Catania Pride 2008 - 5 luglio

25 marzo 2008

Podcast 5 - Elezioni francesi e movimento glbt

Il mio intervento alla trasmissione Flash Beat su Radio Flash. Conduce Marina Paganotto. Un commento alle ultime elezioni amministrative francesi.









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21 marzo 2008

Ma dove va la Francia?

È la domanda che, ironicamente, si è posta l’associazione Act Up-Paris all’indomani della sconfitta, alle elezioni amministrative, di Christian Vanneste: il candidato sindaco di Tourcoing, deputato dell’UMP di Sarkozy, è stato battuto fin dal primo turno, il 9 marzo scorso, dal suo rivale socialista. Vanneste, condannato in primo e in secondo grado per omofobia, aveva dichiarato che “l’omosessualità è inferiore all’eterosessualità” e “costituisce un pericolo per la sopravvivenza della specie”. “Con la sconfitta di Christian Vanneste” - dichiarano ad Act Up-Paris nel loro comunicato - “la Francia compie un ulteriore passo verso la deriva. Quella Francia fatta di uomini eterosessuali bianchi, che pagano troppe tasse [...]. Quella Francia che rifiuta che si chiami omofobia la lotta contro la comunità, o razzismo la lotta per la salvaguardia dell’identità nazionale. Quella Francia che non ha niente da rimproverare ai froci, alle lesbiche e ai travestiti, finché questi esseri inferiori si fanno violentare o muoiono in silenzio. Quella Francia” - prosegue il comunicato - “è minacciata da ogni parte [...]. Questo stesso fine settimana, la Spagna ha aggravato questo clima di disperazione, dando la vittoria agli alleati della comunità degli invertiti maledetti da Dio, malgrado gli ammonimenti della Santa Chiesa Cattolica. [...] Act Up-Paris rivolge un pensiero, uno solo, ai nuovi esclusi. E poi passiamo ad altro”.

Il massimo rappresentante di quella Francia uscita sconfitta dalle urne, non sembra tuttavia pronto a lasciare la presa: “Uomo e donna li creò” (“Homme et femme, Il les créa”, AES), una raccolta di saggi - tra i quali figurano anche quello di Vanneste e quello di Tony Anatrella, monsignore e “psicoterapeuta”, per il quale gli omosessuali sono affetti da “narcisismo” e da una “profonda immaturità” - ha fatto il giro... delle scuole. Sì, perché questo testo, che difficilmente scalerà le vette dei best seller nelle librerie, è stato inviato ai centri di documentazione di alcuni licei francesi, affinché possa trovare posto tra i volumi consultabili da docenti e studenti. 

Che cosa si sostiene in questa raccolta? Lo si può intuire facilmente leggendo la presentazione scritta dall’editore: “La nostra società ha smarrito i suoi riferimenti. La liberazione della donna non ha eliminato il dramma dell’aborto. Gli omosessuali rivendicano un matrimonio che le coppie hanno abbandonato. [...] La crisi d’identità sessuale non minaccia la famiglia? Certi affermano che la differenza tra uomo e donna sarebbe di tipo culturale. Davvero abbiamo inventato noi questa differenza? Bisogna perciò cancellarla? Bisogna davvero dare la stessa educazione alle ragazze e ai ragazzi?”. Le reazioni all’invio di questo materiale alle scuole non si è fatta attendere. Tra esse, quella del portavoce dell’Inter-LGBT, Alain Piriou: “Che queste persone difendano le loro idee, per nauseanti che siano, è un loro diritto, finché non si tratta di ingiurie o di incitamenti all’odio. Ma da qui ad accettare che la loro crociata entri nei licei, ce ne corre. La scuola” - conclude Piriou - “deve poter discutere di tutto, ma sicuramente non può lasciarsi infiltrare da una propaganda politica che rivela un proselitismo religioso”.

Nel frattempo, i segnali che giungono dalla maggioranza di destra e dallo stesso presidente della Repubblica, dopo la débâcle di domenica scorsa, sono per lo meno contrastanti. Dal cilindro del rimpasto governativo è uscito il nome di Nadine Morano, la nuova sottosegretaria del ministro del Lavoro, con delega per la famiglia. Nonostante la sua appartenenza all’UMP, le sue posizioni favorevoli all’apertura del matrimonio e dell’adozione anche a gay e lesbiche, sono note da tempo. Nel 2006 aveva aspramente criticato le conclusioni di una missione parlamentare sulla famiglia (il cosiddetto “rapporto Pécresse”, dal nome della deputata relatrice dell’UMP), che non si pronunciava sull’omogenitorialità. “Ipocrita”, lo aveva bollato Nadine Morano. In seguito, ha preso di mira le proposte della destra sulle questioni glbt, giudicandole poco adatte “alla realtà multiforme delle famiglie francesi”. Non è un caso che la sua nomina a sottosegretario sia stata fortemente stigmatizzata da Jean-Marie Le Pen, leader del partito di estrema destra Front National. Ogni seppur lieve entusiasmo è stato tuttavia spento dalla stessa Morano, che in un’intervista all’emittente radiofonica RTL ha dichiarato che le sue sono opinioni personali e che deve “applicare il progetto presidenziale”, notoriamente contrario al matrimonio e all’adozione per le coppie composte da gay o lesbiche.

Anche la sua collega Fadela Amara, ex leader dell’associazione di donne “Ni putes, ni soumises” (“Né puttane, né sottomesse”), ora cooptata nel governo di François Fillon con il ruolo di sottosegretario per la politica urbana, in un’intervista al magazine glbt “Têtu”, si è detta “favorevole all’adozione per le coppie omosessuali e anche al matrimonio omosessuale”. Amara si augura, inoltre, che “nasca un movimento gay nelle periferie”, dove, “quando le loro preferenze sono note, gli e le omosessuali subiscono di tutto, comprese le spedizioni punitive”. Peccato che tanto ardore non si sia manifestato anche nel piano “Espoir banlieues” (“Speranza nelle periferie”), redatto solo un mese fa dalla sua ministra, l’ultracattolica Christine Boutin: sulla lotta contro l’omofobia, infatti, in quel documento, neanche un rigo. A proposito di Fadela Amara, il portavoce dell’Inter-LGBT Alain Piriou ha dichiarato: “L’ho incontrata una sola volta, dietro mia richiesta. Ho scoperto una persona che non ascoltava, piena di certezze, settaria, che vedeva nemici ovunque e non aveva niente di concreto da proporre. L’ho ricontattata per chiederle sostegno sulla legge contro le affermazioni sessiste e omofobe, ma non ha mai voluto impegnarsi su questo”.

Infine, buon ultimo in questo agitare specchietti per le allodole, è apparso ieri anche Jean-Marie Colombani. In un’intervista al quotidiano gratuito “20 minutes”, l’ex direttore di “Le Monde”, ora relatore di un rapporto sull’adozione richiesto da Nicolas Sarkozy, ha dichiarato che bisogna “mettere fine all’ipocrisia che permette l’adozione a una coppia sposata, ma non a una coppia pacsata; e che permette a chi è single di adottare, purché non si dichiari omosessuale”. Benissimo. Come mai, però, questi bei propositi non compaiono nel rapporto consegnato al presidente? “Non è l’oggetto della missione che mi è stata affidata”, risponde furbescamente Colombani.

Allora, dove va la Francia, in tutto questo sventolio di dichiarazioni vuote e di documenti altrettanto inconcludenti? In tema di diritti per le persone glbt, credo, da nessuna parte.


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15 marzo 2008

Prima del sequestro Moro, interrogativi senza risposta

Domani, 16 marzo, ricorre il trentesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro, presidente della DC e principale artefice, con il segretario del PCI Berlinguer, della formula del compromesso storico (cioè la partecipazione dei comunisti al governo del paese, insieme ai democristiani). Nel diluvio di rievocazioni su una delle vicende più tragiche della nostra storia contemporanea, forse quella che ha inciso di più sul nostro destino, domina ancora la versione ufficiale: Aldo Moro fu ucciso dalla Brigate Rosse, ostili al compromesso storico. Tutto quel che di fondamentale c’era da sapere è ormai conosciuto, il resto è “dietrologia”.
Fandonie. Osservando cosa accadde prima di quel 16 marzo 1978, noteremo alcuni fatti che, oltre a fornire un’idea di parte del contesto nel quale maturò quel delitto, suggeriscono tante domande che sono rimaste, a quanto risulta, prive di risposte soddisfacenti. Pure casualità?

19 novembre 1967. Sotto il titolo “Dovevo uccidere Moro”, la rivista “Il Nuovo mondo d’oggi” pubblica un’interessante testimonianza, quella dell’ufficiale dei reparti speciali Roberto Podestà, il quale racconta di essere stato scelto da “un ex ministro della Difesa”, tre anni prima, per guidare un commando che avrebbe dovuto uccidere la scorta di Moro, rapire il leader dc e condurlo in una località segreta. L’allora Presidente del Consiglio sarebbe stato poi ucciso, e la responsabilità dell’omicidio sarebbe stata attribuita alla sinistra. Solo molti anni dopo l’effettivo omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, si scopriranno le somiglianze tra il piano del 1964 e quello messo in atto nel 1978. Che legame esiste tra i due? Si può pensare, come afferma l’allora portavoce di Aldo Moro, Corrado Guerzoni, che il rapimento e l’omicidio del presidente della DC sia stato “appaltato” alle Brigate Rosse da elementi estranei al terrorismo? In ogni caso questa è una delle prove che Aldo Moro dava fastidio già molti anni prima del suo rapimento e che si pensava di ucciderlo almeno dal 1964, l’anno che vide il generale dei carabinieri De Lorenzo a un passo dal realizzare il suo colpo di Stato, allo scopo di far fallire l’esperienza di centro-sinistra (Piano Solo). Inoltre, l’editore de “Il Nuovo mondo d’oggi” è Mino Pecorelli, personaggio che si muove con agilità negli ambienti dei servizi segreti, dai quali riceve molte notizie confidenziali. Pecorelli sarà ucciso nel 1979, prima di poter rivelare i clamorosi retroscena sul caso Moro di cui aveva dichiarato di essere in possesso.

Prima metà degli anni 70. Il segretario di Stato americano Henry Kissinger compie un viaggio ufficiale in Italia. Durante un ricevimento a Villa Madama, a Roma, si rivolge ad Aldo Moro con queste parole: “Io non posso non occuparmi della situazione interna italiana... che nessuno potrebbe descrivere con ottimismo e che mi sembra notevolmente peggiorata dalla mia ultima visita... Sono certo che il signor Moro e gli altri ministri italiani che sono in questa magnifica sala ne sono convinti quanto me e non dubito che essi vorranno impegnarsi a fondo perché le cose migliorino... O dovrà venire il giorno in cui mi sarà necessario convocare l’ambasciatore Volpe e dirgli: ‘Caro Volpe, adesso è venuto il momento di inviare un generale al tuo posto?’. Non credo anzi sono sicuro che ciò non accadrà”.

24 settembre 1974. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone è giunto negli Stati Uniti, dove è in visita ufficiale, accompagnato dal inistro degli esteri Aldo Moro. Una settimana prima, Kissinger ha consigliato al presidente americano Ford di ammettere che il suo paese è intervenuto dal ’70 al ’73 in Cile per rovesciare il governo, democraticamente eletto, del socialista Salvador Allende. 

25 settembre 1974. Sul “Washington Post” si delinea la richiesta che gli Stati Uniti indirizzano a Leone: l’assicurazione che le alleanze uscite dalla seconda guerra mondiale saranno mantenute e che non si favorirà l’avanzata del PCI.

25 o 26 settembre 1974. Durante la visita, Aldo Moro si sente fare questo discorso: “Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. Lo riferirà al rientro in Italia lo stesso Aldo Moro a sua moglie Eleonora, senza rivelarle il nome dell’interlocutore. A togliere ogni dubbio sull’identità della persona da cui proveniva la minaccia, sarà, nel 2007, Giovanni Galloni, uno dei massimi esponenti della DC: “Ad un certo momento della riunione Kissinger chiamò Moro e gli disse chiaramente che se continuava su quella linea ne avrebbe avuto delle conseguenze gravissime sul piano personale». Un funzionario rimasto anonimo, testimone dei colloqui tra Kissinger e Moro, confermerà che il clima nel quale si svolsero quegli incontri era tempestoso: Kissinger “considerava lo statista pugliese, come già qualcuno ha detto, un pericoloso cavallo di Troia del comunismo in Italia. [...] Chi ricorda i suoi colloqui di allora con Moro non può dimenticare facilmente gli accenni alle ‘salse cilene’ in giro per il mondo, ripetuti con una insistenza che non mancava di irritare ancora di più l’interlocutore. Era chiaro dove Kissinger volesse andare a parare: delle concezioni morotee in politica estera non dava troppa pena di occuparsi. Che Moro fosse il possibile Allende dell’Italia e in prospettiva dell’Europa, Kissinger deve averlo creduto fortemente e, a leggere bene le sue memorie, mostra di crederlo ancora” (“Degli italiani” - scrive l’ex segretario di Stato - “Moro era chiaramente il personaggio di maggior spicco. Era taciturno quanto intelligente, possedeva una formidabile reputazione intellettuale. L’unica prova concreta che ebbi di questo suo ingegno fu la complessità bizantina della sua sintassi. Ma poi gli feci un effetto soporifero, durante più della metà degli incontri che tenne con me, mi si addormentò davanti; cominciai a considerare un successo il semplice fatto di tenerlo desto. Moro si disinteressava chiaramente degli affari internazionali... stava preparando, indirettamente e quasi impercettibilmente, com’era suo solito, quei cambiamenti fondamentali che avrebbero portato il partito comunista a un passo dalle leve del potere”).

26 settembre 1974. La delegazione italiana, che nel frattempo si è trasferita a New York, si reca al Metropolitan, per assistere alla rappresentazione della Madama Butterfly. Inaspettatamente, Moro è assente.

27 settembre 1974. Henry Kissinger dichiara: “Ci rimproverate per il Cile. Ci rimproverereste ancora più duramente se non facessimo nulla per impedire l’arrivo dei comunisti al potere in Italia o in altri Paesi dell’Occidente europeo”. Nella chiesa di St. Patrick Moro accusa un improvviso malore. Rientrato in Italia in gran fretta e con largo anticipo sui tempi previsti, riferisce al suo portavoce, Corrado Guerzoni, l’intenzione di ritirarsi dalla vita politica per due o tre anni. In quello stesso periodo confida a un’allieva universitaria, Maria Luisa Familiari: “Ma credi che io non sappia che posso fare la fine di Kennedy?”.

2 luglio 1975. Il piduista Mino Pecorelli fa apparire sulla rivista che dirige, Osservatorio Politico, una notizia senza nessuna importanza, titolandola tuttavia: “Il Moro... bondo”. In un’altra notizia breve, sullo stesso numero, si legge: “Per il momento tutti i commentatori politici si esercitano con l’interrogativo: è proprio il solo Moro il ministro che deve morire alle 13?”.

12 settembre 1975. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, John Volpe, dichiara alla rivista “Epoca”: “Una sostanziale modifica di questo equilibrio - quale si verificherebbe con l’instaurazione di regimi comunisti in Italia o in Portogallo - impedirebbe una evoluzione positiva della distensione. La distensione, per altro, non significa per noi essere indifferenti alla potenziale erosione delle nostre alleanze e ai legami che ci uniscono ai nostri più stretti alleati”. S’incarica di rispondergli un editoriale de “La Stampa”: “Forse ci considera un protettorato degli Stati Uniti dove sia lecito favorire o addirittura intervenire per fare o disfare governi”.

13 settembre 1975. Sulla rivista O.P., Pecorelli scrive: “Un funzionario al seguito di Ford, in visita a Roma, ebbe a dichiararci ‘Vedo nero. C’è una Jacqueline nel futuro della vostra penisola’”.

30 ottobre 1975. Un’altra frase sibillina fatta scivolare da Pecorelli sulla sua rivista: “In quell’occasione, se Moro vivrà ancora, toccherà a Benigno [Zaccagnini, ndr] sloggiare le tende”.

7 novembre 1975. Ancora sulla rivista O.P., un’altra allusione di Pecorelli al destino di Aldo Moro: “a parole Moro non muore. E se non muore Moro...”.

9 gennaio 1976. O.P. allude al leader della DC ancora più minacciosamente: “Oggi, assassinato con Moro l’ultimo centro-sinistra possibile, muore insieme con il leader pugliese ogni possibilità di sedimentazione indolore delle strategie berlingueriane”

Marzo 1977. Salvatore Senatore, un detenuto del carcere di Macerata, accenna al possibile rapimento di Moro. Ma il Sismi (servizio segreto militare) lo avrebbe appreso, secondo i suoi responsabili, solo a sequestro avvenuto, un anno più tardi. Una banale disfunzione dei nostri apparati? O un’inefficienza voluta?

28 giugno 1977. In un discorso, Kissinger afferma che l’arrivo dei comunisti al potere anche in uno solo dei paesi dell’Europa occidentale, “avrebbe un effetto psicologico sugli altri facendo apparire i partiti comunisti rispettabili o suggerendo che il corso della storia in Europa si muove nella loro direzione”. Kissinger, opponendosi vigorosamente a un superamento degli equilibri sanciti alla fine della seconda guerra mondiale, esclude che i partiti comunisti, per quanto indipendenti dall’URSS, possano legittimamente partecipare al governo. Il riferimento all’Italia è, ancora una volta, evidente.

2 novembre 1977. Il consigliere regionale del Lazio, Publio Fiori, dc, viene gambizzato. Una scritta lasciata sul muro del luogo dove è avvenuto l’attentato, indica chiaramente: “Oggi Fiori, domani Moro”.

Novembre 1977. Le forze dell'ordine rinvengono la risoluzione n. 4 delle BR: il gruppo terrorista si sta organizzando per individuare e colpire gli uomini del potere democristiano “a partire dagli organismi centrali”. Perché, sulla base di questo e degli altri segnali che indicano in modo chiaro l’approssimarsi di un evento traumatico come l’attentato ad Aldo Moro, le forze dell’ordine non prendono provvedimenti?

22 (27?) novembre 1977. Il direttore del Corriere della Sera, il piduista Franco Di Bella, si sta recando allo studio di Moro in via Savoia, a Roma. Fanno parte del corteo la sua automobile e quella della scorta, che la segue. All’inizio di via Savoia le guardie notano la presenza di un giovane su una moto. Quando la loro macchina lo oltrepassa, gli uomini della scorta vedono nel retrovisore che il ragazzo fa dei cenni ad altri due individui. Il motociclista affianca poi la macchina di Franco Di Bella. Il direttore del Corriere vede luccicare un oggetto metallico nelle mani del motociclista e le guardie del corpo capiscono che si tratta di una pistola. Un carabiniere della scorta di Moro, che si trova davanti al portone del palazzo dove ha sede lo studio del leader dc, grida: “Ferma! Ferma!”. Il motociclista riparte a tutta velocità e imbocca un senso vietato. Dal numero della targa si risale al proprietario della moto: si tratta di Umberto Liberati. Nonostante la gravità dell’episodio, le autorità non ritengono opportuno disporre un confronto e dei pedinamenti. Perché? Successivamente si sosterrà che Liberati, che aveva precedenti per furto, aveva solo tentato di fare uno scippo. Un’ipotesi del tutto illogica, vista la presenza visibile, in via Savoia, di tre macchine della polizia. Che cosa doveva fare, allora, Umberto Liberati quella mattina?

Prima settimana del dicembre 1977. Arriva una segnalazione alla questura della capitale: “Si sta preparando l’‘irlandizzazione’ di Roma”. La fonte è del tutto attendibile, quindi la questura trasmette una nota al capo della polizia il quale la passa al ministro dell’interno. Perché Francesco Cossiga non prende nessun provvedimento?

26 dicembre 1977 - 5 gennaio 1978, Roma, piazza dei Giochi Delfici, chiesa di Santa Chiara. Mauro Tomei nota “un uomo e una donna, che guardavano insistentemente l’onorevole Moro il quale era seduto con alcuni familiari su un banco del tempio”. Sono i brigatisti che preparano l’agguato? Qual è l'identità di quei due individui?

Gennaio - febbraio 1978. Mauro Tomei vede un giovane che fotografa l’edicola dove l’auto della scorta di Moro sosta abitualmente. Altre testimonianze permetteranno di affermare che, in quel periodo, Moro viene pedinato anche all’università. E un’auto con la targa del Corpo Diplomatico viene vista aggirarsi nei pressi dell’abitazione di Moro. 

Febbraio 1978. La rivista satirica “Il Male” pubblica un servizio sulle mani dei politici italiani. “La linea del destino” - vi si dice a proposito della mano di Moro - “indica che il soggetto, dopo alterne vicende, farà una brutta fine. Notevole il reticolo sull’indice segno certo di carcerazione”. È possibile che in alcuni ambienti della sinistra extraparlamentare si abbia la sensazione, o la certezza, che Moro sarà ucciso. Il riferimento del Male alla detenzione di Moro e alla sua uccisione è solo un caso? Che le forze dell’ordine non siano poi così distratte come invece si sosterrà, è dimostrato anche dal fatto che l’articolo del Male è stato esaminato dalla polizia, e sarà consegnato alla famiglia Moro subito dopo il rapimento del loro caro.

Prima del 16 febbraio 1978. “È possibile che Moro venga rapito”: è quanto un detenuto della casa circondariale di Matera riferisce ad elementi dei servizi segreti presenti in quella città. Secondo il generale Santovito, piduista, la soffiata giungerà al Sismi solo il 16 marzo, a sequestro già avvenuto. Un mese per passare una notizia così grave da Matera a Roma?

24 febbraio 1978. Un abitante di via Savoia, a Roma, vede una grossa automobile parcheggiata vicino al portone dello studio di Moro, nella quale stazionano due persone. Una delle due, un uomo, scende, va verso il giardino sul quale si affaccia lo studio di Moro e rimane ad osservare per circa un minuto. Il testimone trascrive il numero della targa e lo passa al collaboratore di Moro, Nicola Rana, il quale a sua volta lo gira alla polizia. La proprietaria della macchina risulta essere la convivente di tale Franco Moreno. La polizia interroga quest’ultimo, che nega tutto, affermando di non sapere neanche dove si trova via Savoia. Moreno viene rilasciato e le forze dell’ordine rassicurano Rana: non c’è nessun pericolo. Come si spiega tanta leggerezza? Eppure Moreno ha dei precedenti: è stato inquisito già nel 1973 per aver pedinato una segretaria dell’ambasciata libica in Italia che lavora anche per la società Radionica, il cui titolare, un certo Schuller, è un ex nazista legato ai servizi segreti tedeschi. Dopo il sequestro del presidente democristiano, Moreno sarà nuovamente arrestato. A quel punto, dopo aver negato di nuovo, ammetterà di essere stato in via Savoia quel giorno, ma solo per accompagnare l’amico Gerardo Serafino, che doveva recarsi al vicino Ufficio di araldica. Come si scoprirà poi, Serafino non è nient’altro che il collaboratore del deputato dc Gian Aldo Arnaud, fanfaniano e piduista (tessera 1984). Gli interrogatori dureranno tre giorni, passati i quali Franco Moreno sarà rilasciato, senza aver chiarito nulla (“gli indizi che sembravano [...] gravi, si dissolsero non sappiamo come nell’esame del magistrato”. Leonardo Sciascia, Relazione di minoranza, Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro).

Marzo 1978. A 30-40 metri dall’ingresso dell’ufficio di Moro in via Savoia, staziona un furgone di colore chiaro vicino al quale è parcheggiata una moto, probabilmente una Honda. A notarli è Mario Lillo il quale, sei o sette giorni prima del 16, al posto della moto vede una macchina che potrebbe essere una Renault 4, forse proprio quella che servirà poi a trasportare il cadavere di Moro in via Caetani. Sempre secondo questo testimone, accanto al conducente dell’auto si trova Prospero Gallinari, uno dei brigatisti che prenderà parte al sequestro.

6 marzo 1978. La Securpena (struttura di supervisione delle carceri) segnala al Sismi che un ergastolano della casa circondariale di Campobasso, Cesare Ansideri, che aveva avuto contatti con alcuni brigatisti, ha rivelato che si sta progettando un attentato a “una grossa personalità di Roma”, allo scopo di ottenere in cambio la liberazione di alcuni detenuti politici. Il capo del Sismi, Santovito, non attiva i servizi, reputando Ansideri inattendibile. È stato solo un errore di sottovalutazione o un’omissione voluta?

10 marzo 1978, verso le 17. Giuseppe Eusepi, professore cieco dell’università di Roma, davanti alla facoltà di filosofia sente una persona chiedere: “Hai messo tu la bomba all’università?”. L’altro, Gianmarco Ariata, appartenente all’Autonomia, risponde: “Io queste cose non le faccio, tanto rapiremo Moro”. Il professore racconta tutto agli agenti del posto di pubblica sicurezza dell’università, ma la notizia arriva alla polizia solo il 20 marzo, a sequestro avvenuto. Perché non si verifica subito l’attendibilità della notizia?

10 o 11 marzo 1978. Claudio Leone (direttore di un periodico giovanile) vede un giovane che osserva con insistenza l’ingresso dell’ufficio di Moro in via Savoia, mentre la sua scorta attende il presidente della DC. Il giorno dopo lo rivede nello stesso posto. 

15 marzo 1978. Sulla rivista O.P. di Mino Pecorelli, tornano i macabri accenni a Moro: “Mercoledì 15 marzo il quotidiano ‘Vita sera’ pubblica in seconda pagina un necrologio sibillino ‘A 2022 anni dagli Idi di marzo il genio di Roma onora Cesare 44 a.C.-1978 d.C.’. Proprio alle Idi di marzo del 1978 il governo Andreotti presta il suo giuramento nelle mani di Leone Giovanni. Dobbiamo attenderci Bruto? Chi sarà? E chi assumerà il ruolo di Antonio, amico di Cesare? Se le cose andranno così ci sarà anche una nuova Filippi?”. Da questa e dalle altre rivelazioni fatte da Pecorelli su O.P., sembra ormai evidente che i servizi fossero quanto meno a conoscenza del fatto che si stava preparando il sequestro di Aldo Moro e che alla sua morte non erano interessate le sole BR (le quali, del resto, sarebbero state avvantaggiate dal mantenere in vita il presidente della DC, piuttosto che ucciderlo): è possibile allora continuare a sostenere l'impreparazione degli apparati dello Stato davanti a un evento di questa portata?
Giuseppe Marchi, cieco, rientrando a casa sua urta un’automobile ferma davanti al portone e sente una persona dire: “Hanno rapito Moro e le guardie del corpo”. La sera racconta l’episodio ad alcuni amici in una trattoria. Il giorno dopo, avuta la notizia dell’agguato, si reca a riferire tutto alla polizia. Cinque testimoni confermano l’episodio: Marchi ha parlato dell’agguato di via Fani la sera del 15 marzo, qualche ora prima che il rapimento avvenisse. Nessuno approfondisce il caso, definito dal giudice Cudillo “sconcertante”: perché?

Prima del 16 marzo 1978. Craxi viene informato da un parlamentare tedesco che Moro è nel mirino del terrorismo internazionale. In un documento rinvenuto dalle polizie tedesca e olandese si parlava infatti di Alter Mann, nome in codice per Aldo Moro. Craxi riferisce tutto a una personalità di cui poi non vorrà fare il nome e, anni dopo l’omicidio Moro, dirà: “Se i capi delle Armi, dei Servizi segreti eccetera, hanno detto di non saperlo, evidentemente lo hanno dimenticato perché io con qualcuno ne ho certamente parlato”. Craxi non ha segnalato nulla? O qualcuno che sapeva ha opportunamente “dimenticato”? 

16 marzo 1978, poco dopo le 8. Renzo Rossellini, conduttore di Radio Città Futura, lancia dall’emittente romana un annuncio: “forse rapiscono Moro”. Tre persone riferiscono di averlo sentito: Clara Giannettino, domestica del senatore Cervone, Rosa Zanonetti e una donna sconosciuta che chiama TeleRoma 56. Dopo la morte di Moro, Rossellini rilascerà un’intervista al quotidiano francese Le Matin (4 ottobre 1978), nella quale affermerà che si trattava solo di un’ipotesi “che circolava da più giorni negli ambienti vicini all’estrema sinistra”. Poi ritratterà e dirà che quella del rapimento era solo una congettura logica, la conclusione di un discorso fatto sulla base dell’analisi della situazione politica, iniziata già molto tempo prima. Perché, se nell’“anticipazione” di Rossellini non c’era niente di strano, il centro di ascolto dell’Ucigos, quella mattina, sospende la registrazione dell’emittente proprio dalle 8,20 alle 9,33? La registrazione di quella trasmissione, guarda caso, è assente anche dal Centro di ascolto delle radio private, tenuto dal Sismi. Perché? E perché, subito dopo il rapimento, Rossellini incontra proprio il segretario del PSI, Bettino Craxi? Rossellini aveva notizie riservate da fonti che non ha mai voluto rivelare?

16 marzo 1978, ore 8,30. Giangustavo D’Emilia, studente all’istituto Merry Del Val di Roma, annuncia ai compagni che quel giorno Moro sarà rapito e la sua scorta uccisa. Tutti i compagni confermano che la rivelazione è giunta prima della notizia. Un altro caso di “veggenza”?

Sul ruolo degli Stati Uniti, vedi anche: L'Orizzonte degli eventi.

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13 marzo 2008

Agli amanti del tasto destro

Annunciazione. Sia detto senza falsa modestia: il mio post del 13 febbraio scorso, Chi ha paura del matrimonio?, ha riscosso un discreto successo. Non solo tra i commentatori del mio blog, o tra amici che ne hanno parlato nel loro, linkandomi come usa fra persone civili, ma anche presso qualcuno che, probabilmente a furia di far scivolare il dito sul tasto destro del mouse, si è ritrovato casualmente a farne un semplice copia-incolla. Il succitato mouse non ha risparmiato i link interni al testo, che io avevo posto e che sono ancora tutti lì, ma ha tralasciato, molto opportunamente, la dicitura finale: “traduzione mia” (si trattava in effetti di un discorso della deputata spagnola Carmen Montón Giménez, che io per primo avevo deciso di tradurre e di pubblicare qui); è così che quella traduzione, miracolosamente priva del link al blog del suo traduttore, è comparsa su un altro blog, come per magia. Un cappello differente (con frase finale copiata) e hop, il post è fatto. Comodo, no?

Vengo a sapere dalla redazione di GayToday che la traduzione è girata anche via e-mail, ovviamente priva di un link al mio post. Grazie, mittente sconosciuto!

Siccome non è la prima volta che capita, vorrei dirlo chiaramente: se su questo blog (che cita sempre le fonti che usa) trovate qualcosa di interessante e vi va di segnalarlo nel vostro blog mettendo un link a questo, ne sarò come sempre felicissimo. Se invece volete ricopiare qualcosa che trovate qui, parzialmente o totalmente, potete farlo solo alle minime condizioni dettate dalla buona educazione:

- chiedermi il permesso;
- citare il mio post originale con un link all’interno del vostro post e alla fine;
- non utilizzarlo a fini commerciali.

E se un giorno trovate nella vostra casella un’e-mail che vi dice: “guarda che bella cosetta ho trovato in internet, pubblicala, dai!”, prima di ricopiarla in un vostro post, abbiate almeno il buon senso di chiedere da dove viene.

Generosi sì, scemi no.

12 marzo 2008

Amministrative francesi: l’omofobia non passa

Domenica prossima si svolgeranno i ballottaggi delle elezioni amministrative francesi. Ecco un bilancio provvisorio.
La destra perde il primo turno e alle comunali si attesta, secondo i dati forniti dal ministero dell’interno francese, al 45,5% dei voti. La sinistra sarebbe invece quasi al 48%. Il centro (rappresentato dal MoDem di François Bayrou) è intorno al 3% dei consensi. La differenza tra destra e sinistra è più accentuata nei risultati delle cantonali (il 47,5% contro il 41,5%).
Per quanto riguarda le principali città, Alain Juppé (UMP, ex primo ministro della destra) si aggiudica Bordeaux fin dal primo turno, mentre a Lione passano subito i socialisti. Marsiglia voterà per il ballottaggio domenica prossima, con l’UMP leggermente in testa rispetto al PS. A Lille l’ex ministra del lavoro del governo Jospin, la socialista Martine Aubry, dovrà affrontare il secondo turno, ma è in vantaggio sul rivale dell’UMP, così come il PS si trova in testa a Montpellier. A Tolosa, invece, è la destra ad aver raccolto la maggioranza dei consensi, anche se supera di poco il PS. L’impressione generale è che, nel quadro di una incontestabile rimonta della sinistra, la destra abbia perso meno di quel che ci si aspettava, almeno per ora. Una buona affermazione l’hanno ottenuta i comunisti del PCF, che dopo la disfatta delle presidenziali del 2007 (1,93%), hanno riconquistato delle città perse nel 2001, hanno mantenuto quelle che già governavano, e si trovano in buona posizione nei ballottaggi di domenica prossima. Anche la Ligue Communiste Révolutionnaire (LCR) di Olivier Besancenot, che ha presentato le sue liste “100% à gauche” (“100% a sinistra”), registra dei buoni risultati che oscillano tra il 15,2% a Quimperlé e l’8,9% a Brest.
Simbolicamente essenziale per il movimento gay lesbico bisessuale e transessuale, oltre che politicamente rilevantissima, la vittoria del sindaco uscente di Parigi, Bertrand Delanoë, socialista: 41,6% contro il misero 27,9% della rivale dell’UMP, Françoise de Panafieu che, per mettere un po’ di sale al finale della sua campagna, non ha trovato di meglio che dargli del “brocco”. La destra ha attaccato Delanoë prima per la sua presenza al pride (“come se un sindaco si mettesse alla testa di una sfilata di carnevale”), poi per presunte faraoniche sovvenzioni ai gruppi glbt, che in realtà, come si è facilmente dimostrato, non hanno mai superato lo 0,2% degli emolumenti destinati ogni anno alle associazioni cittadine. L’omofobia, insomma, anche quella maldestramente dissimulata, a Parigi non paga e Delanoë, che ha fuso le proprie liste con quelle dei Verdi per il secondo turno, rifiutando così l’appoggio della formazione centrista MoDem, sarà con tutta probabilità rieletto domenica prossima per il suo secondo mandato.
E, a proposito di omofobia (questa volta fieramente esibita), c’è da registrare anche la disfatta a Tourcoing del candidato dell’UMP Christian Vanneste, già condannato in primo e in secondo grado per aver affermato che “l’eterosessualità è superiore all’omosessualità” e che “gli omosessuali costituiscono un pericolo per la sopravvivenza della specie”. La cittadinanza di Tourcoing lo ha severamente punito: il 53,58% ha scelto di essere rappresentato dal socialista Michel-François Delannoy, eletto così al primo turno. Persino l’associazione GayLib, vicina all’UMP, in un comunicato ha dichiarato la propria “amarezza”, constatando “che la nostra famiglia politica, portatrice di valori universali di libertà, uguaglianza e fraternità, si è sbagliata due volte. Prima investendo su un candidato che non rispetta i valori democratici, poi credendo che un simile candidato avrebbe potuto portarla alla vittoria”.
Riconfermato fin da domenica scorsa anche il sindaco di Bègles (ventiduemila abitanti, nel sud ovest della Francia), il verde Noël Mamère, che inizia così il suo quarto mandato consecutivo. È proprio nel suo municipio che, qualche anno fa, Mamère ha celebrato l’unico matrimonio civile di una coppia di gay che la Francia abbia mai conosciuto, poi immediatamente annullato dall’amministrazione centrale, in assenza di una legge in materia. La copertura mediatica del caso è servita a provocare, quanto meno, delle prese di posizione nette da parte dei vari partiti sulla possibilità di estendere il diritto al matrimonio e all’adozione, anche in Francia, alle coppie formate da perone dello stesso sesso.
Infine, c’è da registrare il caso di Puteaux, cittadina dell’immediata periferia parigina, dove il blogger gay Christophe Grébert capeggiava una lista civica che ha ottenuto il 22,3% dei voti e ha costretto la destra al ballottaggio.

Fonti: Le Monde, Ministère de l’Itérieur, de l’Outre-Mer et des Collectivités territoriales, Têtu.
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11 marzo 2008

Zapatero è un piddino... ma non per i vescovi

Indovinate un po’ chi è stato fra i primi a commentare la vittoria di Zapatero in Spagna? Fassino. Proprio lui. “Il programma del Pd rispecchia quello del Psoe”. Certo, per dire una tale corbelleria ci vuole tanta faccia tosta ma, si sa, in Italia nessuno è mai stato punito nelle urne per averne avuta troppa. Nel frattempo, in alcuni blog di Kilombo, aggregatore delle sinistre, molti si sono affrettati a scrivere quello che l’ex segretario diessino aveva già detto in tv. Chissà le risate che si farebbero gli spagnoli leggendoli, loro che hanno avuto la possibilità di constatare quanta somiglianza esista effettivamente tra Zapatero e Veltroni. Quest’ultimo, infatti, in una ormai celebre intervista a El País, alla domanda sul perché utilizza così poco la parola “sinistra”, dichiara testualmente: “Perché siamo riformisti, non di sinistra”.

Il resto dell’intervista? Il nulla sottovuoto spinto. Zapatero? Un suo grande amico. Gli omosessuali? Risolveremo la cosa con una leggina per permettere loro le visite in ospedale... ma non in campagna elettorale, per carità! Il conflitto d’interessi? Sì, ma non sarà contro nessuno... vorrete mica toccare Berlusconi? La prima misura del nuovo governo? Smantellare la burocrazia che soffoca gli imprenditori.

In che cosa questa robaccia sarebbe simile al programma del PSOE che, solo per fare qualche esempio, ha esteso il diritto al matrimonio e all’adozione anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso, ha ridotto i termini per il divorzio, ha permesso il cambio del sesso anagrafico senza l’obbligo dell’operazione per modificare quello anatomico, ha reso indipendente dai partiti la televisione pubblica, e come primo atto della legislatura ha ritirato le truppe dall’Iraq? È un segreto talmente ben custodito, che solo i piddini potranno svelarlo.
Veltroni, ovviamente, ha subito gioito per la vittoria di Zapatero (sono amici, ricordate?): da lui si può imparare “ad essere realisti e innovatori, avere quella sana radicalità del riformismo”. E qui, come minimo, ci sarebbe da dire che alla scuola di Zapatero il segretario del Pd dovrebbe ritornarci a settembre. Sempre che della “radicalità del riformismo”, al di là dei proclami elettoralistici di comodo, gli importi qualcosa. Il dubbio, col carrozzone clericale che volentieri si trascina dietro, è più che lecito.

Tuttavia c’è da dire che anche a sinistra le facce di tolla non mancano. “Con la vittoria di Zapatero viene sconfitta la Destra e l'ingerenza del clero nella politica spagnola”, dichiara nientemeno che il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Peccato che la coalizione di cui ora è candidato (la Sinistra l’Arcobaleno) non ha fatto nulla per evitare proprio quell’ingerenza delle gerarchie omofobe e antilibertarie nella politica italiana e in quelle istituzioni che annoverano Bertinotti fra i loro massimi rappresentanti. Non hanno mosso un dito, anzi, peggio: ricordiamo tutti - purtroppo - il discorso di Vladimir Luxuria (Rifondazione) alla Camera, contro un emendamento che intendeva ripristinare l’Ici per gli immobili detenuti dalla Chiesa e nei quali si svolgono attività commerciali. Che la coalizione di centrosinistra si fosse piegata agli interessi vaticani, del resto, era apparso chiaro fin da quando tutti i partiti (anche chi, come i radicali, al momento della firma si era fatto venire il mal di pancia) avevano, nei fatti, sottoscritto il programmone, dal quale risultava che le coppie di fatto in Italia avrebbero ottenuto: niente. Nada. Durante la breve legislatura, con la scusa dei numeri risicati in Senato, hanno ingoiato tutto, e ora ci vengono a dire “quant’è bello Zapatero!”, con l’implicita postilla: “Votateci”. Col piffero!


P.S. Semplicemente spettacolari, invece, le reazioni delle gerarchie cattoliche che, impegnate per anni in prima linea contro il governo di Zapatero e poi in una forsennata campagna elettorale contro il PSOE, davanti al fatto lampante che la loro opinione è, giustamente, ininfluente sul piano delle opzioni politiche scelte dagli elettori spagnoli, si sono consolate sostenendo che “sono di fatto scomparsi tutti i partiti minori che avevano nella sigla la parola 'izquierda' (sinistra)" (Cipriano Calderon). Un po’ di veleno l’ha sputato anche Joaquín Navarro-Valls, che ha accusato Zapatero di aver fatto “tutto ciò che poteva ferire la sensibilità cattolica”. Il rimedio possibile? “Il passo più importante lo può fare il governo” - dice l’ex portavoce di Woytjla - “abbandonando l'ideologia e mettendosi sul terreno di un socialismo sostanziale”. Dove per “sostanziale” si dovrebbe intendere - immagino - “svuotato dei suoi contenuti”. Quello di Veltroni, per intenderci.
Gustosissima anche l’intervista - segnalata oggi da Fireman sul suo blog - del cardinale Cañizares al Corriere. A giudicare dall’atteggiamento da crociato che assume, si direbbe che l’alto prelato spagnolo l’abbia presa un po’ male. Una cosa interessante, però, la dice: “La Chiesa italiana ha più spazio sui media. Quando ci fu il Family Day, tutti i giornali dedicarono più pagine alla manifestazione di piazza San Giovanni, e mezza pagina a quella laicista di piazza Navona. In Spagna molti giornali avrebbero fatto il contrario”. Chi potrebbe dargli torto?

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09 marzo 2008

Elezioni in Spagna e in Francia: i risultati

In primo piano i risultati delle elezioni politiche in Spagna, minuto per minuto. Potete visualizzare seggi e numero di voti, e scegliere tra i dati riferiti a tutta la Spagna, alle singole comunità autonome o alle singole province. Più in basso degli aggiornamenti sullo scrutinio delle elezioni amministrative in Francia.

Spagna, elezioni politiche



19,45. I due rilevamenti effettuati fino a questo momento indicano che la partecipazione al voto è stata massiccia, anche se inferiore ai dati del 2004. In tutta la Spagna, alle 18 aveva votato il 60,9% degli aventi diritto, due punti in meno rispetto alle precedenti elezioni politiche. A prima vista si direbbe che le comunità autonome dove si è votato di più sono quelle dove la destra prevale.

20,02. Ai socialisti da 172 a 176 con il 45% dei voti; al Partido Popular andrebbero dai 148 ai 152 seggi. Questi i primi sondaggi alla chiusura delle urne.

20,08. Il responsabile organizzativo del PSOE, José Blanco, prendendo la parola alla sede socialista, dedica il primo pensiero alla famiglia dell'ex cosigliere comunale socialista di Mondragon, Isaias Carrasco, ucciso venerdì scorso da un terrorista dell'ETA. Prudenza alla sede del PP.

20,16. "I sondaggi sono solo sondaggi, quando i risultati reali saranno conosciuti, si vedrà che il PP ha ottenuto un ottimo, magnifico risultato". È il primo commento del responsabile organizzativo del Partido Popular. 

20,26. Migliore stima per i socialisti: da 172 a 176 seggi (da 148 a 152 per il PP). Stima peggiore per i socialisti: a 163 a 166 seggi (da 149 a 152 per il PP). La terza forza a livello nazionale, Izquierda Unida (comunisti e verdi) sarebbe estremamente penalizzata, ottenendo da 2 a 4 seggi. I commentatori parlano di "trionfo del bipartitismo".

21,25. Secondo i dati comunicati dal Ministero dell'interno spagnolo, con il 23,1% dei voti scrutinati, il PSOE sembra essere molto vicino alla maggioranza assoluta: 175 seggi contro i 142 del PP.

21,40. Con oltre il 42% dei voti scrutinati, si riduce la differenza tra PSOE con 169 seggi e PP con 151. Probabilmente Izquierda Unida, che otterrebbe solo 2 deputati, non potrà conservare il proprio gruppo parlamentare. Grosse perdite (da 8 a 3 seggi) anche per la formazione catalana Esquerra Republicana.

21,57. "Possiamo affermare di avere vinto le elezioni. Abbiamo aumentato i nostri seggi, che secondo le nostre stime saranno tra 168 e 171. È una grande vittoria". Questo il primo commento del responsabile della campagna socialista, Luis Blanco, ai dati parziali diffusi finora dal Ministero dell'interno spagnolo (poco più della metà dei voti scrutinati). "È la vittoria di una politica basata sul dialogo e il pluralismo, è una vittoria che rifiuta le divisioni". Non appena lo scrutinio sarà terminato, sarà lo stesso Zapatero a comparire ai militanti che affollano la sede nazionale del PSOE. 

22,03. A Madrid, feudo del PP, le operazioni di scrutinio proseguono più lentamente che altrove: sono stati scrutinati solo il 38% dei voti.

22,10. Man mano che affluiscono i dati di Madrid, si riduce la differenza tra i seggi che ottiene il PSOE e quelli assegnati al PP: per il momento 168 contro 154, cioè solo 14 seggi di differenza. Entrambi i partiti avrebbero quindi aumentato i propri seggi.

22,26. La vicepresidente del governo spagnolo, Maria Teresa Fernandez de la Vega commenta i risultati ufficiali parziali (con il 76% di voti scrutinati, al PSOE vengono attribuiti 168 seggi e al PP 154 seggi): "Le mie prime parole in questo giorno sono per Isaias Carrasco e per la sua famiglia. Vorrei che sentissero che ogni voto espresso oggi è un abbraccio per loro. Tutto il Paese oggi sta con loro e noi non li dimenticheremo".

22,39. Per quanto riguarda le comunità autonome, quelle in cui prevale il PSOE sono: Andalusia, Aragon, Asturie, Canarie, Catalogna, Estremadura. Il PP ottiene invece la maggioranza relativa dei voti in: Cantabria, Castilla-La Mancha, Castilla y Leon, Galizia, Madrid, Navarra, Murcia, La Rioja, comunità Valenciana, Ceuta, Melilla. Nelle Baleari, invece, è quasi parità, con una leggera prevalenza del partito di Rajoy.

22,43. "Il Partido Popular sale molto in percentuale e in seggi e questo ci soddisfa molto". È l'ultimo commento del responsabile della campagna del PP, che aveva già parlato di un "magnifico risultato" all'inizio della serata. Quando lo scrutinio è giunto ormai all'84% dei voti, il PP otterrebbe 155 seggi (+7 rispetto alla passata legislatura), mentre il PSOE avrebbe 167 seggi (+3).

22,49. Gaspar Llamazares, candidato di Izquierda Unida, ha attaccato lo "tsunami del bipartitismo" che ha travolto tutto ciò che si trova a sinistra del Partito socialista. "A causa di un sistema elettorale ingiusto, il nostro 4% si convertirà nello 0,8% dei seggi". "Questi risultati sono un insuccesso politico per me, perché volevamo evitare l'appiattimento bipartitico in questo paese e volevamo ottenere un cambiamento a sinistra. Faremo rivivere il nostro progetto, con l'appoggio della società di sinistra".

23,01. Zapatero, capo del governo spagnolo riconfermato, è sceso fra i militanti assiepati nella sede del PSOE a Madrid ed ha avuto molte difficoltà a contenere il loro entusiasmo. Poi è riuscito a prendere la parola: "Isaias avrebbe dovuto vivere questo momento con la sua famiglia", così come tutte le vittime del terrorismo. "Quattro anni fa mi avete detto: 'Non deluderci', ed io mi sono sforzato di essere all'altezza delle vostre aspettative. Abbiamo lavorato duro, ma ne è valsa la pena. Ho appena ricevuto le felicitazioni di Mariano Rajoy: lo ringrazio pubblicamente e a lui va tutto il mio rispetto, così come a tutti gli altri candidati. Gli spagnoli hanno scelto di aprire una nuova tappa che eviti le divisioni. Governerò col dialogo politico più ampio possibile, governerò per tutti ma pensando innanzitutto a quelli cui manca qualcosa. Governerò per trasformare in realtà le speranze delle donne, dei giovani, perché gli anziani abbiano l'assistenza e l'appoggio che si sono guadagnati in una vita. Oggi più che mai credo in una Spagna unita e che vive nella tolleranza. Voglio compiere questo cammino con tutti voi. Buona fortuna".

23,14. È stato nel frattempo diffuso il primo comunicato emesso da parte di un'associazione glbt spagnola: "L’associazione Gays Y Lesbianas de Aqui (GYLDA) desidera ringraziare i collettivi e gli attivisti che durante queste settimane hanno lavorato e si sono sacrificati per i diritti LGBT. Grazie a voi abbiamo potuto impedire la vittoria del PP ed abbiamo protetto i nostri diritti".

23,33. Ecco le dichiarazioni dello sconfitto, Mariano Rajoy (PP), interrotte da innumerevoli grida di entusiasmo dei militanti: "Ho chiamato il candidato socialista e gli ho fatto i miei auguri per il bene della Spagna. Abbiamo ottenuto più voti che mai, siamo il partito che ha aumentato di più in seggi e in percentuali di voto nella storia di Spagna. Saremo all'altezza della situazione. Vi dirò di più: non difenderò mai altro che gli interessi generali degli spagnoli e questa grande nazione che si chiama Spagna!".

23,59. Il presidente del Coordinamento Girasol delle associazioni lesbiche, gay, transessuali e bisessuali dell’Andalusia, di Ceuta e di Melilla dichiara in un comunicato: “Abbiamo lavorato duramente per arrivare fino a qui ed ammettiamo che ci resta molto da fare. Con la formazione del nuovo arco parlamentare sarà più facile lavorare, cosa che temevamo fosse impossibile se avesse vinto il PP, un partito chiaramente discriminatorio verso gay, lesbiche, transessuali e bisessuali. Il risultato delle elezioni del 9 marzo garantisce il mantenimento dei diritti che durante 30 anni di lotta la comunità glbt ha ottenuto, come la legge sul matrimonio tra persone dello steso sesso, la cosiddetta legge sull’identità di genere e alcuni progressi sul terreno dell’educazione che sicuramente avranno ora nuovo impulso”.

0,16. I risultati sono ormai quasi definitivi (97% dei voti scrutinati). PSOE: 43,7% (+1,1%) , 169 seggi (+5 seggi). PP: 40,13% (+2,42%), 154 seggi (+6 seggi). La differenza in seggi tra il PSOE e il PP, che prima era di 16 seggi è ora di 15 seggi. I due partiti, insieme, sommano 323 dei 350 seggi della Camera.


Francia, elezioni amministrative (1° turno)
19,45. Secondo il Ministero dell'interno, alle 17 aveva votato in Francia il 56,25% degli elettori, una cifra sensibilmente più alta rispetto alle precedenti amministrative del 2001 (53,28%). Impossibile stabilire quali forze politiche saranno premiate da questa buona affluenza. 

20,10. Secondo i primi sondaggi, le liste di sinistra e dei verdi avrebbero raccolto, in tutta la Francia, il 47,5% dei voti. Alla destra il 40%

20,33. Secondo i sondaggi, l'omofobo Vanneste (UMP 31%) sarebbe stato battuto a Tourcoing, fin dal primo turno, dal socialista Michel-François Delannoy (53%). Alla sinistra passerebbe anche Rouen.

21,45. Netta affermazione della lista socialista del sindaco Bertrand Delanoë a Parigi: secondo i sondaggi ottiene il 40%, contro il 28% della sfidante della destra, Françoise de Panafieu. La formazione centrista MoDem avrebbe circa il 9%, i Verdi il 7%.

Francia, Spagna e gli "orgasmi democratici"

Due avvenimenti di primaria importanza oggi in Europa: le elezioni amministrative in Francia e le politiche in Spagna.

I francesi (e i cittadini dell’unione europea residenti in Francia) sono chiamati oggi a rinnovare, in un primo turno elettorale, tutti i consigli comunali e, di conseguenza, i sindaci. I vari sondaggi pubblicati nelle ultime settimane danno unanimemente un Sarkozy in caduta libera: a neanche un anno dalle ultime presidenziali, gli elettori sembrano essere fortemente delusi dalla sua politica. È certamente per questo che, durante le ultime fasi della campagna per le amministrative, il Presidente della Repubblica ha pensato bene di tenersi molto in disparte, dopo un lungo periodo di sovraesposizione mediatica che non gli ha certo giovato. Le sfide più importanti, com’è ovvio, sono quelle delle grandi città, dove il partito di destra uscito vincente dalle politiche dello scorso anno, l’UMP di Sarkozy, rischia moltissimo: Tolosa, Strasburgo, Bordeaux e Orléans sono solo quattro esempi di città che potrebbero, questa sera, scoprire di preferire il rosa (se non il rosso) del Partito Socialista al blu presidenziale.

A Parigi il sindaco uscente, Bertrand Delanoë, socialista e gay, dopo 7 anni di un mandato che ha visto molte luci ma anche qualche ombra (una su tutte: la controversa intitolazione della piazza antistante la chiesa di Nôtre-Dame a Giovanni Paolo II, in pompa magna e con le autorità ecclesiastiche), cerca la riconferma e sfida Françoise de Panafieu, candidata dell’UMP e attuale capo dell’opposizione in consiglio comunale. La politica del Comune di Parigi nei confronti del movimento glbt, che l’UMP giudica eccessivamente favorevole e compiacente, è stato uno dei cavalli di battaglia favoriti (e anche piuttosto logori) della destra parigina. Françoise de Panafieu era partita all’attacco fin dal giugno del 2003, dichiarando al periodico VSD: “Non è dignitoso, quando si rappresenta una città come Parigi, sfilare al gay pride, non più di quanto lo sarebbe un sindaco che si mette alla testa di una sfilata di carnevale”. 

In un’intervista pubblicata due giorni fa dalla rivista glbt E-Illico, davanti a un giornalista che le domanda perché Bertrand Delanoë è stato più volte attaccato dalla destra sulle sovvenzioni comunali alle associazioni glbt, la candidata UMP si mostra stupita: “Lei trova davvero che sia stato attaccato? Io penso che siano soprattutto i suoi amici che provano a darlo a intendere”. Una semplice ricerca basta, però, a smentirla. Nel suo libro “Mon Paris gagnant” (“La mia Parigi vincente”), uscito all’inizio del 2006, Françoise de Panafieu non esitava ad affermare che “le associazioni che lottano contro la discriminazione degli omosessuali sono particolarmente coccolate” e che il Comune di Parigi avrebbe finanziato “più di un centinaio di associazioni che lottano contro la discriminazione verso gli omosessuali”. Falso: nel 2004 solo 17 associazioni che avevano tra i propri scopi la lotta all’omofobia hanno ricevuto sovvenzioni, per un totale di 247 mila euro, cioè lo 0,14% del budget totale dedicato dal Comune all’associazionismo. Le rispose a tono il vice-sindaco, Anne Hidalgo: “Ogni sovvenzione è votata dal Consiglio comunale, cosa che Françoise de Panafieu potrebbe sapere se lo frequentasse più assiduamente”. Anche il Centro gay, lesbico, bi e trans reagì, chiedendosi se “la menzogna, la confusione e l’omofobia siano indispensabili alla signora de Panafieu per concorrere al posto di sindaco”. La risposta è nei fatti. 

Appena due mesi dopo, marzo 2006, usciva un pamphlet della giornalista Sophie Coignard, fortemente critico verso Delanoë: “Le marchand de sable” (“Il venditore di sabbia”). In esso si affermava, una volta di più, che il Comune di Parigi “distribuisce denaro a pioggia a qualsiasi tipo di struttura, purché appartenga al movimento gay”. Per fortuna molti ricordavano ancora che ai bei tempi del sindaco chiracchiano Tibéri il Comune non correva certo il rischio d’incappare in queste critiche, poiché rifiutava sistematicamente ogni sovvenzione alle associazioni glbt o ai gruppi che lottano contro l’aids. 

Non basta. All’inizio del febbraio scorso, durante un incontro organizzato da Jean-Marie Cavada, candidato dell’UMP nel 12° arrondissement, l’oratore, il giornalista Yvan Stefanovitch, dichiara: “Ho scoperto che le associazioni che ricevono più sovvenzioni, curiosamente, sono le associazioni connotate come ebree, che sono in testa. [...] C’è un’esplosione di finanziamenti per gli omosessuali, che hanno raggiunto la cifra di 600 mila euro. È enorme”. Il dato, ancora una volta, è falso: nel 2007 le domande di finanziamento approvate sono state una quindicina per un totale di 250 mila euro, cioè lo 0,15% del budget totale. Nessuno scostamento dalla media, dunque. Le menzogne dell’oratore, al cospetto delle quali il candidato Cavada non mostra alcun segno di dissenso, avrebbero forse un’eco minore se un altro giornalista, Jérémy Sahel, non fosse presente in sala, armato di una semplice videocamera con la quale filma tutto. Il giorno dopo posta il pezzo incriminato su Dailymotion, in modo che gli elettori possano farsi un’idea chiara e diretta degli argomenti utilizzati dalla destra. “Non ho sentito quelle frasi”, dichiarerà poi l’ineffabile Cavada, come a dire: non c’ero, e se c’ero dormivo. “Da sette anni c’è una caccia all’uomo contro di me,” - sbotta finalmente Delanoë - “mi attaccano per ciò che sono. Destra o sinistra, non importa: la dignità e il rispetto non sono facoltativi in democrazia”. Segue precipitosa marcia indietro di Cavada: “Sono in totale disaccordo con le affermazioni di Yves Stefanovitch. Mi hanno fatto un falso processo”. 

La malcelata omofobia della destra non si è espressa, tuttavia, solo a Parigi. Un esempio su tutti: Turcoing, una città di quasi centomila abitanti che si trova nell’estremo nord della Francia. Lassù l’UMP ha candidato un suo deputato, Christian Vanneste, già condannato in primo grado e in appello per le sue affermazioni omofobe: “L’omosessualità è una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità ed è inferiore all’eterosessualità”. “La fedeltà che ha sempre dimostrato verso il suo partito e l’amicizia che abbiamo sempre nutrito” - ha dichiarato il vice-segretario dell’UMP, Dominique Paillé - “ci hanno condotto ad osservare le sue qualità con quell’obiettività che ha fatto sì che non ci sbagliassimo scegliendolo”. Il 12 gennaio scorso, esponendo dei cartelli su cui era scritto “Vanneste omofobo”, alcuni militanti di Act-Up hanno interrotto un discorso di Sarkozy, il quale non ha trovato di meglio che rispondere: “Non vi preoccupate. Sono anni che protestano e non è servito a niente. Vi rendete conto? Ne hanno trovati solo due in un paese di 64 milioni di abitanti. Non gli resta altro”.

Stasera sarebbe bello poter constatare che, nonostante un’opposizione ancora annaspante dopo la sconfitta del maggio scorso e un Partito Socialista troppo distante dalla sua base naturale, questa destra indecente non è passata, anzi, che è stata sonoramente sconfitta in quello che è stato già battezzato “il terzo turno delle presidenziali”. Un primo responso si avrà dopo le 20, quando si saranno chiuse anche le urne delle città maggiori (nei centri più piccoli, infatti, lo scrutinio comincia alle 18 o alle 19).

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“Quanta felicità ci ha portato Zapatero in questa legislatura! Abbiamo continuato ad avere un orgasmo dietro l’altro! Non ne ho mai avuti così tanti. Innanzitutto quelli che mi procura mio marito, e poi quelli che mi dà Zapatero: orgasmi democratici, dopo aver ottenuto leggi che riconoscono la dignità di tante donne e di tanti uomini in questo paese. Mentre gli altri condannano l’allegria, la felicità, e ci ammorbano la vita”. Ad incendiare il clima di un comizio del PSOE in Cantabria, ci ha pensato recentemente, con queste esclamazioni, Pedro Zerolo, che è stato uno dei protagonisti della riforma del codice civile che ha permesso alla Spagna, all’inizio dell’ultima legislatura, di rendere accessibile a chiunque, nel pieno rispetto del proprio orientamento sessuale e della propria vita affettiva, il diritto al matrimonio e all’adozione.

Oggi in Spagna è il grande giorno delle elezioni politiche. I sondaggi, per quel che valgono, assegnerebbero la vittoria al PSOE di Zapatero, anche se permane il dubbio sulle dimensioni del vantaggio che otterrebbe rispetto al Partido Popular di Mariano Rajoy. I socialisti saranno costretti a governare in una coalizione con Izquierda Unida (comunisti e verdi) e i partiti cosiddetti nazionalisti? In ogni caso, anche se ovviamente il PSOE ha chiesto agli elettori una maggioranza ampia che gli assegni una perfetta autonomia, c’è da dire che le decisioni più rilevanti della legislatura che si è appena conclusa, sono state approvate col concorso di Izquierda Unida: l’immediato ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq, l’estensione del diritto al matrimonio e all’adozione alle coppie formate da persone dello stesso sesso, la legge per una effettiva uguaglianza fra uomini e donne (che, fra l’altro, ha portato a un aumento del 75% delle candidate rispetto alle ultime politiche), il notevole alleggerimento delle procedure per potersi divorziare, l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole, con particolare riguardo all’apertura verso le differenze, la legge sulla memoria storica, che riconosce finalmente in forma chiara e inequivocabile le vittime della dittatura franchista.

Peccato che Izquierda Unida, con un programma più avanzato di quello socialista, non sia riuscita ad emergere più di tanto in questa campagna, schiacciata com’è da un sistema politico e mediatico che privilegia le due formazioni maggiori, il PSOE e il PP. La formazione di sinistra, terza forza a livello nazionale, aveva chiesto che non si celebrassero solo i due faccia a faccia tra Zapatero e Rajoy, ma che si desse la possibilità anche a Izquierda Unida di esporre il proprio programma in un dibattito plurale che coinvolgesse anche il proprio candidato, Gaspar Llamazares. Com’era prevedibile, la richiesta è stata respinta.

È stata una campagna elettorale molto combattuta e, secondo due amici da me consultati, mai la società spagnola è stata così divisa dai tempi della Guerra Civile. Il PP ha provato ad esercitare durante tutta la legislatura un’opposizione durissima, molto spesso solo strumentale, e ha spesso trovato al suo fianco la Chiesa spagnola che, proprio qualche giorno fa, ha eletto a capo della Conferenza episcopale l’ultraconservatore arcivescovo di Madrid, Rouco Varela. 

Mentre i due principali contendenti hanno evitato di fare troppi accenni al “matrimonio gay”, nel timore reciproco che potesse portare acqua al mulino avversario, durante la campagna elettorale il PP non ha smesso di agitare spettri che fino a quel momento rappresentavano i grandi tabù della politica spagnola: innanzitutto il tentativo, per la verità maldestro, di armare l’una contro l’altra le comunità autonome, per gridare poi all’attentato contro l’integrità della nazione, attentato del quale sono stati incolpati i socialisti; poi l’ETA. Il PP non ha mai perdonato a Zapatero di essere stato a un passo dal risolvere l’annosa questione del terrorismo indipendentista basco, avviando con esso un tentativo di dialogo e di patto che prevedeva l’abbandono della lotta armata. Il PP si è molto adoperato per far fallire quell’esperienza, che infatti si è rivelata infruttuosa, ergendosi poi a difensore delle vittime del terrorismo e della linea dura contro l’ETA... salvo dimenticarsi che tutti i governi, quello di Aznar compreso, hanno trattato con i terroristi. 

Proprio due giorni fa, provocando la brusca interruzione e la chiusura anticipata della campagna elettorale, l’ETA ha ucciso Isaías Carrasco, ex consigliere comunale socialista di Mondragón, nel Paese Basco. Pur avendo sottoscritto un documento di condanna firmato da tutti i partiti e dalle maggiori organizzazioni sociali del Paese, il PP ha tenuto immediatamente a far sapere di aver chiesto agli altri partiti, senza successo, di poter inserire nello stesso documento il rifiuto del dialogo con l’ETA. Una cinica rottura dell’unità democratica, la cui portata elettorale non è per il momento quantificabile ma che non è affatto piaciuta alle altre forze politiche e, ciò che più conta, alla figlia della vittima, Carmen Carrasco: “Mio padre è stato ucciso perché difendeva la libertà, la democrazia e l’ideale socialista” - ha dichiarato ieri, a viso duro, davanti alle telecamere - “Quelli che lo hanno ucciso sono dei codardi, senza palle. Ma voglio chiedere soprattutto una cosa: che l’omicidio di mio padre non sia manipolato da nessuno. Non lo tollererò io e non lo tollererà neanche la mia famiglia. Io, mia madre e tutti quanti andremo a votare e questo è quello che chiedo: che tutti votino. Quelli che vogliono mostrare solidarietà a mio padre e a noi, vadano a votare in massa domenica, per dire agli assassini che noi non faremo neanche un solo passo indietro. Posso solo dire che sono stati dei figli di puttana”.

I risultati a partire dalla chiusura dei seggi, questa sera alle 20.

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