I cazzomuniti e i loro traditori
Babsi Jones ha scritto uno splendido post sulla condizione femminile. Chi sono le femmine? Niente più che animali, hanno “odore e calore, come le cagne”, ma non hanno onore: non sono persone, sono solo donne, appunto. È così in molti Stati del mondo, dove nascere femmina vuol dire sottomettersi all’umiliazione e all’arbitrio delle regole dettate dal maschio oppure perire… o magari sopravvivere: stuprate, mutilate, sfigurate. Nel civilizzato mondo occidentale, tuttavia, la violenza sulle donne è la stessa – ci dice Babsi Jones – anche quando la forma in cui si esprime è differente. Può toccare – e tocca quotidianamente – tutte.
È tragicamente vero. Presenza/assenza. Chi ha le palle e chi no: su questa dicotomia, mille e mille volte ripetuta, si basa l’inferiorità delle donne e di chi si serve dei propri genitali in modi sessualmente e simbolicamente non contundenti. Il sesso femminile non viene concepito come esistente di per sé, ma come l’assenza del sesso maschile (non si insegna alle bambine a dire: “Io ce l’ho e tu no”); in molte lingue (e quindi in molte menti) il femminile sparisce non appena si presenta, in un gruppo, anche un solo elemento maschile (comunemente si dice, ad esempio, “gli italiani”, come se le italiane potessero essere ricomprese nel generico maschile ed esserne perfettamente rappresentate); e così via. Il fallo è al centro dei nostri rapporti sociali perché fin dalla più tenera età ci viene inculcata la simbologia che gli è stata costruita attorno. Forza, potenza, creazione, realizzazione, in una parola: superiorità. L’educazione che riceviamo ci impone di assecondarla, di essere acquiescenti.
Ora, io dovrei far parte della categoria delle cosiddette “persone”: infatti sono maschio (cazzomunito, direbbe ancora Babsi Jones). Eppure credo di rappresentare, agli occhi di questo mondo maschilista, l’anello debole della catena. Quelli come me, i finocchi, tradiscono ogni giorno il loro genere, gettando fango sul primo sesso. Rappresentiamo – almeno potenzialmente, perché di gay maschilisti ne esistono, eccome – una contraddizione estrema, per molti maschi insopportabile: che ci fa, messo alla pecorina, un individuo dotato di cazzo? Semplice: si fa fottere. E il suo cazzo, anziché entrare da qualche parte, infilarsi in qualche orifizio, farsi padrone di qualcuno, resta fuori. È il suo buco a dargli piacere. Essere “posseduti” anziché “possedere”! La sola immagine fa rabbrividire chi si considera maschio, chi detesta il nostro tradimento a tal punto – e al tempo stesso desidererebbe perpetrarlo anch’egli così ardentemente – che, quando pesca qualcuno in evidente flagranza di reato, non si lascia sfuggire l’occasione: e sono insulti, quando va bene, sono botte quando va meno bene, è la morte quando va male. Non (solo) in Iran, ma ogni giorno qui, fra noi, nel nostro mondo civilizzato e “cazzuto”.
“Hai da accendere?”, mi ha chiesto un giorno un bulletto, accompagnato da un gruppo di amici. “No, mi spiace”, gli ho risposto io, e quello, di rimando: “Non dovresti essere dispiaciuto…”. Risate della combriccola. Ecco cosa siamo ancora, ai giorni nostri: gli scarti, gli avanzi da gettare, pattume da bruciare, perché in questo sistema fallocratico, noi restiamo ai margini e rappresentiamo il pericolo. Noi facciamo vacillare la virilità, un edificio instabile che può rimanere in piedi oggi solo grazie all’ignavia: quella di chi, per quieto vivere, per comodità, per paura di dover abbandonare un privilegio plurimillenario, scarta a priori l’idea di potersi rimettere in discussione, di fare un lavoro su di sé. Decenni di femminismo, di teorie gay prima, queer poi, non sono serviti a nulla (o forse sì).
Questi sono i maschi oggi, e non parlo solo di quelli di destra, perché il maschilismo (padre dell’omofobia), si annida ovunque, anche nei posti dove è più doloroso constatarne la presenza. Si prenda ad esempio Kilombo, il metablog delle sinistre. Fino a ieri lampeggiava (occhieggiava, annaspava) nella home page, in alto a sinistra, il banner del Pride nazionale (16 giugno scorso, a Roma). Una grande manifestazione che è stata principalmente una protesta contro l’attuale governo. Più gente di quella che ha partecipato al Family Day è scesa in piazza e ha gridato la sua rabbia per una politica pavida, clericale, teocratica. Il giorno dopo si è alzata la solita nebbia, si è steso il velo del silenzio. A dispetto del bannerino, esso ha avvolto – a parte rarissime eccezioni, rappresentate per lo più dai soliti tre o quattro culattoni di servizio – anche Kilombo, che pure di tanto in tanto riesce a farsi luogo di scambio di idee, di vero dibattito. D’accordo, non siamo più all’omosessualità come fenomeno di “degenerazione borghese”, ma sembra che non sia stato ancora superato lo stadio del “calma, compagni, lavoriamo per la rivoluzione, quella cambierà anche il modo d’intendere la sessualità”. Che poi, traslato nell’efficientismo odierno, diventa: “Non rompeteci le scatole con le vostre sciocchezze, abbiamo cose più importanti cui pensare” (come la costruzione del PD, ad esempio). Ma non un maschio che si metta a nudo, che parli del proprio buco del culo – tanto per esser chiari – piuttosto che ingaggiare l’ennesima competizione a chi ce l’ha più lungo – o a chi riesce a tenerlo duro per più tempo… Capita, per esempio, di leggere anche domande come questa, riferita al corteo nazionale: “Ma che avranno da essere fieri?”, titolo di un post nel quale si cercava di insegnare a froci, lesbiche e trans, quale fosse la strategia migliore per rivendicare i propri diritti, cioè vestirsi da maschi, come ogni giorno – ma non è anche quello un travestimento? –, senza fare baccano, usando il bon ton: insomma, un modo come un altro per rimetterci al nostro posto, là, in basso, discreti, non udibili… altro che Stonewall! Un altro maschio illuminato scrive: “Mi chiedo quale sia l’obiettivo di questa gente; dovrebbe essere [...] quello di dimostrare di far naturalmente parte della società invece di far passare un messaggio del tipo siete costretti ad accettare il modo in cui ostentiamo le nostre preferenze sessuali”. Poveraccio, chissà se si rende conto di ostentare le proprie preferenze sessuali ogni volta che, camminando per strada, tiene per mano la persona che ama – una ragazza, con tutta probabilità. Siccome per lui di ostentazione si tratta, e questa “da [sic] fastidio sempre”, le scritte “Basta froci” sui muri di Roma, in fin dei conti, ce le siamo cercate. Ma chi lo dice proprio fuori dai denti è Leonardo: “pensi che i gay abbiano diritto a crescere dei figli? [...] Chi l’ha detto che questa domanda sia prioritaria? Che debba venire prima delle domande sull’economia, sulla guerra, sui migranti? Davvero due persone che sono d’accordo su tutto tranne che su questo non possono militare nello stesso partito [il PD]? Io posso anche sostenere che i gay siano discriminati: ma i migranti lo sono anche di più. Oggi si discute di voto agli stranieri un decimo di quanto non si chiacchieri di DiCo e laicità”.
Ecco il maschio di oggi. Quello che può esprimerti solidarietà se qualcuno ti ha chiesto “Hai da accendere?”, ma che in fondo, per i privilegi conferiti dalla cultura e dall’educazione al fatto di avere qualcosa che penzola fra le gambe e che all’occorrenza può diventare duro, è stato abituato a non interrogarsi mai sulla natura dei propri impulsi, sul significato della propria sessualità. Che cosa succederebbe se i maschi rinunciassero ad utilizzare il proprio uccello come una clava? Se cominciassero a relazionarsi con gli individui del proprio sesso non più nello spazio angusto di un’eterna e usurante competizione ma sul terreno ben più affascinante dell’esplorazione, della (ri)scoperta del corpo, delle sue potenzialità? Che cosa accadrebbe se si defallizzasse il fallo, se si facesse piazza pulita di tutto il carico simbolico che gli è stato attribuito, se i maschi imparassero a investire eroticamente altre parti del corpo? Se cominciassero anche solo a pensarci su, a parlarne senza imbarazzo, senza fastidio, senza sogghignare stoltamente? Se si considerasse anche solo per un attimo lo scandalo dell’esistenza delle lesbiche (e se anche le donne, sedicenti eterosessuali, riuscissero a farlo)? Femmine tra loro, autonome nella loro sessualità, non più buchi a disposizione dell’uomo: inconcepibile, vero?
Se tutto questo si realizzasse davvero, poco a poco scomparirebbe, probabilmente, non solo l’omofobia più eclatante (quella più facilmente e ipocritamente condannabile), ma anche quella ordinaria, di solito introdotta da: “Ho tanti amici omosessuali, ma… / Io sono a favore dei diritti dei gay, però… / La discriminazione nei confronti dei ‘diversi’ è odiosa, tuttavia…”. E vai col distinguo:
- “… è meglio che non mi si avvicinino troppo, sennò…” (continuazione: “potrei starci”);
- “… i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, dove apprenderebbero altrimenti la differenza tra i sessi?” (cioè, in pratica: “dove apprenderebbero che il maschio è superiore alla femmina, se non in una famiglia tradizionale?”);
- “… le loro unioni non possono essere equiparate alle nostre” (traduzione: “le nostre sono superiori alle loro”).
E così via, in una gara a chi concede di meno, contro qualsiasi idea di uguaglianza.
Siete voi a fare questo: sì sì, proprio voi che votate centrosinistra, proprio voi maschietti che discutete dei massimi sistemi ma siete incapaci di guardarvi dentro, voi, i nostri alleati pronti a svenderci per un piatto di lenticchie. Appoggiate quello stesso sistema che annienta le vite delle donne e di chiunque non rientri nel vostro schema fallocratico, violento e prepotente, verso il quale continuate a mostrare – anche solo col vostro silenzio – un accanito e cieco attaccamento.
È tragicamente vero. Presenza/assenza. Chi ha le palle e chi no: su questa dicotomia, mille e mille volte ripetuta, si basa l’inferiorità delle donne e di chi si serve dei propri genitali in modi sessualmente e simbolicamente non contundenti. Il sesso femminile non viene concepito come esistente di per sé, ma come l’assenza del sesso maschile (non si insegna alle bambine a dire: “Io ce l’ho e tu no”); in molte lingue (e quindi in molte menti) il femminile sparisce non appena si presenta, in un gruppo, anche un solo elemento maschile (comunemente si dice, ad esempio, “gli italiani”, come se le italiane potessero essere ricomprese nel generico maschile ed esserne perfettamente rappresentate); e così via. Il fallo è al centro dei nostri rapporti sociali perché fin dalla più tenera età ci viene inculcata la simbologia che gli è stata costruita attorno. Forza, potenza, creazione, realizzazione, in una parola: superiorità. L’educazione che riceviamo ci impone di assecondarla, di essere acquiescenti.
Ora, io dovrei far parte della categoria delle cosiddette “persone”: infatti sono maschio (cazzomunito, direbbe ancora Babsi Jones). Eppure credo di rappresentare, agli occhi di questo mondo maschilista, l’anello debole della catena. Quelli come me, i finocchi, tradiscono ogni giorno il loro genere, gettando fango sul primo sesso. Rappresentiamo – almeno potenzialmente, perché di gay maschilisti ne esistono, eccome – una contraddizione estrema, per molti maschi insopportabile: che ci fa, messo alla pecorina, un individuo dotato di cazzo? Semplice: si fa fottere. E il suo cazzo, anziché entrare da qualche parte, infilarsi in qualche orifizio, farsi padrone di qualcuno, resta fuori. È il suo buco a dargli piacere. Essere “posseduti” anziché “possedere”! La sola immagine fa rabbrividire chi si considera maschio, chi detesta il nostro tradimento a tal punto – e al tempo stesso desidererebbe perpetrarlo anch’egli così ardentemente – che, quando pesca qualcuno in evidente flagranza di reato, non si lascia sfuggire l’occasione: e sono insulti, quando va bene, sono botte quando va meno bene, è la morte quando va male. Non (solo) in Iran, ma ogni giorno qui, fra noi, nel nostro mondo civilizzato e “cazzuto”.
“Hai da accendere?”, mi ha chiesto un giorno un bulletto, accompagnato da un gruppo di amici. “No, mi spiace”, gli ho risposto io, e quello, di rimando: “Non dovresti essere dispiaciuto…”. Risate della combriccola. Ecco cosa siamo ancora, ai giorni nostri: gli scarti, gli avanzi da gettare, pattume da bruciare, perché in questo sistema fallocratico, noi restiamo ai margini e rappresentiamo il pericolo. Noi facciamo vacillare la virilità, un edificio instabile che può rimanere in piedi oggi solo grazie all’ignavia: quella di chi, per quieto vivere, per comodità, per paura di dover abbandonare un privilegio plurimillenario, scarta a priori l’idea di potersi rimettere in discussione, di fare un lavoro su di sé. Decenni di femminismo, di teorie gay prima, queer poi, non sono serviti a nulla (o forse sì).
Questi sono i maschi oggi, e non parlo solo di quelli di destra, perché il maschilismo (padre dell’omofobia), si annida ovunque, anche nei posti dove è più doloroso constatarne la presenza. Si prenda ad esempio Kilombo, il metablog delle sinistre. Fino a ieri lampeggiava (occhieggiava, annaspava) nella home page, in alto a sinistra, il banner del Pride nazionale (16 giugno scorso, a Roma). Una grande manifestazione che è stata principalmente una protesta contro l’attuale governo. Più gente di quella che ha partecipato al Family Day è scesa in piazza e ha gridato la sua rabbia per una politica pavida, clericale, teocratica. Il giorno dopo si è alzata la solita nebbia, si è steso il velo del silenzio. A dispetto del bannerino, esso ha avvolto – a parte rarissime eccezioni, rappresentate per lo più dai soliti tre o quattro culattoni di servizio – anche Kilombo, che pure di tanto in tanto riesce a farsi luogo di scambio di idee, di vero dibattito. D’accordo, non siamo più all’omosessualità come fenomeno di “degenerazione borghese”, ma sembra che non sia stato ancora superato lo stadio del “calma, compagni, lavoriamo per la rivoluzione, quella cambierà anche il modo d’intendere la sessualità”. Che poi, traslato nell’efficientismo odierno, diventa: “Non rompeteci le scatole con le vostre sciocchezze, abbiamo cose più importanti cui pensare” (come la costruzione del PD, ad esempio). Ma non un maschio che si metta a nudo, che parli del proprio buco del culo – tanto per esser chiari – piuttosto che ingaggiare l’ennesima competizione a chi ce l’ha più lungo – o a chi riesce a tenerlo duro per più tempo… Capita, per esempio, di leggere anche domande come questa, riferita al corteo nazionale: “Ma che avranno da essere fieri?”, titolo di un post nel quale si cercava di insegnare a froci, lesbiche e trans, quale fosse la strategia migliore per rivendicare i propri diritti, cioè vestirsi da maschi, come ogni giorno – ma non è anche quello un travestimento? –, senza fare baccano, usando il bon ton: insomma, un modo come un altro per rimetterci al nostro posto, là, in basso, discreti, non udibili… altro che Stonewall! Un altro maschio illuminato scrive: “Mi chiedo quale sia l’obiettivo di questa gente; dovrebbe essere [...] quello di dimostrare di far naturalmente parte della società invece di far passare un messaggio del tipo siete costretti ad accettare il modo in cui ostentiamo le nostre preferenze sessuali”. Poveraccio, chissà se si rende conto di ostentare le proprie preferenze sessuali ogni volta che, camminando per strada, tiene per mano la persona che ama – una ragazza, con tutta probabilità. Siccome per lui di ostentazione si tratta, e questa “da [sic] fastidio sempre”, le scritte “Basta froci” sui muri di Roma, in fin dei conti, ce le siamo cercate. Ma chi lo dice proprio fuori dai denti è Leonardo: “pensi che i gay abbiano diritto a crescere dei figli? [...] Chi l’ha detto che questa domanda sia prioritaria? Che debba venire prima delle domande sull’economia, sulla guerra, sui migranti? Davvero due persone che sono d’accordo su tutto tranne che su questo non possono militare nello stesso partito [il PD]? Io posso anche sostenere che i gay siano discriminati: ma i migranti lo sono anche di più. Oggi si discute di voto agli stranieri un decimo di quanto non si chiacchieri di DiCo e laicità”.
Ecco il maschio di oggi. Quello che può esprimerti solidarietà se qualcuno ti ha chiesto “Hai da accendere?”, ma che in fondo, per i privilegi conferiti dalla cultura e dall’educazione al fatto di avere qualcosa che penzola fra le gambe e che all’occorrenza può diventare duro, è stato abituato a non interrogarsi mai sulla natura dei propri impulsi, sul significato della propria sessualità. Che cosa succederebbe se i maschi rinunciassero ad utilizzare il proprio uccello come una clava? Se cominciassero a relazionarsi con gli individui del proprio sesso non più nello spazio angusto di un’eterna e usurante competizione ma sul terreno ben più affascinante dell’esplorazione, della (ri)scoperta del corpo, delle sue potenzialità? Che cosa accadrebbe se si defallizzasse il fallo, se si facesse piazza pulita di tutto il carico simbolico che gli è stato attribuito, se i maschi imparassero a investire eroticamente altre parti del corpo? Se cominciassero anche solo a pensarci su, a parlarne senza imbarazzo, senza fastidio, senza sogghignare stoltamente? Se si considerasse anche solo per un attimo lo scandalo dell’esistenza delle lesbiche (e se anche le donne, sedicenti eterosessuali, riuscissero a farlo)? Femmine tra loro, autonome nella loro sessualità, non più buchi a disposizione dell’uomo: inconcepibile, vero?
Se tutto questo si realizzasse davvero, poco a poco scomparirebbe, probabilmente, non solo l’omofobia più eclatante (quella più facilmente e ipocritamente condannabile), ma anche quella ordinaria, di solito introdotta da: “Ho tanti amici omosessuali, ma… / Io sono a favore dei diritti dei gay, però… / La discriminazione nei confronti dei ‘diversi’ è odiosa, tuttavia…”. E vai col distinguo:
- “… è meglio che non mi si avvicinino troppo, sennò…” (continuazione: “potrei starci”);
- “… i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, dove apprenderebbero altrimenti la differenza tra i sessi?” (cioè, in pratica: “dove apprenderebbero che il maschio è superiore alla femmina, se non in una famiglia tradizionale?”);
- “… le loro unioni non possono essere equiparate alle nostre” (traduzione: “le nostre sono superiori alle loro”).
E così via, in una gara a chi concede di meno, contro qualsiasi idea di uguaglianza.
Siete voi a fare questo: sì sì, proprio voi che votate centrosinistra, proprio voi maschietti che discutete dei massimi sistemi ma siete incapaci di guardarvi dentro, voi, i nostri alleati pronti a svenderci per un piatto di lenticchie. Appoggiate quello stesso sistema che annienta le vite delle donne e di chiunque non rientri nel vostro schema fallocratico, violento e prepotente, verso il quale continuate a mostrare – anche solo col vostro silenzio – un accanito e cieco attaccamento.