul Biya a Parigi, per protestare contro la dura repressione omofoba in atto in quel paese. Durante il vertice franco-africano del marzo 2003, del resto, il cinismo dimostrato dalle istituzioni francesi nei confronti delle condizioni in cui versano le persone glbt in Zimbabwe, aveva già toccato la massima espressione con i ricevimenti organizzati per il presidente Robert Mugabe: nonostante il divieto di soggiorno in Europa a causa delle sue ripetute violazioni dei diritti umani, Mugabe, le cui incitazioni all’odio contro gay e lesbiche sono note, è stato accolto nella capitale francese in pompa magna.
Su tutt’altro piano, infine, le associazioni gay e lesbiche possono invece ritenersi soddisfatte, poiché hanno ottenuto il riconoscimento pieno e inequivocabile, da parte della massima autorità dello Stato, della deportazione degli omosessuali durante la seconda guerra mondiale. In un discorso solenne tenuto il 24 aprile 2005 sotto l’Arco di Trionfo a Parigi, Jacques Chirac ha dichiarato: “Noi siamo qui per ricordare che la follia nazista voleva eliminare i più deboli, i più fragili, le persone colpite da handicap la cui stessa esistenza costituiva un affronto alla loro concezione dell’uomo e della società. In Germania, ma anche sul nostro territorio, quelle e quelli che si distinguevano nella loro intimità – penso agli omosessuali – erano perseguitati, arrestati o deportati. Oggi noi sappiamo che la tolleranza e il rifiuto delle discriminazioni appartengono al fondamento intangibile dei diritti umani. Sappiamo anche che la lotta per accettare l’altro e le sue differenze non è mai terminata. Essa rimane una delle più vive per la nostra Repubblica”.
Come si vede, si tratta di un bilancio in chiaroscuro, con poche luci e molte ombre, tra le quali figura anche l’impasse totale nel quale si trovano le rivendicazioni dei/delle trans. Comunque vadano a finire le prossime consultazioni elettorali, insomma, “y’a encore du boulot”, c’è ancora molto da fare.
Fonte: Inter-lgbt.
Intanto però, è l’ora di tracciare un bilancio della legislatura che si conclude nel giugno prossimo, poco dopo la scadenza del mandato del presidente uscente, Jacques Chirac: quali passi avanti sono stati ottenuti dalla comunità glbt negli ultimi cinque anni? E quali sono invece le battute d’arresto?
L’Inter-lgbt, federazione che riunisce le associazioni organizzatrici del pride nazionale, nel resoconto sullo stato di avanzamento delle proprie rivendicazioni, ricorda che nel 2002 “l’appello unanime del mondo associativo a far fronte contro Jean-Marie Le Pen e a votare per il candidato Jacques Chirac non era per niente motivato da qualsivoglia impegno di quest’ultimo sulle questioni glbt”. In ogni caso, pur trovandosi davanti a una maggioranza conservatrice di destra, l’Inter-lgbt ha scelto di tentare comunque un dialogo e di fare pressione sulle istituzioni per ottenere il massimo possibile. Non senza qualche risultato concreto.
Il più importante di tutti, probabilmente, è stato il rafforzamento della lotta contro la discriminazione, che si è espresso attraverso misure di carattere penale. Grazie a due leggi (18 marzo 2003 e 9 marzo 2004), l’omofobia in Francia è ormai considerata una circostanza aggravante nei casi di omicidio o di lesioni, così come in caso di minaccia, di furto o di estorsione: la persona riconosciuta colpevole di questi delitti incorre quindi in pene più pesanti rispetto a prima.
Inoltre, al termine di una lunga battaglia combattuta strenuamente dal movimento francese, è stata approvata una legge (30 dicembre 2004) che sanziona le affermazioni discriminatorie (ingiurie, diffamazioni, incitazioni all’odio) basate sul sesso, l’orientamento sessuale o l’handicap della vittima, con la stessa severità con la quale sono punite le dichiarazioni razziste, permettendo tra l’altro alle associazioni glbt di costituirsi parte civile. Una prima applicazione di questa legge si è avuta con il processo al deputato del principale partito di destra (UMP) Christian Vanneste, il quale è stato riconosciuto colpevole di “ingiuria basata sull’orientamento sessuale” sia in primo grado sia in appello, per aver affermato che “l’omosessualità è inferiore all’eterosessualità” e costituisce “una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità”.
Se il 29 giugno 2000 il Consiglio d’Europa varava una direttiva sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, in un discorso tenuto a Troyes il 14 ottobre 2002 il presidente Chirac andava molto oltre: “Desidero che venga creata un’autorità indipendente per lottare contro tutte le forme di discriminazione, siano esse motivate da razzismo, da intolleranza religiosa, da sessismo o da omofobia”. La risposta è stata la HALDE (Autorità per la lotta contro le discriminazioni e per l’uguaglianza), con compiti di assistenza alle vittime di discriminazioni, di promozione dell’uguaglianza e di consulenza per le autorità pubbliche. Tuttavia, l’Inter-lgbt ha rimproverato alla maggioranza di destra di aver marginalizzato il mondo associativo al quale spetta, secondo la legge istitutiva, un ruolo puramente consultivo nella gestione di questo nuovo organismo. Successivamente, quando il Comitato consultivo della HALDE si è costituito, nessuna delle associazioni glbt che si era candidata a farne parte, è stata ammessa. Non solo: l’Autorità non contempla nel proprio campo d’azione le discriminazioni fondate sull’identità di genere.
Per quanto riguarda poi la prevenzione delle discriminazioni, che dovrebbe essere condotta soprattutto nelle scuole, il governo e la sua maggioranza hanno brillato per la loro assenza: secondo l’Inter-lgbt, “l’inesistenza di una politica sistematica e generalizzata di formazione per il personale della Pubblica Istruzione, gli ostacoli posti agli interventi del mondo associativo in ambito scolastico, il palese disinteresse dei diversi ministri del Lavoro, della Solidarietà sociale e della Pubblica Istruzione per la lotta contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, [...] costituiscono il punto più critico del bilancio di questo governo”.
Un giudizio solo leggermente più lusinghiero viene espresso sulla condizione di gay e lesbiche che vivono in coppia. È pur vero che il PaCS è stato migliorato in materia di fisco (soprattutto col varo dell’imposizione comune immediata e non più dopo 3 anni di convivenza certificata) e negli aspetti civili come, per esempio, il regime della separazione dei beni (anche se è fatta salva la possibilità di scegliere la condivisione). Tuttavia il legislatore francese ha escluso sistematicamente la possibilità, per il partner che resta dopo la morte del proprio compagno col quale era pacsato, di ereditare i suoi beni o di godere della reversibilità della pensione.
Niet anche al matrimonio per le coppie formate da persone dello stesso sesso: “la differenza sessuale costituisce un elemento essenziale del matrimonio”, secondo le conclusioni di una commissione parlamentare “sulla famiglia e i diritti del bambino” voluta dal presidente dell’Assemblée Nationale – l’equivalente della nostra Camera dei Deputati – Jean-Louis Debré. Un no secco anche al riconoscimento dell’omogenitorialità, contro la quale più di trecento parlamentari della destra hanno stilato un documento d’intesa: gay e lesbiche “hanno scelto una vita senza possibilità di avere figli” – sostengono – ed ecco spiegata, almeno secondo loro, l’opposizione a qualsiasi apertura in questo senso.
Nessuna novità da registrare per le coppie omosessuali formate da un francese e uno straniero proviente da un paese extraeuropeo. Quest’ultimo, infatti, allo stato attuale, può richiedere un permesso di soggiorno che gli consenta di svolgere legalmente un lavoro, soltanto se può provare di aver vissuto insieme al proprio partner francese (col quale deve comunque essere pacsato) da almeno un anno. Quando un precedente permesso di soggiorno (per motivi di studio, per esempio) scade (e non sia rinnovabile) prima che sia trascorso un anno di convivenza, l’immigrato si trova automaticamente in situazione irregolare, senza nessun’altra soluzione possibile se non quella di attendere il momento giusto per chiedere l’ambìto permesso “per motivi di famiglia”. Col conseguente fardello d’incertezza e di precarietà (oltre che d’illegalità) che questo comporta.
Le associazioni glbt contestano anche una lista, stilata dall’Ufficio di protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA), nella quale si enumerano i paesi ritenuti “sicuri”, cioè quelli nei quali si rispettano “i principi di libertà, di democrazia e dello stato di diritto, così come i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali”. I rifugiati provenienti da questi Stati, infatti, si vedono automaticamente rifiutare la loro domanda d’asilo in Francia. Peccato che fra essi risultino anche il Benin, il Capo Verde, l’India, il Mali e il Senegal, tutti paesi dove l’omosessualità è condannata dalla legge.
Sul piano della diplomazia, poi, il governo francese non ha condannato apertamente l’arresto in Arabia Saudita, il 26 marzo 2005, di 31 uomini accusati di “comportarsi come delle donne”, puniti con diversi anni di prigione e duemila frustate; ed ha latitato anche quando due adolescenti iraniani sono stati impiccati a Mashhad nel luglio dello stesso anno. Inoltre, nell’agosto scorso, il Quai d’Orsay non ha approfittato dell’occasione offerta dalla visita del presidente del Camerun Paul Biya a Parigi, per protestare contro la dura repressione omofoba in atto in quel paese. Durante il vertice franco-africano del marzo 2003, del resto, il cinismo dimostrato dalle istituzioni francesi nei confronti delle condizioni in cui versano le persone glbt in Zimbabwe, aveva già toccato la massima espressione con i ricevimenti organizzati per il presidente Robert Mugabe: nonostante il divieto di soggiorno in Europa a causa delle sue ripetute violazioni dei diritti umani, Mugabe, le cui incitazioni all’odio contro gay e lesbiche sono note, è stato accolto nella capitale francese in pompa magna.
Su tutt’altro piano, infine, le associazioni gay e lesbiche possono invece ritenersi soddisfatte, poiché hanno ottenuto il riconoscimento pieno e inequivocabile, da parte della massima autorità dello Stato, della deportazione degli omosessuali durante la seconda guerra mondiale. In un discorso solenne tenuto il 24 aprile 2005 sotto l’Arco di Trionfo a Parigi, Jacques Chirac ha dichiarato: “Noi siamo qui per ricordare che la follia nazista voleva eliminare i più deboli, i più fragili, le persone colpite da handicap la cui stessa esistenza costituiva un affronto alla loro concezione dell’uomo e della società. In Germania, ma anche sul nostro territorio, quelle e quelli che si distinguevano nella loro intimità – penso agli omosessuali – erano perseguitati, arrestati o deportati. Oggi noi sappiamo che la tolleranza e il rifiuto delle discriminazioni appartengono al fondamento intangibile dei diritti umani. Sappiamo anche che la lotta per accettare l’altro e le sue differenze non è mai terminata. Essa rimane una delle più vive per la nostra Repubblica”.
Come si vede, si tratta di un bilancio in chiaroscuro, con poche luci e molte ombre, tra le quali figura anche l’impasse totale nel quale si trovano le rivendicazioni dei/delle trans. Comunque vadano a finire le prossime consultazioni elettorali, insomma, “y’a encore du boulot”, c’è ancora molto da fare.
Fonte: Inter-lgbt.
Foto: Jacques Chirac (Morganommer con licenza CC).
2 commenti:
Una legge che permette di processare un deputato per aver detto che "l'omosessualità è inferiore all'eterosessualità"?
Che paese civile.
In italia questa legge farebbe piazza pulita in parlamento.
e il futuro non è certo più roseo...
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