Sono davvero sconcertato per quanto avvenuto a Bologna sabato scorso:
Graziella Bertozzo, militante storica del movimento glbt, ex segretaria di
Arcilesbica e ora nel coordinamento
Facciamo Breccia, è stata oggetto di una violenta repressione poliziesca, conclusasi con un fermo di tre ore. La gravità dell’episodio, accaduto proprio sotto il palco del pride, sta nel fatto che la polizia è intervenuta dietro richiesta di alcune volontarie, dopo che queste avevano già provveduto a malmenare Graziella. L’
organizzazione del Pride -
Arcigay in primis - si è dunque assunta la responsabilità di aver richiesto l’intervento delle forze dell’ordine contro... una militante lesbica!
Non ero presente al pride, dunque desumo la ricostruzione dei fatti dai racconti (divergenti) di chi si trovava là. Mentre parla
Porpora Marcasciano, in rappresentanza del
MIT, alcun* militanti di Facciamo Breccia accedono al palco e srotolano alle spalle dell’oratrice uno striscione che recita: “28 giugno 1982. Indietro non si torna”, per ricordare la storica assegnazione, da parte del Comune, della prima sede di un collettivo omosessuale a Bologna, il Cassero, "restituito" nel 2001 alla Curia di quella città. Non è un blitz o un’azione violenta, come poi si tenterà di far credere. Quello stesso striscione è già stato srotolato due ore prima, col sostegno di centinaia di partecipanti, proprio davanti al Cassero, quando il corteo è passato di lì. Anche Graziella Bertozzo chiede alle volontarie e ai volontari che vigilano gli ingressi al palco, di poter salire. Le viene opposto un netto rifiuto (pare che l'accesso fosse consentito soltanto a quelle organizzazioni che avevano aderito
non criticamente alla piattaforma del Pride: ma allora come sono passati gli altri di Facciamo Breccia?), finché l’alterco degenera in rissa. Una volontaria del Comitato Bologna Pride addita Graziella Bertozzo ad un agente della Digos, non riconoscibile come tale, in quanto in borghese. “Graziella viene spintonata a terra” - riferisce Facciamo Breccia in un
comunicato - “e quindi cerca di rialzarsi (non sapendo che l’uomo che l’aveva fermata era un funzionario di polizia), intervengono allora altri poliziotti in divisa, la ammanettano e la trascinano fuori dalla piazza tenendole una mano sul collo, abbassandole la testa verso terra, la caricano a forza su un cellulare e la portano via a sirene spiegate. Altri compagni di Facciamo Breccia cercano di intervenire e altre persone presenti al pride o affacciate alle finestre gridano che la ‘signora’ non aveva fatto niente e che la situazione era incomprensibile. Graziella viene rilasciata dopo tre ore di fermo, indagata per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni finalizzate alla resistenza”.
“Non si era mai vista la polizia legittimata sul palco di un pride”, commentano da Facciamo Breccia, e in effetti questo è, anche secondo me, l’aspetto più inquietante della vicenda: “il concetto di ‘sicurezza’ messo in opera,” - continua il
comunicato - “[...] è risultato un’azione violentemente repressiva e diffamatoria contro un’attivista riconosciuta da tutte e tutti”. Le pratiche di Facciamo Breccia sono, com’è ovvio, criticabili e ogni divergenza su di esse è legittima. Ma quale pericolo avrebbe mai potuto costituire Graziella Bertozzo su quel palco, insieme agli altri e alle altre di Facciamo Breccia che già ci stavano? Com’è potuto accadere che, per risolvere dissidi interni al movimento, si sia giunti a chiedere addirittura l’intervento della polizia? Mentre per quasi tre giorni sono arrivati a Graziella Bertozzo e a Facciamo Breccia tantissimi
attestati di stima e di solidarietà per quanto era accaduto (da parte di molte realtà di movimento, ma anche della federazione di Rifondazione Comunista di Bologna, cui si è aggiunta oggi la federazione toscana e i Cobas), l’imbarazzato silenzio di Arcigay e del Comitato Bologna Pride è stato assordante.
Andrea Benedino, l’inutile specchietto per le allodole gay prima nei DS e ora nel PD,
ha riferito nel frattempo le voci che arrivavano dall’organizzazione del Pride: “Mi si racconta [...] che un poliziotto si sarebbe rotto un menisco in seguito ad un calcio della Bertozzo e che il segretario nazionale di Arcigay Riccardo Gottardi sarebbe stato preso a sberle da Elena Biagini e da un altro sempre del gruppo di Facciamo Breccia. Il tutto sarebbe stato originato dalla pretesa di occupare il palco da parte degli esponenti di Facciamo Breccia. Niente di nuovo, per carità: è la loro solita arroganza con la quale pretendono di imporre la loro linea al movimento”. Rincara la dose un commentatore (rigorosamente anonimo) di un post sull’argomento pubblicato da
Queerblog: “Facciamo Breccia [è un] manipolo di opportunisti che vampirizza le manifestazioni altrui per portare contributi altri rispetto a quelli che sono stati discussi in più occasioni in incontri aperti a tutto il movimento ma che per snobismo politico Facciamo Breccia evita”. La Digos? “Ha visto una pazza isterica ed è intervenuta”. Inoltre, da più parti Graziella Bertozzo è stata dipinta come una spostata dedita all’alcol, questo il livello cui si è giunti.
Di tutt’altro avviso un testimone oculare con nome e cognome, il presidente del Movimento Omosessuale Sardo,
Massimo Mele: “Con Graziella avevamo deciso di salire sul palco per dare sostegno all’intervento di Porpora. Ho assistito, e in parte subìto, la violenza delle volontarie dello staff del Pride, che avevo precedentemente informato su chi fossimo. Per loro noi non eravamo dei militanti che da vent’anni stanno sulla piazza e in posti molto più pericolosi e violenti di Bologna, ma dei semplici rompicoglioni [...]. Invece di chiamare gli organizzatori per risolvere il disguido politico” - continua Mele - “le volontarie [...], dopo aver sbattuto in terra e poi contro un camion Graziella, hanno subito chiamato la polizia. Un dirigente della mobile in borghese, senza qualificarsi, è passato subito alle maniere spicce e accusando Graziella di ‘avergli rotto un ginocchio’ l’ha fatta assalire da quattro poliziotti che l’hanno sbattuta a terra e con violenza le hanno messo le manette dietro la schiena”.
Appena ieri è giunto il durissimo
comunicato firmato da Aurelio Mancuso, segretario di Arcigay e da Francesca Polo, segretaria di Arcilesbica, colmo di un livore francamente incredibile, nel quale Graziella Bertozzo viene accusata di non essere “nuova ad azioni ed atteggiamenti alterati e aggressivi” (quali, però, gli estensori del comunicato si astengono dal dirlo, chissà perché). “In nessun modo” - continua il comunicato - “vogliamo esprimere solidarietà nei confronti di una militante sempre in cerca dello scontro. [...] Riccardo Gottardi [di Arcigay,
n.d.r.] è stato preso a schiaffi da Elena Biagini e altri militanti gli hanno messo le mani addosso in segno di sfida. Il Segretario nazionale di Arcigay è stato minacciato e tutta l’associazione insultata, nella migliore tradizione del fascismo violento”. Resta da capire come mai dal palco lo stesso Mancuso abbia parlato, rispetto al fermo di Graziella, di un “equivoco” e ne abbia chiesto il rilascio, per poi contraddirsi così palesemente nel suo comunicato.
Prima di concludere che Arcigay e Arcilesbica porteranno avanti il caso in tutte le sedi politiche e giuridiche, Mancuso e Polo affermano che le loro organizzazioni “d’ora in avanti non intratterranno più alcun rapporto politico con Facciamo Breccia, una rete che usa la pratica della slealtà, della ricerca dell’incidente, della manipolazione dei processi decisionali, della contrapposizione aprioristica con l’organizzazione di un Pride nazionale in quanto sostenuta dalle principali associazioni lgbt italiane”. Un analogo comunicato è stato emesso anche dal Comitato Bologna Pride, dal quale però si dissocia una delle tre portavoci, Marcella Di Folco del MIT. E sulla lista di Facciamo Breccia si registra un’analoga presa di distanza anche da parte di Eva Mamini, della segreteria nazionale di Arcilesbica.
“Bertozzo non aveva diritto di salire sul palco [... e] ha creato un incidente di cui è la sola responsabile”, scrivono Mancuso e Polo. “Graziella non era ubriaca, né fuori di testa” - afferma invece
Porpora Marcasciano - “aveva solamente tanta voglia di festeggiare il nostro pride. [...] Mentre ricordavo quel 28 giugno 69 [la rivolta di Stonewall, ricordata ogni anno dai Pride di tutto il mondo,
n.d.r.], veniva srotolato alle mie spalle uno striscione [...] che ricordava (guarda un po’) la presa del Cassero. [...] Non abbiamo seguito il protocollo e abbiamo rotto il giocattolino proprio a chi, del contenuto di quello striscione, doveva essere orgoglioso! [...] Che cosa abbiamo fatto di tanto grave? E che cosa ha fatto di tanto grave Graziella?”.
Nel frattempo,
Saverio Aversa, esponente del movimento glbt e responsabile nazionale del settore “Diritti e Culture delle Differenze” di Rifondazione Comunista e
Sergio Rovasio, Segretario dell’Associazione radicale Certi Diritti, ricordando che “
il Pride non appartiene solo agli organizzatori ma a tutti quelli che vi partecipano anche con posizioni critiche rispetto alla piattaforma politica della manifestazione”, hanno chiesto al
Catania Pride, in programma sabato 5 luglio, “di far intervenire Graziella Bertozzo dal palco di piazza dell’Università, per un tempo uguale a quello dato a tutti gli altri esponenti del movimento, per chiarire definitivamente l’episodio increscioso e riprendere serenamente e rafforzati la difficile e lunga battaglia per i diritti ancora negati”.
E mentre quattro parlamentari radicali eletti nel PD (i deputati
Marco Beltrandi e
Matteo Mecacci e i senatori
Marco Perduca e
Donatella Poretti) hanno presentato oggi un’
interrogazione al ministro dell’Interno “per sapere quali motivi di ordine pubblico possono giustificare un’azione che vede coinvolte decine di agenti in borghese e in divisa per bloccare una persona esile di 51 anni”, molt* - io tra quest* -, oltre a manifestare solidarietà a Graziella Bertozzo, continuano a chiedersi come sia possibile un atto tanto esecrabile e di tale cecità politica da parte di Arcigay e Arcilesbica...
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