Catania Pride 2008 - 5 luglio

28 aprile 2007

I “genitali in erezione” di Monsieur Sarkozy

In questi giorni ci troviamo, per dir così, in fase sperimentale. In Francia stiamo avendo un piccolo assaggio di quello che potrebbe accadere se Nicolas Sarkozy fosse eletto Presidente della Repubblica. E la mente, per certi versi, corre al “nostro” B. Sì, proprio a lui, all’ex PresdelCons.
Ha suscitato notevole scandalo, infatti, la notizia trapelata oggi, secondo la quale il candidato della destra avrebbe esercitato pressioni sui media perché non ospitassero l’atteso dibattito televisivo tra François Bayrou e Ségolène Royal.
Tutto è cominciato al termine della conferenza stampa di martedì scorso, nel corso della quale il leader centrista ha lasciato liberi i propri elettori di scegliere al secondo turno il candidato preferito, senza dare nessun tipo d’indicazione. Immediatamente Ségolène Royal ha chiesto d’incontrarlo pubblicamente: l’occasione era il meeting che si sarebbe dovuto svolgere oggi a Parigi, al Sindacato della stampa regionale, alle 11 (Nicolas Sarkozy era stato invitato alle 9). La candidata socialista ha offerto a Bayrou di usufruire di metà del tempo che le era stato assegnato. Il segretario dell’UDF ha accettato, purché il dibattito fosse filmato e trasmesso dalla televisione. Ma a quel punto il Sindacato della stampa regionale si è tirato indietro: “Non ci sarà nessun dibattito Bayrou-Royal. È invitata solo la signora Royal”. “Sembra che ci siano state pressioni, sono stupita”, ha dichiarato allora la candidata socialista. Possibile? Così il responsabile di un quotidiano regionale, rimasto anonimo: “I collaboratori di Nicolas Sarkozy hanno fatto notare che quest’ultimo non sarebbe stato trattato mediaticamente in maniera equa e che questo avrebbe compromesso la sua partecipazione” al meeting di oggi.
A quel punto è stata la rete televisiva Canal+ ad offrire i propri spazi per ospitare un dibattito televisivo tra Royal e Bayrou. Data prevista: sabato alle 11. Problema: la normativa francese prevede che ogni candidato goda, nella stessa settimana, dello stesso tempo di presenza in video. A Sarkozy dovrebbe allora essere assegnato su Canal+ un tempo aggiuntivo pari a quello che utilizzerà Royal nel suo incontro con Bayrou. Ma se Sarkozy non accetterà di presentarsi in televisione entro domenica, l’emittente televisiva sarà sanzionata dal Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (CSA), l’organismo di controllo del settore radiotelevisivo francese. A Canal+ non se la sono sentita di rischiare e il dibattito è stato cancellato. Nel frattempo, però, sono circolate voci insistenti sulle telefonate che sarebbero intercorse tra Sarkozy e il presidente del CSA, Michel Boyon, ex responsabile di gabinetto dell’ex primo ministro Jean-Pierre Raffarin – anche lui dell’UMP, lo stesso partito del candidato della destra.
La reazione furiosa di Bayrou non si è fatta attendere. “Attraverso una serie di canali, che sono vicini ai grandi potentati economici e mediatici che gravitano intorno a Nicolas Sarkozy, si interviene direttamente presso le redazioni e le reti, in modo che l’informazione venga bloccata” – ha dichiarato il leader UDF questa mattina, dai microfoni della radio RTL – “Stiamo facendo un grande passo indietro che rimette in discussione il diritto elementare dei francesi a essere informati. E pensare” – ha aggiunto – “che Nicolas Sarkozy non è stato ancora eletto. Cosa succederebbe se lo fosse?”. “Credo che tutte le pressioni che ci sono state, in particolare su un sistema mediatico-finanziario al quale Nicolas Sarkozy è strettamente legato” – ha dichiarato Royal per parte sua – “non hanno nessuna ragione di esistere in un paese democratico”.
Alla fine, comunque, a meno che non si verifichino grandi sorpese, il dibattito si farà. L’emittente radiofonica RMC, il cui segnale sarà rilanciato dalla catena televisiva BFM, trasmetterà in diretta l’incontro Bayrou-Royal che si terrà oggi in un hôtel parigino, dalle 11 alle 12,30, ed è pronta, evidentemente, ad offrire lo stesso spazio anche al candidato della destra.
Intanto, di fronte all’offensiva mediatica lanciata da Nicolas Sarkozy, cresce l’inquietudine anche presso la stampa gay. Nei giorni scorsi il quindicinale gratuito Illico, una rivista glbt fondata nel 1988 e orientata a sinistra, si è vista recapitare una lettera a dir poco sorprendente. Viene da una sottodivisione del ministero dell’Interno, lo stesso alla cui guida è rimasto, fino al 26 marzo, proprio Nicolas Sarkozy. La missiva accusa la rivista di presentare “dei testi e delle fotografie di natura pornografica suscettibili di turbare i minori che potrebbero entrarne in possesso. In effetti” – prosegue l’estensore, Marc-André Ganibenq – “certi articoli, in particolare quelli relativi all’attualità cinematografica specializzata, sono illustrati da riproduzioni di manifesti di film, tra i quali alcuni presentano genitali maschili in erezione. Inoltre, questa rivista riporta in gran numero delle pubblicità, anch’esse illustrate, per siti internet o server telefonici per incontri di natura esplicitamente sessuale”. Il tutto suggellato dalla minaccia di chiusura della rivista, secondo una legge del 1949.
Ma la redazione di Illico smentisce seccamente il ministero dell’Interno: nelle immagini che accompagnano gli articoli sui film le parti genitali sono rigorosamente censurate, così come le pubblicità di film o di chat per incontri, che sono fra l’altro le stesse per tutti gli organi della stampa gay francese. Chissà perché, allora, questi ultimi non hanno mai ricevuto simili rimostranze, peraltro non circostanziate (la lettera del ministero dell’Interno non indica mai con precisione, infatti, gli articoli incriminati o le pagine scabrose).
“Nell’avvio di questa procedura c’è qualcosa di estremamente inquietante. Illico” – scrive il direttore della rivista, Jack Fougeray – “è un mezzo d’informazione gay essenzialmente centrato sull’attualità politica e sociale della comunità glbt. Ed è anche un media militante che non ha mai avuto peli sulla lingua, in particolare quando afferma la propria opposizione all’ex ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy. Ma ciò che ci porta a constatare una coincidenza tra questi elementi,” – aggiunge ironico – “è senza dubbio la nostra ben nota paranoia verso quest’uomo politico, i suoi metodi e la sua influenza sull’amministrazione dello Stato”.
“Sembrano tornati i tempi nei quali pubblicare il più innocente foglio omosessuale significava avere guai con la polizia, se non con la giustizia. È questa la società futura,” – si chiede ancora Fougeray – “la società della quale i francesi discutono in questi giorni? Rabbrividiamo”. E noi con lui, sapendo tra l’altro che “poche pubblicazioni colpite dalla procedura che oggi investe Illico ce l’hanno fatta. La quasi totalità della stampa toccata da questi provvedimenti è stata vietata in via definitiva”.
Per fortuna non mancano i messaggi di solidarietà alla redazione della rivista, che ha ancora due settimane di tempo per presentare le sue controdeduzioni. Uno su tutti, quello del segretario e candidato della Ligue Communiste Révolutionnaire, Olivier Besancenot: “Che si tratti di censura politica o di moralismo, questo tipo d’intimidazione è inaccettabile! La Francia che ci prepara Sarko è decisamente invivibile. Davanti a questi provvedimenti polizieschi e omofobi, la LCR assicura ai giornalisti di Illico il suo totale sostegno”.

Fonti: Illico, Le Monde, Libération.

24 aprile 2007

Sei (s)punti

Sono sei i punti sui quali secondo me vale la pena soffermarsi, alla luce dei risultati di questo primo turno delle elezioni presidenziali francesi.
1) L’alto tasso di partecipazione al voto, che non aveva registrato simili cifre dal 1965, cioè dalle prime elezioni dirette del Presidente della Repubblica, è un segnale di grande vivacità della democrazia francese. Tutto sembrava perduto la sera del 21 aprile di cinque anni fa, quando il grande numero di astensioni aveva tolto voti ai socialisti e portato Le Pen al secondo turno. Questa volta, tre milioni e mezzo di nuovi iscritti alle liste elettorali e un’affluenza superiore all’80% hanno favorito, probabilmente in egual misura, i due candidati che hanno ricevuto il numero maggiore di voti, e penalizzato la sinistra radicale e l’estrema destra.
2) Il Front National crolla, da quasi il 17% che aveva conquistato al primo turno nel 2002, al 10,5%. È una cifra che, pur rimanendo elevata, ha tranquillizzato almeno un po’ l’elettorato democratico di questo paese. Sarebbe però prematuro saltare alla conclusione che l’estrema destra abbia visto un’effettiva e durevole diminuzione dei propri consensi. Può darsi che la lunga campagna di avvicinamento e di seduzione che Sarkozy ha attuato nei confronti dell’elettorato francese più razzista ed autoritario abbia avuto l’effetto di spostare una parte dei voti altrimenti destinati a Le Pen sul candidato dell’UMP.
3) La sinistra estrema, i cui innumerevoli rappresentanti raccoglierebbero, insieme, un po’ più del 10% dei voti, esce da questa tornata elettorale politicamente distrutta. Marie-George Buffet, ad esempio, si ferma sotto il 2%: una candidata comunista non era mai scesa così in basso nella storia francese. L’unico che mantiene le posizioni di cinque anni fa è Olivier Besancenot della Ligue Communiste Révolutionnaire – l’unico, per altro, che domenica sera in televisione ha saputo tener testa alla portavoce di Sarkozy. Ci vorrà molto tempo e molta pazienza per tornare a tessere le fila e recuperare credibilità proprio presso quell’elettorato radicale che non intende perdonare le divisioni tra i vari soggetti che si muovono a sinistra del Partito Socialista. In ogni caso, per il momento, sembra che i candidati e le candidate della sinistra radicale sosterranno, al secondo turno, Ségolène Royal. Certo, lo fanno nella più grande disillusione: non chiedono granché, ma solo di poter sconfiggere definitivamente Sarkozy.
4) Per Ségolène Royal, il cui elettorato al primo turno è pari a quasi il 26%, i problemi cominciano proprio adesso. Non è un caso che domenica sera abbia aspettato a lungo prima di pronunciarsi e lo abbia fatto solo dopo aver ascoltato i discorsi di Sarkozy e di Bayrou. Davanti alle telecamere è apparsa incerta, tesissima, innervosita persino dalle urla di sostegno che i militanti le indirizzavano. A parte i sorrisi di circostanza, più volte abbiamo visto la sua bocca storcersi in una smorfia, che sembrava mostrare un dolore sincero. È probabile che abbia realizzato allora tutto il peso della responsabilità che si porta addosso e dell’enorme difficoltà a cui va incontro. Sa fin troppo bene che i voti della sinistra radicale saranno insufficienti a conferirle lo slancio necessario a passare la barra del 50% più uno dei voti. Per questo si prepara a corteggiare l’elettorato di Bayrou. Problema apparentemente irrisolvibile: come fare ad ingraziarsi la sinistra radicale e i centristi allo stesso tempo?
5) Contrariamente alla sua rivale socialista, Nicolas Sarkozy, che è riuscito a superare la soglia simbolica del 30% (è arrivato precisamente al 31,1%), ha fatto domenica scorsa una comparsata in grande stile. Ha sparso sorrisi a piene mani, ha mandato segnali di riconciliazione, ha cercato di dipingersi come un uomo tranquillo che cerca di moderare i conflitti e che pensa alla sorte dei più bisognosi. Una fiera dell’ipocrisia, insomma, allestita da un uomo pieno di sé, convinto di una vittoria che ancora non è stata definitivamente decretata, ma che Sarkozy sembra già assaporare. Nessuno a sinistra può credere alle sue lusinghe, ma non è detto che il suo appello, che ha già bucato il video, non possa far breccia anche fra i centristi.
6) Il vero ago della bilancia, e questa sì che è una novità da queste parti, è il centro, spazio politico fin qui inesistente nello scacchiere francese. Bayrou ha saputo dargli corpo. Che ci sia anche dell’anima, e che quindi questa nuova tendenza continui nel tempo, è tutto da dimostrare: lo vedremo alle prossime elezioni politiche che si terranno fra due mesi. Per il momento, però, è chiaro che il candidato o la candidata che riuscirà a conquistare Bayrou e soprattutto il suo elettorato, avrà tra le mani le chiavi del mandato presidenziale. Già ieri il segretario dell’UDF ha trovato, nella sua segreteria telefonica, due messaggi: uno di Sarkozy, l’altro di Royal. Che cosa gli abbiano detto, è facile intuirlo. Bayrou, però, dovrebbe sciogliere le sue riserve solo domani, annunciando la sua strategia per il secondo turno in una conferenza stampa. Attesissima, ovviamente.

22 aprile 2007

Soirée électorale

Tutto è pronto, o quasi. La campagna elettorale per il primo turno delle presidenziali francesi si è chiusa venerdì a mezzanotte e ieri è stata la giornata tradizionalmente dedicata alla pausa di riflessione. Il quotidiano Libération è uscito con una prima pagina completamente bianca e un unico titolo, a caratteri cubitali: “A gauche!” (“A sinistra!”). Il direttore del giornale, Laurent Joffrin, nel suo editoriale a sostegno della candidata socialista, scrive: “Ségolène non è abbastanza di sinistra, allora votiamo più a destra: è questa la logica barocca che sta dietro il ragionamento dei supporter di Bayrou a sinistra. Se Ségolène non seduce, si mormora, vuol dire che non è adatta a fare la presidente. In altre parole, il vestito le sta troppo largo. Tanto più” – continua Joffrin – “che quel vestito è stato aperto dalle pugnalate date discretamente alle sue spalle da amici furiosi di vedersi soppiantati. Mai una candidata o un candidato di sinistra è stato così poco sostenuto”. Sarà anche vero, ma se l’unica condizione per essere presidente è “avere carattere” e per il resto si vedrà, come sembra pensare il direttore di Libération, allora vuol dire che anche qui come altrove la politica ha davvero smarrito il suo significato.
In ogni caso, ieri il dibattito si è in parte incentrato sul ruolo di internet nella diffusione dei risultati del primo turno. In Francia vige infatti una strana consuetudine: i seggi aprono alle 8 e chiudono alle 18 su tutto il territorio nazionale, tranne nelle grandi città, dove ci si può recare alle urne fino alle 20. Questo vuol dire che in molti luoghi gli scrutini saranno già terminati quando altrove si starà ancora votando. La legge stabilisce che i primi rilevamenti statistici, quelli fatti nelle prime due ore di scrutinio, non possono essere divulgati fino alle 20, cioè quando tutti i seggi saranno ormai chiusi. Ma quest’anno le autorità sono inquiete, temono che quei dati, comunque noti alle redazioni dei giornali e agli addetti ai lavori, vengano pubblicati in rete anche prima del termine legale, influenzando così l’esito del voto. In effetti, alcuni blogger hanno minacciato di voler deliberatamente infrangere delle norme che considerano del tutto inadeguate. Il caso più eclatante, forse, è quello del giornalista Jean-Marc Morandini, il quale ci ha comunque ripensato: non diffonderà le prime proiezioni alle 18 e si accontenta, per ora, di aver alimentato la discussione su questo tema (ed essersi fatto un bel po’ di pubblicità). In ogni caso, pronto a qualsiasi evenienza, il Garante per il settore audiovisivo (CSA) ha annunciato per oggi l’attivazione di una cellula speciale di sorveglianza dei siti internet, mentre molti provider hanno ricordato esplicitamente ai propri utenti i termini della legge, esigendone il più rigoroso rispetto. Niente paura, comunque: i dati che blog e redazioni non potranno diffondere a partire da siti ospitati sul territorio nazionale, saranno reperibili – come sempre, in barba alla legge francese – su quelli dei giornali svizzeri e belgi.
“Ma sono davvero così importanti queste elezioni, ne siamo proprio sicuri?”: sono le domande, un po’ retoriche e un po’ no, che si faceva un giudice della Corte di Cassazione col quale ho discusso recentemente. Sì, lo sono, mi ha risposto un’alta funzionaria dell’Assemblée Nationale, che oggi organizza, come milioni di suoi connazionali, una “serata elettorale”. Nel menù: una decina di amici, qualcosa da sgranocchiare, un po’ di internet e tanta, tantissima tv.
Ma come assicurarsi il successo della propria “soirée électorale”? Il blog della trasmissione radiofonica “Pédérama” (traducibile con il neologismo “Frociorama”) ci dà qualche consiglio: “Vi serve un titolo sexy, come ‘La Francia ha paura’ o ‘Non abbiate paura’. Scrivetelo nell’oggetto della vostra mail d’invito, stampatelo su carta per decorare la porta del vostro appartamento. Tutti devono portare qualcosa da mangiare o da bere: siamo solidali, ci vogliamo bene, condividiamo”. E ancora: “Obbligate i vostri ospiti a fare una scommessa e a mettere in palio una bottiglia, un oggetto decorativo, una vecchia parrucca... Prima che la serata inizi, incoraggiate le pasionarie della compagnia a trasferirsi nel caso vincano i cattivi. Nel 2002 dovevano esiliarsi tutte quante in Spagna, cinque anni più tardi le loro valige non sono ancora pronte. Cogliete l’occasione al volo”. E così via...
Ora che ci penso... anche Staou ed io siamo stati invitati a una di queste serate, in compagnia di A. e S. Quest’ultimo, cinque anni fa, ha votato verde al primo turno, col proposito di sostenere Jospin al secondo. Manco a dirlo, quest’anno “vota utile”. E voi, chi votereste?

Fonti: Le Monde, Libération.

21 aprile 2007

Ritratti in rosa - Nicolas Sarkozy, il carabiniere

Se dovessi dire quel è l’appello al voto che ho trovato più divertente, molto probabilmente darei la palma a quello di GayLib. Nel suo comunicato, velato da una comicità indubbiamente involontaria, il gruppo omosessuale in seno al partito maggioritario di destra (l’Union pour un Mouvement Populaire, UMP) “invita i gay e le lesbiche, le loro famiglie e i loro amici, a non fidarsi della troppo recente ed ipocrita ‘omofofilia’ della candidata socialista e a dubitare delle proposte ambigue ed incerte del candidato centrista”. Come dargli torto? Il meglio, però, viene dopo: “Con Nicolas Sarkozy, continuiamo a far avanzare la causa dei gay e delle lesbiche, concretamente, rapidamente e senza scossoni”. E qui, davvero, una bella risata scappa inevitabilmente.
Nicolas Sarkozy, classe 1955, è figlio di un immigrato ungherese. Di formazione avvocato, si impegna in politica fin da giovanissimo. A 19 anni si iscrive all’UDR, due anni più tardi aderisce al nuovo partito di destra, l’RPR. Nel 1977 viene eletto consigliere comunale a Neuilly-sur-Seine, città della prima periferia di Parigi, zona residenziale. Nel 1980 presiede il comitato giovanile di sostegno alla candidatura di Jacques Chirac, ma quest’ultimo viene sconfitto l’anno successivo da François Mitterand. A 28 anni diventa sindaco di Neuilly, a 34 entra all’Assemblée Nationale (l’equivalente della nostra Camera dei Deputati) e a 38 viene nominato ministro dal premier Edouard Balladur, altro esponente di spicco dell’RPR. Sarkozy trova allora in Balladur un nuovo mentore al quale giurare fedeltà, tanto che nel 1995 lo appoggia pubblicamente nella campagna presidenziale contro Jacques Chirac. Purtroppo per lui, però, ha puntato sul cavallo sbagliato: è Chirac a farcela e Sarkozy deve dire addio alle poltrone ministeriali. Alle successive elezioni europee, nel 1999, l’RPR crolla. A portarlo a quella sonora sconfitta, manco a dirlo, è proprio lui, l’avvocato quarantaquattrenne, figlio di un immigrato ungherese. Sarkozy decide che è ora di ritirarsi a vita privata. E di dedicarsi agli amici, magari a quelli che sono stati suoi testimoni alle seconde nozze celebrate nel 1996: Martin Bouygues, presidente di un importantissimo gruppo operante nel settore delle telecomunicazioni e delle costruzioni, e Bernard Arnault, azionista di maggioranza del gruppo LVMH (Louis Vuitton-Moët Hennessy), leader mondiale del lusso e della moda.
L’allontanamento dalle leve del potere, comunque, dura pochissimo. Già nel 2002, Sarkozy è rieletto deputato. Alle presidenziali dello stesso anno sostiene Chirac, sperando così di poter essere promosso primo ministro. Niente da fare, Jacques gode di buona memoria e, al suo posto, nomina Jean-Pierre Raffarin. Sarkozy deve “accontentarsi” della poltrona di ministro dell’Interno e fa parlare di sé estendendo la schedatura del DNA a qualsiasi persona sospettata di aver commesso un delitto, anche in assenza di prove. Successivamente, viene nominato ministro dell’Economia.
Allorché, nel 2004, lascia intendere di ambire alla Presidenza della Repubblica e allo stesso tempo di voler guidare il partito di destra nato sulle ceneri dell’RPR, cioè l’attuale UMP, Chirac va in televisione a porgli un aut aut: o il ministero o la presidenza del partito. “Io decido e lui esegue”, dichiara contestualmente il presidente della Repubblica, tanto per far capire di quanta stima e simpatia l’ometto di Neuilly goda presso l’illustre inquilino dell’Eliseo. A quel punto, subito dopo essere stato eletto a capo dell’UMP, Sarkozy lascia il governo.
Il diktat di Chirac, però, non può reggere allo sfrenato arrivismo del suo rivale. Nel 2005 Sarkozy è nominato per la seconda volta ministro dell’Interno ed è allora che si gioca ogni carta, dando fondo a tutte le riserve di populismo disponibili e non risparmiando nessun colpo, seguito in ogni uscita eclatante o in ogni pur minima dichiarazione da stormi di telecamere. L’immagine di Sarkozy poliziotto, di Nicolas protettore, dell’uomo di destra travestito da salvatore della Francia, si vende benissimo.
La parola chiave per comprendere il personaggio è “sicurezza”. La tecnica è semplice, ma efficace: coltivare la paura della gente e suscitare sgomento, per assumere poi il ruolo dell’inflessibile paladino della legge e dell’ordine. Prendete le periferie, per esempio. A cosa è servita la visita di Sarkozy alla Courneuve dopo la morte di un bambino di undici anni, ucciso da un proiettile vagante, se non all’autopromozione del ministro dell’interno a suon di roboanti dichiarazioni? “I manigoldi spariranno” – dice impavido davanti alle decine di giornalisti – “metterò gli effettivi che servono, ma ripulirò il quartiere”. “Con gli idranti”, aggiunge dieci giorni dopo, di nuovo alla Courneuve, come se si trattasse di spazzatura e non di persone. Il 26 ottobre 2005, invece, Sarkozy si reca ad Argenteuil. Rivolto a una signora che lo ha interpellato, riferendosi ad alcuni abitanti del quartiere, il ministro dell’Interno esclama: “Ne ha abbastanza, eh? Ne ha abbastanza di questo mucchio di feccia? Beh, glielo toglieremo di torno!”. Il giorno dopo, due adolescenti di Clichy-sous-Bois moriranno elettrizzati nei locali di un trasformatore dove si sono rifugiati per sfuggire a un controllo della polizia. Delle rivolte violentissime scoppiano nelle banlieues parigine e poi in provincia. Sarkozy non indietreggia nemmeno dinanzi al dramma, anzi, aggiunge che contro i responsabili delle violenze applicherà la tolleranza zero e che i sans-papiers che hanno partecipato agli scontri saranno espulsi.
Il documentario di Karl Zéro “Ségo et Sarko sont en bateau”, mostra uno dei numerosi tentativi dell’esponente dell’UMP di farsi ritrarre, dai media che l’accompagnano, come un politico sensibile alle esigenze dei cittadini. Ma quella volta gli va male: “Come va?”, chiede sorridente ad alcuni viaggiatori su un treno. “Bene, bene”, dice una passeggera guardandolo stupita. “Mah, bene... mica tanto, no?”, continua Sarkozy. “No, no, va tutto bene”, risponde ancora la donna, dopo aver esitato un po’. “Ma ha paura?”, insiste il ministro dell’Interno. La poveretta, che ormai avrà indovinato dove stia andando a parare la celebrità che le sta di fronte, dice solo: “No”. Un altro gli lancia: “Dev’essere la prima volta che sale su un treno! La differenza fra me e lei è che io questo treno lo prendo da trent’anni”.
Altre “grandi imprese” del candidato Sarkozy, a casaccio: l’“immigrazione scelta” contro l’“immigrazione subita” e cioè la limitazione dei permessi di soggiorno, la minaccia di cacciare dal territorio francese i figli minorenni di sans-papiers che frequentano regolarmente la scuola, l’espulsione verso i loro rispettivi paesi di due giovani, di cui una si trova adesso in prigione in Ciad e l’altro è stato condannato a morte dall’esercito dello Sri Lanka, il tentativo di scegliere tra immigrati “buoni” (quelli che possono svolgere lavori richiesti in Francia) da quelli “cattivi” (non utilizzabili, non sfruttabili a piacimento); il ritiro di alcuni permessi per lavorare all’aeroporto di Roissy ad alcuni inservienti sospettati di collusione col terrorismo solo in base alle loro pratiche religiose o alle loro idee politiche; un progetto di legge che prevede il controllo delle turbe del comportamento fin dalla più tenera età e il divieto di diffondere in internet scene di violenza, compresa quella commessa eventualmente dalla polizia a danno di cittadini.
Nicolas Sarkozy detiene quindi un sinistro primato, quello di aver infranto quel tabù che impediva a qualsiasi politico democratico di chiedere i voti del Front National di Jean-Marie Le Pen. Certo, Sarkozy evita accuratamente di sollecitare esplicitamente la dirigenza di quel partito ad allinearsi sulle sue posizioni, ma asseconda ripetutamente alcuni bassi istinti dell’estrema destra come quando, a un meeting, riprendendo la formula del capo dell’FN, fomenta l’odio contro gli immigrati: “Se c’è qualcuno che non ama la Francia” – dice – “che si accomodi, non lo tratterremo!”.
Coerente con una visione dello Stato di tipo poliziesco, dove è preminente l’idea dell’“ordine in movimento” (slogan coniato per contrapporlo all’“ordine giusto” di Ségolène Royal), mentre sembra voler concedere qualche diritto minimo ai gay e alle lesbiche francesi, Nicolas Sarkozy prepara in realtà il terreno per una discriminazione ancora più grande. Il candidato della destra, infatti, non intende aprire l’istituzione matrimoniale anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso, ma vuole creare una “nuova forma di unione civile”, chiamata semplicemente “unione”, caratterizzata dagli stessi doveri (e le stesse rigidità) del matrimonio, ma con meno diritti: “Penso che il modello familiare si organizzi intorno a un padre e a una madre”, dichiara Sarkozy, escludendo quindi che gay e lesbiche possano adottare. E, quando gli chiedono se l’“unione” sarà aperta anche alle coppie eterosessuali, oltre al danno aggiunge la beffa: “Non facciamo gli ipocriti. Quale interesse avrebbero le coppie eterosessuali a sottoscrivere un’unione piuttosto che un matrimonio?”. Secondo le associazioni gay e lesbiche riunite nella federazione Inter-lgbt, l’“unione” non è nient’altro che “un ‘submatrimonio’ per una categoria precisa della popolazione, una scelta stigmatizzante [...] che non potremo sostenere se dovesse essere un giorno presentata al parlamento”. Inoltre, nelle intenzioni di Sarkozy, il Pacs sarà abrogato. “Quello che propone” il candidato della destra, secondo l’Inter-lgbt, “è molto inquietante. [...] Più di cinquecentomila persone (probabilmente seicentomila alla fine di quest’anno) saranno costrette a scegliere se sposarsi, e quindi ritrovarsi con degli obblighi che non desideravano avere nel momento in cui si sono pacsate, o sciogliere il proprio Pacs e perdere quindi i diritti afferenti. Inoltre” – aggiunge l’Inter-lgbt – “dal primo giorno di applicazione di questa riforma, nessuna coppia potrebbe più pacsarsi. Sarebbe un vero e proprio passo indietro per la società”.
Attento a non ferire la sensibilità del suo elettorato conservatore, Sarkozy si oppone anche alla concessione dell’inseminazione artificiale e della fecondazione in vitro alle coppie di lesbiche, così come rifiuta di prendere posizione sulle soluzioni già adottate altrove per rendere più agevole la vita dei e delle transessuali, come il cambio del sesso anagrafico anche in assenza dell’operazione chirurgica per il cambiamento di sesso anatomico.
Per quanto riguarda poi l’efficacia delle misure prese dall’ex ministro dell’Interno per prevenire le discriminazioni in seno alle forze dell’ordine, l’associazione dei poliziotti gay e delle poliziotte lesbiche (FLAG) contesta il bilancio di Sarkozy e ricorda che “il problema dell’omofobia continua a esistere senza che si registri alcuna reazione da parte della gerarchia”.
Che ne sarà, poi, del grande tema della prevenzione in materia di Aids e di altre malattie a trasmissione sessuale? L’associazione ActUp critica la politica di Sarkozy, colpevole di aver penalizzato “le minoranze più esposte all’epidemia, cioè prostitute, tossicodipendenti, giovani, stranieri”, e punta il dito contro la sua volontà di riformare il sistema sanitario e di sopprimere gli aiuti statali per i sans-papiers malati. “Se il candidato dell’UMP sarà eletto” – afferma un comunicato dell’associazione – tra le altre cose, si assisterà a una “restrizione dell’accesso alle cure per i malati più precari”, sarà rimesso in discussione l’attuale rimborso dell’intero costo della cura per i sieropositivi da parte dello Stato, e “i malati saranno espulsi verso paesi nei quali moriranno per mancanza di cure”.
Infine, una grossa polemica è scoppiata in piena campagna elettorale, a proposito di alcune affermazioni di Sarkozy circa l’origine genetica della pedofilia. Mescolando piani diversi, il candidato della destra scaraventa nella discussione anche l’omosessualità, che, secondo lui, avrebbe un’origine innata e non acquisita (“quando ero bambino,” – dichiara – “ho sentito giudizi molto scioccanti a proposito di un giovane che era omosessuale: ‘sua madre l’ha fatto dormire nel suo letto’, ‘sua madre gli comprava delle bambole’ [...]. Bisogna smetterla di colpevolizzare”). “Certo, Nicolas Sarkozy contraddice la Chiesa cattolica che giudica l’omosessualità come un comportamento deviante e rettificabile, distinto dall’identità” – afferma un duro comunicato dell’Inter-lgbt emesso il 13 aprile scorso – “ma lo fa per rafforzare una dubbia teoria, [...] come se gli omosessuali costituissero un problema tale da richiedere una causa scientifica che non scarichi la ‘colpa’ sui genitori”. “Nella Francia di Sarkozy gli uomini e le donne non sono responsabili, ma determinati geneticamente” – ha dichiarato il candidato no global José Bové – “Questa si chiama eugenetica e richiama un mondo dove gli uomini potrebbero essere selezionati in base a criteri genetici”. Per il genetista Axel Kahn, le affermazioni di Sarkozy sull’origine innata della pedofilia “non hanno senso”. “Tutte le attuali conoscenze delle relazioni tra l’innato e l’acquisito, tra la natura e la cultura, mostrano che ci sono delle interazioni reciproche e continue tra i geni e l’ambiente e che sono queste interazioni” – sottolinea il biologo Jean-Claude Ameisen – “a contribuire alla costruzione progressiva di una persona. E il primo ambiente nelle collettività umane sono gli altri!”.
Sfortunatamente, e nonostante tutto questo, stando ai sondaggi che potevano circolare fino a ieri, Nicolas Sarkozy sarebbe in testa nei pronostici di questo primo turno. Quasi impossibile che si sbaglino? Io, in ogni caso, incrocio le dita.

Fonti: ActUp Paris, Inter-lgbt, Le Figaro, Le Monde, Libération, Wikipedia.

Foto: dall’alto in basso, Nicolas Sarkozy (François, con licenza CC); una militante di ActUp incolla un manifesto contro Sarkozy (Jef Baecker, ActUp Paris).

Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot, José Bové, Marie-George Buffet, Arlette Laguiller, Jean-Marie Le Pen, Ségolène Royal.

20 aprile 2007

Ritratti in rosa - Ségolène Royal, una neofita sospetta

C’è una scena, proiettata in questi giorni sui grandi schermi francesi, che a vederla mette quasi i brividi, tanto grande è l’imbarazzo che provoca. È inserita nel documentario “Ségo et Sarko sont en bateau”, l’ultimo lavoro di uno dei giornalisti satirici tra i più amati in Francia, Karl Zéro. In quella scena, si vedono una giovane Ségolène Royal e l’allora presidente della Repubblica, François Mitterand, a un ricevimento ufficiale, circondati da numerosi altri invitati e giornalisti. Il presidente stringe molte mani, poi, quando arriva il turno di Ségolène Royal, un microfono capta lo scambio fugace tra i due. “Non potrebbe fare qualcosa per me?”, chiede lei con voce implorante. “Ma è troppo tardi...”, risponde lui.
Ségolène Royal è una ex allieva della Scuola nazionale amministrativa che prende per la prima volta la tessera socialista nel 1978. È proprio sulla scia dell’elezione di François Mitterand alla Presidenza della Repubblica, nel 1981, che Royal riesce a fare carriera: nel 1982, infatti, entra a far parte della Segreteria generale dell’Eliseo, dove si occupa di gioventù e sport, poi di affari sociali e ambiente. Nel 1983 vorrebbe farsi eleggere al comune di Villers-sur-Mer, ma il sindaco di quella città si oppone. Royal si sceglie allora un altro posto, Trouville-sur-Mer. Ma quando finalmente riesce a diventare consigliera comunale d’opposizione, si fa presto dimenticare: prende la parola 8 volte soltanto ed è presente a 18 sedute su 39.
Nel 1988 viene eletta deputata, grazie all’intervento diretto di François Mitterand che la impone candidata del PS nel collegio delle Deux-Sèvres, nell’ovest della Francia. L’ascesa al potere continua e nei primi anni Novanta Royal diventa ministra dell’ambiente. Qualche tempo dopo la sua nomina, non esita a mediatizzare la propria condizione di prima neo-mamma ministra della storia francese, facendosi riprendere e intervistare nella camera dell’ospedale dove ha da poco partorito il suo quarto figlio. Successivamente, durante il governo di Lionel Jospin, otterrà prima la delega all’istruzione, poi quella alla famiglia e all’infanzia. Eletta nel 2002 per la quarta volta deputata, in quest’ultima legislatura Royal svolge all’Assemblée National solo due interventi in cinque anni e presenta solo due proposte di legge.
Accusata nel 1999 di non aver pagato tutto lo stipendio alle sue tre segretarie (la decisione definitiva della giustizia su questo caso non è ancora giunta), Royal è anche sospettata, insieme al suo compagno François Hollande, l’attuale segretario socialista, di dichiarare al fisco un patrimonio inferiore a quello realmente posseduto: il giornale satirico “Le canard enchaîné”, infatti, avrebbe scoperto che il valore dei beni immobili della coppia ammonterebbe a 1813 milioni di euro contro i novecentomila dichiarati.
Ségolène Royal sta conducendo una campagna che ai più appare artificiosa, totalmente dominata dal marketing elettorale, volutamente lontana dall’apparato socialista all’interno del quale ha trovato molti avversari sleali, pronti a dar fondo al peggior sessismo pur di eliminarla politicamente (“Non è un concorso di bellezza!”, ha affermato Jean Luc Melenchon, mentre il suo sfidante alle primarie, Laurent Fabius, si è chiesto: “Chi si occuperà dei bambini?”).
Dicono poi che le sue dichiarazioni, oltre a essere maldestre, rivelino anche la scarsa padronanza di alcuni temi importanti. Da quando, cinque mesi fa, Ségolène Royal vince le primarie del PS con il 60% dei voti (pari a circa centosettantottomila iscritti), le sue gaffes, in effetti, non si contano più: in visita in Cina, loda la rapidità della giustizia di quel paese; poi giustifica il muro costruito da Israele; strizza l’occhio alla destra quando parla di “ordine” (pur temperato dall’aggettivo “giusto”) e cerca il consenso dei nazionalisti con i suoi richiami al tricolore; infine non esita a lodare le aspirazioni indipendentiste del Québec mandando su tutte le furie il governo canadese.
Invano cerchereste, nel suo “Patto presidenziale” lanciato in grande stile l’11 febbraio scorso, qualche impegno serio ed articolato in materia di diritti glbt. Relegato al punto 87 del capitolo “La Presidente di una nuova Repubblica”, si trova l’imperativo: “Garantire l’uguaglianza dei diritti per le coppie formate da persone dello stesso sesso”. Benissimo, ma come? Si è incaricata di chiederglielo la federazione di associazioni francesi Inter-lgbt, alla quale Ségolène Royal ha risposto di voler far approvare contestualmente, in un unico testo legislativo da presentare “rapidamente”, l’apertura del matrimonio e dell’adozione alle coppie formate da gay o da lesbiche. Al tempo stesso, s’impegna a migliorare il Pacs e a respingere qualsiasi tentativo di istituire unioni civili ad hoc per gli e le omosessuali.
Nonostante l’apparenza, si può avanzare più di un dubbio sulla sincerità di tali propositi, vista la retorica, attenta ai valori tradizionali e alla famiglia intesa come nucleo eterosessuale, che la candidata socialista utilizza spesso e volentieri. Non andrebbe dimenticato, inoltre, che fino a quando la convenienza elettorale non le ha imposto una svolta, Royal ha sempre trattato con sdegno le rivendicazioni del movimento glbt francese. “Avere delle opinioni prudenti sul matrimonio omosessuale è legittimo e rispettabile,” – dichiara a Le Monde il 12 maggio 2004 – “non vuol dire essere omofobi o reazionari”. E ancora: “Se si tratta di fare una provocazione ingiustificata contro le convinzioni familiari e religiose, allora no”. Non paga, il 23 febbraio 2006 si lancia in un’ambigua distinzione: “Preferisco la parola ‘unione’ a ‘matrimonio’, per non rovesciare i simboli tradizionali; la famiglia è un padre e una madre”. Qualche settimana più tardi, il 15 maggio 2006, assicura che l’apertura del matrimonio a gay e lesbiche “sarà nel progetto del Partito Socialista ma” – aggiunge – “resta [da stabilire] come prospettarlo con una riforma che deve riunire la maggioranza dei francesi, rispettare le diverse opinioni e non essere oggetto di strumentalizzazione politica”. A quel punto, uno degli sfidanti alla candidatura socialista, Dominique Strauss-Kahn, ha buon gioco a dichiarare che Ségolène Royal “ha una visione senza dubbio più conservatrice della società, io sono più aperto”.
Non è un caso, quindi, che ancora oggi, in piena campagna presidenziale, su temi meno mediatizzati rispetto al matrimonio o all’adozione, dunque meno remunerativi dal punto di vista elettorale, Ségolène Royal dia prova di una prudenza che la stessa Inter-lgbt giudica “eccessiva”. Si tratta per esempio della possibilità, per le coppie formate da sole donne, di accedere all’inseminazione artificiale e alla fecondazione in vitro, giudicata non prioritaria dalla candidata socialista. Per quanto riguarda poi i diritti dei e delle transessuali, nessuna proposta arriva dalla pretendente all’Eliseo.
La candidata socialista riuscirà comunque a convincere elettori ed elettrici di sinistra a votare per lei? Quale sarà il peso dei richiami al voto utile che si sono moltiplicati in queste settimane? L’unico dato certo, per il momento, è che alla sede socialista e in quelle dei giornali che, come Libération, hanno apertamente sostenuto Royal, l’inquietudine cresce. Un sondaggio dell’IPSOS pubblicato oggi attribuisce a Sarkozy il 30% delle intenzioni di voto, mentre Royal è al 23%, tallonata da Bayrou al 18%. Numeri che valgono poco, anzi niente: a fare la differenza, infatti, sarà probabilmente quel 15% di elettori ancora indecisi.

Fonti: Chiennes de garde, Désirs d’avenir, Inter-lgbt, Le Figaro, Le Monde, Wikipedia.

Foto: Ségolène Royal (François, con licenza CC).

Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot, José Bové, Marie-George Buffet, Arlette Laguiller, Jean-Marie Le Pen.

18 aprile 2007

Ritratti in rosa - Jean-Marie Le Pen, pericolo scampato?

“Difesa della struttura familiare, istituzione insostituibile, fondamento della società”. La famiglia deve basarsi “esclusivamente sull’unione di un uomo e di una donna e accogliere i figli nati da un padre e da una madre. Noi ci opporremo quindi a qualsiasi richiesta di creare un matrimonio omosessuale o all’adozione da parte di coppie omosessuali”. Anche se la coincidenza può sembrare strana – o magari solo sconvolgente – quello che avete appena letto non è il programma di Rosi Bindi o dell’onorevole Binetti, e nemmeno quello di Luigi Bobba o della senatrice Anna Serafini in Fassino. Sono i punti del programma 2007 del leader dell’estrema destra francese Jean-Marie Le Pen che riguardano noi gay e lesbiche.
Scaviamo più a fondo in questo rapporto tra noi e lui, allora. La sera del 21 aprile 2002 mi trovavo, insieme al mio compagno e a un amico, in un noto bar del quartiere gay parigino, il Marais. Dovevano essere le otto e mezza, le nove, non ricordo esattamente. Quello che ricordo bene è che il locale era affollatissimo, come accade ogni fine settimana a quell’ora. Tutt’intorno a noi, i numerosi clienti stavano discutendo e ridendo spensierati, con in mano i loro bicchieri di birra. Del resto, televisioni e giornali non avevano fatto altro che ripetere, nei giorni precedenti: i vincitori del primo turno saranno Jacques Chirac e Lionel Jospin. A un certo punto, però, in quel bar l’atmosfera è cambiata di colpo. Un ragazzo è salito sul bancone ed ha gridato per attirare l’attenzione. Si è fatto allora improvvisamente un gran silenzio, così che tutti hanno potuto sentire quello che stava dicendo: “Le Pen sarà al secondo turno contro Chirac! Sappiamo tutti che cosa pensa Le Pen di noi finocchi, per questo ritroviamoci immediatamente, questa sera stessa, in piazza della Bastiglia!”.
Ricordo che lì per lì non credetti a una sola parola. Avevo in mente i dibattiti televisivi alla chiusura delle urne in Italia e mi aggrappavo all’idea che si trattasse di un incubo dovuto all’approssimazione dei primi rilevamenti statistici. Ma ci attaccammo ai telefoni e la conferma arrivò, mentre il premier socialista avrebbe annunciato poco dopo di volersi ritirare dalla politica. L’urlo di sgomento che uscì dalla bocca dei suoi militanti, in fondo, era quello dell’intera cittadinanza, o quasi.
Fuori da quel bar trovammo una Parigi in subbuglio. Invece di rimanere incollata davanti al proprio televisore, molta gente si riversò nelle strade: non solo l’appello lanciato da quel ragazzo in quel bar gay del Marais non doveva essere stato l’unico, ma fu il riflesso spontaneo – figlio della Rivoluzione – di appropriarsi della piazza nei momenti difficili, a trascinare in strada, quella notte, decine di migliaia di francesi.
La mobilitazione per sbarrare la strada al leader dell’estrema destra ed incitare, seppur controvoglia, a votare per Jacques Chirac al secondo turno, continuò durante tutti i giorni successivi con grandi manifestazioni di massa, in un crescendo che culminò il 1° maggio. Oltre alle dimostrazioni nelle altre città, quel giorno la partecipazione a Parigi fu di mezzo milione di persone. La rivista gay e lesbica Têtu uscì in edizione straordinaria e fu distribuita lungo i diversi tronconi del corteo parigino. Qualche giorno dopo, com’è noto, il presidente uscente fu rieletto con l’82% dei consensi ma, nell’esercizio del suo ultimo mandato, ha agito sempre come se molti di quei voti non gli fossero stati offerti proprio dalla sinistra.
Pericolo scampato, dunque. La Francia sembra essersi ormai vaccinata contro quella che viene chiamata la “peste bruna”, il Front National, anche se al suo presidente i sondaggi – per quel che valgono – oggi assegnano comunque una media del 14% delle intenzioni di voto.
Il Front National nasce nel 1972, da una costola di un movimento politico, quell’Ordre Nouveau che predica “la rinascita del patriottismo, la promozione di una gerarchia di valori, la restaurazione familiare ed educativa”, nonché l’avvicinamento dei principali partiti d’estrema destra europei, cioè i falangisti di Francisco Franco, la NPD in Germania e il Movimento Sociale Italiano. Lo presiede fin dall’inizio Jean-Marie Le Pen, le cui prese di posizione, pronunciate nel corso della sua lunga carriera politica, suscitano spesso grandi polemiche. Nel 1962, per esempio, parlando del suo “impegno” nella guerra d’Algeria, non esita ad ammettere: “Ho torturato perché bisognava farlo”, anche se poi questa affermazione sarà ritrattata. 1987, sulle camere a gas: “Non ho studiato granché tale questione, ma credo che sia un dettaglio nella storia della Seconda guerra mondiale”. Lo stesso anno affronta a modo suo il problema dell’Aids: “I malati di Aids, rilasciando il virus da tutti i pori, mettono in pericolo l’equilibrio della nazione. L’appestato – per così dire, impiego questa parola [...] non molto bella, ma non ne conosco altre – quello là, bisogna dirlo, contagia attraverso il sudore, le lacrime, la saliva, il contatto. È una specie di lebbroso”*. Si crede forse più magnanimo quando, nel 1995, sullo stesso tema dichiara: “Bisogna distinguere le vittime innocenti e i malati di sodomia”. “L’omosessualità non è un delitto, ma costituisce un’anomalia biologica e sociale”, dice il 13 febbraio 1984. Nel giugno dello stesso anno, un altro classico degli omofobi di ogni tempo e di ogni luogo: “L’omosessualità conduce alla fine del mondo”. Poi, nel 2000: “il proselitismo omosessuale comporta la distruzione volontaria dei valori essenziali della gioventù, attraverso la promozione dei comportamenti devianti”.
Più recentemente, il 20 febbraio scorso, Le Pen fa capire una volta di più che cosa pensa di noi gay: prendendo la parola al congresso della Federazione nazionale della caccia afferma, con un’allusione assai greve, che “nel Marais di Parigi si possono cacciare i capponi senza date di apertura o di chiusura, però nel marais (palude) della Picardie, non è possibile cacciare l’anatra in febbraio”. “Paragonando implicitamente la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale a della selvaggina” – recita un comunicato del Centro gay e trans di Parigi – “Le Pen non fa altro che fomentare l’odio”. Nient’affatto, risponde il diretto interessato secondo un copione ben rodato, erano solo “delle espressioni libere di un pensiero libero, una cosa molto proibita nel nostro paese, dove ogni frase, soprattutto quando proviene da un avversario politico interno, è oggetto di comenti più o meno odiosi”.
L’omofobia dichiarata e persino orgogliosamente coltivata da Jean-Marie Le Pen, non impedisce a una minoranza di omosessuali di votare Front National o persino di militare in quel partito. Questa contraddizione è emersa chiaramente durante il caso di Jean-Claude Poulet-Dachary, direttore di gabinetto dell’ex sindaco frontista di Tolone, ucciso il 29 agosto 1995 all’uscita di un club gay. Secondo gli investigatori, il movente dell’omicidio è stato, probabilmente, di natura passionale.
Del resto l’odio professato dal Front National nei confronti delle differenze sessuali non è il solo punto caratterizzante della sua linea. Tra i “punti programmatici” di quel partito, infatti, trovano posto anche la lotta all’immigrazione, l’espulsione degli immigrati che hanno acquisito la nazionalità francese e abbiano compiuto reati, il divieto di costruire nuove moschee in Francia, il ritorno alla pena di morte per i delitti più efferati, la diminuzione delle imposte e delle tasse sulle imprese, la soppressione delle sovvenzioni pubbliche alle associazioni vicine alla sinistra radicale, la limitazione dell’accesso all’aborto e l’abrogazione delle leggi antirazziste. Da brivido.

* Ho scelto la parola “appestato” per tradurre quello che, nel linguaggio crudo di Jean-Marie Le Pen, è lo “sidaïque”, sostantivo che indica, in modo neanche troppo velatamente spregiativo, il malato di Aids (Sida in francese). Questa è la dichiarazione originale di Le Pen, resa alla rete televisiva Antenne2 il 6 maggio 1987: “Les sidaïques, en respirant du virus par tous les pores, mettent en cause l’équilibre de la nation. […] Le sidaïque, — si vous voulez, j’emploie ce mot-là, c’est un néologisme, il est pas très beau mais je n’en connais pas d’autre —, celui-là, il faut bien le dire, est contagieux par sa transpiration, ses larmes, sa salive, son contact. C’est une espèce de lépreux, si vous voulez”.

Fonti: La France Gaie et Lesbienne, Le Monde, Têtu, Wikipedia.

Foto: Jean-Marie Le Pen (François, con licenza CC).

Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot, José Bové, Marie-George Buffet, Arlette Laguiller.

17 aprile 2007

Ritratti in rosa - Arlette Laguiller, la pasionaria

Arlette Laguiller è diventata, da ormai molto tempo, una presenza fissa nel panorama delle elezioni presidenziali francesi. 67 anni, candidata per la settima volta alla massima carica dello Stato, Laguiller è la portavoce di Lutte Ouvrière (Lotta Operaia), il partito di fede trotzkista che contribuisce a fondare nel 1968. Il suo attivismo politico comincia qualche anno prima, precisamente nel 1960, quando partecipa a una protesta contro la guerra in Algeria. Seguirà l’espulsione dalla CGT (l’equivalente della CGIL) per le sue convinzioni troppo rivoluzionarie, poi l’attivismo sindacale a Force Ouvrière.
Impiegata di banca, pensionata dal 2000, Arlette Laguiller è stata consigliera regionale e deputata europea. Alle ultime presidenziali, quelle del 2002, ottiene il 5,7% dei voti ed è l’unica tra gli sconfitti che non invita gli elettori e le elettrici francesi a votare per Jacques Chirac contro Jean-Marie Le Pen al secondo turno. Proprio questa decisione provoca la rabbia del cantautore Alain Souchon che, da allora, non esegue più la canzone che le ha dedicato e che con ironia, ma anche con tenerezza, dice: “Quando Arlette canta è come del blu, dell’azzurro sulle fabbriche e i loro alti muri. Certo, le parole sono molto consumate, ma lei canta con aria pura. Ci suggerisce di non fare la guerra, che sulla Terra gli uomini sono fratelli, di condividere i problemi e le camicie, e anche se sono sciocchezze...”.
Quando circola la voce che sia lesbica, Laguiller non si scompone: “Non lo sono,” – dichiara nel marzo 2000 – “ma se lo fossi lo direi: non mi disturba, non ho nessun pregiudizio al riguardo”. Certo, l’idea di un matrimonio aperto anche alle coppie formate da gay e da lesbiche non l’entusiasma: non, però, perché vorrebbe che continuasse l’attuale discriminazione, quanto piuttosto perché la candidata trozkista è “favorevole alle unioni libere, nel senso che credo si possa amare qualcuno senza avere la benedizione di qualcun’altro. Ma, ovviamente, tutti quelli che vogliono sposarsi, compresi gli omosessuali, devono poterlo fare”.
Maggiori perplessità, invece, sembra manifestare in una dichiarazione del 2004 a proposito dell’adozione da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso: “In una società come la nostra, nella quale l’omosessualità non è ancora più di tanto ammessa, l’adozione può causare problemi ai bambini?”.
2% delle intenzioni di voto secondo i sondaggi e nient’altro da segnalare.

Fonti: Le Monde, Têtu.

Foto: Arlette Laguiller (François, con licenza CC).

Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot, José Bové, Marie-George Buffet.

15 aprile 2007

Ritratti in rosa - Marie-George Buffet, comunista e fiera di esserlo

È il 5 giugno 2004. Il leader dei Verdi Noël Mamère celebra ufficialmente, in qualità di sindaco di Bègles, un matrimonio tra due uomini. Immediatamente scoppia in Francia una polemica senza precedenti, che offre il pretesto per un dibattito troppo a lungo represso. Il fracasso mediatico è enorme, grande almeno quanto la sfida lanciata da Mamère alla legge, che ancora non permette la piena uguaglianza tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali. In quei giorni caldi, una delle voci che non manca di farsi sentire è quella della figura più autorevole del Partito Comunista Francese. È una donna, si chiama Marie-George Buffet, ed è segretaria da circa tre anni. Esprime la propria solidarietà e il proprio sostegno a Mamère, si dice convinta che il matrimonio deve essere aperto anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso; se poi queste potranno anche adottare, si vedrà. Una piccola incertezza, quest’ultima, che la segretaria del PCF mostra di aver oggi completamente superato: “Ciò che è concesso agli etero lo sia anche agli omosessuali”, è il suo slogan.
La carriera di Marie-George Buffet si è snodata intorno ai due assi tipici, quello dell’apparato di partito e quello delle istituzioni. Quando, nel 1969, s’iscrive per la prima volta al PCF, Buffet è studentessa e al tempo stesso lavora come impiegata del comune di Plessis-Robinson. Ha vent’anni. Si fa le ossa al sindacato degli studenti, l’UNEF, poi, nel 1977, è nominata assessora comunale a Châtenay-Malabry. Nel 1987 entra a far parte del Comitato centrale del partito e nel 1994 diventa membro del Bureau national. Membro della Segreteria dal 1997, quello stesso anno Marie-George Buffet viene eletta deputata. Al potere sbarca la gauche plurielle, l’alleanza tra socialisti, comunisti e verdi, uscita vittoriosa dalla prova delle urne. Il premier Lionel Jospin la nomina ministro della gioventù e dello sport, carica che ricoprirà per cinque anni, fino al 2002. Nel frattempo, il trentunesimo congresso la elegge Segretaria nazionale. Si spende allora per allargare gli orizzonti del suo partito a una “sinistra popolare”, aprendo ai movimenti della società civile. L’11 maggio 2005, il PCF firma l’appello dei collettivi antiliberali per un’alleanza di tutta la sinistra radicale, diciotto giorni prima della vittoria che questi stessi gruppi riporteranno nelle urne del referendum sulla Costituzione europea, dove prevale il No.
Eppure, di quello spirito unitario oggi sembra rimanere molto poco. Marie-George Buffet è solo testimone della frammentazione della sinistra francese o, insieme al suo partito, ne è anche artefice? È quest’ultima accusa quella che brucia di più, quella che le viene sempre mossa da quando, il 20 dicembre scorso, la maggioranza dei circa settecento collettivi antiliberali sparsi sul territorio francese, l’ha eletta candidata alle elezioni presidenziali. Ciò che le è mancato, infatti, è stato l’appoggio del Collettivo nazionale, presso il quale Buffet non ha riscosso i consensi necessari, sospettata com’è di non disdegnare un ritorno al governo insieme ai socialisti. A quel punto, con grande scorno dei militanti, per il progetto di una candidatura unica è suonato il requiem. Tuttavia la segretaria del PCF, come del resto gli altri candidati della sinistra radicale, nella sua campagna si sforza di apparire come la portavoce di tutti i gruppi e i partiti che si oppongono al liberalismo e alla mondializzazione così come è concepita oggi.
In questo quadro, un posto di tutto rispetto Marie-George Buffet lo riserva alle politiche glbt: “Le discriminazioni si sommano l’una all’altra e tutte e tutti abbiamo qualcosa da guadagnare nel contrastarle” – afferma la segretaria del PCF – “poiché alla fine sono le classi popolari, i lavoratori dipendenti, le persone più fragili che patiscono di più il sessismo, il razzismo o l’omofobia”. “È un dramma umano indicibile!” – esclama a proposito del suicidio dei gay e delle lesbiche – “come volete sentirvi fieri e fiere di voi quando vi si dice che siete un pericolo per l’umanità? O sentirvi parte integrante della società quando dei politici possono permettersi ogni tipo di stigmatizzazione?”. Concretamente, la candidata comunista propone allora una legge contro l’omofobia (che Buffet ha già presentato in questa legislatura), la formazione per gli insegnanti, la modificazione dei programmi scolastici e la creazione di un corpo speciale d’ispettori “che abbiano accesso ovunque vi siano discriminazioni evidenti (nei luoghi di lavoro, nell’assegnazione degli alloggi, nei luoghi di svago, eccetera) e possano sanzionare chi discrimina”.
Il sì più importante, però, Marie-George Buffet lo pronuncia a proposito dell’apertura del matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso sesso, della possibilità per queste coppie di adottare, del pieno riconoscimento dell’omogenitorialità, tema, quest’ultimo, sul quale conduce un ragionamento assai realista: “Comunque la si metta, i gay e le lesbiche non hanno aspettato l’autorizzazione dello Stato per fare bambini e allevarli. Spesso con molto coraggio e tenacità, poiché devono affrontare ogni giorno un’amministrazione puntigliosa. È per questo che credo si debba [...] adattare lo Stato e i suoi servizi ai nuovi modelli familiari: monoparentali, omogenitoriali, ricomposti...”.
Di fronte al problema della mai sopita diffusione dell’HIV, Marie-George Buffet è favorevole a delle campagne d’informazione da effettuarsi con regolarità: “I giovani che scoprono oggi la loro sessualità, non hanno mai visto le immagini dei malati di Aids come è successo a noi negli anni 80, e possono avere l’impressione che sia una malattia ormai superata. Allora” – aggiunge la segretaria del PCF – “parliamo dei preservativi maschili e femminili, che restano le migliori protezioni contro la diffusione della malattia. E siamo espliciti nelle campagne informative, i giovani possono e devono capire”.
Certo, ammette infine Marie-George Buffet, “il Partito comunista non ha avuto una posizione lineare sulla questione delle minoranze sessuali, che non sempre sono state trattate con il rispetto che meritano. Tuttavia” – aggiunge orgogliosa – “il nostro non è un cambiamento improvviso. È da più di quindici anni che il PCF lavora su tali questioni”. La candidata comunista dice di non voler chiedere i voti dei gay e delle lesbiche in quanto tali “anche perché” – afferma – “non credo affatto che esista un voto omosessuale. Il mio programma si rivolge a tutte le cittadine e a tutti i cittadini che vogliono cambiare stabilmente la Francia, introdurre una novità a sinistra e battere la destra per molto tempo”.
L’unico dubbio che sorge legittimo, è se si possa davvero ambire a farlo con quel 3% che i sondaggi le assegnano o se non era il caso, come molti esponenti della sinistra radicale le avevano chiesto, di farsi da parte e lavorare per una candidatura davvero unitaria. La sentenza è fissata per il 22 aprile.

Fonti: Le Monde, Têtu, Wikipedia.

Foto: Marie-George Buffet (François, con licenza CC).

Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot, José Bové.

13 aprile 2007

Ritratti in rosa - José Bové, il candidato coi baffi

“Il primo ministro dovrà essere qualcuno che ha capito che il futuro del paese non si costruisce a spese del pianeta”. Ma anche: “il sistema proporzionale per le elezioni politiche” e “il salario minimo a 1500 euro netti”. Questi alcuni punti del programma di José Bové, il candidato alle presidenziali che incarna forse più di tutti lo spirito del movimento no global francese e che non esita a dichiarare di condividere “da più di trent’anni la lotta del movimento omosessuale”.
José Bové, che oggi ha 54 anni, possiede un curriculum di tutto rispetto. Pacifista, antimilitarista, simpatizzante dei movimenti operai cristiani, nel 1976 Bové si stabilisce nella regione del Larzac, nel sud della Francia, dove occupa una fattoria abbandonata su uno dei terreni che dovrebbero essere confiscati dall’esercito per ampliare un campo militare. Dopo anni di lotte a livello locale (e quattro mesi di prigione, i primi di una lunga serie), nel 1981 Mitterand annulla il progetto degli uomini con le stellette, ed è la prima vittoria. Bové milita allora nei sindacati del settore agricolo e, nel 1987, è tra i fondatori della Confédération Paysanne. Collocato nel campo della sinistra radicale, contrario all’idustria agroalimentare moderna, questo organismo di rappresentanza dei lavoratori dell’agricoltura rivendica il rispetto per i consumatori, per i contadini e per l’ambiente.
Le gesta successive di questo omaccione dai lunghi baffi sono diventate ormai quasi epiche: nel 1995 partecipa all’operazione di Greenpeace contro la ripresa degli esperimenti nucleari nell’Oceano Pacifico; nel 1998 è tra i fondatori dell’associazione altermondialista ATTAC e l’anno dopo è protagonista del boicottaggio di un cantiere di McDonald’s nella cittadina di Millau. Il suo impegno continua nel movimento no global: nel 1999 partecipa alle manifestazioni di Seattle contro l’Organizzazione Mondiale del Commercio, nel 2001 è a Genova contro il G8. Tra i suoi atti di disobbedienza civile, il più noto è certamente la distruzione di campi coltivati con organismi geneticamente modificati, protesta in seguito alla quale è condannato a dieci mesi di prigione.
Dopo aver sostenuto le ragioni del No al referendum sulla Costituzione europea nel 2005, Bové segue da vicino i tentativi di mantenere viva l’intesa tra i partiti della sinistra radicale che si sono riconosciuti, insieme a pezzi importanti della società civile, in quella lotta. L’obiettivo è la nomina di un candidato unico della “sinistra della sinistra” per le elezioni presidenziali. Dopo il fallimento di quel progetto, il 1° febbraio 2007 Bové annuncia la propria candidatura, intenzionato a perpetuare, per quanto possibile, proprio quello spirito unitario. Lo sostengono, tra gli altri, alcuni membri del Partito Comunista, dei Verdi e della Ligue Communiste Révolutionnaire.
Nella sua intensa campagna, José Bové non si è certamente risparmiato sulle questioni glbt: “Le coppie omosessuali devono godere degli stessi diritti di quelle eterosessuali, nell’ottica di un’applicazione ferrea del principio dell’uguaglianza”. Il candidato altermondialista respinge quindi l’idea, contrastata anche dalla federazione di associazioni Inter-lgbt, di un contratto apposito per gay e lesbiche: “D’altra parte” – aggiunge – “per quanto ho potuto constatare, le coppie formate da persone dello stesso sesso non domandano uno statuto specifico: perché allora inventarne uno?”.
E le adozioni? “Le coppie omosessuali [...] devono poter adottare dei bambini esattamente alle stesse condizioni delle coppie eterosessuali”, afferma sicuro. Inoltre, quando solo uno dei membri della coppia è il genitore del bambino, quest’ultimo deve poter essere adottato dal compagno o dalla compagna: “È paradossale”, secondo Bové, “che gli avversari di queste misure invochino sempre pretestuosamente l’interesse del bambino [...]: allo stato attuale, i figli di una famiglia omogenitoriale si trovano in una situazione di precarietà terribile, perché la morte del genitore legale li priverebbe allo stesso tempo anche dell’altro genitore”. “La rivendicazione dell’omogenitorialità” – dice ancora – “è una chance offerta a tutta la società, nella misura in cui ci spinge a spezzare il legame, di origine giudaico-cristiana, tra filiazione e riproduzione: non basta essere genitori biologici per essere anche genitori veri e propri e d’altra parte essere genitori veri e propri non implica necessariamente il fatto di essere anche genitori biologici. [...] È necessario riconoscerlo, nell’interesse dei bambini stessi”.
José Bové si mostra poi estremamente preparato anche sulle questioni del transessualismo e del transgenderismo. Spiega che “si deve fare in modo che i medici non abbiano tutto il potere di decidere chi può e chi non può seguire un percorso di riassegnazione sessuale, ma solo quello di aiutare le persone che desiderano cambiare sesso ad essere sicure del carattere definitivo della loro decisione e di accompagnarle in questo percorso. Certi tribunali” – aggiunge poi – “esigono delle perizie prima di concedere il cambiamento del sesso anagrafico, altri non le domandano. Quando queste perizie si svolgono, dopo l’operazione di cambiamento di sesso” da maschio a femmina, “questo cosiddetto ‘esperto’ considera che una vera donna deve avere rapporti sessuali con degli uomini. Allora l’assenza di sessualità o la presenza di una sessualità omosessuale può compromettere il diritto al cambiamento del sesso anagrafico: questo è assurdo e scandaloso”. Perciò: cambiamento automatico del sesso nei documenti dopo l’operazione o anche senza di essa, “quando una persona vive ed è conosciuta come appartenente ad un sesso che non è quello dichiarato alla sua nascita”.
Per quanto riguarda poi le difficoltà incontrate dalle coppie pacsate di cui uno dei membri sia di nazionalità extraeuropea, Bové afferma che “il governo di Lionel Jospin è rimasto prigioniero di una visione dei flussi migratori che è tipica della destra [...]. Com’era prevedibile, le cose si sono aggravate quando quest’ultima è tornata al potere ed ha cominciato, con Sarkozy, a espellere alcune persone pacsate con dei cittadini francesi o con stranieri che vivono regolarmente in Francia. Ovviamente erano omosessuali, visto che gli e le eterosessuali avevano la possibilità di sposarsi e quindi di ottenere automaticamente, per il coniuge straniero, il permesso di soggiorno”. Il candidato altermondialista inquadra il problema nella questione più generale dell’immigrazione e dei rapporti Nord-Sud, ma nello specifico risponde che le persone straniere pacsate devono potersi “stabilire in Francia esattamente come quelle sposate”.
Non è meno tranchant sui problemi legati al diritto d’asilo: “Chiedere a un gay o a una lesbica di provare le persecuzioni delle quali è vittima nel suo paese d’origine è un delirio, così come chiedere, come è stato fatto talvolta, di provare la propria omosessualità. [...] Bisogna che l’orientamento omosessuale, quando è perseguito in un certo paese, sia riconosciuto come un motivo valido per chiedere l’asilo, così come le violenze contro le donne o i matrimoni forzati”.
Queste, e altre ancora, sono le grandi aperture di Bové sui temi caldi delle rivendicazioni glbt ed è forse lui il candidato della sinistra radicale che ha risposto alle domande postegli dall’Inter-lgbt con più calore e partecipazione. Certo è che i sondaggi non gli assegnano più del 2% dei consensi, ma lui non demorde: “la gente vuole mandare un segnale, potrebbe esserci qualche sorpresa”. Comunque vadano le cose il prossimo 22 aprile, José Bové ha dichiarato ieri che, al secondo turno, voterà “per il candidato di sinistra che si sarà piazzato meglio”, lasciando i suoi elettori “votare per chi vogliono”.

Fonti: Inter-lgbt, Le Monde, Wikipedia.

Foto: José Bové (François, con licenza CC).

Ritratti precedenti: François Bayrou, Olivier Besancenot.

11 aprile 2007

Ritratti in rosa - Olivier Besancenot, il postino dalle spalle strette

A 14 anni milita all’associazione SOS Racisme, subito dopo si iscrive alla Gioventù Comunista rivoluzionaria (JCR). Poi apre una sezione del sindacato CGT (l’equivalente dell’italiana CGIL) nel supermercato di Levallois-Perret, dove lavora per pagarsi gli studi universitari in storia contemporanea. Dal 1997 è postino a Neuilly-sur-Seine, comune dell’immediata periferia parigina e rifiugio dell’alta borghesia, il cui ex-sindaco, Nicolas Sarkozy, è oggi uno dei suoi principali avversari nella corsa per la presidenza della Repubblica.
Olivier Besancenot, 34 anni il 18 aprile prossimo, ha uno sguardo dolcissimo. Veste spesso in jeans, felpa e scarpe da ginnastica. Viso da ragazzino, spalle incredibilmente strette, Besancenot è uno dei tre portavoce – in realtà la figura più in vista – della Ligue Communiste Révolutionnaire, un partito di tradizione trotzkista che cita volentieri Rosa Luxemburg o Che Guevara.
È il più giovane sfidante di queste presidenziali, ma per il candidato in divisa blu (questo il colore adottato dall’amministrazione francese per i suoi postini) non è la prima volta: Olivier Besancenot, infatti, è già stato candidato cinque anni fa e, subito dopo il passaggio al secondo turno di Jean-Marie Le Pen, leader dello xenofobo Front National, è stato accusato, insieme agli altri rappresentanti della sinistra radicale, di aver contribuito alla frantumazione del voto e alla sconfitta di Lionel Jospin, allora primo ministro uscente socialista.
Dopo la vittoria del No alla Costituzione europea del maggio 2005, ottenuta anche grazie al forte impegno della LCR, Besancenot ha rifiutato di aderire al raggruppamento della “sinistra della sinistra” che, fino all’anno scorso, costituiva la principale speranza dei militanti antimondialisti. Temeva, il leader della LCR, che una candidatura unica non offrisse garanzie sufficienti contro una riedizione della gauche plurielle, l’alleanza che aveva visto il Partito Comunista Francese governare con il Partito Socialista durante l’amministrazione di Jospin. Ogni speranza di unione tra i partiti di quella che qui viene chiamata l’“extreme gauche”, è svanita il 20 dicembre scorso, quando il PCF ha deciso di candidare alle presidenziali la propria segretaria, Marie-George Buffet.
Quale che sia l’opinione sulla LCR e su Besancenot, non si può non riconoscere a quest’ultimo la chiarezza delle idee e la grande apertura sulle rivendicazioni glbt. Tanto da poter dire che la LCR assume pienamente, quasi come fossero suoi, i punti caratterizzanti della linea politica del movimento francese, e con grande convinzione.
Il matrimonio, per esempio. La federazione di associazioni Inter-lgbt gli chiede: “È favorevole all’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso e all’adozione?”. Risposta: “Senza alcuna reticenza. Noi non siamo dei fan dell’istituzione matrimoniale, ma va da sé che sottoscrivere o meno un matrimonio deve dipendere soltanto da una scelta personale. Siamo anche favorevoli all’omogenitorialità, sotto forma di adozione o altro”. La lotta alle discriminazioni, secondo Besancenot, “richiederà un arsenale di leggi e di decisioni politiche, la cui parte essenziale dovrà essere realizzata nel primo anno di legislatura”. Pura demagogia? Ma se ci è riuscito Zapatero, perché non dovrebbe essere possibile anche qui?
Dunque sì anche all’equiparazione dei diritti sociali e in materia di fisco e d’immigrazione tra le coppie pacsate e quelle sposate; sì all’inseminazione artificiale e alla fecondazione in vitro per le coppie composte da sole donne; sì al cambiamento del sesso anagrafico per le persone trans senza obbligo di effettuare l’operazione del cambio di sesso anatomico; sì a una ridefinizione della lista di malattie di lunga durata, in modo che transessualismo e transgenderismo non siano più definiti “turbe gravi della personalità” (“sperando che non ci voglia lo stesso tempo che è occorso per disfarsi di questa definizione nel caso dell’omosessualità” – aggiunge il candidato LCR).
Per lottare efficacemente contro le discriminazioni, Besancenot propone che i programmi scolastici includano la stigmatizzazione dell’omofobia e informino sugli “orientamenti sessuali alternativi”. Inoltre, per contrastare efficacemente le discriminazioni sul luogo di lavoro, in attesa di un miglioramento dei testi legislativi (in Francia sono già oggi punite le affermazioni omofobe e l’omofobia costituisce un’aggravante nella motivazione dei delitti), Besancenot suggerisce di “istituire nelle imprese l’obbligo di un bilancio annuale” su questo tema “davanti a delle commissioni paritarie”, in collaborazione con le associazioni interessate. Per il leader della Ligue Communiste Révolutionnaire, infine, è necessaria la creazione di un numero verde gratuito di sostegno psicologico per i giovani, tra i quali le persone glbt corrono un rischio di suicidio da 7 a 13 volte più alto rispetto ai loro coetanei eterosessuali.
Quanto riuscirà a contare realmente, a sinistra, Olivier Besancenot? Quanti elettori, traumatizzati dal duello Chirac-Le Pen al secondo turno delle presidenziali del 2002, sceglieranno adesso il cosiddetto “voto utile”, quello che dovrebbe premiare la candidata socialista fin dal primo scrutinio? Se alle scorse presidenziali Besancenot aveva raccolto un milione trecentomila voti, pari al 4,25% dei consensi, oggi i sondaggi – da considerare, come sempre, con estrema cautela – lo danno al 3,5 o, nel migliore dei casi, al 5%. Stabile, insomma.
Con queste cifre, logico che ci si interroghi già sulla posizione della LCR rispetto ai ai due candidati ammessi al secondo turno o sul risultato che questo partito potrebbe conseguire alle politiche del giugno prossimo. E soprattutto sugli equilibri futuri della sinistra alternativa francese, certo influente, ma ancora una volta fortemente divisa.

Fonti: Inter-lgbt, Le Monde, Wikipedia.

Foto: Olivier Besancenot (François, con licenza CC).

Ritratti precedenti: François Bayrou.

09 aprile 2007

Ritratti in rosa - François Bayrou, il terzo incomodo

Nato il 25 maggio 1951, figlio di due agricoltori, François Bayrou è segretario del partito centrista UDF (Union pour la démocratie française). Dopo aver rifiutato di convergere nel grande raggruppamento della destra, cioè l’UMP (Union pour un Mouvement Populaire) di Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy, Bayrou è riuscito ad assicurare al proprio partito una relativa visibilità. Certo, in Parlamento l’UDF si è spesso collocata a fianco della maggioranza di destra uscita vittoriosa dalle elezioni del 2002, ma ha conservato margini di manovra sufficientemente ampi da consentirle di votare, per esempio, una mozione di sfiducia al governo di Dominique de Villepin, nel 2006.
In un sistema politico usurato, distante dai cittadini e fortemente diviso tra una destra dal volto sempre più duro e una sinistra che fatica a ritrovare le ragioni della propria esistenza, François Bayrou sta conquistando molti di quegli elettori insoddisfatti della campagna di Nicolas Sarkozy e di Ségolène Royal. Non a caso i sondaggi più recenti gli assegnano una quota di consensi che oscilla tra il 18 e il 21%, in crescita.
È proprio sui temi tradizionalmente considerati patrimonio della sinistra, come per esempio le questioni legate all’orientamento sessuale, che Bayrou ha spiazzato la candidata del Partito Socialista, dichiarando: “Il PaCS è insufficiente. Sono quindi favorevole al riconoscimento delle coppie omosessuali, con delle regole che siano identiche a quelle che si applicano ai coniugi sposati”. Il problema, per il leader dell’UDF, sarebbe meramente nominalistico: “La parola matrimonio, per molti francesi, significa l’unione di un uomo e di una donna. Penso che si debba rispettare quest’idea”, afferma, preferendo parlare di “unioni civili”, le quali resterebbero comunque accessibili anche alle coppie eterosessuali.
A ben vedere, tuttavia, lo statuto dell’unione civile non sarebbe per nulla identico a quello del matrimonio, poiché il candidato centrista non intende concedere alle coppie contraenti un’unione civile l’accesso all’adozione, ma conferire soltanto la possibilità, per uno dei membri della coppia, di adottare il figlio dell’altro. “Quale coppia eterosessuale” – si chiede la federazione di associazioni Inter-lgbt – “accetterebbe un’unione che cumula in sé gli inconvenienti del matrimonio, cioè la sua rigidità, e quelli del PaCS, cioè l’assenza dei diritti connessi alla genitorialità?”. Di conseguenza, perché dovrebbero accettarla le coppie omosessuali?
Certo, niente a che vedere con ciò a cui noi italiani siamo avvezzi quando parlano i democristiani di casa nostra, eppure da queste parti basta e avanza per suscitare lo scontento del mondo associativo glbt. Tanto più che le prese di posizione di Bayrou sono estremamente evasive a proposito di molte altre rivendicazioni, come il miglioramento del diritto di soggiorno per le persone straniere pacsate con un francese, o il diritto d’asilo per le persone glbt, o ancora l’accesso per le coppie formate da sole donne alla procreazione medicalmente assistita o il cambiamento del sesso anagrafico per le persone transessuali senza obbligo di effettuare l’operazione di cambiamento di sesso.
In ogni caso è possibile che il segretario dell’UDF, con le sue timide aperture, possa attirare il voto di quei gay e di quelle lesbiche ancora indecisi. Chissà che la sera del 22 aprile questo terzo incomodo, che ha già dato molto filo da torcere ai due candidati favoriti, non costituisca la vera sorpresa di queste elezioni presidenziali.


Foto: François Bayrou a un meeting elettorale (François, con licenza CC).

08 aprile 2007

Un bilancio

Mancano ormai solo due settimane al primo turno delle elezioni presidenziali francesi e gay, lesbiche, bisessuali e transessuali d’Oltralpe si interrogano su quale potrà essere il futuro delle loro lotte, dopo che saranno resi noti i risultati definitivi e si conoscerà il nome del prossimo capo dello Stato.
Intanto però, è l’ora di tracciare un bilancio della legislatura che si conclude nel giugno prossimo, poco dopo la scadenza del mandato del presidente uscente, Jacques Chirac: quali passi avanti sono stati ottenuti dalla comunità glbt negli ultimi cinque anni? E quali sono invece le battute d’arresto?
L’Inter-lgbt, federazione che riunisce le associazioni organizzatrici del pride nazionale, nel resoconto sullo stato di avanzamento delle proprie rivendicazioni, ricorda che nel 2002 “l’appello unanime del mondo associativo a far fronte contro Jean-Marie Le Pen e a votare per il candidato Jacques Chirac non era per niente motivato da qualsivoglia impegno di quest’ultimo sulle questioni glbt”. In ogni caso, pur trovandosi davanti a una maggioranza conservatrice di destra, l’Inter-lgbt ha scelto di tentare comunque un dialogo e di fare pressione sulle istituzioni per ottenere il massimo possibile. Non senza qualche risultato concreto.
Il più importante di tutti, probabilmente, è stato il rafforzamento della lotta contro la discriminazione, che si è espresso attraverso misure di carattere penale. Grazie a due leggi (18 marzo 2003 e 9 marzo 2004), l’omofobia in Francia è ormai considerata una circostanza aggravante nei casi di omicidio o di lesioni, così come in caso di minaccia, di furto o di estorsione: la persona riconosciuta colpevole di questi delitti incorre quindi in pene più pesanti rispetto a prima.
Inoltre, al termine di una lunga battaglia combattuta strenuamente dal movimento francese, è stata approvata una legge (30 dicembre 2004) che sanziona le affermazioni discriminatorie (ingiurie, diffamazioni, incitazioni all’odio) basate sul sesso, l’orientamento sessuale o l’handicap della vittima, con la stessa severità con la quale sono punite le dichiarazioni razziste, permettendo tra l’altro alle associazioni glbt di costituirsi parte civile. Una prima applicazione di questa legge si è avuta con il processo al deputato del principale partito di destra (UMP) Christian Vanneste, il quale è stato riconosciuto colpevole di “ingiuria basata sull’orientamento sessuale” sia in primo grado sia in appello, per aver affermato che “l’omosessualità è inferiore all’eterosessualità” e costituisce “una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità”.
Se il 29 giugno 2000 il Consiglio d’Europa varava una direttiva sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, in un discorso tenuto a Troyes il 14 ottobre 2002 il presidente Chirac andava molto oltre: “Desidero che venga creata un’autorità indipendente per lottare contro tutte le forme di discriminazione, siano esse motivate da razzismo, da intolleranza religiosa, da sessismo o da omofobia”. La risposta è stata la HALDE (Autorità per la lotta contro le discriminazioni e per l’uguaglianza), con compiti di assistenza alle vittime di discriminazioni, di promozione dell’uguaglianza e di consulenza per le autorità pubbliche. Tuttavia, l’Inter-lgbt ha rimproverato alla maggioranza di destra di aver marginalizzato il mondo associativo al quale spetta, secondo la legge istitutiva, un ruolo puramente consultivo nella gestione di questo nuovo organismo. Successivamente, quando il Comitato consultivo della HALDE si è costituito, nessuna delle associazioni glbt che si era candidata a farne parte, è stata ammessa. Non solo: l’Autorità non contempla nel proprio campo d’azione le discriminazioni fondate sull’identità di genere.
Per quanto riguarda poi la prevenzione delle discriminazioni, che dovrebbe essere condotta soprattutto nelle scuole, il governo e la sua maggioranza hanno brillato per la loro assenza: secondo l’Inter-lgbt, “l’inesistenza di una politica sistematica e generalizzata di formazione per il personale della Pubblica Istruzione, gli ostacoli posti agli interventi del mondo associativo in ambito scolastico, il palese disinteresse dei diversi ministri del Lavoro, della Solidarietà sociale e della Pubblica Istruzione per la lotta contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, [...] costituiscono il punto più critico del bilancio di questo governo”.
Un giudizio solo leggermente più lusinghiero viene espresso sulla condizione di gay e lesbiche che vivono in coppia. È pur vero che il PaCS è stato migliorato in materia di fisco (soprattutto col varo dell’imposizione comune immediata e non più dopo 3 anni di convivenza certificata) e negli aspetti civili come, per esempio, il regime della separazione dei beni (anche se è fatta salva la possibilità di scegliere la condivisione). Tuttavia il legislatore francese ha escluso sistematicamente la possibilità, per il partner che resta dopo la morte del proprio compagno col quale era pacsato, di ereditare i suoi beni o di godere della reversibilità della pensione.
Niet anche al matrimonio per le coppie formate da persone dello stesso sesso: “la differenza sessuale costituisce un elemento essenziale del matrimonio”, secondo le conclusioni di una commissione parlamentare “sulla famiglia e i diritti del bambino” voluta dal presidente dell’Assemblée Nationale – l’equivalente della nostra Camera dei Deputati – Jean-Louis Debré. Un no secco anche al riconoscimento dell’omogenitorialità, contro la quale più di trecento parlamentari della destra hanno stilato un documento d’intesa: gay e lesbiche “hanno scelto una vita senza possibilità di avere figli” – sostengono – ed ecco spiegata, almeno secondo loro, l’opposizione a qualsiasi apertura in questo senso.
Nessuna novità da registrare per le coppie omosessuali formate da un francese e uno straniero proviente da un paese extraeuropeo. Quest’ultimo, infatti, allo stato attuale, può richiedere un permesso di soggiorno che gli consenta di svolgere legalmente un lavoro, soltanto se può provare di aver vissuto insieme al proprio partner francese (col quale deve comunque essere pacsato) da almeno un anno. Quando un precedente permesso di soggiorno (per motivi di studio, per esempio) scade (e non sia rinnovabile) prima che sia trascorso un anno di convivenza, l’immigrato si trova automaticamente in situazione irregolare, senza nessun’altra soluzione possibile se non quella di attendere il momento giusto per chiedere l’ambìto permesso “per motivi di famiglia”. Col conseguente fardello d’incertezza e di precarietà (oltre che d’illegalità) che questo comporta.
Le associazioni glbt contestano anche una lista, stilata dall’Ufficio di protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA), nella quale si enumerano i paesi ritenuti “sicuri”, cioè quelli nei quali si rispettano “i principi di libertà, di democrazia e dello stato di diritto, così come i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali”. I rifugiati provenienti da questi Stati, infatti, si vedono automaticamente rifiutare la loro domanda d’asilo in Francia. Peccato che fra essi risultino anche il Benin, il Capo Verde, l’India, il Mali e il Senegal, tutti paesi dove l’omosessualità è condannata dalla legge.
Sul piano della diplomazia, poi, il governo francese non ha condannato apertamente l’arresto in Arabia Saudita, il 26 marzo 2005, di 31 uomini accusati di “comportarsi come delle donne”, puniti con diversi anni di prigione e duemila frustate; ed ha latitato anche quando due adolescenti iraniani sono stati impiccati a Mashhad nel luglio dello stesso anno. Inoltre, nell’agosto scorso, il Quai d’Orsay non ha approfittato dell’occasione offerta dalla visita del presidente del Camerun Paul Biya a Parigi, per protestare contro la dura repressione omofoba in atto in quel paese. Durante il vertice franco-africano del marzo 2003, del resto, il cinismo dimostrato dalle istituzioni francesi nei confronti delle condizioni in cui versano le persone glbt in Zimbabwe, aveva già toccato la massima espressione con i ricevimenti organizzati per il presidente Robert Mugabe: nonostante il divieto di soggiorno in Europa a causa delle sue ripetute violazioni dei diritti umani, Mugabe, le cui incitazioni all’odio contro gay e lesbiche sono note, è stato accolto nella capitale francese in pompa magna.
Su tutt’altro piano, infine, le associazioni gay e lesbiche possono invece ritenersi soddisfatte, poiché hanno ottenuto il riconoscimento pieno e inequivocabile, da parte della massima autorità dello Stato, della deportazione degli omosessuali durante la seconda guerra mondiale. In un discorso solenne tenuto il 24 aprile 2005 sotto l’Arco di Trionfo a Parigi, Jacques Chirac ha dichiarato: “Noi siamo qui per ricordare che la follia nazista voleva eliminare i più deboli, i più fragili, le persone colpite da handicap la cui stessa esistenza costituiva un affronto alla loro concezione dell’uomo e della società. In Germania, ma anche sul nostro territorio, quelle e quelli che si distinguevano nella loro intimità – penso agli omosessuali – erano perseguitati, arrestati o deportati. Oggi noi sappiamo che la tolleranza e il rifiuto delle discriminazioni appartengono al fondamento intangibile dei diritti umani. Sappiamo anche che la lotta per accettare l’altro e le sue differenze non è mai terminata. Essa rimane una delle più vive per la nostra Repubblica”.
Come si vede, si tratta di un bilancio in chiaroscuro, con poche luci e molte ombre, tra le quali figura anche l’impasse totale nel quale si trovano le rivendicazioni dei/delle trans. Comunque vadano a finire le prossime consultazioni elettorali, insomma, “y’a encore du boulot”, c’è ancora molto da fare.

Fonte: Inter-lgbt.

Foto: Jacques Chirac (Morganommer con licenza CC).