Catania Pride 2008 - 5 luglio

30 gennaio 2007

Placet

C’è chi, a destra, le interpreta come un’indebita intromissione in un dibattito che riguarda il Governo e il Parlamento e chi, a sinistra, trova conforto in quelle parole. In realtà, le dichiarazioni che il Presidente della Repubblica ha rilasciato ieri al termine della sua visita a Madrid – sulle unioni civili si troverà “una sintesi” che tenga conto “delle preoccupazioni espresse dal Pontefice e dalle alte gerarchie della Chiesa” – confermano una volta di più, e al livello più autorevole, che una legge decente sul riconoscimento delle coppie di fatto possiamo scordarcela per almeno altri cinque anni.
Il compito istituzionale affidato qualche mese fa a Giorgio Napolitano non contempla la ricerca di una mediazione con gli esponenti della chiesa cattolica finalizzata all’elaborazione di una legge della Repubblica del quale è il massimo rappresentante. Sembra uno scherzo, eppure il cosiddetto garante della Costituzione, la quale all’articolo 7 prevede esplicitamente la separazione fra Stato e Chiesa, ha pensato bene di calpestarla proprio davanti a Zapatero, cioè quel presidente del Consiglio spagnolo che ha ribadito coi fatti, e non solo a parole, che il suo è uno Stato perfettamente laico che legifera autonomamente, non secondo i dettami di un’istituzione estranea alla vita pubblica.
Purtroppo non c’è niente da ridere. Con il suo gravissimo gesto, Napolitano si è sostanzialmente impegnato a far sì che la sua firma in calce alla legge sulle unioni civili che dovesse essere approvata dal Parlamento, valga non tanto come garanzia della costituzionalità della stessa, quanto piuttosto come assicurazione data a quella “componente di storica ispirazione cattolica all’interno della maggioranza di centrosinistra” che non intende in alcun modo conferire dignità legale a quelle coppie che, per scelta o per obbligo, vivono fuori dal matrimonio. Fossimo nel tanto agognato “paese normale”, qualcuno penserebbe seriamente di censurare il capo dello Stato avviando una procedura per attentato alla Costituzione. Perché di questo si tratta.
Nessuno lo farà, ovviamente, e si preferirà tappare definitivamente la bocca a quanti fino a ieri potevano ancora illudersi di riportare sui binari della laicità l’azione di un governo che, in tema di PaCS, era già partito con l’ipotesi peggiore – quell’indecente compromesso al ribasso dal quale restavano esclusi i diritti della coppia, ma si riconoscevano fantomatici “diritti individuali”. Il pronunciamento di Madrid costituisce senza ombra di dubbio un piccolo avvenimento storico: coloro che auspicano un’Italia ancor più confessionale di quanto già non sia – cioè, a sinistra, l’Udeur, la Margherita e i DS – hanno trovato la loro sponda ideale, l’autorevole avallo. Giorgio Napolitano porterà per sempre la responsabilità di aver contribuito, col suo peso politico, all’imbarbarimento del paese di cui è presidente e di aver dato in pasto alle follie medievaleggianti delle gerarchie cattoliche, milioni di vite. Tra le quali la mia. Potrebbe mai essere Giorgio Napolitano, secondo voi, il mio presidente? E voi, pensate di essere degnamente rappresentat* da lui?
Se noi lasciassimo correre, se aprissimo le braccia dicendo “che ci vuoi fare, è l’Italia”, cederemmo al Vaticano consapevolmente – e, dal mio punto di vista, colpevolmente – la sovranità che ci appartiene in quanto popolo. Certo, questo è accaduto già innumerevoli volte, tra le quali una delle ultime è stata la legge sulla procreazione medicalmente assistita e il disastroso referendum che ne è seguito. A maggior ragione, dunque, l’attuale battaglia sui PaCS si presenta come un’importante occasione per riaffermare che le decisioni di uno Stato non devono seguire in nessun caso gli orientamenti delle gerarchie di alcuna confessione religiosa, fosse anche quella che la maggioranza di un popolo apparentemente professa nella sua intimità.
Abbiamo due appuntamenti per dar voce alle nostre frustrazioni ma soprgattutto alle nostre rivendicazioni: NO VAT, il 10 febbraio a Roma e, sempre nella capitale ma un mese dopo, il 10 marzo, una manifestazione a sostegno dei PaCS indetta da tutto il movimento glbt italiano. Saranno due momenti durante i quali dovrà farsi sentire anche chi, pur non essendo gay, lesbica, bisessuale o transessuale, intende comunque difendere la laicità dello Stato e vedere riconosciuti i diritti di tutte quelle persone (omosessuali, certo, ma anche eterosessuali) costrette a vivere un legame affettivo che la nostra Repubblica si ostina a considerare inferiore.

Post interessanti sullo stesso argomento: Libero Stato (o quasi) in libera Chiesa (Disorder), Non girarti dall’altra parte. Non stavolta (Mark).
Per un'interpretazione più benevola delle dichiarazioni di Napolitano: Napolitano, i Pacs e il compromesso dell'articolo 7 (Aelred).

28 gennaio 2007

Papata 15 - Perfino

La voce del Papa, questa volta, si è fatta udire con molta fatica. Almeno stando a rapide ricerche su internet, mi sembra che i principali quotidiani presenti in rete abbiano dedicato al suo discorso di ieri al Tribunale della Sacra Rota solo pochissimo spazio. La “notizia”, se così possiamo chiamarla, oggi è praticamente già scomparsa. Vuoi vedere che alla lunga i dischi che s’inceppano, seppur provenienti da Oltretevere, vengono a noia anche ai media italiani?
Ma cosa ha detto il Pontefice parlando a “prelati uditori, officiali e avvocati”? Ha sostanzialmente ribadito che il matrimonio è a rischio, perché

“non solo diventa contingente come lo possono essere i sentimenti umani, ma si presenta come una sovrastruttura legale che la volonta’ umana potrebbe manipolare a piacimento, privandola perfino della sua indole eterosessuale”.

Un chiaro riferimento ai PaCS, l’ennesimo sbocco omofobo di Ratzinger, il quindicesimo dalla sua elezione al soglio pontificio. Eppure qualcosa sembra lentamente cambiare nell’immagine che i cattolici italiani offrono di loro stessi o di quella rinviata dai media. Per esempio, da un sondaggio dell’istituto Swg risulta che in Italia il 53% dei cattolici praticanti ritiene “non corretti” gli interventi della Chiesa nella sfera pubblica, mentre un reportage dell’Espresso mostra quanta ipocrisia si ritrovi nelle parole dei sacerdoti che quotidianamente devono applicare i diktat papali: intransigenti su aborto e fecondazione assistita, per esempio, i confessori sentiti dal giornalista Riccardo Bocca lo sono molto meno sulle frodi fiscali o sul sesso con minorenni.
L’ambito nel quale il martellamento omofobo continua a provocare un effetto sicuro, rimane comunque la classe politica italiana, anche quella di centrosinistra, che sembra in gran parte bloccata su posizioni arretrate, del tutto incapace di offrire un quadro giuridico adeguato alle convivenze. È vero che proprio ieri è stato Romano Prodi in persona ad assicurare che il governo presenterà a breve (comunque oltre il termine inizialmente previsto, e cioè il 31 gennaio) il disegno di legge sulle unioni civili, di cui si discute già da molto tempo. È altrettanto vero, però, che molti segnali fanno presagire il peggio.
Rosy Bindi ha posto le sue condizioni per il via libera al provvedimento: la reversibilità della pensione potrebbe essere concessa alle coppie di fatto solo dopo l’approvazione di un’adeguata riforma previdenziale e non sarà corrisposta nel caso di convivenze di durata inferiore a dieci o, forse, a quindici anni. Inoltre, pur di non riconoscere ufficialmente l’esistenza di una coppia fuori dal matrimonio, non verrebbe istituito nessun registro delle unioni civili nel comune di residenza dei conviventi, ma si introdurrebbe la possibilità di redigere una semplice annotazione all’anagrafe che certifichi l’esistenza di quell’unione. Su questo punto il premier ha consigliato Bindi e Pollastrini di consultare il ministro dell’Interno, Giuliano Amato. Cioè quello stesso Dottor Sottile che, da presidente del Consiglio nelle settimane che hanno preceduto il World Pride di Roma del 2000, rispondendo ad una interrogazione parlamentare che gli chiedeva di vietare la manifestazione perché avrebbe recato turbamento alle celebrazioni del Giubileo, affermò: “Purtroppo la Costituzione non ce lo permette”.
Che un riconoscimento chiaro ed inequivocabile delle coppie di fatto possa venire dal disegno di legge governativo è escluso in partenza dalle infauste sette righe del programma dell’Unione, il cui contenuto è stato ribadito dallo stesso Prodi: “Non ci saranno attentati alla famiglia, ma solo diritti individuali riconosciuti”.
A questo punto sta a noi, che consideriamo questa come una battaglia importante – certo, non l’unica – per il riconoscimento dei nostri diritti, continuare a chiedere con fermezza e con una determinazione ancora più forte, ciò che da troppo tempo ci è dovuto. La Conferenza Episcopale Italiana tuona anche oggi contro di noi? Mastella minaccia di votare contro il disegno di legge sulle unioni civili e paventa un cambio di maggioranza su tali questioni? Abbiamo tre occasioni, tre appuntamenti già stabiliti, durante i quali possiamo cantargliela: il 10 febbraio alla manifestazione No Vat organizzata da Facciamo Breccia, il 10 marzo alla manifestazione unitaria a sostegno dei PaCS, e il 9 giugno al Pride nazionale che si terrà a Roma, la capitale della confusione tra Stato laico e Stato confessionale, la capitale dell’equivoco.

Fonti: Adnkronos via Gaynews, L’Espresso, la Repubblica.
Antidoto: Facciamo Breccia.

25 gennaio 2007

Podcast 3 - PaCS, stato di agitazione permanente

A Roma e a Milano si sono svolte questa sera, quasi contemporaneamente, due manifestazioni organizzate dal movimento glbt italiano nell’ambito dello “stato di agitazione permanente” proclamato da tutte le associazioni per rivendicare una legge decente in materia di PaCS.
Speriamo di avere presto da romani e milanesi qualche cronaca su come è andata questa mobilitazione che è soltanto la prima di una serie di iniziative che culmineranno il 10 marzo con una nuova manifestazione a Roma, e il 9 giugno con il Pride nazionale, sempre nella capitale.Nell’attesa, vi propongo una sintesi della conferenza stampa tenuta a Montecitorio il 24 gennaio per annunciare l’inizio dell’“agitazione permanente”. Erano presenti: Carlo Bolino (Arcigay), Titti De Simone (Rifondazione Comunista), Enrico Giordani (CoMoG), Franco Grillini (DS), Francesca Grossi (Arcilesbica Roma), Luca Liguoro (Rosa Arcobaleno), Vladimir Luxuria (Rifondazione Comunista), Andrea Maccarone (Circolo Mario Mieli), Giorgio Morelli (Di’ Gay Project), Paolo Sordini (gruppo PESCE).


[File originale disponibile in licenza CC sul sito di RadioRadicale].





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14 gennaio 2007

Camerun, l'omofobia continua a colpire

Questo blog ha potuto avere in anteprima, e da fonte attendibile, una notizia che comparirà in Francia solo domani a cura della rivista glbt francese Têtu.
Charles Gueboguo, un sociologo camerunense di ventisette anni che ha appena pubblicato il primo saggio di sociologia consacrato all’omosessualità nell’Africa subsahariana, è stato testimone, insieme a un giornalista di Têtu, della detenzione di François Ayissi, arrestato giovedì scorso a Yaoundé, in Camerun, e tuttora trattenuto al commissariato di Bastos. L’accusa mossa all’uomo è di aver abusato di un minorenne. Pedofilia, insomma.
François era già stato arrestato una prima volta nel 2005 in quanto gay e rinchiuso in prigione insieme ad altre dieci persone sospettate di essere omosessuali. Secondo l’articolo 647bis del codice penale del Camerun, che punisce qualsiasi individuo che abbia avuto rapporti sessuali con altri soggetti dello stesso sesso, gli undici accusati rischiavano da sei mesi a cinque anni di reclusione. Durante il processo, nel giugno del 2006, alcuni di loro sono stati assolti per mancanza di prove, altri invece condannati a dieci mesi. Nell’ottobre dell’anno scorso, il Gruppo di lavoro dell’ONU sulle detenzioni arbitrarie (United Nations Working Group on Arbitrary Detention) aveva protestato perché gli imputati erano rimasti ad attendere in galera l’inizio del processo per più di un anno.
Una volta rilasciati, molti di questi ex detenuti hanno incontrato notevoli difficoltà di reinserzione e, dal momento che il loro caso era stato reso pubblico, sono stati vittime di gravi episodi di omofobia. Uno di loro, Alim, che aveva manifestato i sintomi dell’Aids in prigione, è morto appena qualche giorno dopo la liberazione.
Lo stesso François Ayssi racconta al giornalista di Têtu di essere tornato a lavorare come cuoco nell’hotel dove prestava servizio precedentemente al suo primo arresto, ma di non aver ricevuto più alcun salario dal giugno scorso. Due settimane fa decide quindi di dare le dimissioni e di chiedere quanto gli spetta. A quel punto, un responsabile dell’hotel lo convoca al commissariato per fargli riscuotere una somma equivalente a circa 300 euro. François Ayssi si presenta ma, per ragioni ancora ignote, viene trattenuto dalla polizia. Il giorno successivo, al commissariato compare la moglie del suo datore di lavoro con un bambino affetto da handicap mentale. La donna accusa François di averlo violentato, ed ecco che il fermo si converte in arresto. E per Ayssi ricomincia l’inferno.

11 gennaio 2007

Papata 14 - Che ci facevano là?

Ieri la Commissione Giustizia del Senato, presieduta da Cesare Salvi, ha cominciato l'esame delle diciannove proposte di legge depositate in materia di unioni civili. Oggi la maggioranza si riunisce a Caserta e, secondo alcuni, non discuterà di PaCS. All'interno della compagine governativa è in corso una lotta tra le ministre Pollastrini e Bindi, poiché quest'ultima chiede di riconoscere meno diritti possibili alle coppie di fatto.
Chi manca? Ah, eccolo: non bisogna attribuire "impropri riconoscimenti giuridici" a "forme di unione" diverse dal matrimonio perché sarebbero "pericolosi e controproducenti" e finirebbero "inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia legittima fondata sul matrimonio".
Sono le grandi novità uscite dalla bocca di Benedetto XVI. L'occasione per l'ennesimo sproloquio? L'incontro in Vaticano per gli auguri di buon anno con il sindaco di Roma Veltroni, il presidente della Provincia di Roma Gasbarra e il presidente della Regione Marrazzo. Domanda: non poteva mandargli una cartolina?

10 gennaio 2007

Ségolène Royal, meglio tardi che mai

Ségolène Royal intende promuovere la riforma del matrimonio e delle adozioni per rendere accessibili questi istituti anche a gay e lesbiche, attraverso un provvedimento legislativo d’iniziativa governativa. La candidata socialista alle elezioni presidenziali dell’aprile prossimo lo ha precisato in una lettera resa nota oggi e indirizzata all’Inter-lgbt (federazione di associazioni che organizza ogni anno il pride nazionale francese), nella quale, a proposito del matrimonio e dell’adozione per le coppie gay e lesbiche, ha affermato chiaramente il suo “impegno a procedere a questa importante riforma attraverso un progetto di legge” e ha ribadito la volontà “di portarla a termine con determinazione, al fine di convincere la maggioranza dei francesi della sua validità”. La nuova promessa – come non ha mancato di far notare Alain Piriou, portavoce dell’Inter-lgbt – è quella di sottrarre questo provvedimento all’incerta iniziativa di un’eventuale maggioranza di sinistra nella prossima legislatura, e di assumere direttamente l’impegno per il suo varo da parte del governo, procedura che ne agevolerebbe l’approvazione.
Nella stessa missiva, Ségolène Royal si è poi detta favorevole a una “rivalutazione della legge sulla bioetica rispetto all’accesso alla procreazione medicalmente assistita per le coppie formate da donne” e si è mostrata aperta alla possibilità “di far coincidere rapidamente l’identità di genere e l’identità legale” dei e delle trans.
Meglio tardi che mai, si potrebbe chiosare. In effetti, andando a spulciare gli archivi, si può facilmente verificare che la posizione dell’attuale candidata socialista su questi temi non è sempre stata la stessa. Anzi, prima di entrare in campagna elettorale, Ségolène Royal esprimeva opinioni tutt’altro che favorevoli sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. “Avere delle opinioni prudenti sul matrimonio omosessuale è legittimo e rispettabile,” – dichiara a Le Monde il 12 maggio 2004 – “non vuol dire essere omofobi o reazionari”. E ancora: “Se si tratta di fare una provocazione ingiustificata contro le convinzioni familiari e religiose, allora no” (chi vi ricorda?). È di appena qualche mese fa, più precisamente del 23 febbraio 2006, questa sua affermazione: “Preferisco la parola ‘unione’ a ‘matrimonio’, per non rovesciare i simboli tradizionali; la famiglia è un padre e una madre. Ma ci sarà un dibattito”, aggiunge, magnanima. Qualche tempo dopo, il 15 maggio 2006, la futura candidata all’Eliseo continua a balbettare e la parola matrimonio non riesce proprio a pronunciarla: “Sarà nel progetto del Partito Socialista” – assicura – “ma resta [da stabilire] come prospettarlo con una riforma che deve riunire la maggioranza dei francesi, rispettare le diverse opinioni e non essere oggetto di strumentalizzazione politica”. Passano solo cinque giorni e, il 20 maggio, Libération sparge la voce secondo la quale, su questi temi, Ségolène Royal sarebbe ad una svolta. Alexandre Carelle, del gruppo HES (consulta gay e lesbica del PS), sembra confermare: “Ci ha chiesto una copia del discorso di Zapatero”. Quattro giorni dopo arriva la bordata di uno degli sfidanti di Ségolène Royal alla candidatura socialista, Dominique Strauss-Kahn: “Lei ha una visione senza dubbio più conservatrice della società, io sono più aperto”. Mentre il Partito Socialista ha già inserito nel suo programma il matrimonio e l’adozione per le coppie gay e lesbiche, Ségolène Royal precisa che “le modalità dell’azione contano quanto l’obiettivo. Bisogna tenere conto della sensibilità di tutti”.
La vera svolta arriva solamente il 20 giugno, con un’intervista esclusiva alla rivista glbt francese Têtu, nella quale finalmente detta parole di inequivocabile apertura e parla di matrimonio e adozione per gay e lesbiche, mantenendo tuttavia la formula ambigua secondo la quale sarà la maggioranza, in Parlamento, a doversene occupare. Oggi anche quest’ultimo ostacolo sembra essere stato rimosso. È legittimo chiedersi ora se, in caso di elezione, Ségolène Royal saprà mantenere fede alle sue tardive promesse.

Fonti: Inter-lgbt, Têtu.

08 gennaio 2007

PaCS, si scaldano i motori (vale anche come "Papata 13")

Secondo il ministro per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini, al convegno della maggioranza governativa previsto per giovedì prossimo a Caserta si parlerà anche di Pacs. Anzi no, di Unioni civili, come tiene a precisare Rosy Bindi. Quale sia la differenza ancora nessuno l’ha capito, visto che dalle prime indiscrezioni il testo governativo dovrebbe contenere: l’istituzione di un registro presso i comuni, la reversibilità della pensione, l’assegno familiare dopo la separazione, l’assistenza ospedaliera, i permessi di visita in carcere, la possibilità di subentrare nei contratti di affitto. Cioè molto più di quanto previsto dai PaCS francesi.
Nel frattempo il Papa non ha perso tempo e, in un discorso pronunciato oggi agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ha ripetuto il solito ritornello: “si sviluppano minacce contro la struttura naturale della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, e tentativi di relativizzarla conferendole lo stesso statuto di forme di unione radicalmente diverse”. Ovviamente si tratta di “una offesa alla famiglia” che “contribuisce a destabilizzarla, violandone la specificità ed il ruolo sociale unico”. E siamo alla tredicesima dichiarazione di questo tipo dall’elezione di Ratzinger al soglio pontificio.

Fonti: Gaynews, l'Unità.

07 gennaio 2007

La Catalogna d'inverno - 4

Nella provincia del Baix Empordà si possono trovare numerosi paesi di origine medievale molto ben conservati, come Pals, Peratallada e Ullastret, che abbiamo già visitato precedentemente. Questo primo gennaio decidiamo di fare un salto a Monells, che non abbiamo mai visto. Ci arriviamo quando il tramonto sta per cominciare e il villaggio è immerso in un torpore irreale. Per i primi minuti non incontriamo nessuno per strada e nessun segno di vita proviene dalle bellissime case in pietra, dalla piazza principale circondata dagli archi dei piccoli portici, dai vicoli stretti. La bellezza di questo villaggio e il silenzio che lo pervade ci deliziano non poco e, mentre passeggiamo con calma, scende la sera e delle luci discrete e molto scenografiche si accendono e illuminano le pareti delle case. Ne nasce persino una piccola polemica tra i nostri amici: J. trova quell’illuminazione perfetta e rispettosa dei luoghi, mentre T. dice che secondo lui è poco pratica perché non permette di vedere un granché. J. ci spiega che Monells è stato l’ultimo paesino medievale a essere restaurato da queste parti e ciò nel rispetto assoluto delle costruzioni esistenti, tanto da essere diventato un vero e proprio esempio per interventi di questo tipo. Delle famiglie che l’abitavano originariamente sono rimasti in pochi, ora sono soprattutto le persone che vivono in grandi città come Barcellona ad aver acquistato qui una seconda casa che utilizzano soltanto in determinati periodi dell’anno. La staticità di quello che a prima vista mi era sembrato un paese fantasma, comincia adesso a trovare una spiegazione razionale.
La presenza di villaggi antichi e ben conservati non è l’unico aspetto della Catalogna che ci aveva sorpreso le prime volte che siamo venuti a trovare T. e J.. C’era qualcos’altro che non credevamo possibile, e cioè che esistessero ancora, sulla Costa Brava, dei luoghi incontaminati e non urbanizzati. Possibile che l’industria turistica avesse preservato qualche chilometro di costa accessibile? Ed è così che, già qualche anno fa, abbiamo scoperto la bellezza della spiaggia naturista di Cala Estreta. Martedì scorso, con T., siamo andati a camminare non lontano da lì, precisamente alla spiaggia del Castell e negli immediati paraggi. Il tempo non era magnifico (ad un certo punto ha anche piovuto un po’) ma il paesaggio era splendido. T. ci ha spiegato che qualche anno fa Castell e i suoi dintorni erano stati minacciati da un progetto di urbanizzazione. Castell è stato salvato dalla mobilitazione dei cittadini che, dopo molte proteste, nel 1994 hanno ottenuto l’indizione di un referendum comunale nel quale una netta maggioranza si è espressa contro l’installazione di infrastrutture turistiche. A quel punto è intervenuta la Generalitat de Catalunya, cioè il governo catalano, che ha acquistato i terreni al proprietario. Un buon affare per quest’ultimo, visto che nel frattempo i terreni erano diventati edificabili e quindi molto più cari di quando li aveva comprati.
Percorrendo il cammino tra le rocce, vediamo delle meravigliose calette nelle quali sono letteralmente incastonate le case dei pescatori: Cala S’Alguer, Cala Canyers, Cala Corbs, la Foradada.
È stata l’ultima gita del nostro piccolo viaggio. Una boccata d’aria fresca, un grande regalo per i nostri polmoni e i nostri occhi, prima di immergerci di nuovo nella frenesia parigina.

Fine – Precedenti: 1, 2, 3.
Foto: Staou.

05 gennaio 2007

Karim resta

La notizia è diventata ufficiale il 3 gennaio. Karim, giovane algerino sans-papiers che stava per essere espulso ed è stato poi “salvato” in via eccezionale dal Ministro dell’interno Nicolas Sarkozy dietro sollecitazione dell’attrice Josiane Balasko, riceverà il suo permesso di soggiorno il 10 gennaio prossimo.
Riporto qui qualche brano dell’ultimo messaggio che Matthieu Rouveyre, presidente della Lesbian & Gay Pride di Bordeaux e consigliere municipale socialista in quella città, ha scritto sul blog “contro l’espulsione di Karim”. È stato pubblicato il 28 dicembre scorso e s’intitola “Karim, un nome, una storia”. È una bella testimonianza di chi lotta perché il Nord del mondo – in questo caso la Francia – non diventi un fortino presidiato dal quale cacciare i nostri moderni capri espiatori, gli immigrati. Si diceva che la Francia è la patria dei diritti dell’uomo. Peccato che sembri esserselo dimenticato.


Non troverò parole abbastanza appropriate per descrivere quello che questo ragazzino ha sopportato in questi ultimi quattro mesi, e in particolare queste ultime due settimane. Oggi è fuori pericolo ma ha pagato un grande tributo. Le ferite si chiudono ma le cicatrici restano.
Fin da giovanissimo capisce che per essere se stesso deve lasciare la sua famiglia. La religione, la società, il suo entourage, suo padre, sua madre non accettano quello che è. La gente “sospetta”. Subisce angherie e insulti, viene addirittura aggredito fisicamente. C’è una speranza: uno zio potrebbe accoglierlo in Francia perché continui a studiare. Al di là della prospettiva di sbocchi professionali, quella che si profila è logicamente un’uscita di emergenza e – forse – l’occasione per fare finalmente la propria vita. Allora Karim lavora in molti posti per potersi pagare il viaggio. Si alza presto, va a dormire tardi e mette da parte i soldi. Compiuti sedici anni, può finalmente partire e raggiungere Bordeaux.
Suo zio lo ospita da lui. Ignora le vere ragioni di Karim ma non fa domande. Karim si integra perfettamente. Lavora sodo al liceo, i risultati sono buoni. Per non essere di peso a suo zio, lavora il fine settimana in un albergo, come cameriere. Karim s’innamora di un ragazzo e comincia una bella storia.
Solo che, non appena Karim festeggia il suo diciottesimo compleanno, riceve l’ordine di lasciare il territorio francese. Non vuole partire. [...] Il prefetto ordina nei suoi confronti l’accompagnamento alla frontiera. Il ragazzo spiega che non può partire, che non ha più relazioni con la sua famiglia, che non ha amici, né altri legami in Algeria. [...] Ma la Francia esige di più. Gli si chiede di spiegare perché è partito. Karim non l’ha mai detto fino a quel momento. È un tipo riservato, lui stesso non ha mai trovato le parole per dirlo. Confessa che suo padre sospettava che lui “non fosse normale”, confessa le sevizie che subiva. Ma non basta. Gli si rimprovera di non aver mai ammesso la sua omosessualità. Gli si rimprovera di non averla rivelata al suo arrivo in Francia e di servirsene ora per restare. Si avanzeranno pubblicamente dubbi sul suo orientamento sessuale e gli si rimprovererà di non fornirne la prova.
[...] Davanti alla Corte d’appello, le domande e le insinuazioni mettono i brividi. [...] Certo, il suo compagno si reca all’udienza per testimoniare sulla loro relazione, solo che non hanno un domicilio in comune, un pacs, e magari un cane. A 18 anni, Karim non è in grado di provare che ha un rapporto di coppia. Suo zio non è presente all’udienza poiché non sa che Karim è omosessuale e il ragazzo gli ha nascosto gli ostacoli amministrativi dei quali è vittima. La decisione della Corte d’appello annulla quella del tribunale amministrativo: Karim deve partire.
Il comitato di sostegno per Karim si mobilita. Josiane Balasko, sua “madrina”, sollecita il Ministero dell’interno attraverso i media. All’appello rispondono numerose persone che si offrono di nasconderlo e di aiutarlo con tutti i mezzi necessari.
La sera del 23 dicembre, proprio quando sta per raggiungere il suo primo nascondiglio, viene informato da Josiane Balasko che il Ministero dell’interno lo regolarizzerà. Fa fatica a crederci e, in ogni caso, Karim interiorizza tutto. La sua gioia s’indovina sul suo volto e i suoi occhi lucidi. Festeggiamo. Rientra a casa per andare a dormire. Ma ecco che la faccenda è giunta alle orecchie di suo zio, il quale lo sbatte fuori di casa. Non vuole “gente simile” a casa sua. Avrebbe dovuto andare a consultare un medico, prima di rivolgersi a un avvocato. È la vergogna della famiglia.
A quel punto, il primo nascondiglio previsto sarà infine il suo rifugio. Malgrado questo calvario, domenica 24 dicembre si alzerà alle sei e mezza [...]. Passerò il Natale con lui da una delle mie amiche. Si confiderà un po’, ma non troppo; non ho mai sentito Karim lamentarsi, lui così riservato e degno. [...]
Dietro le cifre, dietro le venticinquemila espulsioni che siamo orgogliosi di mostrare, ci sono delle vite. Ci sono degli esseri umani. C’è Karim, Qerim, Dashnor, Dashroje, Felouah, Yuan, Mamadou, Beibei, Cristian e tanti altri. Raccontiamo le loro vite, per far sì che non siano più una semplice statistica.

Matthieu Rouveyre (traduzione mia).

Fonti: Comité de soutien de Karim, Têtu.

03 gennaio 2007

La Catalogna d'inverno - 3

Sabato 30 dicembre, quando abbiamo pranzato, cioè intorno alle due e mezza, la madre di J. ci ha dato la notizia dell’attentato dell’Eta all’aeroporto di Madrid-Barajas. A causa dello scoppio di un'autobomba, mentre scrivo risultano ancora dispersi (cioè probabilmente morti) due cittadini ecuatoriani. L’avvenimento è stato così importante che tutti i notiziari lo hanno trattato prioritariamente, relegando in secondo piano l’esecuzione di Saddam Hussein.
“Questo è il miglior regalo de los reyes [i re Magi, festa in Spagna] per Mariano Rajoy”, ci hanno detto senza troppe esitazioni e all’unisono J. e T., ma anche la sorella di quest’ultimo, quando l’abbiamo incontrata la sera successiva. In effetti il principale leader dell’opposizione di destra e attuale segretario del PP, si è sempre mostrato molto critico verso il processo di pace aperto dal governo di Zapatero dopo che l’Eta aveva dichiarato, il 22 marzo 2006, il cessate il fuoco permanente. Mariano Rajoy sa bene che l’unico tallone d’Achille di Zapatero, a poco più di un anno dalle prossime elezioni politiche, sono proprio i passi mossi dal governo verso l’Eta, ed è sul fallimento di quel processo – per ora momentaneo – che intende puntare.
“Ho dato ordine di sospendere tutte le iniziative volte a stabilire il dialogo con l’Eta” – ha dichiarato Zapatero nel pomeriggio di sabato scorso – “Quello di oggi è il passo più sbagliato e inutile che i terroristi potessero fare. Oggi non hanno ottenuto nulla,” – ha aggiunto – “se non provocare dolore e manifestare la loro incapacità di vivere in pace e in libertà”.
Nessuno poteva nutrire l’illusione che questo processo sarebbe stato facile e breve, tanto più che una certa ripresa dell’attività dell’Eta nei mesi scorsi lo aveva già messo seriamente in crisi. Eppure, dalla riunione del 15 e 16 dicembre tra rappresentanti del governo e della banda basca, i socialisti era usciti convinti che il cessate il fuoco avrebbe retto. Il governo, ancora recentemente, aveva respinto tutte le rivendicazioni dell’Eta (tra le quali l’autodeterminazione dei Paesi Baschi e l’annessione della Navarra a questi ultimi), ma era sicuro, come aveva dichiarato Zapatero appena venti ore prima dell’attentato durante la conferenza stampa di fine anno, che, pur in assenza di progressi, il dialogo sarebbe continuato.
Zapatero esce decisamente indebolito da questo avvenimento ma, almeno secondo T. e J., chi parla della fine del dialogo con i terroristi, si sbaglia. Quello di sabato scorso sarebbe allora da interpretare come un avvertimento da parte dell’Eta per incalzare il governo, oppure il gesto di un gruppo non controllato dalla dirigenza indipendentista e contrario alle trattative. L’unico risultato che hanno ottenuto, per il momento, è l’irrigidimento del loro principale interlocutore e l’allontanamento di una soluzione definitiva per l’ormai pluridecennale questione basca.

Continua. Precedenti: 1, 2.

La Statale, I suppose

Questi giorni sono per loro. La città è tirata a lucido, la Torre Eiffel sembra scintillare ancor più di prima, la macchina per spillare soldi gira a pieno regime. Sono arrivati, ormai da giorni, i turisti del periodo natalizio! E, fra questi, orde di italiani.
Non è difficile distinguerli: signore trapuntate, pseudogiovani invictati, occhiali griffati e, soprattutto, tanto fiato in gola. Quando si trovano nel metrò si muovono a branchi, a passo di lumaca, occupando in larghezza l’intero corridoio, con nugoli di bambini svolazzanti ai lati. Non rispondono alle richieste di “Pardon, pardon” dei passanti – i quali, a differenza loro, in questi giorni lavorano – e, una volta saliti in vettura, proprio non riescono a raggrupparsi e a mettere a freno l’ipermotilità dei loro pargoli. Soprattutto non mettono a freno lingua e decibel.
Generalizzazione, si dirà. È indubbiamente vero, ma vorrei riportare un brano di conversazione udito ieri, verso le 23,30, sul metrò che mi stava riportando a casa, di ritorno dalla Catalogna. È un raro esempio di eleganza e di umiltà italica che spero possa giustificare, almeno in parte, lo sfogo.

(Tutti con accento del nord. Intorno ai 25-30 anni d’età).
Lei: Dove dobbiamo scendere? A Frènclin?
Lui: Sì, non è proprio così che si dice...
Lei: Eh, e come si dice?
Lui: Frènclin Delàno Rùsvelt.
Lei: Eh, Frènclin, no? È come quella che oggi fa: “Leonardo Davinsì”. Davinsì un par di palle! Davinsì... (Sorridendo all’Altra) Oh, io è due settimane che sono in questa città e mi sono già rotta i coglioni di questa lingua di merda!
L’Altra: Sì, anch’io.
Lei: Come stamattina, quella dell’albergo... oh, sempre lei becco! Sa che non parlo francese, eppure continua a parlarmi. Miiiii! Che cazzo mi parli se non so parlare? Cosa lo fai, apposta? Infatti io guardavo lui che mi spiegava...

Visto il livello, non mi stupirebbe se le paroline magiche che la nostra connazionale ancora non riesce a comprendere fossero: “té, ca-fé, scio-co-là?”. Tutta la nostra solidarietà a “quella dell’albergo”.