Catania Pride 2008 - 5 luglio

31 ottobre 2006

Fino alla distruzione, nel nome del solo diritto, i leoni uccidono i cuccioli

Ho già dato conto di alcune reazioni alla segnalazione di un mio post (Perché là sì e qui no?) da parte della sezione Libero Blog di Libero. I lettori continuano a pubblicare commenti, anche se a un ritmo meno sostenuto. Riporto qui alcune delle nuove reazioni, più precisamente quelle omofobe. E non ho ancora deciso se ridere o piangere.

- Omofobo io? Con tutti gli amici omosessuali che ho!
chimipare per Psicoterapeuta ha scritto (29 ottobre 2006, ore 12:36)
Continua sulla tua strada amico mio, poi vedrai come cambieranno le cose. E comunque, non per farmi i cazzi tuoi, ma io conosco il significato di tutte quelle parole, visto che ho molti amici omosessuali se lo vuoi sapere e in più non bevo, non fumo e non mi drogo. Quindi? E' inutile che ti credi chissachì, abbassa il tono e tieni quel poco che hai vicino a te, ti servirà un giorno.

- Apocalypse now
italianovero ha scritto (29 ottobre 2006, ore 21:48)
DOPO LE LESBICHE I GAY DOPO I GAY I LIBANESI DOPO I LIBANESI I MAROCCHINI DOPO I MAROCCHINI I RUMENI DOPO I RUMENI GLI ISLAMICI IN QUESTA ITALIA DI GRANDI APERTURE C'E' ANCORA POSTO....... FORSE ........PER GLI ITALIANI E LE PERSONE COMUNI FINO ALLA DISTRUZIONE. ciao

- Brrrr
Paolone ha scritto (30 ottobre 2006, ore 14:13)
Meno male che non siamo in Norvegia! Tutto quel freddo può dare alla testa. Ma poi basta un filmato per dire che l'omossessualità animale è normale per dire che va bene tra gli uomini? Anche quando si scannano tra loro allora va bene, se ciò deve essere poi paragonato con l'uomo! Questo dimostra che i paesi definiti più "civilizzati" stanno andando a rotoli come valori e persino come obbiettività nel nome del solo "diritto". Per carità, W l'Italia!

- Uccidiamoci i figli
Sarah ha scritto (30 ottobre 2006, ore 16:57)
I leoni uccidono i cuccioli degli altri leoni per evitare che questi crescano e si appropriano del loro territorio allora uccidiamoci i figli a vicenda!!! certo che di stupidagini se ne dicono tante ci mettiamo alla pari degli animali ora...

- Questo è il secondo a darmi il consiglio giusto
Gio ha scritto (30 ottobre 2006, ore 18:03)
E allora vai là

I premi sono già stati assegnati in un post precedente. Peccato.

30 ottobre 2006

Il mio PaCS - Arrivo

Quando siamo entrati, da celibi, al tribunal d’instance del nostro arrondissement, erano le dieci del mattino. Ne siamo usciti pacsati alle dieci e venticinque. Giusto il tempo per il cancelliere (una ragazza gentilissima che portava un paio di scarpe da ginnastica) di controfirmare il contratto del pacs, di rilasciare l’attestazione della sua iscrizione nei registri del tribunale e di darci una breve spiegazione dei nostri diritti e dei nostri doveri.
In effetti, il contratto detto “de pacte civil de solidarité” si presenta così: “Noi sottoscritti (seguono i nomi) concludiamo un patto civile di solidarietà a norma della legge n. 99-944 del 15 novembre 1999 (articoli 515-1 e seguenti del Codice civile). Ci impegnamo a darci un sostegno materiale reciproco dividendo le spese correnti così come le spese relative al nostro domicilio comune. Fatto a Parigi, in due copie, il 23/10/2006 [la data è quella relativa alla nostra prima presentazione con i documenti]. (Seguono le firme)”.
La legge prevede che i beni acquisiti fino al giorno del pacs appartengano ognuno al suo proprietario. A partire da oggi, invece, a tutto ciò che verrà acquisito sarà applicata la comunione dei beni: qualsiasi bene, anche se acquistato da uno solo di noi, apparterrà per metà anche all’altro, salvo che all’atto della compravendita non venga fatta una menzione specifica attestante la proprietà esclusiva da parte di uno solo di noi oppure una proprietà comune ma in proporzioni diverse rispetto alla metà per ciascuno. Questo punto è stato modificato recentemente da un’altra legge che ha introdotto, per le coppie pacsate, il regime della separazione dei beni (salvo deroghe all’atto della compravendita), cioè l’esatto contrario di quanto avviene oggi. La norma avrà effetto a partire dal 1° gennaio 2007 e, se vorremo adeguare il nostro contratto al nuovo regime, dovremo farlo attraverso una modifica da far registrare al tribunale.
Qualsiasi debito contratto da uno di noi due per la nostra vita in comune sarà imputabile anche all’altro. Dal punto di vista fiscale, dovremo fare una dichiarazione dei redditi separata per i mesi ormai passati e una dichiarazione congiunta per il tempo che resta da oggi alla fine dell’anno. Poi faremo ogni anno una sola dichiarazione congiunta e le imposte verranno pagate considerando il reddito totale del nucleo familiare (è un punto particolarmente importante perché in questo modo una coppia i cui membri hanno redditi molto diversi, avrà un’imposizione globalmente più leggera rispetto a chi, pur essendo in coppia e nelle medesime condizioni di reddito, non è pacsato e non può quindi presentare una dichiarazione congiunta).
Assolutamente nulla per quanto riguarda la pensione o l’eredità: qualora io dovessi mancare (corna e toccamenti sono più che graditi), il mio compagno non avrebbe diritto ad ereditare ciò che ho posseduto, ma al massimo a rimanere nello stesso domicilio dove abbiamo abitato per non più di un anno. È la lacuna più evidente di questa legge, il punto sul quale le associazioni glbt avevano chiesto una riforma seria, che la maggioranza governativa di destra non ha accolto.
Inoltre: il nostro pacs è valido in Francia, ma non in Italia dove non è riconosciuto (toh!).
Perché l’abbiamo fatto? Perché dopo tanti anni passati insieme, ci sembrava giusto offrire l’uno all’altro quelle garanzie minime che la legge permette qui a una coppia gay. È vero, il pacs, che in fin dei conti è “solamente” un contratto tra due persone, non ha niente a che vedere con l’amore, o meglio, può anche non avere alcuna attinenza con il rapporto affettivo degli individui che decidono di sottoscriverlo: resta il fatto, però, che non di solo amore si vive ed esiste una serie di questioni pratiche che possono essere utilmente regolate dalla legge. Dopodiché, il modo di gestire la nostra coppia, dal punto di vista strettamente relazionale, dipende solo da noi: il peso della “tradizione” o dell’ “innovazione” nel concepire il nostro rapporto, non dipende da questo atto amministrativo, se non in piccola parte.
Certo, è vero anche che la firma di un pacs non significa la rivoluzione sociale e il sovvertimento dell’idea di famiglia: questo potrà tranquillizzare forse i più feroci difensori dell’istituto familiare ed inquietare al tempo stesso quei gay e quelle lesbiche più legat* a un’idea rivoluzionaria (e non normalizzatrice) della presenza omosessuale nella società. Io però credo che se oggi si manifestano enormi resistenze, tensioni e contraddizioni di fronte al tentativo di allargare i concetti di “famiglia” e “genitorialità” e sotrarli agli angusti binomi uomo-donna/padre-madre, qualcosa vorrà pur dire. Insomma, mi pare che siamo di fronte a due possibilità: o la nostra cosiddetta “comunità” sta pretendendo, attraverso il pacs o il matrimonio, l’omologazione, l’appiattimento sul modello eterosessuale (che si rivelerebbe quindi vincente e l’unico possibile) oppure stiamo costruendo qualcosa di nuovo e stiamo facendo evolvere delle strutture arcaiche, degli istituti (come quello familiare) che già da tempo mostrano la corda. Resterebbe da dimostrare (mentre il dubbio che ho appena esposto rimane tutto intero, almeno per me) che, nella seconda delle ipotesi, stiamo riuscendo a condurre una critica efficace del modello familiare, nel momento stesso in cui reclamiamo il diritto di entrarne a far parte.
Uff! E adesso due cose: cambio per ventiquattr’ore i colori del blog, così, tanto per segnalare che oggi sono contento. Eppoi per quanto riguarda i festeggiamenti: stasera, appena avremo finito di lavorare, io e Staou scompariremo e ce ne staremo soli soletti, per i fatti nostri. Ma una buona bottiglia vi aspetta sempre qui da me. Besos!

29 ottobre 2006

Il mio PaCS - Quarta tappa: il Tribunal d'instance

Lunedì scorso io e Staou ci siamo recati al Tribunal d’instance dell’arrondissement parigino nel quale abitiamo. In soli dieci minuti abbiamo fatto verificare all’impiegata di essere in possesso dei documenti validi per la firma di un pacs, e cioè: passaporti; atti di nascita con relative traduzioni dall’italiano al francese redatte da una traduttrice accreditata presso la Corte d’Appello; certificati di “legislation et de coutume”; certificati di non pacs; due autocertificazioni per il domicilio comune; due copie del contratto di “pacte civil de solidarité”. Non paga, l’impiegata ci ha fatto compilare ancora due autocertificazioni per dichiarare: in quale anno abbiamo compiuto la maggiore età; di non esserci mai sposati; di non essere stati dichiarati incapaci d’intendere e di volere.
Con questi stessi documenti dovremo presentarci nuovamente al Tribunal d’instance per la registrazione del pacs. Da quel momento saremo pacsati a tutti gli effetti. L’appuntamento, dunque, è per lunedì prossimo. Ops! Ma è domani!

Precedenti: Partenza, Prima tappa, Seconda tappa, Terza tappa.

Lo "zoo degli esemplari umani che si ritengono animali"

Sotto l’immagine di due carte geografiche riproducenti l’italico stivale e la Norvegia, Libero ha segnalato sulle pagine di Libero Blog un mio post: Perché là sì e qui no?. Qualche minuto dopo si sono scatenate le reazioni dei lettori. Fino a questo momento 34 commenti, molti dei quali sarebbe complicato definire “gayfriendly” (ma mentre scrivo vedo che lo sbrodolamento continua). Riportarli qui? Sarebbe un post troppo facile, direte voi. Infatti, è facilissimo e soprattutto è irresistibile. Da leggere se ancora non avete mangiato. Altrimenti, aspettare che la digestione sia conclusa. È roba forte.

- Accoppiarsi con una al primo ciclo
SIEG ha scritto (28 ottobre 2006, ore 17:22)
Si, gli animali praticano l'incesto con disinvoltura, quì considerato immorale e può avere anche ripercussioni penali. Gli animali se ne sbattono anche dell'età del partner, in una ipotetica pedofilia: si sccoppiano con chiunque sia in età fertile. E se anche noi ci accoppiassimo con una al primo ciclo (e quindi per natura pronta a riprodursi)? come la mettiamo con chi il primo ciclo lo ha avuto a 12 anni???? MA DAVVERO DOBBIAMO PRENDERE COME ESEMPIO LE BESTIE??

- Scoperti!
Liborio ha scritto (28 ottobre 2006, ore 17:43)
E' questione di lobby di potere e nulla più! http://liboriobutera.splinder.com

- Riaprire i manicomi
eMMeFFe ha scritto (28 ottobre 2006, ore 17:57)
Già il fatto che se si discuta di questo caso, si da troppa importanza ad un argomento che di importanza non ne merita...ritengo gli omosessuali persone disturbate psicofisicamente per cui come tali vanno internate e curate...almeno fino a guarigione ultimata

- Su qui e su qua l’accento non va
leonardo ha scritto (28 ottobre 2006, ore 18:40)
perché allora non te ne vai Là invece di stare quà???

- Ascanio
tdk ha scritto (28 ottobre 2006, ore 19:27)
fanno bene a zittrli anche luxuria non dovrebbe apparire in tv o pecoraro ascanio

- Confuso e infelice
chimipare ha scritto (28 ottobre 2006, ore 21:39)
Basta con tutti questi transessuali, bisex, omosessuali non si capisce più 'na mazza! Se voglio conoscere una tipa voglio esser sicuro che sia sempre stata Donna con la D maiuscola! Cercate di capire che noi siamo prima di tutto UOMINI, se dobbiamo tornare animali allora facciamo un bello zoo degli esemplari umani che si ritengono animali! Detto questo, buona serata!

- Ragazzi alla pari cercasi
Pino ha scritto (28 ottobre 2006, ore 23:27)
Che stupidaggine! In natura esistono unioni omosessuali ma anche pedofile! Siamo alla pari degli animali? Gli omosessuali, i trans, i bisex e i pedofili hanno tutti il cervello malato. Hanno bisogno tutti di una bella psicoterapia.

- Ce l’hai interno o esterno?
chimipare per Psicoterapeuta ha scritto (29 ottobre 2006, ore 01:54)
E tu chi saresti per giudicare1persona ke nemmeno conosci?Forse fa proprio parte del tuo istinto da animale andare contro gli altri per dimostrare a tutti ke sei tu colui ke tutto sa di come gira il mondo e l'1iverso stesso.Forse la maturazione l'hanno avuta esattamente come l'hai avuta tu,dalla parte sbagliata e ti spiego il perché:le nostre radici sono state soppiantate dall'ipocrisia e dal denaro.Non c'è+il buonsenso di dire "io voglio creare1famiglia" e il coraggio di ammettere ke siamo uomini e lo siamo perchè i nostri genitori prima di noi hanno voluto questo.1errore è matematico,si propaga,continuando nel tempo a sbagliare.Ora sta diventando talmente incontrollabile ke non riusciamo+a distinguere se siamo uomini o donne.1volta bastava vedere se avevamo o no l'organo sessuale interno o esterno. [continua]

- Fatte ‘na bira...
chimipare per Psicoterapeuta ha scritto (29 ottobre 2006, ore 01:55)
[continua da prima] Fai presto a dare giudizi scontati e fuori dalla moralità alla quale apparteniamo.Finchè esiste gente come te,le cose non andranno sicuramente meglio e lo state vivendo tutti con i vostri occhi ogni giorno.Dalle tue frasi sembra ke stai scaricando addosso a me 1male di vivere ke pervade te e tutta la vita ke ti sta attorno.Vuoi 1consiglio,esci con gli amici,bevi1birra,vai al lavoro,alzati la mattina nella consapevolezza ke c'è sempre qualc1ke ti vuole bene.Quando sarai capace di fare questo,avrai trovato la maturità ke cercavi e ke speri di impioppare a me,ke mi reputo 1semplice studente 1iversitario ma felice di vivere la propria vita ogni singolo giorno. Buona notte

- Nonostante tutto...
gio ha scritto (29 ottobre 2006, ore 09:21)
domanda semplice risposta semplice: lì si e qui no perchè qui nonostante tutti i casini forse qualche valore riesce a stare stentatamente in piedi, lì ci hanno rinunciato già da tempo!

- Registro una smania
somar ha scritto (29 ottobre 2006, ore 09:28)
registro che c'è una smania sempre più forte per promuovere l'omosessualità. Sinceramente non ne capisco la necessità anche perchè gli omosessuali hanno sempre fatto e fanno tutto quello che credono. Che bisogno hanno di ricercare l'approvazione di chi loro non è daccordo? Facciano i fatti loro, non rompano le scatole e lacino in pace la gente comune che, per fortuna è ancora la larghissima maggioranza com buona pace di Luxuria & compagni.

- Ma... è vilipendio! È vilipendio!
gio ha scritto (29 ottobre 2006, ore 09:28)
leggo con "piacere" che qualche "tollerante pacifista" si diverte a scrivere cosucce tipo "la madonna è un transessuale brasiliano di colore" (messaggio del 28.10 ore 23.50); se non erro, esiste sempre il reato di vilipendio alla religione, farò il possibile affinchè l'autore di quella vaccata e la struttura di libero abbiano al più presto alcune "rogne" da parte della Magistratura; liberi si, ma insultare i sentimenti religiosia altrui no!

Premio “B16” a gio, per lo zelo dimostrato.
Premio “Elisabetta Gardini” a tdk, per l’ardua scelta dell’obiettivo da colpire.
Premio “Ancora un piccolo sforzo” a chimipare, per la promessa che rappresenta in quanto “studente 1iversitario”.

28 ottobre 2006

Cessi

Dov’è la notizia? Una clericofascista come la Gardini che esercita il suo ruolo di squadrista alla Camera è una notizia? Una che abbaia a Vladimir Luxuria, cioè a una delle politiche tra le più miti che si conoscano, intimandole di uscire dal cesso, può ancora stupire qualcuno? Stracciarsi le vesti per un cane da guardia della sessuofobia, che se potesse farebbe a pezzi tutto ciò che risulta sovrabbondante rispetto al suo sterile, ottuso e violento binomio “uomo-pene che fotte / donna-vagina fottuta”? Frega a qualcuno? Temo che molte persone credano che la risposta a queste domande, nient’affatto retoriche, sia un secco: “No”. Diranno: affari di gabinetto (ma non quello ministeriale, ahimè); l’Italia ha problemi più seri e bla bla bla. Certo il livello d’inciviltà e di putrefazione culturale alla quale è giunto l’italiota (usato nel senso per niente improprio di italiano idiota) non può interessare l’italiota stesso: ormai è troppo tardi perché se ne accorga.
Sono arrabbiato e triste. Lo dico perché Vladimir Luxuria non è stata difesa, come invece avrebbe dovuto essere. Tutti gli avvocati delle cause più disparate (spesso eteronormati e omofobi ordinari), dove sono ora? Hanno anche loro schifo della transgender Vladimir Luxuria? Della deputata? Della comunista? Sono questi i suoi torti?
Doveva pisciare. Ecco, non so, mettiamo che un giorno l’Italia abbia parlamentari di colore, e che uno o una di loro debba servirsi dell’onorevole cesso: “Fuori lei, questo è un bagno per bianchi!”, si potrebbe suggerire. O che a un senatore ebreo un detestabile collega si rivolga con un: “Giudei alla larga!”. Che succederebbe? A questo proposito si ricordi cosa accadde quando su certi muri apparvero delle scritte antisemite contro il giornalista Paolo Mieli: valanghe di dichiarazioni giustamente indignate. Ma, si sa, lo sdegno è altamente selettivo. Invece io, a parte le rare reazioni froce di deputatesse e altre altolocate, questa volta ho letto poco. Ed è un gran peccato. La vicenda dimostra dunque, se ce ne fosse bisogno:
1. che questa è la destra più becera, volgare e pericolosa che l’Italia repubblicana abbia mai visto, Almirante potrebbe andarne fiero. E non sono contenti della loro fogna, vorrebbero fare, se possibile, anche peggio: “si dovrebbero far sorvegliare i bagni dai questori e poi creare un bagno solo per Luxuria”, si sono azzardati a dire alcuni individui (?) il cui cognome si fa volentieri dimenticare. Perché non riaprire i campi di concentramento, già che ci siamo? A che livello di stordimento siamo arrivati per non scattare in piedi quando accadono enormità di questo genere e non fiutare il pericolo? Ogni frase di questo tipo è un passo indietro che stiamo compiendo. È sufficiente gridare: “Europa, salvaci tu”, secondo voi? Usare un atteggiamento fatalista e ripetere il mantra “Cambierà”?
2. Si dimostra così anche l’ipocrisia del centrosinistra: di che s’indignano quei pochi e quelle poche che oggi lo fanno, se poi nessuno è pronto a far discutere, con urgenza, semplici provvedimenti per niente rivoluzionari ma di puro adeguamento agli ordinamenti di altre nazioni come la nostra, cioè la possibilità di cambiare il sesso anagrafico senza passare obbligatoriamente per l’operazione chirurgica, delle severe norme antidiscriminazione e il matrimonio tra persone dello stesso sesso? Di cosa si sta blaterando, se al primo monito papale questi sono pronti alla genuflessione in barba al principio di laicità? Episodi come quello di oggi alla Camera se ne contano migliaia ogni anno in tutto il Paese, ma il centrosinistra se ne accorge solo adesso, quando il fattaccio coinvolge il Palazzo. Da domani tutti a casa per il fine settimana, e lunedì si torna al solito immobilismo. Non sarà l’ora di finirla?
D’altro canto, vista l’ignavia non solo della cosiddetta “comunità glbt” ma anche, in senso più vasto, di quella democratica e progressista, viene proprio da dire: “Ce la meritiamo, la Gardini”. Allora teniamocela, anzi: tenetevela!

Fonte: Ansa.

27 ottobre 2006

Il mio PaCS - Terza tappa: il certificato di non pacs

Me l’aspettavo sontuoso, antico, colonne e ampie scalinate ovunque, grandi sale e corridoi dal soffitto alto; da ogni dove, si sarebbe dovuto levare il clamore delle genti in differenti cause impegnate. Sarà che la pompa e l’orpello mi divertono – al di là dei doppisensi. Sarà che speravo di trovare qualcosa di simile al prestigioso palazzo che ospita, a Ile de la Cité, la sua sede centrale. Invece sono deluso. Se non fosse per la targa che la contraddistingue, la succursale del Tribunal de Grande Instance di Parigi assomiglierebbe a un qualsiasi edificio moderno dei dintorni. Del resto, anche il nome dell’istituzione è stato, per così dire, concentrato e “diminuito” nell’innocuo acronimo TGI (“té-gé-i”). (Buffa questa mania tutta francese di chiamare le istituzioni, le autorità, le creazioni in campo tecnico o industriale o architettonico, le infrastrutture, con i nomi più altisonanti che poi però vengono subito ridotti a sigle spesso oscure. Qui c’è un acronimo per ogni cosa, tutto può diventare sigla: Assemblée Générale diventa “AG”, Conseil d’Administration non è mai scritto o pronunciato per esteso ma è “CA”, Président Dirécteur Général si dirà “pdg”, e così via siglando).
Quando sono uscito dalla stazione Corentin Cariou del metrò, non lontano dal parco della Villette, e ho visto intere truppe dirigersi diligentemente e con passo svelto tutte nella mia stessa direzione, ho pensato che avrei perso sicuramente la mattinata in una coda chilometrica, in attesa del mio turno allo sportello. Adesso però realizzo che quella fiumana si smista autonomamente e ordinatamente in un complesso di edifici dove trovano posto le sedi delle più diverse società, qualche ristorante, palestre ed altre urbane amenità, tra le quali anche il palazzo del TGI. Il numero di persone che attraversano con me il portone d’ingresso del tribunale è più che ragionevole.
Allora entro, la guardia mi verifica coi suoi aggeggi tutto il verificabile, poi mi indica dove andare. E qui comincia l’incubo dell’ascensore. Ce n’è uno solo che porta alla meta, il piano del servizio pacs, ma ha un difetto, e non dei più trascurabili: il pulsante che serve a portarlo al piano terra, dove mi trovo, richiama anche tutti gli altri. E finché un altro è disponibile al piano terra, quello che devo prendere io non si muove. Inizia così una lotta estenuante che, per minuti che sembrano un’eternità, vedono coinvolti me, il pulsante e gli ascensori maledetti. Quando una fortunata congiunzione astrale fa sì che tutti e tre gli altri ascensori siano distratti ad altri piani, finalmente arriva il mio, si apre e mi lascia salire. Ma è solo il primo ostacolo.
Arrivo al piano desiderato e mi ritrovo in un piccolo atrio, dalle pareti rivestite in legno chiaro, moquette a terra e un gran silenzio. Perché le porte non si aprono? Perché non si può vedere oltre e comunicare la mia presenza a qualcuno? Intanto l’ascensore se n’è andato, lasciandomi solo con i miei dubbi. Mi sembra di essere piombato in una fiaba moderna: che sia un’altra prova da superare per arrivare alla meta? Ma allora dov’è l’aiutante? Insomma, quando già i nervi stanno per cedere, faccio finalmente caso a un piccolo citofono che reca la scritta (minuscola, bisogna ben dire): “servizio pacs”. “Per che cosa viene?”. “Per un certificato di non pacs”. È il mio “apriti sesamo”. “Vada in fondo a destra”.
Corridoi stretti e pareti in cartongesso, ancora moquette, ancora silenzio, neanche l’ombra di una fila. Sulla soglia del suo ufficio mi accoglie un’impiegata, mi chiede di aspettare qualche minuto nella sala d’aspetto: tre metri per tre, due sedie. Davanti a me c’è solo una ragazza, ma io sono preoccupato lo stesso e chiedo quanto tempo ci vorrà. “Solo pochi minuti”. Mi rassicura, è gentile.
In effetti l’impiegata viene a chiamarmi qualche minuto dopo. Mi siedo nell’ufficio ma ora è la sua collega, “le greffier en chef du Tribunal de Grande Instance de Paris”, cioè il cancelliere, che osserva la delega del mio promesso “sposo”, i nostri atti di nascita tradotti e i nostri documenti d’identità. Una volta verificati, nel giro di pochissimo tempo, stampa e firma il “certificat de non pacte civil de solidarité”: è il documento che attesta che non abbiamo firmato nessun altro pacs (condizione per poter sottoscrivere il nostro). E un’altra è fatta.

Prossima: il Tribunal d’Instance (again; da non confondere col TGI!).
Precedenti: Partenza, Prima tappa, Seconda tappa.

26 ottobre 2006

Il cuore di Giovanna

Ieri è morto Bruno Lauzi. Su di lui ha scritto un bel post Anellidifumo.
Della scuola genovese, a dir la verità, tra le canzoni che ascolto oggi rimane molto poco: a parte De Andrè, qualcosa di Tenco e, di Bruno Lauzi, solo Ritornerai (“Ti senti sola con la tua libertà / ed è per questo che tu ritornerai”).
Tuttavia c’è un ricordo di quand’ero bambino e infilavo ancora i quarantacinque giri ereditati dai miei nel “mangiadischi” Penny (e mai definizione fu più appropriata, visto lo stato in cui quell’aggeggio infernale ti restituiva il vinile dopo averlo fatto gracchiare). Tra quei dischi ce n’era anche uno di Bruno Lauzi e il titolo di una delle canzoni era Il cuore di Giovanna. La mettevo su a ripetizione, oggi si direbbe che facevo dei “loop”. Il fatto è che mi ero invaghito di una mia compagna d’asilo (che poi sarebbe stata mia compagna anche alle elementari) che si chiama Giovanna. Pensavo che non ci saremmo separati mai, che avremmo vissuto insieme... Avevo quattro anni. Più o meno.

25 ottobre 2006

Il matrimonio non è tutto

Viene ancora dalla Spagna la notizia di un nuovo episodio di omofobia. I protagonisti sono, proprio come nel caso del ristorante La Favorita di Madrid, due uomini gay che sono stati minacciati dal padrone di un bar mentre si stavano baciando sulla terrazza del suo locale, a Siviglia. I due hanno subito sporto denuncia. “Non avevo mai provato in maniera tanto forte quanto possa rivelarsi difficile il fatto di essere omosessuali in questo paese”, ha detto una delle vittime.
Questo ci ricorda che una legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso, benché più che auspicabile, non può considerarsi il traguardo definitivo della nostra battaglia. La FELGT (Federación Estatal de Lesbianas, Gays, Trasexuales y Bisexuales) ha chiesto che le autorità “applichino le sanzioni previste dalla legge per questi casi in modo che esse non solo rivestano una funzione punitiva ma servano anche da esempio”. Ha quindi ricordato, secondo me in modo del tutto condivisibile, che “l’omofobia non si combatte solo con l’uguaglianza legale. È necessario che i giovani imparino a rispettare e dare importanza all’orientamento sessuale o all’identità di genere come a qualcosa di intrinsecamente umano e socialmente degno. Questo insegnamento” – chiede ancora la FELGT – “deve entrare nei programmi scolastici”.

Fonti: FELGT, Têtu.

Perché là sì e qui no?

Stavo per andare a nanna, qualche minuto fa, quando mi sono imbattuto in due notizie che, benché riguardino paesi e situazioni differenti, non riesco più a dissociare.
Dunque, succede che il Museo di storia naturale di Oslo abbia deciso di organizzare una mostra sull'omosessualità nel mondo animale. Il direttore del progetto, Geir Söli, spiega che l'idea gli è venuta "sentendo alla radio un prete che descriveva l'omosessualità come fosse qualcosa contro natura". Da quelle parti ascoltare affermazioni di quel genere pare susciti ancora qualche reazione... "Oggi sappiamo" - continua - "che l'omosessualità è un fenomeno largamente diffuso nel mondo animale. E che non si tratta solo di relazioni sessuali brevi, ma anche di relazioni durevoli".
E l'altra notizia è questa: Alessia Bellucci, una transessuale socia di Crisalide, non ha potuto incontrare gli studenti e le studentesse del Liceo classico di Recanati che l'hanno chiamata per un dibattito sulla transessualità. Le polemiche generate dalle prese di posizione di Fabio Ambrosini lo hanno impedito. E chi è Fabio Ambrosini? Tranquilli, non è il preside del liceo in questione, nè il provveditore. È solo il capetto locale di Azione Giovani, evidentemente più accreditato di Bellucci per sentenziare su tali argomenti. In un italiano a dir poco ardito, Ambrosini afferma infatti che un dibattito sulla transessualità "avrebbe infuso problematiche tali da poter turbare la maturazione sociale degli studenti" e che compito della scuola sarebbe quello di bandire "modelli sociali divergenti dalla morale cattolica e sociale, che avrebbe anzi l'obbligo di insegnare". Dove si vede che il problema non è tanto o non solo il contenuto delle dichiarazioni, ma il fatto che questo capetto venga ascoltato e preso sul serio.
Ecco, ma adesso ditemi: perché là sì e qui no? 'Notte!

24 ottobre 2006

Gerusalemme e l'abominevole marcia

Cresce la tensione intorno al corteo del World Pride che si terrà a Gerusalemme il 10 novembre prossimo. La settimana scorsa, alcune migliaia di ebrei ortodossi hanno protestato contro la sfilata, già rinviata una prima volta a causa della guerra scoppiata quest’estate tra Israele e Libano. I manifestanti, che si sono riuniti mercoledì scorso in piazza Kikar Hashabbath a Gerusalemme, portavano cartelli nei quali si poteva leggere, tra l’altro: “Non lasceremo che la città santa venga insozzata”. Si sono raccomandati di vegliare sulla moralità dei propri figli ed hanno definito l’omosessualità “un flagello”.
Il nuovo pretesto non per un ulteriore rinvio, come tengono a specificare, ma per l’annullamento sine die del World Pride a Gerusalemme sta, secondo gli esponenti ortodossi, nel fatto che quel giorno si celebra il sessantottesimo anniversario della Notte dei cristalli, la feroce repressione antisemita attuata dai nazisti tra il 9 e il 10 novembre 1938. “È un insulto ai sopravvissuti dell’Olocausto. La comunità gay e lesbica è immorale e deve essere condannata”, afferma la consigliera comunale del Partito Nazionale Religioso, Mina Fenton, che, riferendosi al corteo del World Pride, parla di “marcia abominevole”. Prima di aggiungere: “Qualsiasi giorno scelto per tenere la manifestazione gay sarebbe un giorno triste”.
Pronta la risposta di Noa Sattah, presidente dell’associazione glbt Open House di Gerusalemme: “L’anniversario della Notte dei cristalli è un giorno che commemora un evento nel quale gli appartenenti a una minoranza furono uccisi: omosessuali ed ebrei. L’odio che Fenton sta tentando di provocare sa di razzismo della peggior specie”. Ed è di oggi la notizia della creazione di un non meglio specificato “comitato d’azione” creato da alcuni rappresentanti religiosi ma anche militanti laici contro lo svolgimento del World Pride.
Tutto questo mentre, quattro giorni fa e per la seconda volta dal 12 gennaio 2005, un tribunale israeliano ha permesso a una lesbica di poter essere madre del figlio tredicenne della propria compagna.

23 ottobre 2006

Stoccolma, impressioni

“E perché mai siete venuti proprio qui?”, è la domanda che ci hanno posto un po’ tutte le persone che abbiamo avuto la fortuna d’incontrare, stupite della nostra presenza. Già, perché andare proprio a Stoccolma, e proprio in ottobre, quando le giornate nella capitale svedese sono già molto più fresche di quelle parigine? “Perché è la prima volta che visitiamo il nord Europa”, dicevamo, “per noi molte cose qui sono nuove, quindi interessanti”.
Sì, deve essere stata una curiosità ormai decennale ad averci spinto fin lassù, un vecchio sogno di quando eravamo più giovani e cercavamo il modo migliore per emergere dal pantano nel quale ancora ci trovavamo. Fantasticavamo sul nord Europa immaginandolo come una specie di Eden. Adesso che ci sembra di essere comunque riusciti ad allontanarci almeno un po’ dallo stagno, abbiamo finalmente potuto “vivere” a Stoccolma, anche se solo per qualche giorno e senza nessun progetto particolare. Ci ha accompagnato una strana nostalgia per decisioni non prese e per epoche ormai lontane, che ha fatto sì che persino io, italiano trapiantato a Parigi, mi sentissi un po’ a casa mia. O come un assassino che torna sul luogo del delitto.
Stoccolma è una delle capitali più accoglienti che mi sia capitato di visitare. Come dimenticare la magia della città vecchia, Gamla Stan, con i suoi antichi palazzi, o l’austero e ricco quartiere Östermalm, il quartiere Kungsholmen e il suo municipio? E Södermalm, l’isola che si trova a sud e che era il luogo dove risiedeva un tempo soprattutto la classe operaia, oggi ricca di caffè alla moda o di negozi di design: questo mi è parso il vero cuore della città, pulsante di vita e di gioventù varia. Non a caso, e senza dubbio con una buona dose di esagerazione e un pizzico di autoironia, il quartiere che si trova a sud di Folkungagatan, è stato ribattezzato SoFo (cioè South of Folkungagatan, sulla falsariga di SoHo, South of Houston). Ancora, sono ben scolpite nella mia mente le immagini del più che sobrio Castello Reale, e dell’interessantissimo Vasamuseet, un museo che espone un vascello del 1628 affondato qualche minuto dopo il suo varo, e recuperato 333 anni dopo, ancora in ottimo stato. Grazie ai percorsi tematici che si sviluppano letteralmente intorno al corpo del vascello, si compie un viaggio alla scoperta di diversi aspetti della vita nella Svezia del 1600.
Non ho avuto tempo d’infilarmi in uno dei numerosi cybercafé o nei punti internet della stazione centrale o della Biblioteca municipale, per raccontare il mio soggiorno a Stoccolma giorno per giorno. Così adesso vorrei solo trascrivere qualche impressione che ho raccolto quando ero lassù.
L’elemento che forse più di tutti forgia questa città è la presenza costante e benefica dell’acqua e del verde. Più e più volte, camminando o spostandosi in metropolitana, è necessario attraversare i ponti che congiungono le varie isole sulle quali si adagia la città – timorosa, si direbbe, di disturbare l’ambiente naturale che la circonda, anzi, che la permea. E appaiono allora il Lago Mälaren e il Mar Baltico, di un blu profondissimo. Là dove i canali si fanno più stretti come fra l’isola di Gamla Stan e il quartiere Norrmalm l’acqua scorre rapidamente, tanto che a vederla si direbbe un fiume. Gli spazi verdi sono immensi, e può tranquillamente accadere che si scambi quello che è semplicemente un parco per un bosco. Le piste ciclabili sono onnipresenti, il traffico è calmo ed estremamente regolato. Dicono che nei due mesi durante i quali qualche raggio di sole le riscalda, le spiaggette di Stoccolma si riempiano di bagnanti. Di questi luoghi, perfettamente integrati alla città, ne abbiamo visto uno, nel quartiere Marieberg. Là una ragazza a dir poco temeraria sfidava la temperatura dell’acqua (per me glaciale) facendo il bagno accanto a un moletto in legno.
Il rispetto per il patrimonio naturale presente in città è osservabile ovunque: tutti i rifiuti vengono diligentemente riciclati, le cartacce in terra sono piuttosto scarse. Fatta eccezione per qualche grande asse automobilistico che attraversa il centro della capitale e per l’orrore architettonico anni 70 della zona intorno a Sergels Torg (altrettanti esempi di follia urbanistica, più che di degrado ambientale), sembra che tutto a Stoccolma sia concepito perché la gente vi si trovi a suo agio. Persino il silenzio dell’aeroporto di Arlanda, nel quale quasi tutti gli annunci all’altoparlante sono banditi, o il basso livello di inquinamento acustico nel metrò, dove le vetture non sferragliano e il segnale sonoro per la chiusura delle porte non è assordante come quello parigino, concorrono a rendere Stoccolma un luogo a bassa densità di stress.
A dispetto della temperatura e del tempo atmosferico, quasi mai consoni alle nostre origini mediterranee, pare che la vita, qui, abbia qualcosa di dolce. Ovvio, cinque giorni sono appena sufficienti per farsi qualche impressione. Nessuna certezza in queste notarelle, tuttavia alcuni segnali parlano da soli. La presenza massiccia – un vero esercito – di madri ma anche di giovani padri che spingono una carrozzina con dentro il loro pupo o la loro pupa, autorizza a credere che il periodo immediatamente successivo alla nascita dei figli può essere vissuto qui con serenità dai genitori: sarà l’impegno forte da parte dello Stato a favore dell’infanzia e della genitorialità a offrire maggiore sicurezza?
E se la Svezia non ha ancora realizzato completamente le pari opportunità, la meta sembra molto meno lontana qui che altrove. Che il ruolo dell’uomo e della donna, tanto nella coppia eterosessuale quanto nella società più in generale, sia stato ridiscusso con la volontà manifesta di rimuovere ogni traccia di maschilismo, mi pare emerga anche da piccoli episodi quotidiani come quello che riportavo sopra.
Se di una separazione tra uomini e donne si può parlare, lo si farà citando l’ingresso della sauna che abbiamo trovato a Gamla Stan. È uno dei rari (il solo?) stabilimento di questo tipo esistente in città: certo, esistono molti centri di bellezza con sauna annessa, ma il loro spirito è totalmente differente. La sauna dove siamo stati noi è stata una vera sorpresa: “popolare”, per niente lussuosa, accessibile ad un prezzo contenuto (5 euro), cinque-sei piccoli ambienti sepolti in profondità tra le fondamenta di un vecchio palazzo. Frequentata solamente da svedesi, alcuni giorni apre le porte esclusivamente agli uomini mentre in altri momenti della settimana è solo femminile. Non era una sauna gay, né vi si svolgeva alcuna attività erotica (al massimo qualche sguardo un po’ meno discreto del solito), anche se di materiale ce ne sarebbe pure stato (ehm). Bandito anche l’ultimo pudore dell’asciugamano che dalle nostre parti cinge la vita fino al momento di passare a più concrete faccende e che invece qui serve esclusivamente ad asciugarsi un po’ dopo aver fatto la doccia finale, ci siamo mischiati volentieri agli svedesi. Ho avuto la netta sensazione che si realizzasse là sotto, nel calore insopportabile della sauna (finlandese, cioè in legno con la fonte di calore all’interno, per intenderci), nel freddo della piscina o nel tepore delle vasche, una mescolanza perfetta tra etero e gay, come se tutti se ne infischiassero allegramente dell’orientamento sessuale degli altri frequentatori. Era semplicemente un luogo di ritrovo per uomini di differenti età: lontano dalle donne, potevano chiacchierare e scherzare tra di loro con una grande spontaneità e, da quanto ho capito, con un certo cameratismo. Amici e complici, ma non amanti. Noi abbiamo fatto i timidoni, benché qualcuno ci abbia chiesto in inglese da dove venivamo e ci abbia offerto altri antipasti di conversazione. Che differenza rispetto all’altezzosità delle dive che frequentano i vapori parigini!
E gli svedesi, allora? A me è parso che la proverbiale freddezza dei popoli nordici appartenga più al mito che alla realtà. Se esitavamo sulla strada da prendere con la nostra piantina in mano per più di qualche minuto, c’era sempre qualcuno che si offriva spontaneamente di aiutarci. Fuori da un locale gay, con fare molto tranquillo, due ragazzi in due momenti successivi si sono presentati giusto per... fare due chiacchiere. E tutti mostrano interesse per il sud dell’Europa e sembrano tenere moltissimo a parlarti di tutto ciò che conoscono del posto dal quale vieni. A un lettore italiano questo comportamento potrà forse sembrare banale, assolutamente logico, ma non è così per me, dal momento che a Parigi la gente sembra aver fatto dell’indifferenza verso il prossimo il mezzo migliore per sopravvivere nella difficile e a tratti ostile giungla urbana.
Così sono stato molto felice di scoprire uno scampolo di vita gaia a Stoccolma grazie al bellissimo e folle Niklas (sì, detengo il suo numero di cellulare e posso essere tranquillamente corrotto... alle mie particolari condizioni, évidemment). Ebbene, Niklas si è presentato a noi nel modo più schietto possibile, quando, nostro vicino di tavolo al ristorante dove stavamo cenando, ci ha chiesto: “So, where are you from?”. È stato lui a confermarci che a Stoccolma non esistono saune gay o locali con darkroom, che il “corteggiamento” è relativamente semplice e diretto e che le chat su internet sono più che sufficienti ad organizzare degli incontri puramente occasionali. Per assaggiare un po’ della “scena” di Stoccolma, quella sera siamo stati con lui in un locale che si chiama Torget e la sera successiva, ancora in compagnia di Niklas, abbiamo passato qualche ora spensierata da Lino, una discoteca gay sull’isola Riddar-Holmen. È il piano terra di un grande palazzo, un succedersi di grandi stanze, come fossero salotti di un appartamento appena svuotati del loro mobilio; fuori, un piccolo giardino. In ogni ambiente un tipo di musica differente, ma il pubblico è sempre quello: tendenzialmente gay, molto eterofriendly.
Un altro luogo comune sulle genti nordiche, questa volta del tutto veritiero, è la loro tendenza a sorbire quantità incredibili di superalcolici il venerdì e il sabato sera al solo scopo di ubriacarsi. In effetti alla fine della serata, alle tre del mattino, le persone ancora sobrie che si potevano contare all’uscita della discoteca erano davvero pochine...
Il momento più difficile è stato quello della partenza, non volevamo proprio andarcene. Come fa sempre quando è entusiasta di un posto che ha appena visitato, Staou continuava a parlarmi di come potrebbe essere la nostra vita a Stoccolma. Sto per pacsarmi a un vagabondo, lo so.

Foto: Staou.

19 ottobre 2006

Papata 11 - Deviate!

Lo sapevo che l’iniziativa veronese della lobby vaticana sarebbe stata foriera di nuove papate, prevedibili quanto odiose. Interessanti i titoli di Repubblica.it e Corriere.it che citano Ratzi in modo del tutto concorde: “La Chiesa non è agente politico”. Ah, no? E allora via con le papate. E siamo alla numero 11.

- “La Chiesa non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica”, il che, tradotto, vuol dire più o meno: smettiamola con questa storia della Chiesa che detta legge, mica sediamo in Parlamento, noi! Abbiamo solo due o tre suggerimenti da dare al legislatore italiano e bisogna ascoltarci perché noi siamo buoni per definizione (non siamo forse i depositari della Verità?) e agiamo per il bene della comunità politica, cioè per tutti voi (smettete di pensare, siamo sufficientemente universali per gestire le vostre vite nel migliore dei modi).

- E infatti: “Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità”. Neanche il coraggio di assumersi le proprie responsabilità: noi dettiamo, i cattolici in politica e nella società civile agiranno per conto nostro. Di quale cosca avete detto che è il capo, questo Razzi?

- “Un cammino [...] per mantenere viva e salda la fede nel popolo italiano; una tenace testimonianza [...] di amore per l’Italia e di operosa sollecitudine per il bene dei suoi figli”: farci i fatti vostri, questo è il nostro mestiere. Lasciateci fare, bimbi.

- Allarme, perché “la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare”. Si arguisce che la libertà individuale non è un valore fondamentale, pertanto non è ad essa che ci si deve richiamare ma... a un’altra (alta) autorità alla quale, sì, tutti dovrebbero sottostare. Parla come se la libertà individuale potesse togliere qualcosa a qualcuno. Ci prende pure per fessi...

- La Chiesa non fa politica (ca-pi-to?!) ma lancia un grido d’allarme: con certe leggi si contraddicono principi e valori “radicati nella natura dell’essere umano”. Sarebbe bello un giorno non dico legarlo a una sedia, ma convincerlo ad accomodarsi e bersagliarlo di domande su che cos’è e che cosa non è naturale, fino allo sfinimento (suo). Esiste un’ideologia della natura, con la quale hanno sempre pensato di fregarci. Peccato che, spacciata per oggettiva, l’idea di natura sia intrinsecamente fascista, perché fa passare per legittimo e dunque applicabile, solo tutto ciò che qualcuno, in modo del tutto soggettivo, ha stabilito fosse naturale. Come si sa, infatti, ciò che può essere “naturale” (dunque ovvio, scontato, accettabile, legittimo,...) per me, può non esserlo per qualcun altro e viceversa. Il diritto evolve, registrando i cambiamenti sociali (talvolta provocandoli), la Chiesa, invece, resta dov’è: al fascismo.

- “La Chiesa contribuisce a far sì che ciò che è giusto possa essere efficacemente riconosciuto e poi anche realizzato. A tal fine sono chiaramente indispensabili le energie morali e spirituali che consentano di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali, o di una categoria sociale, o anche di uno Stato”. Ciò che è giusto... non sentite correre un brivido per la schiena? Da anteporre a individui, categorie e persino Stati: era in piena forma, oggi! Ma non è tutto...

- No alle “forme deboli e deviate di amore”, ma guai a interpretarlo come un gesto di chiusura! “In verità questi ‘no’ sono piuttosto dei ‘sì’ all’amore autentico”. Sentite odore di merda? È quella che vi ha appena gettato addosso, non preoccupatevi, un lavaggio a novanta gradi e la macchia se ne va.

Si attendono reazioni (stavo per scrivere “vibrate proteste”, ma dimenticavo che sto scrivendo in italiano). Mi viene solo in mente: combatti il tuo nemico, ogni giorno. E rimetti al papa la propria merda. Amen.
E se vi trovate dalle parti di Verona e pensate di rialzare la testa, c’è una bella iniziativa che porta il nome di Layca, organizzata da Facciamo Breccia. Ci andate anche per me?

Venerdì 20 ottobre 2006 dalle ore 10.00 - Fiera di Verona
Sit in - Salutiamo la nostra «ruina» promosso dal Coordinamento Naz. Facciamo Breccia in concomitanza con la chiusura ufficiale dei lavori della CEI e le conclusioni del cardinale Camillo Ruini.

Venerdì 20 ottobre 2006 ore 19.00 presso csoa La Chimica
Incontro con i redattori e presentazione della rivista «LiberaMente», luogo per il confronto e lo sviluppo di un pensiero libero, non conformista e non autoritario. A cura della Biblioteca G. Domaschi.

A seguire: cena eretica con i «Fornelli ribelli» della Chimica, accompagnata da parole, musiche e stornelli anticlericali a cura di Alessio Lega e Rocco Marchi.

Sabato 21 ottobre 2006 alle ore 16.00 Sala Lucchi, Verona
conferenza dibattito promossa dal Coordinamento Naz. Facciamo Breccia
«Il nuovo progetto Vaticano di egemonia”
intervengono: Giorgio Galli, Lidia Menapace, Carlo Pauer Modesti, Facciamo Breccia.

Antidoto: Facciamo Breccia.

18 ottobre 2006

Papata 10 - Ordinaria amministrazione

Qui ci si aspettava francamente qualcosa di più. In fin dei conti era la papata numero 10, qualche effetto a sorpresa avrebbe pur potuto concederlo. Invece no, la solita litania contro il riconoscimento delle coppie di fatto.
Per chi non lo sapesse, col termine “papate” questo blog archivia tutte le dichiarazioni omofobe di Ratzinger (le trovate alla categoria Papeide). Non solo perché in fondo sono un po’ masochista, ma anche per mostrare che l’omofobia non viene da Marte, al contrario: trova fondamento e legittimazione in ideologie terrene tra le più opprimenti, e quella propagandata dal papa è una di queste.
Venerdì scorso Romano Prodi si è recato in visita privata da Ratzinger. Ora, in linea di principio niente vieta che un privato cittadino incontri il capo della religione in cui crede. Più preoccupante è che quest’ultimo gli esprima le proprie ansie tutt’altro che private chiedendo al cittadino Prodi – che, per inciso, è anche il presidente del Consiglio italiano – di non riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso. Questa dovrebbe essere chiamata “ingerenza negli affari interni di uno stato estero” (altro che “colloquio privato”!), se soltqnto queste parole in Italia avessero ancora un senso.
Più scandaloso ancora è il fatto che Prodi rinunci, di fatto, a rispettare il carattere puramente privato della sua visita e, genuflettendosi davanti a Ratzinger, vesta nuovamente i panni istituzionali e gli suggerisca di dormire sonni tranquilli, ché tanto in Italia al massimo si arriverà al riconoscimento di un diritto individuale delle persone che fanno parte di unioni di fatto. Come dire: niente di niente. Prodi non poteva trovare miglior viatico per la prossima discussione delle proposte di legge in materia.
Inutile dire: in Italia si è sempre fatto così, ordinaria amministrazione. Interessa ancora a qualcuno il tema della laicità e della separazione tra Stato e Chiesa? No, dico, perché qui sembra che in gioco ci siano “solo” i diritti di gay e lesbiche – e questa sarebbe già di per sé una buona ragione per mobilitarsi – invece è il diritto di tutte e tutti all’autodeterminazione che viene quotidianamente irriso. Dal papa, certo, ma anche dal presidente del Consiglio. Centrosinistro. Italia, 2006.

Fonte: Têtu.
Antidoto: Facciamobreccia.

14 ottobre 2006

La dignidad de los nadies

Il timore che il documentario La dignidad de los nadies, di Fernando Solanas, fosse solo una riedizione del suo precedente Memoria del saqueo, era legittimo. Ma la proiezione cui ho assistito, in un cinema vicinissimo al centro Pompidou, lo ha inequivocabilmente fugato. Il regista, infatti, raccontando per la seconda volta la terribile crisi che ha colpito l’Argentina nella prima metà degli anni 2000, riesce a dipingere un affresco interessante e vivido.
Lo sfondo è costituito dal crollo di quel sistema iperliberista, favorito da una classe politica corrotta e dominato dalle multinazionali, che ha depredato il popolo argentino delle proprie ricchezze. Ma in La dignidad de los nadies, Solanas ha scelto di far risaltare il ritratto di alcune persone che da quegli eventi catastrofici sono state colpite.
Nel fango in cui si trovano loro malgrado, alcuni protagonisti e alcune protagoniste del documentario hanno perso tutto, ma non hanno chinato il capo. Maestri, operai, medici, imprenditrici agricole, attivisti e molte altre figure sfilano così sotto ai nostri occhi e ci raccontano la loro storia. I personaggi sono resi più prossimi allo spettatore da una camera che li insegue e talvolta gli ruota attorno, per mostrarceli nei loro gesti quotidiani, nei loro incontri, nei loro impegni.
Questi uomini e queste donne sembrano dirci che la (ri)costruzione di sé non può prescindere da un ripensamento della nostra concezione del mondo. La crisi argentina ha spinto moltissime persone, alcune delle quali forse non si erano mai poste prima questo problema, a cercare alternative concrete ai legami sociali ed economici che fino a quel momento avevano governato le loro vite. Solanas non isola i casi personali che tratta nel documentario, ma li indica come altrettanti paradigmi di una situazione più generale: quelle lotte, iniziate spesso da singoli uomini o da singole donne oppure da piccoli gruppi di persone, hanno provocato una vera e propria mobilitazione intorno a temi di una complessità molto vasta come la salute, la proprietà, i servizi pubblici, la povertà, la criminalità,...
Solanas è riuscito una volta di più a realizzare questa sorta di miracolo cinematografico: due ore filate di documentario sull’attualità sociale e politica dell’Argentina, senza un filo di pesantezza o di inutile retorica. Al loro posto, invece, tutta la passione necessaria a mostrare come i vinti, i “nessuno”, possono restituire dignità alle loro vite. E alle nostre.

13 ottobre 2006

Una busta

Interno parigino, oggi, mezzogiorno e mezzo circa. Piatto di pasta in una mano, forchetta nell’altra, giro casa come un pazzo perché il tempo stringe e gli oggetti da afferrare prima di uscire sono decisamente troppi. Ad un certo punto mi blocco. Da un angolo del tavolo della salle à manger (vabbè: in realtà si tratta del mio salottino), posata lì un’ora prima dalla mia mano, occhieggia verso di me una busta che ancora non ho aperto. L’aspetto da qualche giorno. Mia madre al telefono mi ha intimato: “Firma e rispediscimi il tutto immediatamente”.
Quindi apro. Sì, però io a momenti ci resto secco: “Procura speciale. Conferisco incarico e mandato a reappresentarmi e difendermi in ogni fase, stato e grado della presente procedura in via disgiuntiva all’Avv. ... e all’Avv. ... entrambi con studio legale in ... con tutte le facoltà previste dall’art. 83 e segg. Cod. Proc. Civ. e dalla legge, ivi comprese quelle di formulare domande, eccezioni, opposizioni, riconvenzionali, chiamare terzi in causa, proporre impugnazioni ed appelli, intimare precetti, promuovere procedimenti esecutivi e cautelari, conciliare o transigere, rinunciare agli atti, quietanzare, farsi sostituire, nominare altri procuratori e domiciliatari, costituirsi parte civile nel procedimento penale con tutti i poteri previsti dagli artt. 74 e 100 Cod. Proc. Pen., sottoscrivere ricorsi amministrativi, controricorsi ed ogni altro atto del procedimento, richiedere ed estrarre copia di qualsiasi documento o atto presso ogni autorità, enti o uffici pubblici e privati”. Nient’altro?
Poi capisco: la genitrice ha semplicemente omesso di dire che si trattava di nominare Dio. “È solo una procura”. Solo.

12 ottobre 2006

Qui i gay non sono ammessi

Vita dura per gli omofobi. Tranquilli, non parlo di quelli italiani, mi riferisco agli spagnoli. Un ristorante madrilegno rischia infatti fino a quindicimila euro di multa per aver rifiutato di organizzare il pranzo di matrimonio di una coppia gay. Il nome del colpevole? Il ristorante si chiama La favorita, si trova nel quartiere Chamberí della capitale spagnola, e ciò che lo distingue dagli altri è il fatto che i camerieri, studenti e studentesse di canto lirico, durante il servizio danno spettacolo, cantando alcuni famosi pezzi d’opera. Particolare che forse i due promessi sposi non avevano considerato: La favorita appartiene a una fondazione operistica d’ispirazione cattolica.
Ecco i fatti. Juan Álvaro García, 47 anni, il 18 ottobre prossimo sposerà l’uomo col quale vive da dodici anni. La cerimonia è prevista al comune di Madrid. Circa un mese fa, Álvaro e il suo compagno cominciano a cercare un ristorante dove potranno festeggiare l’avvenimento. Trovano allora il posto che fa per loro, o almeno così credono: Álvaro è un grande appassionato di lirica, La favorita è il posto dove gli piacerebbe passare le sue prime ore da novello sposo. Quando si presentano al ristorante per prendere accordi con i gestori, questi prima tergiversano, poi, dopo alcuni giorni di attesa, rispondono picche: “Ci dispiace, alla fondazione ci sono state alcune divergenze d’opinione, così preferiremmo che festeggiaste il vostro matrimonio altrove”. “Mentre me lo dicevano io pensavo” – racconta Álvaro – “che quello che stava succedendo non era possibile. Come se il nostro amore fosse di seconda classe. Immagino che siano molti i negri in Sudafrica che si saranno sentiti così”. “Si tratta della nostra politica d’impresa. Non vogliamo recare disturbo a nessuno e nemmeno dicriminare.” – dicono quelli della (S)Favorita – “Difendiamo la nostra libertà di scelta. Non vogliamo giudicare nessuno ma agiamo secondo il nostro modo di pensare”. Eppoi, secondo il principio pecunia non olet, aggiungono: “Noi ammettiamo nel nostro locale gli omosessuali. Abbiamo molti amici gay”. Già, peccato però che il fatto di tenere in casa un gatto non faccia di chi lo possiede uno zoofilo... Insomma: consumate, statevene buoni, pagate, ma il matrimonio, quello poi no!
Ora Álvaro e il suo compagno hanno trovato un altro ristorante pronto ad accoglierli senza difficoltà, ma non si sono arresi. Hanno scritto alla principale associazione glbt spagnola, la FELGT (Federación Estatal de Lesbianas, Gays, Transexuales y bisexuales), la quale ha prontamente allertato i media sul caso. Secondo Alberto Marin, del Cogam, collettivo gay di Madrid, l’episodio “dimostra una volta di più che siamo ancora lontani dall’uguaglianza completa. Abbiamo progredito molto, però dettagli come questo sono segnali della disuguaglianza che ancora esiste nella società”.
I due futuri sposi non sono soli: grazie alla pressione esercitata dagli esponenti madrilegni del Partito Socialista e di Izquierda Unida, l’Assessore all’Economia del comune di Madrid ha disposto l’apertura di un’inchiesta per capire se il rifiuto del ristorante sia stato giustificato e se non abbia invece violato la Legge sugli spettacoli, che all’articolo 24 stabilisce che il diritto del gestore di un locale di poter eventualmente rifiutare l’ingresso a qualcuno, non può in nessun modo ledere i diritti dei clienti. Ciò che, in effetti, sembra essere successo in questo caso.
Proprio oggi Juan Álvaro García e il suo compagno, che già si erano rivolti al Giudice popolare, hanno presentato formale denuncia all’Ufficio Consumatori del comune di Madrid per “discriminazione dovuta all’orientamento sessuale”. Secondo loro, sono stati infranti due articoli della costituzione spagnola, il 10 e il 14, sullo sviluppo della personalità e sulla discriminazione. La multa che il ristorante potrebbe vedersi appioppare ammonta a quindicimila euro, se non peggio.
“Siamo in un periodo di cambiamenti” – dice ancora Álvaro – “Immagino che tra trent’anni guarderemo indietro e queste cose ci sembreranno brutalità”.

Fonti: 20minutos, ABC, El Mundo, El País, via FELGT.

11 ottobre 2006

Nuove speranze per Nouchet

Di Sébastien Nouchet ho già scritto in un post del 27 settembre scorso che avevo intitolato, forse un po’ troppo frettolosamente, Sipario su Nouchet. La procura della Repubblica di Béthune, infatti, aveva archiviato il suo caso, non essendo riuscita a trovare i colpevoli dell’aggressione omofoba da lui subita. Non pochi dubbi erano stati sollevati da una parte della stampa sulla veridicità della versione fornita dalla vittima.
La buona notizia è che Sébastien Nouchet ha deciso, il 5 ottobre scorso, di presentare ricorso contro l’archiviazione del caso “poiché” – spiega Franck Berton, il suo terzo avvocato dall’inizio dell’inchiesta – “non può sopportare che si lasci credere che lui stesso sia colpevole di un’ ‘autoaggressione’”. L’avvocato precisa che la decisione del procuratore di Béthune non ha tenuto in alcun conto le aggressioni precedenti, tutte a carattere omofobo, che la persona accusata da Nouchet aveva già commesso contro il suo cliente. “Non è stato mai del tutto accertato cosa abbia fatto esattamente quel giorno l’indiziato” – dichiara ancora Franck Berton – “e una bottiglia di alcol, non raccolta dalla polizia dopo l’aggressione, è misteriosamente scomparsa dalla casa di Nouchet”.
In questi giorni Sébastien Nouchet è tornato a vivere con sua madre, dopo essersi separato dal suo compagno e dopo aver vissuto un mese e mezzo in un’automobile, insieme ai propri cani, in preda alla depressione. In alcune dichiarazioni rilasciate oggi in esclusiva alla rivista glbt francese Têtu, si mostra deciso a voler fare piena luce su quanto gli è accaduto. “Ho il diritto di sapere quello che è successo il 16 gennaio 2004”, ha affermato Nouchet. “I genitori e gli amici delle vittime dell’omofobia devono rimanere vicini a loro, perché hanno bisogno d’aiuto. Io non mi vergogno,” – continua Nouchet – “bisogna far capire alle altre vittime che non bisogna lasciar perdere”.

Fonte: Têtu.

04 ottobre 2006

Saremo fuggiasche...

Froci e lesbiche, bisessuali e transessuali dello stivale intero, se ancora non lo avete fatto, preparate le valigie. Sfiducia nei confronti della nostra classe politica? Impossibilità d’intravedere all’orizzonte anche il più piccolo barlume di speranza che venga approvata una legge sui pacs?
Non proprio o, almeno, non solo. L’invito è, piuttosto, a programmare un viaggio in Spagna per l’estate del prossimo anno. È a Madrid, infatti, che si svolgerà, dal 21 giugno al 1° luglio, l’Europride 2007. Dal 6 all’8 ottobre prossimi, invece, è in programma, sempre nella capitale spagnola, la Tredicesima Conferenza Internazionale dell’EPOA, l’associazione dei pride europei, alla quale parteciperanno quindici paesi.
L’organizzazione dell’Europride di Madrid è stata affidata dalla stessa EPOA al sindacato delle imprese gay e lesbiche di Madrid (AEGAL), al Collettivo di lesbiche, gay, transessuali e bisessuali di Madrid (COGAM) e all’associazione glbt nazionale FELGT. Quest’ultima, in particolare, auspica che l’Europride “serva da stimolo affinché le conquiste legali e sociali ottenute in Spagna si estendano al resto del continente. L’Europride 2007 è una vetrina mondiale e una opportunità unica perché i governi si rendano conto del fatto che non esiste democrazia senza uguaglianza”. E speriamo che la lungimiranza di Madrid contagi almeno un po’ la politica italiana.
In ogni caso, voi tenetevi pront*!

Fonte: FELGT.

03 ottobre 2006

Papata 9 - Sviliti chi?

Scusatemi, stavo per perdere il conto. Di che cosa? Ma delle “papate”, ovviamente! Per fortuna un post di Aelred sul suo Village mi ha allertato. Allora, questo è il ratzi-pensiero fresco fresco (oddìo, mica tanto, risale al 28 settembre scorso ed è tratto dal discorso al nuovo ambasciatore tedesco in Vaticano): il matrimonio e la famiglia sono “minacciati e sviliti da un lato da un cambiamento della concezione di comunità coniugale presso l’opinione pubblica, e dall’altro da nuove forme previste dal legislatore che si allontanano dalla famiglia naturale”.
Siamo così alla nona.

01 ottobre 2006

Due padri in Spagna

Per la prima volta in Spagna una coppia gay ha ufficialmente adottato un figlio. L’annuncio è stato dato venerdì scorso da Carme Figueras, consigliera del governo catalano.
I due uomini, residenti nella provincia di Barcellona, hanno superato tutti i passaggi del processo di adozione e sono diventati ufficialmente genitori di un bambino, anch’egli catalano, già questa estate.
Secondo il vicepresidente del Forum spagnolo sulla famiglia, Benigno Blanco, l’adozione da parte di coppie formate da persone dello stesso sesso “è contraria non solo alla Costituzione ma anche ai principi fondamentali della persona”. Secondo lui questa adozione è “legale” ma non “legittima”.
Nonostante questi rigurgiti omofobi, in ogni caso, l’evoluzione della società spagnola non si ferma: grazie alla legge sul matrimonio omosessuale approvata nel luglio 2005, solo in Catalogna sono oggi 28 le coppie omosessuali che hanno iniziato le procedure per l’adozione, delle quali 20 sono formate da uomini e 8 da donne.
Al palo resta invece l’Italia, che non riesce nemmeno a riportare la notizia correttamente: l’adnkronos confonde infatti il numero di adozioni con il numero di matrimoni. Quando si tratta di lesbiche e froci...

Fonte: Europa Press via El País.