Catania Pride 2008 - 5 luglio

06 aprile 2007

Di omofobia si muore ancora

Di getto.
Rientro a casa tardi, dopo una giornata di lavoro abbastanza lunga. Il titolo di una mail di M. mi interroga: “Hai sentito del 16enne di Torino?”. Non ne so ancora niente. Vado a leggere. E mi scandalizza il fatto che si permette che cose del genere possano ancora accadere.
Purtroppo credo si tratti solo della punta dell'iceberg, molto spesso chi resta non ha il coraggio di ammettere che è l'omosessualità del proprio congiunto (o meglio l'omofobia che lo circonda) ad aver spinto al suicidio. E sappiamo tutti molto bene come vanno le cose nelle scuole italiane ma, per quanto ne so, anche in quelle francesi.
È evidente che non si tratta solo di bullismo e non è nemmeno solo un problema del nostro sistema educativo. Chi può davvero lamentarsi se un ragazzo si toglie la vita perché ossessionato dall’idea di essere additato come omosessuale, quando in Italia si tollera che gay e lesbiche siano trattati - quando va bene - come un problema, un peso, qualcosa di cui ci si vergogna e della quale si deve parlare controvoglia? Quando si rifiuta persino di ammettere che siamo capaci delle stesse cose di cui sono capaci gli altri, cioè amare? Quando, in fin dei conti, veniamo trattati come subumani o, come avrebbe detto Pasolini citando Himmler, come “vite indegne di essere vissute”?
Le responsabilità, secondo me, sono quasi equamente divise: una maggioranza eterosessuale che se ne frega, quando non è apertamente ostile, e una “comunità” omosessuale abbastanza indegna di questo nome, storicamente abituata ad “abbozzare” e a tirare a campare arrangiandosi con l'arte del compromesso (spesso non il più onorevole). Salvo che le colpe più gravi ricadono sui persecutori (la Chiesa, le istituzioni statali silenti, il centrodestra omofobo e il centrosinistra pure) e non sulle vittime.
Certo, posso capirlo quel ragazzo. Non mi sono suicidato, ma ho passato anni a coltivare l’indifferenza, la distanza e - spesso - un astio che rimane ancora oggi, verso i miei compagnucci del liceo, per i quali la mia diversità era fonte di dileggio (non per tutti, fortunatamente).
In cuor mio spero che oggi i figli vengano educati a un maggior rispetto di quello che ho sperimentato io più di quindici anni fa. Ma non ci credo molto, stando alle dichiarazioni esemplari che fioriscono - impunite - sulle bocche di prelati, ministri, deputati, senatori e altri indegni rappresentanti del popolo. Popolo del quale non faccio parte per ragioni di evidente incompatibilità.
L’Italia è un paese perduto? Dal punto di vista della pura e semplice civiltà (che è anche rispetto della diversità e contaminazione attiva tra culture e pratiche differenti), temo di sì. Ma in questo giorno triste vorrei davvero sentire tutti i froci e le lesbiche vicini, come fossimo davvero una bella comunità. Sarebbe bello potersi fare tanti auguri per il nostro futuro. C’è ancora moltissimo da fare.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

La nostra è una società piena di contraddizioni, bacchettona e moralista...un'epoca in cui, se da una aprte, si disserta sull'irripetibile diversità di ciascun essere umano; dall'altra, si addita e si deride chi è troppo diverso... sono tempi difficili ed io mi chiederi perché cresce l'inquietudine nell'animo delle persone, perché il malessere sembra essere una condizione che accompagna la vita di milioni di persone...perché un ragazzo è così fragile da non saper affrontare la sua diversità?

Anonimo ha detto...

Questo evento, nella sua tragicità, innescherà riflessioni sia nel mondo politico, sia in quello sociale. Spero.

Unknown ha detto...

Il dramma, caro Querelle, è che non viene niente alla mente su cosa sia possibile fare a questo punto. E' questo che mi getta nello sconforto. Non lo dico solo per me, dal Canada. Lo dico soprattutto per chi è italiano (gay o non gay, purché valuti nel modo del buon senso il reale italiano) e senta dentro il peso dell'ingiustizia, dell'indecenza, dell'urgenza di fare qualcosa. Forse occorre pensare a cose incredibili. A cose mai considerate prima. Se si è in guerra, si deve assumerne la corretta mentalità. Io alle teorie - educative, sociologiche, culturali - comincio a non credere più.

Gabriele ha detto...

@ Samie. Farei attenzione a non caricare le spalle di Matteo, già gravate dal peso del suo suicidio, anche la responsabilità di "non saper affrontare la sua diversità". D'accordo, Matteo sarà anche stato fragile, ma c'era un mondo crudele intorno a lui. E soprattutto una credeltà ampiamente legittimata da linciaggi verbali pubblici, autorevoli e impuniti.
@ Teo. Temo invece che non innescherà proprio nulla. Toccherebbe a noi per primi fare qualcosa ma, come si chiede Anelli dopo di te, che cosa?
@ Anelli. Non mi piace la guerra, anzi odio la guerra. Ma qui è vero che non se ne può proprio più. Anch'io, davanti a fatti di questo tipo, penso che sarebbe necessario uno scatto d'orgoglio. Certo, altrove hanno già sperimentato l'outing - che, oltretutto, in Italia sarebbe un vero spasso. Esiste anche la possibilità, come si fa per esempio in Francia, di punire per legge non solo gli atti omofobi (come aggravante in caso di delitto) ma anche le affermazioni omofobe. Discutiamone, allora.

Unknown ha detto...

Uh guarda, l'ultima volta che ho parlato in pubblico - a Genova, invitato dall'Uaar locale - il titolo della mia relazione a braccio era "Passare dal coming out all'outin". Sono del tutto convinto che si debba imitare l'esempio di Act Up e delle altre associazioni anglosassoni su questo argomento. Quello che temo e' che non bastera'. Pero' devo dire che questo fiorire di scritte anticlericali fa sperare che non sia detta ancora l'ultima.

Anonimo ha detto...

Quello che si può fare di concreto è creare dei punti di ascolto sul territorio con personale glbt (e non) preparato, a volte trovare un interlocutore ti cambia la prospettiva.
Io, noi (gruppo di persone lgbt) ci stiamo provando da più di 4 anni e di ragazzini ne abbiamo ascoltati ed aiutati a decine.
Nel piccolo con un po' di pragmatismo e d'impegno in prima persona si può fare molto, peccato che siamo sempre scontatamente così pochi ad impegnarci.
Un saluto.

Beppe da Bassano del Grappa