Catania Pride 2008 - 5 luglio

30 novembre 2007

Sui PaCS all’estero Kouchner getta la maschera

Socialista anomalo, sostenitore dell’interventismo, oppositore della strategia di Chirac contro la guerra in Iraq voluta da Bush. Schierato con Ségolène Royal per la corsa all’Eliseo, subito dopo la sconfitta di quest’ultima ha pensato bene di voltare gabbana e di cogliere l’occasione a lungo sognata: assumere un ruolo da protagonista nella vita politica francese. Nel governo Fillon accetta quindi di apparire come garante della cosiddetta “apertura” della destra ad alcune istanze “di sinistra”: un’attenzione verso il sociale tutta relativa, che sarebbe meglio classificare come trasformismo. Stiamo parlando dell’ineffabile ministro degli affari esteri francese, quel dottor Bernard Kouchner che, poco incline al dialogo con i giornalisti, quando appare su un palcoscenico televisivo raramente riesce ad esporre le sue idee senza alzare la voce. Che avrà mai da gridare così, vien sempre da chiedersi. Deve essere il suo modo di far capire che ha proprio ragione lui.
Del resto non è solo la pazienza e la serenità d’animo a fargli difetto. Kouchner probabilmente ha anche un grave problema di gestione della propria agenda, se da due mesi a questa parte non ha trovato neanche un’oretta (sua o dei suoi collaboratori) da dedicare a quattro associazioni che gli avevano chiesto un incontro. Tra queste ultime figura anche l’Inter-LGBT, federazione che riunisce molti gruppi della comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale francese. A destare la loro preoccupazione, una circolare del ministro, datata 28 settembre, con la quale Kouchner chiede ai consolati francesi all’estero di non registrare i PaCS in quei paesi che non permettono la convivenza di due persone dello stesso sesso o di sesso diverso fuori dal matrimonio. La legge che dal 1999 regola le unioni civili, infatti, stabilisce che i cittadini o le cittadine francesi possono sottoscrivere un PaCS anche al consolato, nel proprio paese di residenza. Che la coppia sia formata da due francesi o da un partner francese e uno straniero, non fa differenza. Ovviamente, il contratto ha effetto esclusivamente in Francia e non nel paese di residenza, a meno che in quest’ultimo non sia in vigore una legge simile a quella istitutiva dei PaCS francesi.
Ora però la circolare del ministero degli esteri ha posto un limite fortissimo a questa possibilità. L’autorità consolare deve rifiutare il PaCS alle coppie eterosessuali in quei paesi dove sono vietate le unioni fuori dal matrimonio e alle coppie omosessuali laddove l’omofobia è legge di Stato. Ma, “assurdità massima, se la coppia persiste nella sua volontà di firmare un PaCS,” - ha dichiarato il presidente dell’Inter-LGBT, Alain Piriou - “l’autorità è comunque tenuta a procedere alla registrazione. Per poterlo fare, la coppia deve firmare un certificato che attesta l’avvenuto avvertimento da parte del consolato e la impegna a non far valere il PaCS nel paese di residenza”. “Quello che è davvero nauseante” - ha aggiunto Piriou - “è che anche quest’ultima possibilità è negata se uno solo dei partner è francese”.
“Stabilendo una differenza di trattamento in funzione della nazionalità o dell’orientamento sessuale, questa circolare offende il principio dell’uguaglianza e della non-discriminazione”, affermano quindi l’Inter-LGBT, l’ARDHIS (Associazione per il riconoscimento del diritto delle persone LGBT all’immigrazione e al soggiorno), il GISTI (Gruppo d’informazione e sostegno agli immigrati) e la LDH (Lega dei diritti dell’uomo). È vero che si tratta di una pratica già in uso dal 2006 in alcuni consolati francesi, come quelli funzionanti in Algeria e in Marocco. Tuttavia, il fatto che essa sia stata ora inserita in un provvedimento del governo e quindi ufficializzata ed estesa a tutta l’amministrazione francese all’estero, ha spinto le quattro associazioni, ascoltato il fin troppo lungo silenzio del Quai d’Orsay, a chiederne l’annullamento al Consiglio di Stato.
Di qui la domanda: Bernard Kouchner, sinistra o sinistro?

Fonti: Alain Piriou, Têtu.



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29 novembre 2007

Tranquilli, qui in Francia tutto bene

Nove giorni consecutivi di sciopero, un grande tam tam mediatico per stigmatizzare l’egoismo dei manifestanti e allestire la tragicommedia degli utenti “ostaggi”, e ora? Nulla. Il governo e i sindacati hanno deciso di aprire dei negoziati con le direzioni delle società coinvolte nella riforma dei regimi pensionistici speciali (le più importanti, dal punto di vista simbolico, sono le ferrovie dello Stato – SNCF – e la metropolitana di Parigi – RATP), per trovare delle compensazioni all’applicazione della nuova soglia di contributi (40 anni per tutti). Ergo, di conflitto sociale nessuno parla più. Finito lo sciopero, gabbato il santo, potremmo dire. Già, ma chi è stato imbrogliato di più? La “base”, cioè quei lavoratori che, dopo una lunga e difficile lotta, accettano, loro malgrado, quelle mediazioni cercate fin dall’inizio da un sindacato che la percezione comune (non si sa quanto realistica) vuole debole e isolato? Oppure sono Sarkozy e il primo ministro Fillon ad aver ceduto di più? Certo, la loro faccia è salva (l’obiettivo di una rivincita dopo le elezioni presidenziali e politiche di appena qualche mese fa non è stato centrato), ma se dai negoziati la riforma dovesse uscire stravolta, la credibilità del presidente della Repubblica non ne uscirà rafforzata. E se a essere sconfitti fossero invece i sindacati? Pur consapevoli dell’asprezza del conflitto, hanno esitato molto, lanciando alla loro stessa base dei segnali contraddittori: vedere il segretario della principale organizzazione, la CGT, andare a colloquio dal ministro del lavoro poche ore prima dell’inizio dello sciopero, è sembrato ai più inopportuno. Eppure è stato un segnale che ha preparato il successivo cedimento sull’apertura di negoziati impresa per impresa, un’ipotesi che la CGT aveva nettamente scartato nelle settimane precedenti, chiedendo invece una contrattazione globale per l’insieme dei regimi speciali.
Per il momento la situazione resta fluida, le trattative sono in corso e se ne saprà di più tra qualche settimana. Certamente sin d’ora si può dire che è stata una crisi ambigua, gestita in modo tentennante, anche per l’inconfessato tentativo del governo, tanto evidente quanto vano, di soffiare sul fuoco del malcontento dei cittadini che non scioperavano e di piegare il movimento.

Il bastone e la carota, del resto, sono stati usati anche per cercare di spegnere la miccia delle università e di far digerire la legge sull’autonomia finanziaria che comporta l’ingresso dei privati negli atenei. Il ministro per l’Insegnamento superiore, Valérie Pécresse, pur rifiutando di ritirare il suo provvedimento, ha fatto una serie di concessioni, soprattutto per quanto riguarda le borse di studio e le condizioni di vita degli studenti. L’Unef, il principale sindacato studentesco, tra i massimi protagonisti della vittoriosa lotta contro il contratto di primo impiego di un anno e mezzo fa, si è dichiarato soddisfatto e pronto a far cessare le agitazioni. Eventuali sacche di resistenza da parte dell’ala radicale di un movimento già profondamente diviso, potrebbero essere spazzate via dalla mano dura della polizia, che ha già sgomberato gli atenei di Lione e Grenoble. Nel corso di una manifestazione svoltasi ieri a Nantes, le forze del disordine hanno ferito gravemente uno studente sparandogli in pieno volto un proiettile di gomma [1].

Come se il quadro non fosse già abbastanza fosco, nei giorni scorsi la periferia di Parigi si è incendiata nuovamente. Due ragazzini, sedici e diciassette anni, a bordo di una moto, sono stati urtati da una macchina della polizia, di ronda a Villiers-le-Bel. Sull’effettiva dinamica dell’incidente regna ancora l’incertezza, ma la reazione di una parte dei giovani di quella città non si è fatta attendere: devastazioni, incendi, saccheggi. Danni alla proprietà privata, certo, e anche ai simboli delle istituzioni e della repressione, come i commissariati di polizia. Ormai periodicamente, gente che è stata messa ai margini del benessere (dal punto di vista economico e quindi anche fisico) si ribella alla propria condizione nell’unica maniera che trova per farsi ascoltare. Stupefacente? Finché la risposta al disagio di chi vive in quei ghetti sarà data esclusivamente sul piano dell’ordine pubblico, del dispiegamento della polizia e del disprezzo orgogliosamente rivendicato (non molto tempo fa, l’allora ministro degli interni Sarkozy parlò di “feccia” e di quartieri da ripulire “con l’idrante”), qualcuno può davvero credere che episodi come quelli accaduti in questi giorni non si ripeteranno?
Ma il superpresidente è tornato ieri dalla Cina e adesso le cose le mette a posto lui. Potere del populismo, della demagogia e della strumentalizzazione, chi lo sa... Il fatto è che molti francesi sembrano credergli ancora.

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[1] Si tratta dei famigerati flashball, sparati dall’arma che vedete in questa fotografia. Ovvero: come ti risolvo il conflitto...

Sul sito del fabbricante, la Verney-Carron, leggiamo agghiacciati: “Grazie a dei proiettili studiati per evitare, anche a distanza molto ravvicinata, la penetrazione in un individuo normalmente abbigliato, [il Flash-Ball] provoca all’impatto l’equivalente di un KO tecnico. L’oppositore viene quindi messo fuori combattimento. [...] Con un look e una detonazione dissuasivi, un’impugnatura facile, una canna semplice o doppia, il Flash-Ball è leggero e robusto e si adatta a ogni situazione. Declinato in differenti versioni, possiede un’importante gamma di munizioni e di accessori che rendono completa quest’arma intelligente, tanto impressionante quanto efficace”. Munizioni, avete detto? Certo. Insieme a “tutta una serie di accessori”, vengono decantate le virtù dei proiettili: “La potenza dell’impatto del proiettile in caucciù morbido da 28 grammi è equivalente a quella di una 38 special e fa lo stesso effetto del pugno di un campione di pugilato. All’impatto esso si espande e distribuisce la forza su una superficie di circa 35 cm2”.
Il giocattolo in questione, oltre a essere intelligente e “rivoluzionario”, è classificato nella poco rassicurante categoria delle armi “a letalità attenuata”. E chi è il principale testimonial di cotanta tecnologia al servizio del bene pubblico? Lui, ovviamente, il piccolo Nicolas: “Quando i poliziotti ne sono dotati” – scrivono nel sito della Verney-Carron, riportando con orgoglio le parole del presidente Sarkozy – “i teppisti non si fanno vedere. Dire che la polizia deve restare democratica non significa condannarla all’inefficienza”, che diamine! E quindi Flash-Ball per tutti, per le Brigate anticriminalità, per i Gruppi d’intervento della polizia e per i RAID (sigla che sta per Ricerca Assistenza Intervento Dissuasione. Non vuol dire niente, ma faceva tanto legge e ordine...).



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25 novembre 2007

So’ Qcuerela da Pariggi...

Gabbriele s’è preso ‘a serata libbera pe’ stà cor core suo che torna oggi da’a perfida Arbione? E io, Qcuerela, ne approfitto finarmente pe dì quer che penso davero de ‘sto frocione bokassiano porpottista. Certo che ‘n artro così dentro de Kirompo, proprio nun ce voleva. Prima sa’a pija co ‘sta poraccia de ‘na Bbinetta, che noi demmocratici avemo solo da ringrazialla che artrimenti staremmo già tutti a coce nelle penne de l’inferno, che mica semo dell’Opus Ghei, epperò quarche marachella ‘a famo pure noi. Poi però ce perdoneno, perchè semo demmocratici e c’avemo Vartere che è er più grande de tutti, anzi è Ddio. E perché in ogni caso, ‘o stamo sempre a mette ner bucio giusto, noi. Voi no, nun ve perdoneno perchè venite da Sodomo (che poi sarebbero l’attivi) e Camorra (li passivacci) e Vartere è contro a ogni forma de crimminalità. E quanno Vartere addiventa er sindaco de questo nostro stivale, vedrai er carcio ‘n culo che j’arriva, a lui e a tutta ‘a ggente come lui.
E ‘sta storia da’a omofonia? Quarantasette poste in un anno sempre su ‘sta storia da’a omofonia. Ma de che ve lamentate se siete usciti da’a sponda sbajata der biondo Tevere? Accontentateve. Vartere (che poi è Ddio) è stato tanto bbono (no buonista, come sento dì) co’ li froci sua: invece de spedilli a li forni pe’ farli coce come tanti abbacchi, li fa ballà, li fa divertì, je organizza ‘e feste,... Così armeno se moveno, dar momento che ce tengono tanto a’a ligna. Che, nun je basta? Che, pretendeno pure da parlà de politica e de diritti, adesso, come ‘sto Gabbriele? Che poi s’a pija pure c’a’a Bbindi, porella, c’ha fatto tanti sforzi pe’ mannacceli, ‘sti froci der... Dove? ‘Ndovina!
Però ‘na cosa la vojo dì, e ‘n sassetto dalle ciavatte m’o vojo levà: nun me toccate Palerio Vieroni, pe’ carità, che pure quer bokassiano porpottista der Korvosomaro l’a difeso, perchè mica che Vieroni è ‘n omoforo, nun me pare mica, so’ l’artri a esse froci! E quindi per cui, se ce deve stà ‘n sincero demmocratico come er nostro grande Palerio (che però nun è grande come Vartere, che è er mejo), allora ce deve stà pure Spartacus Quirinus Brog, che c’ha pure er marchietto de reggistrato e copiato, per chi nun ce ‘o sa.
E adesso, come direbbe er maggico Vartere per farte ‘n augurio e perché tanto “è solo un modo de dì” che noi de sinistra amamo tantissimo: m’anvedi d’annà affanculo.

Post scritto, no orale. Pe’ capì er perché e er percome de ‘sto poste, va un po’ a vede ‘st’artri brog: Lameducche, Croro, Korvosomaro. So’ amici de li nemici dell’amici dell’amici mia. Saranno amici mia? Boh!

20 novembre 2007

Francia, il conflitto si estende

Chi è sceso in piazza oggi contro la politica di Nicolas Sarkozy? In questo 20 novembre francese, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Nella settima giornata consecutiva di sciopero nei trasporti, ha incrociato le braccia il 27% dei macchinisti: oggi circola in Francia solo la metà dei treni. Le cose non vanno molto meglio alla RATP, la metropolitana di Parigi, dove, secondo le stime sempre un po’ truccate della direzione, cinque linee su 14 sono ferme e sulle altre i convogli circolano col contagocce. In attesa dei negoziati, previsti per domani, il governo ha tentato di spezzare il fronte sindacale, puntando sulla pressione che un’opinione pubblica “esasperata”, sapientemente guidata e sondata dai grandi mezzi di comunicazione, peraltro vicini al presidente, avrebbe esercitato sui manifestanti. Il magro risultato di questa strategia è stato l’appello - ampiamente previsto - del sindacato moderato CFDT a riprendere il lavoro, richiesta che non sembra aver provocato gli effetti desiderati: le altre sei organizzazioni, infatti, hanno votato compatte per la prosecuzione dello sciopero in tutte le assemblee generali dei lavoratori, dove la base sembra decisa a respingere senza appello la riforma sarkozysta che innalzerebbe da 37 anni e mezzo a 40 la quota di contributi per ottenere la pensione, anche nei settori particolarmente usuranti.
Ma i protagonisti del conflitto, quest’oggi, sono i lavoratori della funzione pubblica: difesa, ospedali, Tesoro,... In concomitanza con le 24 ore di astensione dal lavoro proclamate per oggi, in tutti i dipartimenti si sono svolte affollate manifestazioni locali. Il corteo parigino, che ha visto la partecipazione di molti ferrovieri e studenti, ha sfilato da Place d’Italie agli Invalides. Alla protesta si sono uniti tantissimi insegnanti (l’adesione è intorno al 60%), le poste, la Banca di Francia, i controllori di volo, il personale di AirFrance e degli aeroporti di Parigi. Tutti chiedono la salvaguardia del potere d’acquisto, la difesa della qualità e dell’efficienza del servizio pubblico, la fine della precarietà e una pensione a partire da sessant’anni, con un tasso del 75% e con 37 anni e mezzo di contributi.
Inoltre: studenti ancora sul piede di guerra, con 43 università e qualche liceo bloccati, contro la legge Pécresse che introduce elementi di privatizzazione negli atenei; lavoratori delle società dell’elettricità e del gas mobilitati, insieme ai ferrovieri, contro la riforma dei regimi pensionistici speciali; nessun quotidiano nazionale in edicola, a causa dello sciopero della società di distribuzione NMPP; persino le previsioni del tempo saranno oggi più che mai incerte, a causa dell’agitazione del personale di Météo France.
Tuttavia, proprio nel momento in cui il conflitto si estende e complica il quadro, Sarkozy, che di solito occupa quotidianamente il piccolo schermo con le iniziative più svariate, sceglie di rimanere in silenzio. Il fatto di essersi aumentato lo stipendio del 140% (ma, in mancanza di una cifra ufficiale, c’è chi ha parlato addirittura del 206%) nel momento stesso in cui sferra un attacco ai diritti acquisiti dei suoi cittadini, non sembra stimolare in lui una particolare loquacità: una dichiarazione ufficiale del presidente della Repubblica è prevista solo per giovedì o venerdì.

Fonti: Le Monde, Rue89, VousNousIls.

Vedi anche: La Francia si sveglia, contro Sarkozy; “Scioperiamo per tutti”, ma i sindacati si dividono; Francia, sciopero a oltranza; Francia, secondo giorno di sciopero; “Non facciamo ostaggi, facciamo sciopero”; Una preoccupante stereofonia.


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18 novembre 2007

Una preoccupante stereofonia

Sapere che all’estero il sistema dell’informazione non gode di una salute enormemente superiore a quella riscontrabile nella disastrata Italia, me ne rendo conto, non è motivo di consolazione. Tuttavia, constatarlo potrebbe aiutarci ad aprire una discussione sul fatto che il giornalismo, in Italia come altrove, non costituisce più un contropotere rispetto a quello ufficiale, ma si limita in gran parte a rafforzare, presso l’opinione pubblica, il punto di vista dell’autorità politica. Da critico e da guardiano della democrazia, potremmo dire, il giornalismo si è fatto portavoce.
Da cinque giorni i ferrovieri e i conducenti della metropolitana stanno scioperando contro la cosiddetta “riforma” del sistema pensionistico speciale voluta da Sarkozy. Si tratterebbe, come ho già scritto in altri post (vedi link alla fine), di portare la quota di contributi da 37 anni e mezzo a 40 anche per quei dipendenti che svolgono mansioni particolarmente dure, come per esempio i macchinisti. Per il 2008 si è già previsto di innalzare a 41 anni di contributi il settore pubblico, i cui lavoratori, come quelli del settore privato, possono per il momento percepire la totalità della loro pensione una volta raggiunti 40 anni di contributi. Dopodomani, proprio la funzione pubblica scenderà in piazza per protestare contro la riduzione degli organici.
Lameduck ha riportato, in un commento a uno dei miei post precedenti, il modo in cui il Tg2 aveva riferito, nei giorni scorsi, la notizia degli scioperi in Francia. Desolante, certamente. Ma anche la gran parte dei cittadini francesi si abbevera, per avere le notizie della giornata, ai telegiornali. Un articolo apparso ieri su Libération, in controtendenza rispetto alla linea prudente e moderata che quel quotidiano ha tenuto in questi ultimi anni, riferisce con chiarezza il modo in cui l’informazione televisiva francese, più che dare notizie, stia facendo propaganda: pro-Sarkozy, s’intende. Ne emerge un ritratto davvero inquietante, che vale la pena tradurre e leggere.

I TG BOCCIANO LO SCIOPERO
di Raphaël Garrigos e Isabelle Roberts

A ogni sciopero il proprio eroe. Nel 1968 era Daniel Cohn-Bendit. Nel novembre 2007 - è sicuro - sarà Jean-Pierre Pernault, presentatore del telegiornale delle 13 di TF1 e accanito difensore della vedova e dell’utente, torturati dagli scioperanti privilegiati. Da lunedì Pernaut ribolle. Grugnisce, fa le facce e solleva le sopracciglia. Certo, Pernaut è fatto così, ma tutti i telegiornali fanno lo stesso, accumulando luoghi comuni, scomodando la pedagogia, diffondendo senza tentennamenti il verbo governativo. A tal punto che gli scioperanti si mettono a cacciare dalle assemblee generali le televisioni e i giornalisti. Ecco il racconto di una settimana di tg.

La galera

Sono... Sono... Ecco: sono un bastimento da guerra, lungo e stretto, a una o più file di remi, in uso nell’antichità... Cosa sono? La galera, ovvio. I tg hanno in bocca sempre questa parola, sentita decine di volte. Lunedì, nel sommario del tg delle 20 di France 2, “si prevede la galera”. Qualche attimo dopo, si profila “una giornata da galera”. L’immagine è la stessa martedì su TF1 alle 13: “Per domani” - profetizza Pernaut - “è annunciato cattivo tempo dappertutto con neve, freddo, pioggia e vento, un giorno da galera, quindi, per milioni di utenti dei trasporti pubblici”. Al tempo stesso il suo collega, Patrick Poivre d’Arvor, declama “la prospettiva della galera”. Manco a dirlo: nella notte di martedì, “è cominciata una giornata da galera” su i-Télé. Per i viaggiatori, pensa un po’, è una galera, così come ci fa notare la perspicace Audrey Pulvar di France 3: “Che galera!”. Ed ecco la fine analisi di un anonimo sulla situazione nei trasporti: “Tra il metrò, dove è una galera e il treno, che è una doppia galera...”.

L’utente

E chi rema nella galera? Nessun “viaggiatore” o “passeggero”, ma, sistematicamente, degli “utenti”, una massa rabbiosa e indefinita. In televisione sono loro i re, vittime “rassegnate” (secondo Patrick Poivre d’Arvor) dello sciopero “duro, duro soprattutto per gli utenti”, proclama David Pujadas, in apertura del tg delle 20 di martedì su France 2. E lo difendono, l’utente. Così il fulminante Jean-Pierre Pernaut giovedì: “Terzo giorno da galera per gli utenti che non hanno scelta e devono lavorare fino a 65 anni, e tutte le mattine”. Inoltre, sottolinea martedì a sostegno della sua linea editoriale, “diversi sondaggi confermano l’ostilità dei francesi a questo nuovo sciopero”. Così, porgono continuamente il microfono all’utente affinché possa esprimersi, senza tema né vergogna. Lamentoso: “Ne abbiamo abbastanza, ci prendono in ostaggio, che vadano a prendere in ostaggio l’Eliseo!” (France 2, martedì alle 20). Rivendicativo: “Bisogna che la Francia si renda conto che ci sono riforme che devono essere fatte” (stesso tg, stesso canale). Minaccioso: “Andremo dai manifestanti e li bastoneremo” (TF1, mercoledì alle 20). Talvolta, l’utente si organizza: così l’“Associazione degli utenti delle stazioni” ha goduto su TF1 di tre reportage in due giorni! Trascinato dal proprio entusiasmo, Patrick Poivre d’Arvor annuncia che l’associazione è stata appena creata “di fronte a questo nuovo sciopero”. Cosa importa se, nel reportage, si viene a sapere che esiste da 17 anni? Quando è studente, l’utente diventa un “antiblocco”, in opposizione a “quelli che vogliono il blocco” dei corsi. Anche in quel caso, ci si organizza contro gli scioperanti, designati da Jean-Pierre Pernaut con il termine patibolare di “individui” (che hanno ben meritato uno sciame di celerini col manganello). Tra gli “antiblocco”, invece, “i punti di vista sono sfumati” (Pernaut, sempre lui). E “gli studenti distribuiscono volantini, che siano di sinistra o di destra”. Niente di grave se uno di loro, sentito in seguito, ha la tessera dell’UNI, il sindacato studentesco molto di destra.

L’arte di arrangiarsi

L’utente, innanzitutto, si arrangia. A ogni edizione di ogni tg, una marea di servizi su “il mio utente, il mio piano B” o, variante, “la famiglia Utente si organizza”. Domenica sera su France 2, filmano una donna che compra dei mandarini al mercato. Commento del giornalista: “Il pieno di vitamine prima di una settimana che si annuncia molto sportiva”. Lunedì e martedì, i tg alternano i reportage sulla bicicletta, fedele compagna dell’utente, e i passaggi in automobile. Mercoledì sera, sulla stessa linea, tutti i nostri utenti coraggiosi dormono nei posti più strani: i dipendenti di un hotel all’hotel (“generosità di un padrone comprensivo” per TF1, e “Bruno, l’amabile proprietario, che accorda un favore al personale” su France 2), le infermiere all’ospedale, e, trovata del secondo canale, gli impiegati di un’agenzia organizzatrice di eventi... in una yurta, una tenda mongola, sul tetto dell’ufficio. Erano talmente contenti della loro yurta, quelli di France 2, che ci sono ritornati giovedì!

Avete detto sciopero?

A proposito, cos’è ‘sto sciopero? Chi ha preso informazioni solo dai tg di questa settimana, non ne ha nessuna idea. I telegiornali cominciano tutti con un servizio sul traffico, proseguono con i nostri utenti malandati, qualche reazione governativa o sindacale puramente formale, ma di spiegazioni sul movimento: nessuna. O poco. O male. Strumento preferito: il paragone. Lunedì sera, France 2 compara un conducente della RATP (la metropolitana di Parigi, ndt) con la conducente di una società privata di Rennes, la quale giudica che “le condizioni di guida e di stress alla RATP sono peggiori delle nostre”. Solo che Pujadas ha immediatamente chiarito: i due “fanno lo stesso lavoro”. La stessa sera, Patrick Poivre d’Arvor è perverso. “Torniamo alle rivendicazioni dei manifestanti”, sussurra prima di lanciare un servizio sotto forma di presa in giro che compara i ferrovieri di oggi con quelli dell’inizio del secolo scorso, con abbondante uso d’immagini in bianco e nero di carbone che viene infornato nella bestia umana! Il giorno dopo, TF1 segue un conducente della RATP. Il suo stipendio? 2300 euro. Il primo canale dà solo il salario lordo... così sembra di più.

Portavoce

“La mobilitazione sindacale si scontra con l’assoluta volontà del governo di creare un sistema pensionistico più equo, era nel programma di Nicolas Sarkozy, è stato eletto in parte per questo”. No, non è François Fillon (primo ministro, ndt) e neanche Xavier Bertrand (ministro del lavoro, ndt), ma Jean-Pierre Pernaut, ministro delle ore tredici di TF1. Che la televisione si schieri contro lo sciopero, trasuda da tutti i servizi, dalla gerarchia delle notizie, dalle parole scelte: “La Francia può essere riformata?”, si dispera Laurent Delahousse domenica su France 2. Quanto all’ineffabile Jean-Marc Sylvestre, mercoledì alle 13 su TF1, lui lo sa: “I sindacati hanno compreso che l’opinione pubblica non li seguirebbe nella loro opposizione sistematica a una riforma i-ne-vi-ta-bi-le”. E quest’altra: “La nostra ossessione, è che gli utenti siano quelli meno penalizzati da questo sciopero”. No, questa volta non è la confessione di Patrick Poivre d’Arvor, di Pujadas, e neanche di Pernaut. È Fillon. Da una settimana, milioni di telespettatori - cinque per Pujadas, sette per Pernaut, quasi dieci milioni per Patrick Poivre d’Arvor - ascoltano il tg e il governo rivolgersi a loro con lo stesso linguaggio, in stereofonia.

Vedi anche: La Francia si sveglia, contro Sarkozy; “Scioperiamo per tutti”, ma i sindacati si dividono; Francia, sciopero a oltranza; Francia, secondo giorno di sciopero; “Non facciamo ostaggi, facciamo sciopero”.


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16 novembre 2007

Il boia si è fermato (almeno per ora)

Makwan Moloudzadeh, il gay iraniano di ventun anni che era stato condannato alla pena di morte per aver violentato un suo coetaneo all’età di tredici anni, non sarà impiccato. Lo rende noto la Commissione internazionale gay e lesbica per i diritti umani (IGLHRC) in un comunicato. Della sua vicenda avevo già parlato in questo post, raccogliendo la proposta di una mobilitazione internazionale via e-mail, lanciata dalle associazioni Outrage!, Amnesty International e Irqo.
Dopo la pressione esercitata sulle autorità iraniane, il responsabile della giustizia, l’Ayatollah Seyed Mahmoud Hashemi Shahrudi, ha cassato la sentenza delle varie corti che avevano deciso di mandare a morte Makwan Moloudzadeh. Una sentenza stabilita nonostante l’accusa di violenza carnale fosse decaduta già durante il processo e i vari testimoni avessero ammesso, ritrattando le loro dichiarazioni, che queste ultime erano false o gli erano state estorte. Il responsabile della giustizia iraniana ha motivato la sua decisione dichiarando - secondo il comunicato diffuso dall’IGLHRC - che la sentenza di morte “violava gli insegnamenti dell’Islam, i decreti delle alte autorità sciite e il diritto iraniano”. In effetti, come avevano ricordato gli attivisti della comunità glbt, in discussione era anche il diritto internazionale che vieta, secondo alcuni trattati firmati anche dall’Iran, di condannare a morte una persona per delitti commessi quando questa era minorenne.
“È una grande vittoria per i diritti dell’Uomo e una conferma dell’efficacia delle proteste internazionali”, ha dichiarato Paula Ettelbrick dell’IGLHRC. “È importantissimo che cessi l’uso deplorevole della pena di morte per costringere la gente a conformarsi socialmente. Speriamo” - ha aggiunto - “che il caso di Makvan e il netto rifiuto della pena di morte da parte del responsabile iraniano della giustizia segnino il futuro dell’Iran”.


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“Non facciamo ostaggi, facciamo sciopero”

Terza giornata consecutiva di sciopero nei trasporti in Francia. Degli attesi negoziati tra il governo e i sindacati, tanto evocati quanto fumosi nei loro possibili contorni, per il momento neanche l’ombra. È per questo che le organizzazioni sindacali hanno rinnovato l’invito all’astensione dal lavoro per tutta la giornata di oggi alla SNCF (la società delle ferrovie dello stato) e alla RATP, la società che gestisce la metropolitana di Parigi. In attesa di conoscere i dati sull’adesione odierna allo sciopero (ieri era in calo rispetto a mercoledì, primo giorno di mobilitazione) e le decisioni che verranno prese sull’eventuale continuazione del conflitto, vi propongo uno stralcio della chat tenuta ieri su Le Monde da Christian Mahieux, segretario federale del sindacato dei ferrovieri SUD-Rail.

Samoth: Lei prevede una durata per i contributi pari a 37 anni e mezzo per tutti. con quali soldi conta di finanziare le pensioni in questo caso?
Con i soldi di cui la Francia dispone. Un esempio: il PIL annuo in Francia è di 1160 miliardi di euro. La suddivisione del PIL vent’anni fa era: 70% per i dipendenti e 30% per gli investimenti e i profitti degli azionisti. Oggi, questa suddivisione è del 60% e del 40% rispettivamente. Se si tornasse anche solo alla situazione economica francese di vent’anni fa in quanto a divisione della ricchezza, ciò permetterebbe di liberare più di 100 miliardi di euro, niente di paragonabile alla posta in gioco finanziaria che riguarda la controriforma dei regimi speciali.
Con: Come si presenta SUD-Rail ai negoziati con il governo? Siete d’accordo con le proposte della CGT?
C’è stata una lettera di Xavier Bertrand (ministro del lavoro, ndt) [...] che non porta alcun elemento nuovo, visto che secondo il governo si tratta comunque di negoziare l’applicazione di questa controriforma, che noi rifiutiamo. Per quanto riguarda la CGT, noi non pensiamo che negoziare impresa per impresa sia la risposta giusta al problema globale che è stato posto. È necessaria una risposta generale da parte del governo, è a questo livello che il problema deve essere trattato. In quanto organizzazione sindacale, pensiamo che il nostro ruolo non sia quello di accompagnare ma di combattere collettivamente contro i progetti che rimettono in discussione i diritti sociali dei lavoratori.
M. Werth: Perché continuare a prendere in ostaggio la popolazione, mentre adesso ci sono dei negoziati per ogni settore e per ogni impresa?
Noi non prendiamo in ostaggio nessuno. Noi facciamo uno sciopero. E il nostro sciopero non è diretto contro gli utenti, anche se siamo consapevoli che il fatto che non ci siano trasporti pubblici penalizza gli utenti che, in gran parte, sono innanzitutto dei lavoratori dipendenti. In ogni caso, fino a questo momento non c’è nessuna riunione di negoziato, né iniziata né annunciata.
Oulala: Quali previsioni fa per il 20 novembre?
Per il 20 novembre c’è la convocazione dello sciopero per la funzione pubblica. Per quanto riguarda i ferrovieri, per ora non possiamo dire a che punto sarà lo sciopero attuale. Se il governo, tenendo conto del rapporto di forza, ritira il suo progetto, i ferrovieri non saranno più in sciopero. Se viene fatta la scelta opposta, il 20 novembre ci sarà di fatto una congiunzione delle due mobilitazioni.
Lucien: Spero che le giornate di sciopero non siano pagate...
La Sua speranza è esaudita. I giorni di sciopero non ci vengono pagati e del resto non lo sono mai stati.
Robert: Cosa pensa dell’impopolarità del movimento presso l’opinione pubblica (circa il 55% de francesi sostengono il governo su questo punto)?
Credo che il 55% dei francesi pensino che sia meglio avere dei treni e degli autobus piuttosto che non averne. Ma non sono certo che il 55% dei francesi abbiano come preoccupazione principale quella di diminuire la pensione dei ferrovieri e degli agenti della RATP. Tanto più che, se questo venisse fatto, non darebbe nessun vantaggio agli altri lavoratori di questo paese.
Samoth: Tutti i contributi possibili non potranno mai finanziare il sistema che lei desidererebbe, dato l’invecchiamento della popolazione!
Questo è falso. La ricchezza prodotta collettivamente in questo paese permette di finanziare abbondantemente il sistema pensionistico che proponiamo. Si tratta di avere la volontà politica di suddividere questa ricchezza in maniera molto meno ingiusta rispetto a oggi. Basta destinare una piccola parte supplementare del PIL al finanziamento delle pensioni.
Max: Si blocca l’economia se si fanno pesare le questioni sociali sulla creazione della ricchezza...
Ma la creazione della ricchezza collettiva ha senso solo se, appunto, serve socialmente ai cittadini.
Xavier: La parte di persone che lavorano sulla popolazione totale diminuisce anno dopo anno, mentre la speranza di vita aumenta. Detto questo, come può credere che i vantaggi acquisiti quarant’anni fa non debbano evolvere, quando oggi possiamo vivere vent’anni di più?
Noi non pensiamo che l’allungamento della durata della vita debba “essere pagato” con un allungamento obbligatorio della durata del lavoro. Piuttosto, c’è oggi, nel 2007 in Francia, una situazione economica migliore di quella del 1945, quando è stato creato il sistema della Sécurité sociale. Questo deve permettere, così come era stato previsto in origine, di allineare il regime generale ai regimi cosiddetti speciali, e non il contrario.
Pat: Non ha l’impressione di portare avanti una lotta di retroguardia, con i suoi riferimenti marxisti e la sua retorica che consiste nell’opporre sempre il capitale e il lavoro?
No, penso che sia lo stato reale della situazione, che la sua domanda, del resto, descrive molto bene. Siamo effettivamente in una società nella quale esiste una divisione tra capitale e lavoro. In quanto organizzazione sindacale, noi difendiamo gli interessi dei lavoratori, e questo si oppone ai padroni, ciò che non significa necessariamente degli scioperi ogni giorno, ma si traduce invece quotidianamente in un confronto tra queste due classi sociali.
Antoine_B: Se non ottenete ciò che volete, sarete capaci di prolungare questo sciopero fino alle vacanze natalizie? Ovviamente no, allora perché continuate?
Sulla durata del nostro movimento, non sono le organizzazioni sindacali che decideranno ma, ogni giorno, i lavoratori dell’impresa riuniti in assemblea generale. E, per il momento, i lavoratori hanno deciso, aderendo al prolungamento dello sciopero, di continuare a fare pressione sul governo.

Vedi anche: La Francia si sveglia, contro Sarkozy; “Scioperiamo per tutti”, ma i sindacati si dividono; Francia, sciopero a oltranza; Francia, secondo giorno di sciopero.



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15 novembre 2007

Francia, secondo giorno di sciopero

Secondo giorno di sciopero in Francia contro la modifica dei regimi pensionistici speciali. Sia ieri che oggi l’adesione è stata massiccia alla SNCF (Ferrovie dello Stato) anche se inferiore a quella registrata il 18 ottobre scorso. Sei sindacati su sette hanno deciso di continuare la mobilitazione. I treni che circolano oggi sono aumentati rispetto a ieri, ma il traffico ferroviario viene definito ancora “fortemente ridotto”.
Nonostante l’ottimismo mostrato ieri dalla direzione della RATP, la società che gestisce la metropolitana di Parigi, anche il traffico urbano sotterraneo e quello regionale (linee A e B del RER) rimangono oggi ridotti. Quasi impossibile, questa mattina, prendere la 1, come ho potuto constatare personalmente, nonostante la scarsa adesione dei lavoratori di quella linea allo sciopero (si tratta per il 60-70% di giovani conducenti che non hanno ancora un contratto definitivo e ai quali i sindacati stessi consigliano di rimanere in servizio). Tutti i sindacati presenti tra i lavoratori della metropolitana (con l’eccezione notevole della moderata CFDT) hanno deciso di incrociare le braccia anche oggi.
È ormai palese che la preoccupazione principale del governo è di evitare che il forte movimento che in queste ore vede protagonisti i lavoratori dei trasporti e delle aziende dell’elettricità e del gas, si possa congiungere a quello che porterà in piazza, martedì prossimo, i funzionari pubblici e gli insegnanti. Uno sciopero ad oltranza che coinvolgesse fasce così ampie di lavoratori, sarebbe un vero incubo per il governo e per il presidente Sarkozy (e i sindacati stessi, a partire dalla CFDT, fortemente contraria alla congiunzione delle differenti rivendicazioni, appaiono impreparati alla “politicizzazione” e alla radicalizzazione del conflitto). Da non sottovalutare, poi, il movimento studentesco, messosi in marcia un mese fa contro la legge Pécresse sull’autonomia finanziaria delle università, che introdurrebbe una sorta di privatizzazione degli atenei. 36 delle 85 università francesi sono oggi occupate dai manifestanti o chiuse.
Eppure si moltiplicano, almeno in teoria, i segnali che indicano lo sbocco della crisi: il segretario del principale sindacato, la CGT di Bernard Thibault, che incontra il ministro del lavoro qualche ora prima dell’inizio dello sciopero; la proposta, sempre da parte della CGT, di aprire negoziati settore per settore, con tavoli a tre (sindacati, direzione delle società, governo); il desiderio esplicito di Sarkozy di fermare il conflitto “prima possibile”, accettando la proposta della CGT; la “lettera sul metodo” da seguire nei negoziati, inviata ieri sera dal ministro del lavoro Xavier Bertrand ai sindacati, che prevede di lasciare un mese alle imprese e ai rappresentanti dei lavoratori per trovare il modo di applicare la riforma.
Nessuno può dire per il momento - mentre i contatti tra i sindacati e il governo continuano frenetici dietro le quinte - se siamo nel campo degli stratagemmi mediatici e del gioco delle parti, o se la crisi potrà risolversi davvero in tempi brevi. Certo è che, come ricordava un macchinista ieri, lo sciopero “è dei lavoratori”, prima ancora che del sindacato. La lotta, posto che in pochi credono in un ritiro puro e semplice della riforma dei regimi pensionistici speciali, si sposta ora su alcuni aspetti specifici di quel provvedimento, giudicati irrinunciabili dal governo. In particolare, i manifestanti contestano l’innalzamento dei contributi necessari per ottenere una pensione a tasso pieno dagli attuali 37 anni e mezzo a 40. Quelli che svolgono lavori particolarmente faticosi, come ad esempio i macchinisti, sanno bene che pochi potranno permettersi di prestare servizio fino al raggiungimento della quota prevista e vedono quindi ridursi sostanzialmente l’ammontare della loro pensione. Per altro, per il 2008 è già previsto l’innalzamento dei contributi per i funzionari pubblici a 41 anni, e molti temono (a ragion veduta) che presto si ricomincerà a parlare di un nuovo adeguamento anche per le altre categorie. Una china della quale non si vede la fine.

Aggiornamenti

13,30 - Le prime assemblee generali che si sono tenute questa mattina nei depositi della SNCF hanno deciso ufficialmente la continuazione dello sciopero anche domani, venerdì. Si tratta di assemblee di un certo peso: Marsiglia, Bordeaux e Parigi Nord. “Vogliamo sapere su quali punti è possibile negoziare e, finché il governo non aprirà la discussione, non si capisce come si possa saperlo”, ha dichiarato Eric Falempin, segretario generale della federazione dei ferrovieri di Force Ouvrière. “Bisogna continuare a fare pressione”, ha aggiunto. La stessa decisione (continuare lo sciopero almeno per altre 24 ore) è stata presa alla RATP. Una riunione di tutti i sindacati è prevista per questo pomeriggio, dopo lo svolgimento delle altre assemblee generali. (Fonti: AFP, Le Monde).

16,15 - La maggioranza delle assemblee generali dei lavoratori della SNCF (ferrovie dello Stato) e RATP (metropolitana di Parigi) ha deciso che lo sciopero continuerà anche domani, venerdì. Una riunione dei vari sindacati coinvolti nella lotta è attesa per le 16,30 nella sede della CGT (Confédération Générale du Travail) a Montreuil, nell'immediata periferia parigina. Nel frattempo, il sindacato studentesco Unef e l'agenzia France Presse hanno fatto il conto delle università coinvolte oggi nella mobilitazione contro la legge Pécresse: sono 41 (fonti: Le Monde, Libération).

19,30 – Mentre il traffico nella metropolitana parigina rispetto a questa mattina è, se possibile, sensibilmente peggiorato (in otto linee su quattordici non circola nulla), è confermato che lo sciopero continuerà anche domani alla SNCF (ferrovie dello Stato) e alla RATP (metropolitana di Parigi), anche se in quest’ultima solo quattro sindacati su otto hanno deciso di dare indicazione ai propri iscritti di astenersi dal lavoro. Secondo quanto ha dichiarato il segretario della federazione dei ferrovieri della CGT, Didier Le Reste, le sei federazioni sindacali chiedono al ministro del lavoro di tenere già venerdì una riunione “per fissare il quadro” dei negoziati. I sindacati hanno già chiesto alle assemblee generali dei ferrovieri di proseguire lo sciopero anche nella giornata di sabato.
Anche l’Unef (il sindacato studentesco) si mostra più agguerrito che mai, dopo che il suo segretario, Bruno Juillard, è stato ricevuto dalla ministra Pécresse, un incontro che gli studenti hanno giudicato infruttoso. “Chiediamo di continuare e di amplificare la mobilitazione nelle università” – ha detto Juillard – “partecipando massivamente alle assemblee generali e votando per lo sciopero” (fonti: AFP, Libération).


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14 novembre 2007

Francia, sciopero a oltranza

Quando è carrée, significa che la mobilitazione sarà massiccia e molto estesa, ma avrà una durata prestabilita, per esempio ventiquattro ore: passata la giornata durante la quale l’attività lavorativa si blocca, i rappresentanti soppesano l’ampiezza dell’adesione per poi farla pesare al tavolo dei negoziati. Se invece è reconductible, si sa quando comincia ma non quando finisce, poiché può essere prolungata indefinitamente. È la grève, lo sciopero in Francia.
Quella proclamata per oggi dai sindacati del settore dei trasporti e dei servizi (come luce e gas) è la seconda grande astensione dal lavoro organizzata in un mese contro la riforma dei regimi pensionistici speciali, voluta da Sarkozy e dal suo Primo ministro François Fillon (ne ho già parlato qui e qui). Reconductible, a oltranza, il che presuppone, almeno in teoria, un lungo braccio di ferro. Oggi, mentre è in atto il primo grande conflitto sociale che Sarkozy si trova ad affrontare, il governo pare puntare tutto sul carattere cosiddetto “impopolare” dello sciopero: non siamo più al lungo conflitto del 1995, che coinvolgeva il settore pubblico e quello privato insieme ai regimi speciali, uniti e solidali contro la riforma delle pensioni. Le maggioranze di destra che da allora si sono succedute al governo, sono riuscite ad approvare, in momenti diversi, delle “riforme” per i differenti settori, separandone così le sorti, tanto da far apparire chi ancora oggi gode di un regime speciale, come un privilegiato che rifiuta di adeguarsi alla congiuntura. I media fanno da grancassa e chi non riesce a raggiungere il proprio posto di lavoro a causa del blocco nei trasporti (in Francia non esiste ancora il servizio minimo garantito), si vede appioppare il titolo di “ostaggio” nelle mani di manifestanti egoisti e viziati. È raro che si dia voce a chi, pur non interessato dalla riforma, si sente comunque solidale con i lavoratori in lotta. I sindacati francesi contrastano la propaganda governativa facendo notare che si parte dalla difesa dei diritti acquisiti per tornare a estenderli a tutti e per impedire che si continui su questa china, qualsiasi sia la categoria colpita. Che il conflitto in atto oggi, insomma, riguarda potenzialmente tutti i lavoratori. Impresa assai ardua.
Già ieri sera, comunque, a qualche ora dall’inizio dello sciopero, il sindacato ha fatto la prima mossa: Bernard Thibault, segretario della CGT, ha incontrato il ministro del lavoro, proponendogli di aprire “dei negoziati a tre, con le direzioni delle società e i rappresentanti dello Stato, per ognuno dei regimi speciali”, mentre fino a questo momento aveva richiesto l’apertura di un negoziato globale.
Non è ancora chiaro se la strategia del sindacato sia dettata da realismo o sia uno stratagemma per gettare subito, fin dall’inizio di questa nuova mobilitazione, la palla nel campo del governo. Da parte sua, fino adesso l’esecutivo non ha compiuto nessun passo significativo, anzi ha dato l’impressione di desiderare uno scontro quanto più aspro possibile. Spera che più forti e prolungati saranno i disagi provocati dallo sciopero, tanto più facile sarà isolare i sindacati dal resto della società, battendoli su un punto altamente simbolico del programma del presidente, umiliandoli. L’obiettivo sembra essere quello di lanciare un segnale forte che marchi indelebilmente e durevolmente il quinquennio di Sarkozy.
Tuttavia, a rendergli il compito più difficile potrebbero essere i funzionari pubblici e gli insegnanti, che scenderanno in piazza il 20 novembre prossimo per protestare contro il progetto governativo di riduzione degli organici. Un conflitto sociale che si preannuncia quindi molto acuto ed assai vasto, quello che ricomincia oggi, se si considera che anche il mondo universitario è estremamente inquieto: gli studenti si oppongono da circa un mese alla riforma che introduce l’autonomia finanziaria degli atenei (legge Pécresse). Sono circa trenta le università in agitazione (ieri gli insegnanti dell’ateneo di Tolosa hanno deciso di scioperare insieme agli studenti) e, fra queste, una quindicina attua il blocco dei corsi.
Forse non aveva torto Sarkozy col suo slogan: “Insieme, tutto diventa possibile”. Se voleva fare da catalizzatore del malcontento, infatti, la missione può già dirsi compiuta.


Fonti: Le Figaro, Le Monde, Libération.

Foto: Bernard Thibault (Alain Bachellier, licenza CC).


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07 novembre 2007

Agire prima del boia, urgente

L’allarme è partito dall’Irqo, l’associazione queer iraniana con sede in Canada, ed è stato rilanciato dai gruppi francesi e inglesi: Makwan Moloudzadeh, un kurdo iraniano di 21 anni, potrebbe essere presto impiccato. La sua colpa? Quella di aver commesso, almeno secondo le autorità iraniane che l’hanno processato, il crimine di lavat-e iqabi, cioè rapporti anali.
Il giudizio è stato emesso in prima istanza il 7 giugno scorso dalla prima camera del tribunale penale di Kermanshah, nell’Iran dell’ovest. A portare alla sbarra Makwan Moloudzadeh è stato un altro ragazzo che lo ha accusato di averlo violentato. Durante gli interrogatori in carcere, Makwan avrebbe subito maltrattamenti, e solo in seguito a questi avrebbe confessato di aver avuto un rapporto sessuale con il suo accusatore. È importante notare che all’epoca in cui sarebbero avvenuti i fatti, cioè nel 1999, i due ragazzi avevano appena tredici anni.
Per tutti i minori di quattordici anni colpevoli di “atti omosessuali”, la legge iraniana prevede “solo” 74 frustate. Questa volta, però, e nonostante la ritrattazione scritta dei testimoni dell’accusa, il giudice, esercitando una sua facoltà, cioè l’affermazione di una convinzione personale che non necessita di prove (elm-e qazi), si è detto certo che tra i due c’è stata penetrazione. Da qui la condanna a morte per Makwan Moloudzadeh, una sentenza che la Corte Suprema non ha mancato di confermare il 1° agosto scorso. Makwan dovrà essere ucciso in pubblico, non lontano dalla propria abitazione.
Le varie fonti reperibili (che trovate, come sempre, alla fine di questo post) non precisano se sia una questione di giorni o di ore. Probabilmente nessuno lo sa, viste le scontate difficoltà frapposte dall’Iran alla circolazione di notizie di questa natura. È chiaro, però, che bisogna intervenire in fretta perché l’esecuzione della sentenza venga bloccata. L’associazione francese SOS-Homophobie, così come la sezione belga di Amnesty International, chiedono di fare pressione sulle autorità di quel paese, inviando loro delle e-mail (in persiano, in arabo, in inglese o nella vostra lingua), nelle quali:

- si preghi il responsabile del potere giudiziario di chiedere alla Corte Suprema di riesaminare il caso di Makwan Moloudzadeh, che era minorenne al momento del presunto delitto, secondo il Codice civile e il Codice penale iraniani;
- ci si mostri preoccupati all’idea che Makwan Moloudzadeh non abbia beneficiato di un procedimento equo, dal momento che il giudice si è basato su criteri soggettivi e arbitrari, contrari alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, e che nessuno sembra aver tenuto conto, nella procedura d’appello, del fatto che i testimoni avevano ritrattato le loro dichiarazioni;
- ci si dichiari preoccupati all’idea che Makwan Moloudzadeh sia mandato a morte per fatti commessi quando aveva meno di diciotto anni, e si chieda alle autorità di impedire immediatamente l’esecuzione e a commutare la pena;
- si ricordi alle autorità che il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sui diritti dell’infanzia, due trattati che l’Iran ha sottoscritto, vietano il ricorso alla pena capitale contro i minori di diciotto anni al momento dei fatti contestati, e che l’esecuzione di Makwan Moloudzadeh costituirebbe una violazione del diritto internazionale;
- si chieda alle autorità iraniane l’impegno ad abolire la pena di morte per i delitti commessi dai minori di diciotto anni, al fine di rendere il diritto iraniano conforme agli impegni presi da quello stato nei confronti del diritto internazionale;
- si faccia presente che riconoscete a tutti gli Stati il diritto e il dovere di processare le persone sospettate di aver infranto la legge, ma che vi opponete alla pena di morte in qualsiasi circostanza;
- si chieda il più generale rispetto per i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.

Potete spedire le vostre e-mail di protesta a

Guida spirituale della Repubblica islamica d'Iran:
His Excellency Ayatollah Sayed 'Ali Khamenei
info@leader.ir
(Formula d'inizio: Your Excellency oppure Excellence,...)

Responsabile del potere giudiziario:
Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi
Ministry of Justice, Ministry of Justice Building,
Panzdah-Khordad Square
info@dadgostary-tehran.ir
(nel campo destinato all’oggetto, scrivere: "FAO Ayatollah Shahroudi". Formula d’inizio: Your Excellency)

Mettere in copia

Presidente del Majlis-e Shoura-e Islami (Assemblea consultiva islamica):
hadadadel@majlis.ir
(Formula d’inizio: Your Excellency,...)

Direttore della prigione centrale di Kermanshah:
markazi@kermanshaprisons.ir
ahead@kermanshaprisons.ir
(Formula d’inizio: Dear Sir,...)

Fonti: Amnesty International Belgique, Irqo, Têtu, SOS-Homophobie.



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04 novembre 2007

È morto Massimo Consoli

A me sembrava instancabile. L’ultima mail di Massimo Consoli, di quelle che faceva girare a tutti i suoi contatti, l’ho avuta circa due mesi fa. Conteneva la proposta di istituire “un ufficio [...] che abbia lo scopo di ricordare le ricorrenze di personaggi e fatti importanti per la nostra storia e curarne la valorizzazione”, e parlava della storia del movimento gay, lesbico, bisessuale e transessuale, quella che fino all’ultimo non si è stancato d’indagare. La sua idea nasceva dal fatto di non aver potuto organizzare, a causa della malattia di cui soffriva da tempo e che l’ha portato via stanotte intorno alle 2, l’annuale commemorazione della nascita del suo amico Dario Bellezza, deceduto nel 1996. “Proprio non ce l’ho fatta”, aveva fatto sapere lo scrittore e giornalista romano in quella mail.
Il ricordo personale che ho di Consoli risale a qualche anno fa, quando lo incontrai per alcune ricerche storiche su un caso del quale lui si era occupato all’epoca dei fatti. Insieme ad un mio amico, m’intrattenni con lui per qualche ora, nella sua casa a Frattocchie, dove ci raccontò delle sue avventure in giro per il mondo, la sua eterna battaglia per costruire una comunità glbt degna di questo nome, con un entusiasmo ed un’esuberanza che a me, timidino e nordico, sembravano perfino eccessivi. Non mancò, ovviamente, di farmi visitare il suo sterminato archivio gay, sistemato in un capannone nel giardino di casa. Stramalediva il governo dell’epoca che aveva sì concesso all’archivio lo status di bene d’interesse storico e culturale, ma l’aveva lasciato poi in abbandono, impedendo peraltro a Consoli, in quanto ex proprietario, di continuare a gestirlo. La questione si è nel frattempo risolta e quell’incredibile raccolta di oggetti fa parte ora dell’Archivio di Stato ed è aperta alla consultazione. All’epoca in cui lo visitai io, però, a quel capannone mancava persino la luce e Consoli, che illuminava le sue relique con una torcia elettrica, scherzando lo chiamava “‘a dark-room de Frattocchie”.
Grazie di tutto, Massimo.



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