Catania Pride 2008 - 5 luglio

31 dicembre 2006

La Catalogna d'inverno - 2

Tiò tiò,
Caga turrò
D’aquell tan bó
Si no en tens més
Caga diners
Si no en tens prou
Caga un ou


Il che, in catalano, vorrebbe dire più o meno: “Tronco, tronco / caga torrone / di quello tanto buono / se non ne hai più / caga soldi / se non ne hai abbastanza / caga un uovo”. È una specie di filastrocca che i bambini catalani cantano la notte della vigilia di Natale, mentre con un bastone picchiano el tiò, cioè un essere immaginario che in realtà è un tronco nascosto con una coperta. Questa tradizione va sotto il nome di fer cagar el tiò (far cagare il tiò).
Alcuni giorni prima di Natale, da qualche parte in casa (generalmente vicino al caminetto, quando esiste) compare el tiò. Ogni notte, prima di andare a dormire, i bambini gli lasciano accanto qualcosa da mangiare: una mela, biscotti,... La mattina ritroveranno solo i resti di queste cibarie, segno che il tiò ha mangiato. Prima o poi, però, il tiò deve defecare e la notte di Natale sembra essere il momento più adatto per stimolarlo in tal senso. È allora che i bambini lo picchiano con un bastone, invocandolo con la cantilena che avete appena letto. Regola importantisima: non è possibile sollevare il manto che ricopre questa creatura fantastica, prima di aver lasciato la stanza per andare a risciacquare la punta del bastone in un secchio che gli adulti avranno provveduto a collocare in una parte della casa sufficientemente distante da quella in cui si trova il tiò. Quando i bambini tornano vicino al tiò, lo scoprono e trovano i frutti dei suoi sforzi: non giocattoli o oggetti di valore, ma solo dolci tipici del periodo natalizio. I regali grossi – non solo i catalani, ma tutti gli spagnoli – li ricevono il giorno dei reyes, i re Magi, il sei gennaio. L’operazione per far defecare il tiò può essere ripetuta più volte, fino a che non evacua carbone: quello è il segnale che non gli scappa più, i bambini allora si mettono l’animo in pace, la festa è finita.
Ah, prima che me lo dimentichi: buon 2007!

Continua. Precedente: 1.

30 dicembre 2006

La Catalogna d'inverno - 1

T. e J. abitano in un piccolo paese della Catalogna, in una casa degli anni Trenta costruita lungo una strada che, durante gli ultimi giorni della Guerra Civile, ha visto sfilare i sostenitori della Repubblica quando questi furono costretti a rifugiarsi in Francia per sfuggire al nascente regime del caudillo Francisco Franco. Partivano a piedi, portando con sè i pochi beni che potevano trasportare. Nella soffitta di questa grande casa, J. ha ritrovato, nascosto fra le travi, un sacchetto di pesetas di vecchissimo conio, risalenti appunto all'epoca repubblicana. Siccome suo nonno ospitava proprio in quella soffitta i fuggiaschi, dando loro un riparo per la notte, si presume che qualcuno, prima di addormentarsi, abbia lasciato proprio lì i soldi che aveva addosso, dimenticandoli al momento di partire, il mattino seguente.
È in questa casa, ancora circondata dalla campagna, ai bordi del piccolo paese, che io e Staou abbiamo stabilito la nostra dimora per la piccola vacanza catalana. L'affetto e il calore col quale T. e J. ci avvolgono ogni volta che veniamo qui, non finisce mai di sorprendermi. Siamo arrivati ieri e, dopo pranzo, siamo subito andati a visitare uno dei pochi monumenti che non ci hanno ancora mostrato, cioè la Canonica di Santa Maria di Vilabertran, un tempo abitata dai monaci agostiniani. Iniziata nel 1200, è stata successivamente ampliata fino al XVIII secolo.
Piatto forte della cena di ieri: una semplice ma sorprendentemente saporita sopa de pan, preparata dalla madre di T. Finito il pasto, insieme ad alcuni amici di T. e J. (C., E. e A.), siamo poi andati ad ascoltare il Requiem in re minore di Mozart, eseguito e cantato nel Monastero di Sant Esteve a Banyoles. È stato un momento davvero emozionante e gradevole, per giunta gratuito... Poi, stanchi del viaggio e abbastanza infreddoliti – la Catalogna “gode”, in questo periodo, di una notevole escursione termica – ce ne siamo andati a letto.
Il sole è rimasto con noi anche oggi, il tempo era ideale e così la visita che abbiamo fatto questa mattina alla Fortezza di Sant Ferran, a Figueras, non poteva andare meglio. Generalmente le fortezze non destano più di tanto il mio interesse anzi, mi mettono una certa tristezza. Sarà stata la guida, che era una ragazza particolarmente vivace e simpatica, o il luogo, che era veramente impressionante, fatto sta che ce la siamo goduta un sacco. Pare che si tratti della più grande fortezza d’Europa, costruita a partire dal 1753 su una superficie di 320.000 metri quadrati (il perimetro misura più di tre chilometri) per ospitare quattromila persone. Una vera e propria cittadella militare, le cui parti più interessanti sono le immense stalle, le gallerie di difesa sotterranee e le enormi cisterne che abbiamo esplorato a bordo di un canotto.
Una piccola parte della Fortezza di Sant Ferran, in tempi più recenti, era adibita a caserma e a carcere militare. In effetti è proprio al primo piano di un piccolo edificio all’interno di quel grande complesso, che trovò posto il tenente colonnello Tejero, quello del tentato golpe del 23 febbraio 1981.
Ora siamo (o meglio loro sono) in pausa, cioè impegnati nell’immancabile siesta. Per pranzo la madre di J. ci ha preparato un piatto tipico di queste parti, Escudella i carn d’olla, cioè un delizioso brodo ricavato da alcune verdure e differenti tipi di carne, che poi si mangiano a parte: pollo, pelota (polpettone), butifarra (sanguinaccio), maiale.

28 dicembre 2006

La Spagna fa i conti col suo passato franchista?

Ci sarà un risarcimento per le vittime della repressione antiomosessuale del regime di Franco in Spagna? Pare proprio di sì, stando alle ultime notizie che giungono dalla penisola iberica. I membri dell’Associazione degli ex prigionieri “sociali” ha annunciato di aver incontrato in questi giorni tutti i gruppi parlamentari, eccetto quello del Partido Popular (destra) che ha rifiutato di riceverli. Nei colloqui è stato evocato il problema del risarcimento materiale di quegli e di quelle omosessuali che, durante la dittatura franchista, hanno subito il carcere, la tortura e l’allontanamento dalla propria città natale a causa del proprio orientamento sessuale.
Un primo passo, se non altro simbolico, era già stato compiuto il 15 dicembre 2004, quando l’intero parlamento aveva approvato una dichiarazione nella quale si conferiva “un riconoscimento pubblico a tutte le persone che durante il regime franchista patirono le persecuzioni e il carcere a causa del loro orientamento o della loro identità sessuale e le cui sofferenze non sono mai state riconosciute fin qui”. Una delle più alte istituzioni del paese equiparava allora esplicitamente, per la prima volta e in modo ufficiale, la persecuzione subita da gay e lesbiche da una parte e quella degli oppositori politici del franchismo dall’altra. La novità di questi ultimi giorni è che il Governo presieduto da Zapatero sembra intenzionato a elargire anche un risarcimento materiale: si parla di una pensione mensile di 750 euro al mese e un indennizzo di 12000 euro. A poterne usufruire oggi sarebbero rimasti più o meno in cento. Tuttavia furono quattromila coloro che, sotto la dittatura, pagarono sulla loro pelle gli effetti della legge sui “vagos y maleantes” (asociali e delinquenti, 1954) e di quella sulla “peligrosidad y rehabilitación social” (pericolosità e riabilitazione sociale, 1970), norme volute espressamente dal franchismo per reprimere, tra le altre cose, l’omosessualità. Ma è una stima per difetto: molte volte, infatti, l’accusa per gli omosessuali era la prostituzione.
“Alla prigione di Barcellona” – racconta un ex prigioniero omosessuale al quotidiano El País – “mi inviarono in un padiglione di minorenni invertiti”. Rampova, la cui prima incarcerazione risale a quando aveva quattrodici anni, continua: “I detenuti pagavano le guardie per intrufolarsi e violentarci. Dopo ci bastonavano per dimostrare che loro non erano gay. Venivano cinque, sei volte al giorno. Talvolta anche otto”.
Beffarda anche la sorte di Antonio Ruiz, presidente della Asociación Ex-Presos Sociales. Siamo nel 1976: Antonio ha diciassette anni, il caudillo è già morto, ma il processo di democratizzazione della Spagna è appena agli esordi; le leggi repressive contro l’omosessualità sono ancora in vigore. Il 7 marzo di quell’anno, Antonio decide di parlare apertamente della propria omosessualità in famiglia. Purtroppo sua madre ha la pessima idea di riferire tutto a una suora ed è quest’ultima che, essendo un’informatrice della polizia, racconta quello che sa gli agenti. Questi piombano in casa di Ruiz un mattino verso le sei, lo prelevano e lo rinchiudono nel carcere di Badajoz, dove stanno i “passivi” (per gli “attivi” è in funzione la prigione di Huelva mentre le lesbiche vengono rinchiuse in manicomio). Nessun processo, nessuna possibilità di difendersi.
Quando finisce il carcere, per tutte e tutti loro la pena continua: come trovare un nuovo lavoro e tessere di nuovo relazioni sociali, infatti, quando pesano sul proprio passato non solo dei traumi così forti ma anche dei precedenti penali così infamanti? Ecco perché l’Asociación Ex-Presos Sociales si batte oggi anche per la cancellazione definitiva di quei precedenti. Non è certo una questione di vendetta, ma di dignità, di giustizia. E di memoria storica.

Fonti: Asociación Ex-Presos Sociales, Congreso de los Diputados, El Mundo, El País, Nueva Línea.

27 dicembre 2006

Sei mesi per Almalak

Alla fine è stato condannato. Sei mesi di prigione per atti osceni in luogo pubblico e prostituzione, un’accusa che molto probabilmente ne nasconde un’altra, quella di omosessualità.
È la sorte toccata a Naser Saidik Almalak (o Almalek), segretario dell’associazione gay albanese. Sulla sua vicenda avevo già scritto un post il 14 settembre 2006.

Fonte: AGI, via Gaynews.

24 dicembre 2006

Papata 12 - Auguri, finocchi!

Gli auguri di Papa Ratzi non sono per me. Questo è logico, dal momento che sono irrimediabilmente ateo. Sono per i gay e le lesbiche credenti, che sapranno essergli riconoscenti. E sono per lo Stato italiano, per il Governo e il Parlamento in particolare, che sul tema ha già dimostrato tutta la sua sensibilità.

“Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso. Con cio vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui luomo, cioè il suo intelletto e la sua volontà, deciderebbe autonomamente che cosa egli sia o non sia. C'è in questo un deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l'uomo, volendo emanciparsi dal suo corpo - dalla ‘sfera biologica’ - finisce per distruggere sè stesso”.

Era l'augurio di Buon Natale firmato Benedetto XVI. E siamo alla dodicesima.

Fonte: Rainews24.

22 dicembre 2006

Algerino e gay? Se ne deve andare

Un gay algerino di appena diciotto anni, Karim (il nome è inventato), sarà espulso dal territorio francese e rispedito in Algeria. È quanto ha stabilito questo pomeriggio la Corte d’appello di Bordeaux, confermando l’ordinanza di espulsione emessa dalla Prefettura della Gironda il 31 agosto scorso.
La storia di Karim comincia quando aveva sedici anni. Stanco delle minacce e dei maltrattamenti che subisce in famiglia e nella sua città natale, Karim decide di stabilirsi a Bordeaux e di andare a vivere con gli zii francesi. Nella grande città, Karim si integra in fretta e bene, s’iscrive al liceo e studia con profitto. Quando però sollecita la Prefettura per ottenere un titolo di soggiorno, questo gli viene negato. Immediatamente dopo, riceve un’ordinanza che gli ingiunge di lasciare il territorio francese e lo obbliga a essere riaccompagnato in Algeria. È il 31 agosto di quest’anno.
La prima svolta, in questa vicenda, arriva neanche due settimane dopo: il 12 settembre il Tribunale amministrativo di Bordeaux annulla l’ordinanza, perché il prefetto – così si legge nella sentenza – ha commesso un “palese errore nell’apprezzare le circostanze”. Secondo il prefetto, infatti, l’omosessualità di Karim sarebbe stato solo un pretesto per lasciare l’Algeria, ma non un buon motivo per restare sul suolo francese. Il ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, già impegnato, da candidato della destra alle presidenziali del 2007, in una dura campagna anti-immigrazione, sollecita allora il prefetto a presentare ricorso contro la decisione del Tribunale amministrativo. Con l’obiettivo propagandistico dichiarato di 24000 immigrati da cacciare entro la fine del 2006, difficile che Nicolas Sarkozy si commuova per un algerino, gay per di più.
La reazione delle associazioni glbt francesi non si fa attendere. Insieme a svariati altri soggetti della società civile, queste promuovono infatti una petizione per chiedere la regolarizzazione di Karim e perché “sia rispettato, in ogni parte d’Europa, il diritto a veder riconosciuta la vita privata e familiare di tutti gli stranieri”.
Il 13 dicembre scorso, una settimana prima dell’udienza in appello, sono in molti, tra associazioni, esponenti dei Verdi e del Partito Socialista, a partecipare a Bordeaux alla manifestazione di sostegno a Karim, un patrocinio simbolico chiamato parrainage républicain. “Spero che questo patrocinio lo protegga un po’ di più” – dichiara in quell’occasione l’attrice Josiane Balasko, che si è offerta di fare da “madrina” a Karim – “e che questa mobilitazione permetta di fermare l’accanimento amministrativo [contro di lui], affinché possa continuare a studiare e a vivere in Francia”.
La tanto attesa udienza in appello si tiene martedì 19 dicembre. Mentre l’avvocato di Karim, Pierre Landete, ricorda alla corte la giovane età del suo assistito (per la legge algerina è ancora minorenne) e la sua omosessualità, il commissario governativo respinge entrambe le argomentazioni: Stéphane Moulin replica infatti che Karim è maggiorenne secondo le leggi francesi, che “nessun documento prova le sevizie e niente permette di attestare che ha subito delle minacce”. L’omosessualità di Karim, al quale già il prefetto ha chiesto di portare le prove tangibili del suo orientamento sessuale – chissà poi in che modo! – viene messa nuovamente in dubbio anche dal commissario governativo, secondo il quale la presenza in aula del compagno di Karim, Dorien (anche il suo nome è inventato), non prova alcunché.
E così si arriva a oggi, giorno nel quale ogni speranza su una positiva soluzione del caso svanisce. Intorno alle 16,30 l’associazione Lesbian & Gay Pride Bordeaux dà l’annuncio che la Corte amministrativa d’appello ha deciso di bocciare la sentenza di primo grado e di confermare l’ordinanza di espulsione per Karim. A nulla è quindi valso sottolineare i rischi che quest’ultimo correrà non appena sarà atterrato in Algeria: va infatti ricordato che il codice algerino prevede fino a tre anni di carcere per omosessualità. Anche la tempistica scelta dalla corte per rendere il proprio verdetto, non sembra lasciata al caso: da questa sera cominciano le lunghe vacanze natalizie e per le associazioni glbt francesi e quelle impegnate sul fronte dell’immigrazione sarà molto più difficile organizzarsi per contrastare l’esecuzione del provvedimento.
La prima reazione alla decisione della corte è stata quella del “padrino” di Karim, Matthieu Rouveyre, consigliere comunale di Bordeaux: “Sono molto sconfortato” – ha dichiarato alla rivista Têtu – “ho le lacrime agli occhi. Non è possibile fare questo a un ragazzo nella sua situazione. Resisteremo e utilizzeremo tutta la nostra collera per far sì che Karim resti qui. Troveremo una soluzione, non possiamo lasciarlo partire”.
Mentre una riunione improvvisata dei sistenitori di Karim si sarebbe dovuta tenere questa sera a Bordeaux intorno alle 19,30, l’Inter-LGBT – comitato che federa gran parte dell’associazionismo gay, lesbico, bisessuale e transessuale francese – ha emesso un duro comunicato nel quale ricorda che Karim “non ha nessun’altra vita familiare se non quella che conduce con i suoi zii e il suo compagno. Se fosse espulso verso l’Algeria, sopravviverebbe a stento, si ritroverebbe senza risorse, senza famiglia per accoglierlo, abbandonato in strada. Al di là del dibattito giuridico che certamente proseguirà davanti al Consiglio di Stato e – se necessario – davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Inter-LGBT chiede per l’ultima volta al ministro dell’Interno di dar prova d’umanità e di mettere fine all’inferno psicologico vissuto da Karim, sospendendo l’espulsione e riconoscendogli il diritto di vivere la propria vita accanto ai suoi cari”.

Update (25 dicembre 2006). L’attrice Josiane Balasko, “madrina simbolica” di Karim, nella notte del 23 dicembre scorso ha annunciato di aver avuto due colloqui telefonici con Nicolas Sarkozy. Il ministro dell’Interno ha assicurato che Karim non sarà espulso e la sua situazione sarà regolarizzata. Non possiamo che gioirne, mentre il nostro pensiero va ora a tutti quelli e a tutte quelle che non hanno avuto la fortuna di poter godere dell’attenzione del mondo dello spettacolo e dei media.

Fonti: Inter-LGBT, Lesbian & Gay Pride Bordeaux, Libération, Pourkarim.net, Têtu.

La dolce morte in Francia

Il caso di Welby è riportato oggi da tutta la stampa francese. In particolare Libération nota che “mentre la maggioranza di centro sinistra già si divide sul disegno di legge sui Pacs, la morte di Piergiorgio Welby rischia di approfondire le tensioni tra i ministri cattolici e il campo laico, incarnato tra gli altri dal Partito radicale”.
Penso che dovremmo ringraziare Welby, se non altro per il coraggio con il quale ha saputo porre il problema dell’assenza di norme sull’eutanasia. Purtroppo non nutro alcun dubbio sul fatto che di qui a qualche giorno, sopite le polemiche, la vicenda sarà dimenticata e le belle promesse gettate alle ortiche.
Intanto Libération segnala che, se lo stesso caso si fosse presentato in Francia, il medico che ha interrotto il funzionamento del ventilatore non incorrerebbe in nessuna sanzione, grazie a una legge votata il 12 aprile 2005 e approvata all’unanimità dall’Assemblée Nationale, la quale stabilisce che: “Quando una persona, in fase avanzata o terminale di una malattia grave e incurabile, qualunque ne sia la causa, decide di limitare o di interrompere qualsiasi trattamento, il medico rispetta la sua volontà dopo averlo informato delle conseguenze della sua scelta”. Se invece la persona non è in grado di esprimere il proprio consenso, spetta ai medici la decisione di interrompere i trattamenti.
La legge francese stabilisce anche che “qualsiasi persona maggiorenne può redigere delle direttive in anticipo nel caso in cui si trovasse un giorno incapace di esprimere la propria volontà. Queste direttive indicano i desideri della persona relativi alla fine della sua vita riguardanti le condizioni di limitazione o interruzione dei trattamenti. Esse sono revocabili in qualsiasi momento”. Il medico deve tenerne conto, a patto che siano state redatte tre anni prima della perdita di coscienza.
In ogni caso l’ordinamento in Francia esclude che si possano compiere gesti che provochino attivamente e direttamente la morte del paziente.

21 dicembre 2006

Il dibattito negato

Ancora qualche nota a margine del dibattito – più che altro un’azzuffata – di questi ultimi giorni sul tema dei PaCS. L’offensiva più insidiosa, questa volta, non viene dai soliti settori clericali dell’Unione, ma dal segretario del principale partito sedicente di sinistra, i DS. E, subito dopo l’immotivata presa di posizione di Fassino contro le adozioni da parte di coppie formate da gay e lesbiche, è arrivato l’ignobile pezzo di Passigli sull’Unità, raro esempio di malafede e disonestà intellettuale, la cui lettura è vivamente consigliata prima di avventurarsi in queste mie note (un po’ sconnesse, e me ne scuso).
Cerco di elencare a quali scopi miravano, secondo me, in maniera più o meno consapevole, le affermazioni di Fassino e quelle di Passigli, rilasciate a breve distanza l’una dall’altra.

1) Far credere all’opinione pubblica che, se una legge sulle unioni di fatto ancora non è stata elaborata, la colpa è da imputarsi non già alle ingerenze vaticane negli affari italiani, bensì all’“ala oltranzista del movimento gay”, la quale “insiste per ottenere anche [...] il riconoscimento alle coppie omosessuali del diritto di adozione”. Peccato che l’argomento non sia neanche stato sfiorato dal movimento lgbt italiano, vuoi per senso di opportunità, vuoi per pusillanimità e subalternità alla classe politica. Ma questo, ovviamente, non lo sa nessuno e così l’idea del divide et impera può trionfare: da una parte i gay cattivi che domandano l’impossibile (sì, d’accordo, l’hanno fatto persino in Spagna, ma basta chiamarla “deriva zapateriana” per tappargli la bocca) e dall’altra quelli buoni che se ne stanno zitti ad aspettare tutto ciò che il convento passa, anche una legge svuotata di ogni senso; da un lato i gay che stracciano la tessera dei DS, dall’altro quelli che se ne guardano bene, forse avendo un piccolo conflitto d’interesse rispetto alla carica che occupano; da una parte i “compagni gay” e dall’altra gli/le etero, che si vedono privat* del loro diritto ad ottenere un istituto più leggero del matrimonio, a causa di questa banda di scalmanati e di scalmanate che chiederebbero più di quanto a loro spetti.

2) Rassicurare una volta di più i futuri partner del Partito Democratico (Cristiano) sul fatto che gli alleati della sedicente sinistra sono pronti a far valere le ragioni dei cattolici nell’ordinamento italiano, sacrificando così il principio di laicità dello Stato. Non è un caso che, secondo Passigli, solo lasciando libertà di coscienza ai parlamentari DS per quanto riguarda la legge sui PaCS – non è nemmeno stata scritta e già si danno indicazioni di voto, un record! – “si potrà sperare di non porre un macigno insormontabile sulla via già così problematica del Partito Democratico”.

3) Definire e delimitare con accuratezza l’ambito nel quale i differenti attori interessati a questa riforma potranno muoversi. Si potrà parlare al massimo di qualche riconoscimento di diritti individuali, ma non di quelli delle coppie formate da persone dello stesso sesso, e tantomeno della ridefinizione giuridica dell’idea di “famiglia”, che per Passigli è solo quella “ove siano presenti ruoli consolidati non solo dalla natura ma anche socialmente quali quelli di ‘padre’ e ‘madre’”. Davvero un peccato che “natura” voglia dire poco o niente, che sia solo un concetto falsamente oggettivo, dietro il quale si celano ben più soggettivi pregiudizi omofobi, meno facili da esprimere apertamente – a meno di non avere la faccia di Calderoli. E peccato anche che i ruoli di “papà” e “papà” insieme o di “mamma” e “mamma” insieme, contrariamente a quanto ritiene Passigli, siano già “consolidati socialmente”, dal momento che gay e lesbiche non aspettano certo la legge e ancor meno la legittimazione del primo ex senatore diessino che capita, per poter procreare.

Il punto più inquietante mi pare proprio quest’ultimo. Io mi sento non solo offeso da tanta crudeltà e ipocrisia, ma mi trovo anche schiacciato in una posizione che, se il dibattito avesse preso una piega minimamente democratica, non assumerei. Io rivendico tutto il diritto di discutere di apertura del matrimonio tra persone dello stesso sesso, di adozioni e di omogenitorialità (sottolineo: di discutere). Perché mi deve essere impedito di partecipare con serenità a un dibattito dove tutte le posizioni possano essere rappresentate, quelle di chi su questi temi è favorevole e quelle di chi è contrario?
Se gli esponenti dei DS (ed una parte di Arcigay, storicamente vicina a questo partito) non avessero già ampiamente ipotecato questo dibattito, all’interno dello stesso movimento lgbt italiano queste contraddizioni potrebbero emergere e dar vita ad un confronto positivo, a momenti di discussione autentica – e non di principio – per giungere infine a un momento di sintesi. Quello che invece accade oggi è che il movimento lgbt è costretto a inseguire, più male che bene, priorità politiche stabilite altrove, cercando di parare i colpi e di portare a casa – come il segretario nazionale di Arcigay, Aurelio Mancuso, ha anche scritto – “il minimo sindacale”. Guai a parlare di ciò che in altri stati europei è già divenuto realtà, questo è l’avvertimento di Fassino e Passigli al quale, ahinoi, ci siamo già da molto tempo adeguat*.
Io invece sono tra quell* che credono che non sia il movimento a dover trovare un compromesso intorno a ipotesi “minimaliste”, perché alla mediazione già pensa la classe politica, che fa questo di mestiere. Al movimento spetterebbe piuttosto il compito di elaborare delle rivendicazioni forti, intorno ad alcuni punti centrali che possano essere condivisi, e questo solo dopo (non prima di) aver costruito un percorso comune tra le varie anime ed averne dibattuto.
È un’impressione del tutto personale e, come tale, più che opinabile, ma mi sembra che oggi il movimento lgbt italiano abbia toccato il fondo. Dopo il famoso compromesso al ribasso rappresentato dalle sette righine di programma dell’Unione sui PaCS, non si poteva immaginare uno scenario peggiore. Il futuro del movimento – e quindi quello di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali italian* – dipenderà in larga misura dalla sua capacità di reagire agli attacchi provenienti da ogni parte e di costruirsi uno spazio di elaborazione e di azione politica totalmente autonomo rispetto ai partiti.

14 dicembre 2006

Il disastro dell'Unione. Chi sono i complici?

È ora di fare un bilancio, che ne dite? Ce lo impone un minimo di dignità, dopo non so più quante legislature passate a sbirciare con invidia quello che accadeva in altri paesi e a dirci: “Oh, quanto sono progressisti, loro!”. E a farci prendere in giro in patria.
Allora, riassumendo, che cosa si è ottenuto in questi giorni di vivace dibattito sui PaCS?
- L’estensione ai conviventi delle agevolazioni accordate in materia di successione alle persone sposate è stata ritirata dalla legge finanziaria. Ma in cambio dell’impegno a presentare un disegno di legge governativo sulle coppie di fatto, che diamine!
- L’ordine del giorno che impegnava il governo a presentare il suddetto disegno di legge entro il 31 gennaio 2007 è decaduto, visto che sulla legge finanziaria al Senato è stata posta la questione di fiducia, la quale ha questo “magico” ed assolutamente imprevedibile effetto. Come dice la Binetti, non c'è fretta. Del resto, saranno almeno dieci anni che aspettiamo...
- L’“Osservatorio per il contrasto della violenza nei confronti delle donne e per ragioni di orientamento sessuale” diventa, nella legge finanziaria che sta per essere approvata dal Senato, l’“Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere”. Ops! Cosa manca?
- Fini si apre un varco a... sinistra (?!?) dichiarandosi favorevole all’approvazione di una legge sui PaCS alla Ceccanti, cioè svuotata di ogni contenuto serio (così almeno pare di capire, visto che non si vuole il riconoscimento pubblico dell’esistenza della coppia di fatto); Berlusconi si pronuncia per la libertà di coscienza. Il più lungimirante di tutti, però, è Fassino che, magari temendo che il Vaticano sia poco rappresentato sulla scena politica italiana, ha creduto fosse opportuno rendere nota la propria contrarietà all’eutanasia e all’adozione da parte di una coppia omosessuale, con queste viscide ed omofobe parole: “Non credo che sia una scelta che la società possa accogliere e neppure penso che sia utile per il bambino essere adottato e crescere con due persone dello stesso sesso”. E a lui chi gliel’ha detto? È forse un genitore omosessuale? È forse figlio di omosessuali?
Mai più un voto a questa banda d’ipocriti che scambiano i diritti di migliaia di persone sull’altare dei loro calcoli piccoli piccoli. Vista la ormai più che assodata incapacità del movimento, della società civile, di riportare la cosiddetta sinistra italiana al di qua del Tevere, io la lascio volentieri dove si trova, perché ho i conati di vomito.
Alle prossime elezioni, cari amici e amiche contrari* all’astensionismo, non venite di nuovo ad agitare lo spauracchio di Berlusconi perché per quanto mi riguarda non funziona più. Non voglio più essere complice del disastro che ci sta travolgendo.

Avanti, c'è posto!

Sono giornate di lavoro intenso, senza contare gli altri impegni. Mi affanno a finire una cosa e non ho nemmeno il tempo di osservare l’opera appena conclusa che già sono in un’altra faccenda affaccendato. Così le giornate scorrono quasi senza che io abbia il tempo per accorgermene.
Per fortuna esistono i conducenti della metropolitana. Sono gli unici a risollevarmi il morale al termine di giornate così dense. Passo una discreta quantità di tempo sui mezzi pubblici, in particolare nel metrò, e avevo già notato, ormai da qualche mese, che gli annunci si fanno sempre più colloquiali e lontani dalla freddezza amministrativa che li caratterizzava precedentemente. Così, per esempio, la banale comunicazione della chiusura della stazione successiva a quella nella quale si trova il convoglio sul quale state viaggiando, diventa qualcosa come : “Buonasera! Tengo a comunicarvi che la stazione Tale è chiusa per lavori e che quindi la prossima fermata sarà Talaltra. Mi scuso con voi per il disagio e vi auguro una buona serata”.
Ma ieri sera, in un’ora di punta e a bordo di un convoglio particolarmente affollato, il conducente della linea 1 ha superato se stesso.

- Buonasera! Ho notato che al binario c’è un cieco con il suo cane che sta aspettando di poter entrare. Vi prego di aiutarli a salire, lui e il suo cane, facendogli posto. Prego anche le persone che sono sedute sugli strapuntini di alzarsi e cedergli il posto.
Pausa.
- Inoltre, una quarta persona può venire qui con me in cabina!
Generali risate. Pausa.
- Non era una battuta...

Foto: Staou.

08 dicembre 2006

Ombrelli o arcobaleni?

Oggi a Parigi il barometro segna tempesta. Questa mattina sono uscito prestissimo, quando il sole non era ancora sorto, sotto una pioggia battente. Il vento soffierà a centodieci chilometri all’ora – ci hanno allertato i bollettini meteorologici. Si preannuncia un pomeriggio durante il quale sarebbe opportuno barricarsi in casa e mettersi sotto le coperte. Ovviamente non potrò farlo, se non altro perché ho appuntamento dal medico, la cui sentenza già prevedo: mi dirà che ho le tonsille infiammate e mi prescriverà i medicinali del caso.
In ogni caso, questa mattina ho collegato il maltempo che imperversa qui con un altro avvenimento, accaduto ieri. SacherFire raccontava in un suo post di aver visto l’arcobaleno. Quando? Verso le 16. Addirittura “il più bell’arcobaleno” che avesse mai osservato. E a me è venuto in mente che è proprio intorno alle quattro del pomeriggio, più precisamente alle 15,52, che l’ANSA ha battuto una notizia attesa da quasi un decennio, questa: “Entro gennaio norme sulle unioni di fatto”. Che i due avvenimenti siano collegati? Che l’arcobaleno sia apparso a SacherFire come un gaio segno premonitore o rivelatore di quanto stava accadendo qualche chilometro più a sud, nella capitale?
Per qualche attimo l’ho creduto, ma ora non ne sono più così sicuro. Intanto, va rilevato che quello approvato ieri è un ordine del giorno, cioè un documento votato dal Senato che impegna il Governo a presentare un disegno di legge sulle unioni civili entro il 31 gennaio 2007. Il problema è che quell’ordine del giorno nasce in seguito al ritiro di un emendamento alla legge finanziaria che avrebbe esteso anche ai conviventi i benefici in materia di successioni concessi alle coppie sposate. Si tratta dunque di un compromesso che è servito ad evitare che a una discussione sui PaCS si arrivasse immediatamente. Sappiamo bene che gli ordini del giorno possono essere anche disattesi dal Governo e che in ogni caso il contenuto di quel disegno di legge non è precisato dal documento. “Non osiamo pensare” – ha dichiarato ieri Franco Grillini, deputato dei DS e presidente onorario di Arcigay – “cosa potrà essere un ddl del Governo costretto a passare sotto le forche caudine degli implacabili ‘teodem’”. Appunto.
Leggo oggi su Repubblica che “il Professore ha escluso (e il programma dell'Unione non prevede) che ci siano anche in Italia veri e propri Pacs”. Non è dato sapere se, quando in Italia si parla di PaCS, ci si riferisca proprio ai contratti di solidarietà francesi, ma sarebbe bene chiarire, una volta per tutte, ciò che questi proprio non prevedono e cioè: la reversibilità della pensione e la successione automatica nella proprietà dei beni posseduti dal partner, in caso di decesso di quest’ultimo. Che cosa resterebbe, dunque, se si volesse approvare una normativa ancor più esigua, in materia di diritti, rispetto a quella in vigore in Francia? Poco più di un pugno di mosche, temo.
Ecco perché mi sembra che la battaglia sui PaCS, in Italia, sia appena cominciata. Proprio per questo non comprendo bene Sergio Lo Giudice, presidente di Arcigay, quando, in un comunicato peraltro molto duro sul ritiro del famoso emendamento, scrive: “confidiamo che la ministra per le Pari opportunità Barbara Pollastrini, a cui d’intesa con la ministra per la Famiglia Rosy Bindi è stato delegato questo compito [di redigere il ddl, n.d.a.], saprà avanzare una proposta adeguata a rispondere alla richiesta pressante che si leva dal paese reale”. Nient’altro? Che so, un’ampia discussione nel movimento e poi la mobilitazione di tutte le forze che si possono riunire intorno a questa battaglia? No: ci affidiamo, come al solito, alla classe politica, aggrappandoci all’unica cosa che sia stata in grado di partorire sino adesso e cioè sette righine di programma che più striminzite di così si crepa, e i veti della Margherita. Tanti auguri.
Insomma, se, come ha scritto ieri SacherFire, “nessuno si è accorto dell’arcobaleno”, non sarà un caso. In effetti io da qui vedo solo vento e pioggia. Prepariamo gli ombrelli.

01 dicembre 2006

Il mostro

All’inizio avrei voluto scrivere un post con molti dati, per mostrare qual è la situazione nel mondo e qui in Francia. Per parlare ancora una volta di aids, nel giorno in cui si celebra la lotta contro questa malattia. Invece mi sono messo a tradurre.
È da un bel po’ che seguo le roncier, un ragazzo gay che ha deciso qualche tempo fa di lasciare Parigi e stabilirsi a Toronto. Se ve la cavate col francese, vi consiglio di visitare il suo blog. Altrimenti, ecco uno tra i post che mi sono piaciuti di più, tradotto in italiano.


Alla fine niente cambia. Né la rabbia, né il dolore, né l’impossibilità di dire. Sono sul mio letto e dico a questo ragazzo che sono sieropositivo e lui guarda rapidamente verso la porta. Non l’ho immaginato quello sguardo, l’ho visto, proprio prima che tornasse alle mie labbra. Prima, mentre ballavamo, gli avevo detto: no, non posso, non voglio soffrire. Non aveva capito, la musica della discoteca era troppo forte. Mi sentivo bene, quella sera, mi sentivo bene perché sapevo di brillare. Talvolta succede, so di brillare, mi preparo prima di uscire e quando sono pronto so che sarà una di quelle serate, durante la quale dimenticherò i miei difetti e ciò che mi piace di me traspirerà dai pori della mia pelle.
Sei un ragazzo a posto, mi dice, tu fai attenzione agli altri. Che ne sai, gli rispondo. Non mi conosci. In effetti non vede me, vede lo Charles delle grandi sere, quello che brilla. Io non sono accecato. Non dimentico mai. E quando gli dico che sono sieropositivo, so che la festa è finita. E capisco che è questo che non voglio più. Quelle persone che pensano di non essere mai state a letto con dei sieropositivi, solo perché i sieropositivi che sono stati a letto con loro non hanno mai detto che lo erano. Quegli uomini che pensano ancora che possono vivere la loro vita come se l’aids non li riguardasse. Come la dottoressa mi ha detto l’ultima volta, a proposito di Mike, quando le ho confessato che vedevo chiaramente che lui panicava: eppure dovrebbe sapere che con queste percentuali tra gli omosessuali, ha già dovuto affrontare l’aids! Affrontare l’idea, forse, ma non affrontare un sieropositivo.
Questa volta, il ragazzo è rimasto; per qualche ora, in ogni caso. Cercherò di conservare i complimenti, quelli che comprendevano tutto il mio corpo, il mio sorriso, i miei capelli, le mie gambe, le mie labbra. Conserverò il nostro ballo e mi ricorderò che, quando voglio, posso ridiventare brillante. Che se non lo faccio più spesso, è per non dover affrontare questo tipo di momenti. Tenterò di non conservare in memoria quello sguardo verso la porta, so che non potrò.
Niente cambia. Quelli che non vogliono proteggersi non si proteggono e seguono dei trattamenti d’urgenza per far finta di prendersi cura di sè. Quelli che lottano per la prevenzione si domandano a cosa serve. Quelli che vivono con l’aids se ne stanno tutti soli con lui, comunque sia, e, in un romanzo romantico, io sarò il dannato, quello che vive solo e che non si aspetta altro dalla vita, quello che sarà sempre lontano dagli altri, senza nessuna possibilità di avvicinarsi, di conoscere ancora l’intimità. Il mostro. Ma non siamo in un romanzo. È solo una stronzata di malattia. Al sole, oggi, i miei capelli brillavano, come un’eco della notte scorsa e mi sento stranamente sereno. (le roncier, licenza CC)

Foto: Aids, dove sono i/le candidat*?, ActUp Paris.