Ancora qualche nota a margine del dibattito – più che altro un’azzuffata – di questi ultimi giorni sul tema dei PaCS. L’offensiva più insidiosa, questa volta, non viene dai soliti settori clericali dell’Unione, ma dal segretario del principale partito sedicente di sinistra, i DS. E, subito dopo l’immotivata presa di posizione di Fassino contro le adozioni da parte di coppie formate da gay e lesbiche, è arrivato l’ignobile
pezzo di Passigli sull’Unità, raro esempio di malafede e disonestà intellettuale, la cui lettura è vivamente consigliata prima di avventurarsi in queste mie note (un po’ sconnesse, e me ne scuso).
Cerco di elencare a quali scopi miravano, secondo me, in maniera più o meno consapevole, le affermazioni di Fassino e quelle di Passigli, rilasciate a breve distanza l’una dall’altra.
1) Far credere all’opinione pubblica che, se una legge sulle unioni di fatto ancora non è stata elaborata, la colpa è da imputarsi non già alle ingerenze vaticane negli affari italiani, bensì all’“ala oltranzista del movimento gay”, la quale “insiste per ottenere anche [...] il riconoscimento alle coppie omosessuali del diritto di adozione”. Peccato che l’argomento non sia neanche stato sfiorato dal movimento lgbt italiano, vuoi per senso di opportunità, vuoi per pusillanimità e subalternità alla classe politica. Ma questo, ovviamente, non lo sa nessuno e così l’idea del divide et impera può trionfare: da una parte i gay cattivi che domandano l’impossibile (sì, d’accordo, l’hanno fatto persino in Spagna, ma basta chiamarla “deriva zapateriana” per tappargli la bocca) e dall’altra quelli buoni che se ne stanno zitti ad aspettare tutto ciò che il convento passa, anche una legge svuotata di ogni senso; da un lato
i gay che stracciano la tessera dei DS, dall’altro
quelli che se ne guardano bene, forse avendo un piccolo conflitto d’interesse rispetto alla carica che occupano; da una parte i “compagni gay” e dall’altra gli/le etero, che si vedono privat* del loro diritto ad ottenere un istituto più leggero del matrimonio, a causa di questa banda di scalmanati e di scalmanate che chiederebbero più di quanto a loro spetti.
2) Rassicurare una volta di più i futuri partner del Partito Democratico (Cristiano) sul fatto che gli alleati della sedicente sinistra sono pronti a far valere le ragioni dei cattolici nell’ordinamento italiano, sacrificando così il principio di laicità dello Stato. Non è un caso che, secondo Passigli, solo lasciando libertà di coscienza ai parlamentari DS per quanto riguarda la legge sui PaCS – non è nemmeno stata scritta e già si danno indicazioni di voto, un record! – “si potrà sperare di non porre un macigno insormontabile sulla via già così problematica del Partito Democratico”.
3) Definire e delimitare con accuratezza l’ambito nel quale i differenti attori interessati a questa riforma potranno muoversi. Si potrà parlare al massimo di qualche riconoscimento di diritti individuali, ma non di quelli delle coppie formate da persone dello stesso sesso, e tantomeno della ridefinizione giuridica dell’idea di “famiglia”, che per Passigli è solo quella “ove siano presenti ruoli consolidati non solo dalla natura ma anche socialmente quali quelli di ‘padre’ e ‘madre’”. Davvero un peccato che “natura” voglia dire poco o niente, che sia solo un concetto falsamente oggettivo, dietro il quale si celano ben più soggettivi pregiudizi omofobi, meno facili da esprimere apertamente – a meno di non avere la faccia di Calderoli. E peccato anche che i ruoli di “papà” e “papà” insieme o di “mamma” e “mamma” insieme, contrariamente a quanto ritiene Passigli, siano già “consolidati socialmente”, dal momento che gay e lesbiche non aspettano certo la legge e ancor meno la legittimazione del primo ex senatore diessino che capita, per poter procreare.
Il punto più inquietante mi pare proprio quest’ultimo. Io mi sento non solo offeso da tanta crudeltà e ipocrisia, ma mi trovo anche schiacciato in una posizione che, se il dibattito avesse preso una piega minimamente democratica, non assumerei. Io rivendico tutto il diritto di discutere di apertura del matrimonio tra persone dello stesso sesso, di adozioni e di omogenitorialità (sottolineo: di discutere). Perché mi deve essere impedito di partecipare con serenità a un dibattito dove tutte le posizioni possano essere rappresentate, quelle di chi su questi temi è favorevole e quelle di chi è contrario?
Se gli esponenti dei DS (ed una parte di Arcigay, storicamente vicina a questo partito) non avessero già ampiamente ipotecato questo dibattito, all’interno dello stesso movimento lgbt italiano queste contraddizioni potrebbero emergere e dar vita ad un confronto positivo, a momenti di discussione autentica – e non di principio – per giungere infine a un momento di sintesi. Quello che invece accade oggi è che il movimento lgbt è costretto a inseguire, più male che bene, priorità politiche stabilite altrove, cercando di parare i colpi e di portare a casa – come il segretario nazionale di Arcigay, Aurelio Mancuso, ha anche scritto – “
il minimo sindacale”. Guai a parlare di ciò che in altri stati europei è già divenuto realtà, questo è l’avvertimento di Fassino e Passigli al quale, ahinoi, ci siamo già da molto tempo adeguat*.
Io invece sono tra quell* che credono che non sia il movimento a dover trovare un compromesso intorno a ipotesi “minimaliste”, perché alla mediazione già pensa la classe politica, che fa questo di mestiere. Al movimento spetterebbe piuttosto il compito di elaborare delle rivendicazioni forti, intorno ad alcuni punti centrali che possano essere condivisi, e questo solo dopo (non prima di) aver costruito un percorso comune tra le varie anime ed averne dibattuto.
È un’impressione del tutto personale e, come tale, più che opinabile, ma mi sembra che oggi il movimento lgbt italiano abbia toccato il fondo. Dopo il famoso compromesso al ribasso rappresentato dalle sette righine di programma dell’Unione sui PaCS, non si poteva immaginare uno scenario peggiore. Il futuro del movimento – e quindi quello di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali italian* – dipenderà in larga misura dalla sua capacità di reagire agli attacchi provenienti da ogni parte e di costruirsi uno spazio di elaborazione e di azione politica totalmente autonomo rispetto ai partiti.